VICISSITUDINI DI UNA RELIQUIA
4.2 Culto delle reliquie della Passione: l’Yconam Morosin
Della diffusa bramosia di acquisire reliquie della Passione farò una breve digressione, prendendo spunto dal fatto che lo stesso Bartolomeo, prima di ricevere in dono dal Re di Francia la Spina della Corona e il Legno della Croce, aveva acquisito tra le sue proprietà private una Yconam, all’interno della quale si trovavano numerosi resti di martiri ed evangelisti ma anche oggetti concernenti il momento della morte di Cristo, tutti provenienti dalla Terra Santa e quindi di indubbio valore.
Il donatore in questo caso fu una veneziana, Donna Filippa, vedova del nobile Mauro Morosini. Nel mese di gennaio del 1243, la stessa si presentò di persona al Vescovo di Castello, Pietro, mostrandogli un’icona all’interno
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della quale si poteva ammirare tra le altre reliquie, una particella della Croce.161
In occasione di donazioni di reliquie, le stesse dovevano necessariamente essere accompagnate da lettere di autenticità per dimostrare la provenienza e la veridicità di ciò che sarebbe divenuto oggetto di culto di una intera comunità. Molto spesso queste erano redatte e firmate da imperatori, vescovi o patriarchi che in prima persona, attraverso il legittimo potere temporale o spirituale, dimostravano la validità dei resti e le innalzavano al rango di reliquie.
Anche l’icona in questione era giunta da Costantinopoli con delle autentiche firmate dall’Imperatore Roberto e dal Patriarca ma che purtroppo erano andate perdute già dopo l’arrivo a Venezia.
La nobildonna convinta del potere salvifico di tali oggetti, pregò e ottenne dal Vescovo di Castello il documento che serviva per autenticare l’icona. Probabilmente nel convincere il patriarca veneziano a concedere l’approvazione alla venerazione per tali oggetti, era stato fondamentale il fatto che, altri prima di lui, avevano avuto l’onore di vedere e riconoscere le lettere autografe costantinopolitane: Guglielmo priore di S. Salvatore di Venezia, Manfredo canonico e sacerdote della stessa chiesa, fra Manfredo sacerdote dell’ordine dei Frati Minori, Marco Falliero, Giovanni Baroccio e Tommasino Morosini.162
Nella lettera del Vescovo di Castello, si attesta quindi la presenza della reliquia della Croce e di due Spine contenute all’interno dello stesso recipiente, una porzione di Spugna imbevuta di aceto e fiele e alcune parti della veste di Cristo. I dieci ripostigli situati attorno a tali reliquie della Passione, identificano con lettere greche sopra incise, porzioni di resti sacri di apostoli e martiri negli stessi contenute. In un’ampolla, invece, si trova il dito del Santo eremita Antonio di Vienna.
161 Francesca Lomastro Tognato (a cura di), I “Monumenta Reliquiarum” ... op. cit. , pp. 38-
39.
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Il Beato Bartolomeo, nelle lezioni composte per l’Ufficio della Santa Spina, ricorda come Bisanzio fosse stato il primo luogo a custodire il tesoro delle reliquie venute a contatto con il corpo di Cristo:
“Vivis et certis indiciis quod Sacrorum Christi Grecia Thesauriaria prima fuit nam que perfidia Judaee a se abiecit hujus fide set devocio ad se traxit et que illa meruit perdere ista meruit obtienere factaque fuit Bizantinum divino rum Gazophilacium ibi namque Spinea corona ibi Clamis cocinea ibi Spongia fellica quondam ibi portio Sancte Crucis quam Helena Regina Costantino filio suo imperatoremisit ibi alia Vasa bellica recondita fuerunt quibus de armato forti fortior triumphavit ex illis devoto rum Principum fides dona votiva promeriut inter quos princeps unus devocione prepolens Sacra que accepit in Theca de ligno ebani pulchre fabricata decenter compusuit.”163
Le storie e le leggende che caratterizzano le reliquie della Passione sono spesso accomunate dalla presenza di re e di principi che, dapprima partecipano attivamente alla ricerca e che, in seguito, scelgono di suddividere questi oggetti con altri sovrani, designando all’atto di donazione e al sacro resto, il ruolo di “diplomatico” presso una o l’altra corte, arricchendo significativamente i palazzi regali, più di qualsiasi altro tesoro: anche una piccolissima porzione, per esempio, del Legno della Croce “rese più augusti e riveriti non pure i templi di culto, ma le reggie dei principi; il dono di una particella fu guardato da intere nazioni pegno di grande sollecitudine degli stessi pontefici;[…].”164
Tra questi sovrani, colui che ha una ruolo nella vicenda della Yconam Morosini (non identificato attraverso il nome ma con la virtù più importante per un cristiano, la pietas), decise di riordinare le sacre reliquie in una teca in ebano, successivamente appartenute a Donna Filippa, dono del marito Mauro, che le acquisì a Costantinopoli in cambio di un considerevole prestito
163 Edito da Paolo Calvi, Biblioteca, e storia ... op. cit., vol. I, pp. 59-63
164 Antonio Magrini, Sopra la insigne reliquia della Santa Croce che si venera nella chiesa
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di denaro fatto all’impero in tempi di necessità. Il reliquiario, divenuto di proprietà, fu trasportato a Venezia nel momento in cui Morosini assunse la carica di Consigliere.
La nobile signora veneziana, preoccupata che i sacri oggetti non ricevessero la dovuta venerazione nella sua casa privata, decise di donarli a Bartolomeo. Purtroppo i documenti del tempo non ci forniscono indicazioni riguardanti tre considerazioni che è possibile fare a questo punto della vicenda:
- Filippa e Bartolomeo erano legati da profonda amicizia ma, degli antefatti che riguardano tale rapporto, non si conoscono i termini; - la nobildonna scelse liberamente di donare le reliquie non al vescovo
di Castello o alla chiesa di San Marco come ci si potrebbe aspettare, ma piuttosto ad un vescovo vicentino;
- il da Breganze stava diventando un ricettacolo di reliquie della Passione.
Il domenicano vicentino, dopo aver ricevute comunicazione delle intenzioni della vedova, decise di mettersi in viaggio per incontrare a Venezia donna Filippa che, senza alcuna esitazione, gli consegnò una “tavola di legno d’Ebano [....] effigiata in modo di Croce, in mezzo alla quale, cioè nella parte superiore era il legno della Santa Croce, circa quella d’ambedue i latti erano formate dieci cassette d’argento coperto di cristallo adornate di Sacre Reliquie con i nomi Greci cioè alla banda destra di S. Pietro, di S. Andrea Appostoli, di S. Matteo Appostolo e Evangelista, di S. Timoteo Martir’ e di S. Giorgio Martire. Dall’altra banda sinistra erano di S. Paolo, S. Bartolamio, e di S. Simon Appostoli, di S. Luca Evangelista, e di S. Pantaleon Martire. Nel piede della Croce stessa era della porpora, della spongia, e in un’altra cassetta sotto cristallo due Spine della Corona del Signore.”165
Nel Monumenta Reliquiarum, rispetto alla descrizione di Barbarano, non si parla di un reliquiario a forma di Croce ma di un quadretto di legno contenente il vero Legno della Croce attorno al quale vi erano le dieci teche d’argento:
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“Quod daret et donaret predicto domino episcopo Bartholomeo pro predicto conventum quondam yconam de ligno ebano. In quo est de vero ligno crucis insertum tabule per modum crucis et circa eam utroque latere sunt .X. theche argentee coopte christallo factis reliquiis ornate cum grecis nomibus impressis… (riporta i nomi degli apostoli)
Et sub crucem in fine et de purpura et de spongia de corona dominica due spinee in theca una sub christallo spectabilier et ordinate desposite.”166
La condizione del reliquiario è rilevata tramite inventario redatto in occasione della visita di Padre Tommaso Riccardi, all’incirca nel 1760, quindi a cinque secoli di distanza dalla donazione di Bartolomeo alla Chiesa di Santa Corona. Il reliquiario venne trovato dallo storico domenicano in uno dei due armadi posizionati nel sottocoro, a destra e a sinistra di quello nel quale si custodiva la Santa Spina. La teca, o meglio l’ “Yconam donata dalla Matrona Morosini al B. B. nel 1263, ed in essa vi sono tuttavia molte delle indicate reliquie colle iscrizione greche; ma del legno della S. Croce, le due Spine e la Spugna, non vi sono più. Come smarrite non si sa.” 167
Il reliquiario, entrato tra le proprietà di Bartolomeo, venne depositato per volontà dello stesso all’interno della Chiesa di Santa Corona ma come ricordava l’atto di donazione, continuava ad appartenere a lui quale persona privata e non in quanto vescovo.168