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Edificazione di Santa Corona

UNA CHIESA CONTRO L’ERESIA CATARA.

2.5 Edificazione di Santa Corona

Nella zona chiamata Colle, sull’estremo declivio orientale della città che scende verso il Bacchiglione, sorge la chiesa di Santa Corona.

64 Entrambe le citazioni in Battista Pagliarino, Croniche di Vicenza ... op. cit., p. 82 e p.158. 65 Giacomo Marzari, La Historia di Vicenza, ristampa – Bologna, 1973, p. 128.

66 Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza di Silvestro Castellini ove si vedono i fatti e

le guerre de' vicentini cosi esterne come civili, dall'origine di essa città sino all'anno 1630. Vicenza, 1783-1822. Libro XI, p. 122.

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Iniziata tra il 1260 e il 1261, venne portata a termine nel biennio 1268-1270. Scopo principale della sua edificazione era quello di accogliere le reliquie donate da Re Luigi IX di Francia al Beato Bartolomeo da Breganze.

Ciò che fa di Santa Corona una chiesa assolutamente unica in città non è tanto la sua progettazione e realizzazione come “contenitore” delle reliquie della Passione (che al massimo l’avrebbe paragonata come funzioni ad un Martyrion) ma piuttosto l’elemento di fondamentale importanza è il luogo, scelto appositamente per sostituire la sede della comunità catara.

Si tenga inoltre presente che l’iniziativa del vescovo non rimane isolata. Se alla proposta di una edificazione del nuovo tempio non fosse seguito un incentivo da parte dell’autorità comunale e una disponibilità economica, probabilmente il sacro edificio non sarebbe mai stato costruito e sarebbe stata adottata come soluzione alternativa di ripiego la scelta di qualche edificio già esistente, presumibilmente la Cattedrale, considerata la nomina di vescovo di Bartolomeo.

La raccolta di fondi per la costruzione della chiesa iniziò nel 1260.

Il potestà Giovanni Gradenigo mise a disposizione una grossa somma di denaro: questo atto si può leggere come un ritrovato rapporto tra il potere temporale e quello spirituale, vigente a Vicenza dopo la caduta della tirannia ezzeliniana. L’impegno era quello di pagare in un anno, a partire esattamente dal 29 settembre 1260 fino al 29 settembre 1261, cinquecento lire di denari veronesi e nei successivi tre, mille lire l’anno:

“Item stat. et or. quod ad costruendum locum sancte Crucis et sancte Corone debeat dare commune Vicentie quingentas libras denariorum Veron. a festo sancti Michaelis currente millesimo duecentesimo LX. usque ad festum sancti Michaelis sequentis in millesimo CC. LX. et posta omni anno usque ad tres annos per dictos terminos mille libras denariorum Veron. pro quoque anno.”68

Venne indetta inoltre una colletta che coinvolse laici ed ecclesiastici e anche chi generalmente era esente come professori, legali, medici e banditori:

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“... tam clericis quam laycis, et quod magistri de scolis, domini legum, medici, precones, et omnes alie persone exente debeant solvere de dicta collecta ...”69

Nel 1264 grazie ai pagamenti regolari, “quantitatibus remanent ad solvendum mille lire tantum.”70

La città, sollevata dal potere tirannico degli Ezzelino, aveva investito nel ruolo di procuratore Guido da Porto; egli aveva il compito di procurare i terreni sui quali far sorgere la nuova chiesa che sarebbe stata custodita dai Domenicani.71

Guido da Porto fece il suo primo acquisto il 6 ottobre 1260. Solo tre giorni più tardi era già riuscito a recuperare nove sedimi e, nove giorni più tardi, Giovanni Tiepolo, vicario del Potestà Querini, consegnava al priore provinciale Giovanni da Vercelli, trenta possedimenti divisi in case e terreni.72 I beni consistevano in 7 sedimina (dei quali 1 garbum, 1 con casa,

1 con casa in muratura, 1 con orto e casa lignea), in 3 orti, in 13 terre incolte, in 6 case lignee, in 10 case murate e 1 casa. In definitiva esistono 23 appezzamenti di terreno e 17 costruzioni.

Nella zona sono presenti anche 14 appezzamenti, nominati in quanto contermini a quelli riferiti dagli atti. Di tali beni mancano gli atti di compravendita: secondo Lomastro questi possedimenti sono da considerarsi delle donazioni, normale prassi di offerta di terre da parte dei proprietari per i luoghi nei quali dovevano essere innalzati edifici sacri.73

Secondo Bortolan, non si ebbero donazioni ma piuttosto ritardi nella stipula degli atti di compravendita: per tempistica, siamo di fronte ad un atto simile a quello dell’espropriazione. La documentazione relativa a molti di quelle

69 ibid. 70 ibid.

71 A rotazione seguiranno gli Agostiniani con la costruzione di San Michele (1264 circa) e i

Francescani con la chiesa di San Lorenzo (dal 1280).

72 Francesco Barbarano de' Mironi, Historia ecclesiastica ... op. cit. , libro II, p. 109. 73 Francesca Lomastro, Spazio urbano e potere politico ... op. cit. , p. 33.

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compravendite venne redatta più tardi; 17 atti, infatti, riportano una data di consegna oscillante tra il 31 ottobre 1260 e il 29 luglio 1261.74

Sia da quanto descritto nei recenti studi di Lomastro, sia da quanto dedotto da Bortolan, quel che è certo è il numero piuttosto cospicuo di proprietari a cui viene corrisposto il valore dell’immobile che ovviamente è variabile a seconda delle caratteristiche proprie; si paga, ad esempio, per una casa di legno dalle 10 alle 40 lire, per un terreno incolto, dai 7 ai 10 soldi.

Nella zona del Colle c’era quindi una grande parcellizzazione di terreno ma nonostante ciò si può constatare la presenza continua di alcune famiglie. Se si prende come termine di paragone il decreto edilizio del 120875, quindi

circa sessant’anni prima della descritta espropriazione, si riscontra, all’interno della zona, una certa persistenza di nuclei familiari. Questo, principalmente, a causa del frazionamento del patrimonio all’atto della successione ma anche per l’interesse del casato di costruire un nucleo difensivo e di predominio nei confronti dello spazio circostante. Si deve tenere presente che la zona del Colle è definita tale per la sua altitudine rispetto al resto della città e, per la presenza di torri, di case merlate e di palazzi, si può identificare come una zona di domini.76

La decisione di edificare la chiesa di Santa Corona in un quartiere in precedenza di proprietà quasi esclusiva catara, si avvicina per alcuni aspetti ad un fenomeno presente in tutta Italia, ben descritto da Fabio Bargigia nel suo saggio Ita quod arbor viva non remaneat: devastazioni del territorio e prassi ossidionale nell’Italia dei comuni, definito con il termine guasto.77

Il significato del “guasto” era in pratica una distruzione regolamentata a danno dei nemici o dei perdenti (un’azione incisiva ma molto diversa per

74 Domenico Bortolan, S. Corona: chiesa e convento ... op. cit. , p. 49. 75 Bortolo Brogliato, Il centro storico di Vicenza ... op. cit., pp. 77-82. 76 Francesca Lomastro, Spazio urbano e potere politico ... op. cit. , p. 35.

77 Fabio Bargigia, Ita quod arbor viva non remaneat:devastazioni del territorio e prassi

ossidionale nell’Italia dei comuni, estratto da Reti Medievali Rivista, VIII – 2007, Firenze. www.biblioteca.retimedievali.it

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esempio da un raid barbarico allo scopo di approvvigionare un esercito). Di base c’era una volontà di fare tabula rasa del potere precedente non solo a livello legislativo ma anche a livello visivo. Il guasto non riguardava solo l’abbattimento o l’incendio di palazzi o di sedi del potere ma anche strutture produttive (come mulini) o di edifici singoli quali cascine, case e ville e, più ampiamente, interi villaggi o borghi.

Un evento simile coinvolse anche il Veneto: nel 1198 i Vicentini e Veronesi appiccarono le fiamme a numerosi castra e villae del distretto padovano, tanto che il fuoco si diffuse sino a giungere vicino alle mura della città.78

Il fenomeno dei guasti può essere intravisto nella vicenda che coinvolse la città berica a seguito della caduta dei da Romano: con la riappropriazione del palazzo vescovile (nel quale aveva dimorato per un certo periodo Ezzelino III), della “contrada catara” e l’acquisto del terreno per edificare la chiesa, si crea una cesura nella storia vicentina che indica l’inizio di una nuova Vicenza politicamente più democratica e sicuramente più ortodossa.

Secondo Barbarano sul Colle, prima di essere occupato dagli eretici, sorgeva una piccola chiesa intitolata Santa Croce ma questo edificio venne sconsacrato e distrutto perché qui gli eretici facevano le conventicole loro, innondando in quei tempi le città d’Italia di Manichei, Cattari e Patareni. 79

Le ricerche compiute da Bortolan sono sufficienti per affermare che ciò non ha riscontro in nessun altro documento anteriore o contemporaneo alla edificazione della chiesa domenicana. In particolare, lo studioso fa riferimento a fonti di diversa natura, nessuna delle quali cita l’esistenza di Santa Croce: 80

- la bolla di Urbano III che nel 1286 descrive ai canonici la collocazione cittadina delle chiese e nomina quelle scomparse;

78 Fabio Bargigia, Ita quod arbor viva non remaneat ... op. cit. , p. 5.

79 Francesco Barbarano de' Mironi, Historia ecclesiastica ... op. cit. , libro I, p. 183. 80 Domenico Bortolan, Santa Corona chiesa e convento ... op. cit. , p. 16.

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- il precetto edilizio del 1208 nel quale si elencano molte chiese e una casa appartenente ai catari;81

- la lapide presso la sepoltura dei Magrè davanti alla cappella di San Domenico: “Ziliorum sep. Christophori a pueto Civis Vicent. et haeredum suorum 1233”, che Barbarano utilizza a suo favore ricordando che nel 1233 Santa Corona non esisteva e che quindi la pietra doveva appartenere ad un’altra chiesa, quella di Santa Croce. In realtà l’incerta autenticazione della lapide che utilizza cifre arabe (poco conosciute) e incise per la prima parte da una mano diversa dalla seconda, porta a considerare che il documento non sia attendibile. Per avvalorare la tesi secondo cui, la chiesa sorge miratamente contro gli eretici, si deve tener presente anche l’urbanistica e la distribuzione degli edifici sacri a Vicenza. I Domenicani avevano un’ampia scelta di luoghi in cui stanziarsi poiché l’unica grande chiesa presente in questo periodo all’interno delle mura è la cattedrale mentre la maggior parte degli edifici sacri in città erano cappelle che, nonostante le ridotte dimensioni, svolgevano una azione pastorale intensa:

- Santo Stefano, interna al corso, nel quartiere che prendeva da essa il nome (oggi sostituita da una chiesa seicentesca);

- San Marco, di cui oggi non restano tracce, posta fuori le mura più verso ponte Pusterla rispetto alla attuale chiesa ottocentesca;

- San Faustino, ricostruita poco più avanti rispetto a Santa Corona ma sul lato opposto cioè quello di San Pietro;

- San Marcello, di cui resta solo il nome in una stradella in prossimità di San Lorenzo;

- San Paolo, presso l’omonimo ponte sul Retrone; - San Eleuterio presso la piazza del Peronio.

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