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Capitolo II. Il nuovo e «democratico» Ministerio de Cultura

3. La cultura e la Costituzione

Non pare una mera coincidenza che nei romanzi di Manuel Vázquez Montalbán, ambientati negli anni di transizione, spesso compaiano figure di intellettuali organici, ascritti alle strutture governative o partitocratiche, funzionari ministeriali ed uomini dediti alla produzione artistica all‟interno dei ristretti confini del potere. Da un lato in Assassinio al Comitato Centrale, il detective Pepe Carvalho, in silenzio, assiste alla «nobiltà ed arroganza» di Rafael Alberti che in una piazza affollata commemora la morte di Fernando Garrido, immaginario Segretario generale del Partito Comunista59. Dall‟altro lo stesso Carvalho, nel suo soggiorno madrileno,

non può non essere attirato dagli edifici del «gruppo dei nuovi ministeri» e dopo aver fermato il taxi sul quale viaggiava, è inevitabile che chieda all‟autista di fermarsi di fronte al «Ministero di Ricardo De La Cierva», quando, in realtà, di fronte a lui si ergeva il Ministero del Commercio. Come a dire, un Ministero per un altro, Cultura o Commercio, tanto il cambiamento era più che relativo60. Infine,

in Galíndez, la giovane protagonista, la ricercatrice, Muriel Colbert, ha una relazione con un funzionario socialista, idealista ed un po‟ sprovveduto, del Ministero della Cultura.

58 Non sfugga il fatto che tra la documentazione raccolta nell’Aga sulla struttura del Ministero

della Cultura sono abbondanti i ciclostilati che riportano le risoluzioni in materia di cultura da parte dell’Unesco che vennero attentamente studiati da Pío Cabanillas.

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Manuel Vázquez Montalbán, Assassinio al Comitato Centrale, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 93. Per Montalbán, d’altra parte, i romanzi di Pepe Carvalho rappresentavano «una commedia umana della transizione alla democrazia».

La gestione del mondo culturale, seppur amministrativamente accantonata, nutrì l‟immaginario sociale della transizione. L‟effetto più immediato fu la creazione del Ministero della Cultura.

Centrale fattore che condizionò la gestione ministeriale fu, quindi, il peso del tutto nuovo che il concetto di cultura, sia come categoria etnico-sociale sia come assieme di servizi ed attività estetico-artistiche, ebbe nella carta costituzionale del 197861.

La questione del rapporto tra cultura e Costituzione è giuridicamente complesso ed esula dagli obiettivi di questo lavoro. In questa sede, tuttavia, ciò che interessa è lo spirito ed i valori che animarono i costituenti a ritagliare nel documento un notevole spazio al rapporto tra cultura e Stato spagnolo. Si tratta dello stesso spirito che animò, seppur a livello di principi, la creazione del Ministero di Cultura. La Spagna, infatti, come nelle coeve costituzioni della Grecia (1975) e del Portogallo (1976), accolse la sensibilità sociale che si era sviluppata a livello internazionale per il fenomeno culturale. È importante evidenziare che si tratta di un processo del tutto nuovo. Se nella Costituzione della Seconda Repubblica il termine cultura è applicato nel titolo III «Famiglia, economia e cultura» e lo si ritrova anche in sintagmi come «il servizio della cultura» e «espansione culturale della Spagna»62, praticamente nessuna delle costituzioni europee del dopoguerra

adopera il termine cultura a differenza delle Costituzioni degli anni Settanta, dove il termine abbonda.

Nella Costituzione spagnola, in quanto lex suprema, il polisemico concetto di cultura viene affiancato a quello di Stato. In altri termini, come si è in parte accennato, allo Stato sociale si associa ora lo Stato culturale. Lo Stato spagnolo perseguiva fini culturali, che al di là delle tradizionali funzioni educatrici, si esprimevano nella ricerca di una effettiva democrazia della produzione artistica; dopo anni in cui il Welfare State aveva promosso esclusivamente lo sviluppo socio- economico della popolazione, era giunto il momento di far spazio alla tutela dei

61 Sull’argomento si vedano le suggestioni di: Jesús Prieto de Pedro, Cultura, culturas y

Constitución, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2006. E: Marcos

Vaquer Caballería, Estado y cultura: la función cultural de los poderes públicos en la

Constitución española, Centro de Estudios Ramón Areces, Madrid, 1998.

62 Nella Costituzione della Seconda Repubblica del 1931 l’art. 48 dichiara che «il servizio della

cultura è attributo essenziale dello Stato» e nell’art. 50 «lo Stato si preoccuperà della diffusione culturale della Spagna all’estero, e di preferenza, nei paesi sudamericani».

diritti culturali. Il Kulturstaat delle ottocentesche riflessioni di Fichte, nozione che nella Costituzione di Weimar aveva acquisito la sua prima concreta traduzione legale, nella Spagna transizionale si trasformava in strumento per rendere più profondo il processo di democratizzazione. Lo Stato culturale, quindi, concepiva la cultura come principio di umanizzazione dell‟azione statale attraverso i tre fondamenti di libertà, pluralismo e progresso culturale.

Entrando nel dettaglio, seppur con una certa sinteticità, la Costituzione del 1978 dedica ampio spazio ai «diritti culturali». Il pluralismo culturale – la difesa della diversità nella produzione e nelle manifestazioni culturali – si rispecchia sia come competenza statale sia come competenza delle Comunità Autonome e degli enti locali [Art. 148 e Art. 149 Costituzione] in quanto rappresentanti delle

nacionalidades spagnole. In questo senso, tra lo Stato e le Comunità Autonome si

apre più che una suddivisione verticale di funzioni un concorso di competenze per la preservazione e stimolo dei valori culturali secondo un principio di mutua solidarietà nel quale in più occasioni dovette intervenire il Tribunale Costituzionale63.

La Costituzione sancisce la difesa delle «libertà culturali» di creazione, comunicazione e di istituzionalizzazione dei centri di insegnamento [Art. 20] e l‟eguaglianza di possibilità per i cittadini nell‟accesso alla cultura [Art. 9]. L‟articolo 44 afferma «i poteri pubblici promuoveranno e tuteleranno l‟accesso alla cultura, alla quale tutti hanno diritto». D‟altro canto, lo stesso documento costituzionale sviluppa in più punti la necessità che i poteri pubblici svolgano funzioni culturali sia rispetto alla tutela, alla conservazione e alla promozione del patrimonio culturale [Art. 46] sia nei confronti delle differenti fasce sociali [Art. 50 e 48]. Nello stesso preambolo costituzionale si afferma che «la Nazione spagnola […] proclama la volontà di promuovere il progresso della cultura e dell‟economia per assicurare a tutti una degna qualità di vita».

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Gli Art.148 e 149 della Costituzione definiscono i compiti dello Stato e quelli delle Comunità Autonome. Le Comunità Autonome hanno il compito dello «stimolo» della Cultura e lo Stato del «servizio della cultura» e di «cooperazione e comunicazione» con le Comunità Autonome. Per avere un’idea della spartizioni e concorso di compiti cfr. Juan Arturo Rubio Aróstegui, La política cultural del Estado en los gobiernos socialistas: 1982-1996, Trea, Gijón, 2003, pp. 350-364. E si veda anche: CDC, IPCE (Informe Política Cultural) 1978/1989:

las bases constitucionales y administrativas de la política cultural en España 1978-1979,

La libertà culturale nelle Costituzioni moderne, come si vede, viene concepita in maniera differente dallo Stato liberale otto-novecentesco: quest‟ultimo puntava a rendere manifesta l‟autonomia della dimensione culturale, negli Stati neodemocratici degli anni Settanta la cultura si converte in diritto e lo Stato in suo custode e promotore.

Il Ministero di Cultura doveva, quindi, sviluppare tali precetti costituzionali. Questo stessa struttura ministeriale, d‟altra parte, nell‟essere istituita solo un anno prima dell‟approvazione della Costituzione permette di estrapolare una serie di basilari conclusioni sul rapporto tra processo di democratizzazione e cultura. La cultura venne intesa come strumento dello Stato, in grado di garantire e supportare i diritti civili. Il vero paradosso, tuttavia, è che fosse lo stesso Stato, che fino a pochi anni prima aveva controllato e censurato la produzione culturale, a convertirsi in privilegiato custode. Il dibattito sul mondo delle arti, di conseguenza, negli anni della transizione acquisì carattere ufficiale, ovvero, si modellò l‟idea che soltanto attaverso canali istituzionali fosse possibile produrre e difendere la cultura64.

Questo aspetto, accanto all‟istituzione di un apposito Ministero, si proiettò in differenti misure governative. Si pensi, ad esempio, alla volontà di includere tra i Senatori di nomina reale i rappresentanti delle differenti tradizioni culturali del Paese: il repubblicano Justino de Azcárate, il filosofo orteghiano Julián Marías, lo scrittore Camilo José Cela, ed il catalano, membro della Real Academia de la Lengua, Martí de Riquer:

«Un popolo incolto è come una barca senza vele né motore, e negli ultimi lustri, il nostro paese ha corso il rischio di un autentico smantellamento culturale. L‟incuria, il disinteresse, la colonizzazione che altri ambiti dell‟attività sociale hanno esercitato sulla nostra attività di pensiero, artistica ed intellettuale, sono state denunciate in diverse occasioni. Per questo la scelta dei senatori realizzata dal Re ha sorpreso favorevolmente: […] un romanziere, due membri della Real Academia de La Lengua, un giornalista ed un editore rappresentano il mondo della cultura […] Víctor de la Serna: [uno dei senatori nominati così dichiarava] Si impone una revisione totale della politica culturale. Non mi azzardo a parlare di un Ministero di Cultura, che oltre ad essere grandiloquente sarebbe imitare la Francia, però sì che bisogna fare uno sforzo enorme. […] Bisogna convincersi che la cultura è più importante dell‟industria […] Il nostro Paese fu grande per la propria Cultura, però

64 Jorge Luis Marzo, From Franco to Expo 92: a history of the artistic and cultural transition

cademmo in mano di fanatismi e di inquisizioni e le grandi imprese culturali scomparirono o furono ridotte a piccoli gruppi quasi senza continuità. […] Inoltre , bisogna che la cultura esca all‟aria aperta, abbandoni questi ambiti ridotti e burocratici dove si pretende farla crescere»65.

Come la precedente dichiarazione del giornalista Víctor de la Serna svela, l‟esigenza per la cultura di una boccata di ossigeno, dopo quarant‟anni di dittatura, venne incanalata nelle strutture amministrative. Una conseguenza di questo processo di «istituzionalizzazione dell‟arte» fu la parallela inclusione degli intellettuali nella macchina burocratica; dell‟arte si enfatizzò la funzione tecnica più che contenutistica e, nonostante la persistenza di pratiche e di lettere di protesta su differenti aspetti di gestione della cultura, sia chi dalla fine degli Cinquanta aveva apertamente combattuto il regime franchista sia chi ne aveva sostenuto la riforma dall‟interno ed ora gestiva dall‟alto il processo di democratizzazione, aderiva all‟idea di porre lo Stato al centro dei cambiamenti culturali.

Il Ministero della Cultura rientrò in questa condivisa volontà di accantonare il conflitto: alla ricerca di formule di sintesi, di luoghi di accordo totale, sia l‟opposizione sia i riformisti dell‟UCD videro nelle istituzionali statali le uniche garanti per l‟acquisizione di una completa libertà d‟espressione e per la legittimazione sociale del cambiamento politico in corso. Il Ministero di Cultura non peraltro fu instituito nel periodo 1976-1978, all‟apice dei discorsi

dell‟ostentazione66. In questa prima fase della transizione lo Stato spagnolo

necessitava di rendere pubblica alla collettività la nuova identità democratica abbandonando i simboli del passato ed abbracciandone di nuovi, come poteva essere la creazione di una nuova ed ufficiale istituzione culturale. E negli anni di transizione la necessità di nuovi simboli, di nuovi costrutti pubblici fu quasi spasmodica.

Il Ministero di Cultura svolse anche questa funzione: una sorta di aggregato istituzionale delle nuove velleità culturali e modernizzatrici della Spagna monarchica e democratica, un tassello del complesso processo di istituzionalizzazione di un nuovo modello ufficiale di rappresentazione collettiva.

65 6 Senadores de la cultura, “Pueblo”, 22 giugno 1977.

66 Gérard Imbert, Los discursos del cambio. Imágenes e imaginarios sociales en la España de

Questo desiderio di ostentazione che si riverbera nella creazione del Ministero di Cultura non occultava forse delle carenze a livello pratico? La risposta è indubbiamente affermativa. Si tratta di un dato di fatto che prima ancora che i consumi culturali degli spagnoli crescessero, prima ancora che si realizzassero nuove infrastrutture, come teatri, auditorium, sale espositive e biblioteche, il Governo spagnolo optò per la creazione di un Ministero che gestisse la creazione, la produzione e l‟accesso alla cultura. Sui contenuti, sulla struttura organica dell‟ente governativo, sulle specifiche funzioni strutturali la riflessione arrivò solo in un secondo momento. In un certo senso, come si cerca di dimostrare nel corso del capitolo attraverso le testimonianze dei diversi Ministri di Cultura, la stessa legalizzazione del Ministero divenne il pretesto per aprire, dopo le numerose polemiche e denunce dell‟opposizione al franchismo, un dibattito ufficiale sulla gestione di una politica culturale democratica. Questo dibattito spianò la successiva esperienza governativa socialista in ambito artistico.

L‟esigenza della creazione di un Ministero della Cultura, d‟altra parte, si fondò sull‟insistenza costruzionista che caratterizza le diverse pratiche, specificità politiche e retoriche del periodo transizionale67: nel postfranchismo la Spagna aveva ancora

molta strada da compiere e, soprattutto, molte cose da sistemare dall‟economia, all‟ordinamento delle Autonomie, fino alla promozione e diffusione del capitale culturale del Paese.

Il cambiamento, tuttavia, fu assai debole negli anni UCD. In altri termini la coalizione centrista che si fondava sul frazionamento di molteplici opzioni politiche e sulla proliferazione di differenti tradizioni ideologiche fu in grado di portare avanti e concludere il processo di riforma politica ma non di rendere effettivo il cambiamento culturale e, soprattutto, la trasformazione delle istituzioni artistiche del Paese. Il centro politico che si caratterizzava per il suo ampio appoggio alla democrazia liberale, spaziando dalla democrazia cristiana alla socialdemocrazia, fu più preoccupato a mantenere unite le varie anime della coalizione per reggere, senza conflitti, il processo di democratizzazione che per incontrare una propria identità ideologica. E, come è ovvio, questo deficit identitario si riverberò nel Ministero di Cultura che doveva lavorare proprio per il

67 Recupero questo concetto da: Teresa M. Vilarós, El mono del desencanto. Una crítica

consolidamento di una nuova identità democratica, competitiva con il resto dell‟Europa.

Il Ministero della Cultura in questi anni si trasformò in mero simulacro del cambiamento, ovvero, in contenitore più vuoto che pieno della ufficiale volontà di trasformazione del capitale culturale spagnolo; un ricco raccoglitore di discorsi a favore della democratizzazione del Paese, che si allargava tanto più il riformismo statale rimaneva una chimera.

Le dichiarazioni nel 1982 sulla politica culturale dell‟ultimo Ministro UCD, Soledad Becerril:

«Se il pluralismo è il presupposto ed il primo obiettivo del Ministero – non c‟è cultura se non c‟è pluralità – il secondo obiettivo è lo sviluppo. Sarebbe a dire lo stimolo alla creazione, estensione, diffusione, penetrazione ed accessibilità dei beni e servizi culturali. Il terzo obiettivo generale del Ministero si riferisce alla vitalità della cultura. Siamo un vecchio paese della Conca Mediterranea, il nucleo geografico dal quale è nato il sapere sistematico e la libertà di pensiero. Come contropartita abbiamo sulle nostre spalle un passato culturale, glorioso e nel contempo opprimente. […] Vedo il Ministero di Cultura come lo strumento di mobilitazione della coscienza nazionale su quello che sta succedendo, e come il mezzo per coordinare e stimolare le azioni pubbliche e private che hanno lo scopo di impedire che la Spagna si allontani dal gruppo di paesi più avanzati»68

rimanevano per l‟appunto solo parole, identiche nella sostanza a quelle dei suoi predecessori. Il Ministero al momento non era in grado di mobilitare, né farsi portatore di una coscienza nazionale e di partecipazione cittadina compiuta. Tuttavia queste stesse parole, a cinque anni dalla nascita dell‟ente culturale, testimoniano l‟ansia di legittimazione che ancora caratterizzava l‟UCD, disgregatosi con sorprendente rapidità all‟indomani delle elezioni dell‟ottobre del 1982.

Il «deficit di democrazia» non era stato ancora completamente risolto: l‟amministrazione statale UCD aveva compreso la funzione che il settore delle arti doveva svolgere nel processo di democratizzazione, tuttavia, data l‟ambiguità della stessa categoria, agente sia di ordine sia di disordine per la società spagnola in transizione69, preferì adottare un atteggiamento oscillante e guardingo rispetto alla

68 CDC, Soledad Becerril, Líneas basicas de la política cultural 1982, op. cit., p. 17.

69 Riprendo alcune riflessioni sul concetto di cultura di Bauman. Per il sociologico che

stessa, in modo tale da evitare possibili rischi involutivi nel percorso verso l‟affermazione di istituzioni democratiche.