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VICISSITUDINI DI UNA RELIQUIA

4.8 Riflessioni conclusive

La ricerca, largamente esplorata dagli storici vicentini e condotta in merito, lascia non pochi dubbi sull’accaduto.

Esistono comunque dei punti fermi, rintracciabili in diversi scritti, che possono fornire una visione se non certa, almeno possibile.

Innanzitutto l’arrivo in città delle due reliquie della Passione per merito di Bartolomeo da Breganze nel 1260 che diffusero un sentimento di condivisione cittadina quali simbolo di salvezza rispetto all’eresia catara, è premessa di una religione più pura ma anche più vicina ai fedeli.

In secondo luogo la costruzione di una Chiesa che doveva contenere tali oggetti e che, come espresso dal Vescovo in sede testamentaria, dovevano rimanere insieme:

199 Gianna Gaudini, La ricomposizione di uno spazio perduto, in AA.VV. L’altare Dall’Acqua e

il paramento Civran, Vicenza, 1999, pp. 14-35.

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“…ita quod ipsa donatio revocari non possit, aut infringi, eo quod non sit immensa, vel quod non sit prius legitime insinuata, nec aliqua alia rationi communi vel singulari.

…tam crucem, et Coronam preadictas … in Ecclesia S. Coronae Vicentiae … foturos perpetuis debeant remanere temporibus, et inde numquam removeri, seu tranferri possint aut debeant.”201

Per la storia che ne segue, ritengo che i punti in comune tra le varie cronache suggeriscano l’andamento della questione: Bartolomeo, come domenicano propendeva per il suo ordine e come tale avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere unite le due reliquie ma, come Vescovo, prima esiliato e poi ritornato in città, doveva per forza incarnare l’ideale di guida per il suo “gregge” e avrebbe perciò deciso di donare il Legno della Croce alla Cattedrale, quale simbolo della Chiesa (nel senso di fedeli) Vicentina. Considerato poi che il duomo era intitolato alla Vergine Assunta in Cielo, della quale non è possibile vantare di possedere alcuna reliquia, se anche il Legno della Croce fosse stato riposto a Santa Corona, il Tempio domenicano avrebbe innalzato il suo “status spirituale”, superando di certo il duomo che invece doveva essere, per definizione, il fulcro della fede cittadina.

La volontà testamentaria di Bartolomeo, nonché le varie indulgenze che vennero proposte per la festa dell’Esaltazione della Croce, suggeriscono l’idea che la reliquia del Legno fosse stata divisa e che, parte continuò a dimorare presso Santa Corona, parte in Cattedrale (non è possibile pensare che la reliquia adorata in Santa Corona fosse quella del reliquiario Morosini perché ebbe sempre una accezione privata nonostante la decisione finale di donarla alla chiesa domenicana).

Come verrà dimostrato nel capitolo 5, mentre per la reliquia della Spina vennero indette processioni che prevedevano il coinvolgimento del governo delle fraglie e della cittadinanza, per la reliquia del Legno non prese mai piede una tale solennità, probabilmente perché, esposta in particolar modo il Venerdì Santo, quindi solo nel periodo quaresimale, non aveva avuto forme

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dimostrative plateali, rimanendo un momento connesso all’anno liturgico ma non peculiare.

Le scarse notizie, sia in merito alla reliquia, sia riguardanti la manifestazione della devozione alla stessa tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘500, sono la prova di quanto affermato. Dobbiamo aspettare l’elezione di un vescovo veneziano, perché la città riscopra la sua dedizione: un “nuovo Bartolomeo” talmente affezionato alla città da donare una reliquia tanto importante, contrasta (ribadendo la secolare proprietà del Legno da parte della famiglia) con la sua azione, il proliferare di reliquie della Passione presenti nella diocesi e nelle chiese vicentine che, anche se credibili, non erano all’altezza di un dono fatto da un Vescovo, probabilmente importato direttamente da Costantinopoli dai suoi predecessori che avevano partecipato alla Crociata.

Sicuramente in tutto questo dobbiamo anche considerare un appoggio di Venezia alla politica di Dandolo, poiché, per controllare l’entroterra in suo possesso, il governo aveva bisogno di persone fidate.

Cosciente che la sua reliquia potesse essere scambiata con quella donata da Bartolomeo nel XIII secolo, Dandolo compì un atto di grande importanza: fece consacrare nel 1504 da Giovanni Chiericati, Vescovo di Cattaro, la chiesa di Santa Corona. La stessa iscrizione sopra il portale ne testimonia l’evento:

Templum hoc a Bartholomeo Bregantia Episc. Vicent. Ord. Praed. sub titolo S. Coronae erectum, ac una ejusdem Coronae Spina dono S. Lodovici IX. Galliarum Regis decoratum Anno Domini MCCLXII Joannes Clericatus Episcopus Catharensis dedicavit A.D. MDIV. XX. Octobris.202

In questo modo, Dandolo, cercava di cancellare dalla memoria collettiva un evento che invece era ancora vivo: Bartolomeo avrebbe donato solamente la Spina della Corona mentre il vescovo veneziano avrebbe donato il salvifico Legno della Croce che si poteva ammirare presso la Cattedrale. Costruzione

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storica, questa, fatta ad hoc, considerato che gli inventari della Cattedrale attestano la compresenza delle due reliquie del Legno per un certo periodo. Personalmente vorrei azzardare l’ipotesi che nello stesso luogo e contemporaneamente siano coesistiti i due reliquiari, entrambi oggetti di assoluto valore artistico e storico (probabilmente quello di Dandolo proviene dalla Crociata del 1204) ma che la reliquia sia una: potrebbe essere stata inserita successivamente in un nuovo contenitore (cosa abbastanza frequente) ed essere quindi identificata con quella del vescovo veneziano in quanto riconoscibile dalle iniziali riportate sul reliquiario.

Nonostante ciò la memoria collettiva sembra riemergere e rafforzarsi con dipinti che visivamente ricordano, in maniera inequivocabile, l’originaria donazione o testimoniano, meglio di qualsiasi testo, la sovrapposizione dei due eventi.

Certo è che la donazione “francese” che coinvolge un santo e un beato sembra avere la meglio: destinatario e mittente sono figure di altissimo grado morale e spirituale e come tali devono necessariamente professare il vero. 203

4.9 Ipotesi sulla identità del reliquiario del Legno della Croce donato da