Capitolo II. Il nuovo e «democratico» Ministerio de Cultura
4. L‟attività ministeriale (1977-1982)
4.2. Più progetti che fatti
«Con la nuova Costituzione approvata dal popolo il giorno 6 dicembre, la Spagna si è data una nuova impalcatura per continuare la costruzione e la consolidazione della democrazia. Il lavoro più rapido portato a termine dai politici è stata la creazione di nuove istituzioni. Procede con lentezza la ristrutturazione dell‟economia. E quello che va peggio è la Cultura. La Spagna non solo deve riparare i disordini dell‟epoca di Franco, ma anche quelli che durano in parte da interi secoli. […] Se desiderasse salvare questo ritardo, il Ministro di Cultura Pío Cabanillas dovrebbe disporre di un ministero pieno di gente capace, un programma chiaro e sufficienti mezzi economici. E non dispone di nulla di ciò. Il ministro di Cultura galiziano […] è uno degli elaboratori e vittima allo stesso tempo della politica ufficiale del superare la dittatura „senza rottura‟. […] Dal partito governativo, culturalmente insicuro e di atteggiamenti conservatori, non si può sperare che si decida chiaramente a favore di una necessaria politica culturale al servizio delle masse»93.
L‟impietoso sguardo degli osservatori internazionali stentava a rintracciare un effettivo cambiamento culturale nella Spagna del post-Franco. La causa di questa situazione di stallo era attribuita con chiarezza alla scarsa capacità d‟azione del Ministro di Cultura, alla loro impossibilità d‟agire in quanto portatori del cambiamento nella continuità, e, quindi, alla scarsezza di fondi per la nuova istituzione.
92 Samuell Amell, Salvador García Castañeda, La cultura española en el posfranquismo. Diez
años de cine, cultura y literatura en España (1975-1985), Playor, Madrid, 1988, pp. 8-9.
93
Werner Herzog, Los sueldos de los funcionarios se llevan la mayor parte del presupuesto, “Frankfurter Rundschau”, 4 gennaio 1979. L’articolo con traduzione venne raccolto dall’ambasciata di Bonn per il Secretario de Estado de Cultura. AGA, Secretaría Estado de
In un clima di crisi economica mondiale, infatti, al nuovo Ministerio de Cultura fino al 31 dicembre del 1977 non vennero versati fondi ma l‟ente dispose del 14 per cento del budget del Ministerio de Información y Turismo. Solo a partire da febbraio del 1978 poté contare con un fondo annuale di poco più di 19 miliardi di pesetas, di poco superiore ai finanziamenti annuali del Ministerio de Información y Turismo 94.
Di questo fondo solo il 5,5 per cento era utilizzato per realizzare attività culturali di varia natura. Nel 1979 vi fu un incremento del bilancio del Ministero che aumentò a 27 milardi e mezzo di pesetas, una cifra davvero irrisoria rispetto ai 60 miliardi di pesetas circa che aveva richiesto l‟ente95. Nella spesa totale dello Stato
spagnolo tra il 1977 ed il 1982 il Ministero di Cultura contava per lo 0,9 per cento96. Considerate tali modiche cifre, appariva assai difficoltoso dare un‟estetica
nuova alla politica culturale centrista e liberarsi dal giogo franchista. I propositi di cambiamento, di conseguenza, si ridussero a grandi discorsi, molteplici dichiarazioni che trovarono grande eco nella stampa spagnola ed ancor più fantasiosi progetti.
Lo storico che lavora nell‟Archivo General de la Administración di Alcalá de Henares nella seconda metà degli anni Settanta si imbatte in una mole di pianificazioni, descrizioni di future entità culturali all‟avanguardia, che, come la realtà ha dimostrato, rimasero solo sulla carta e raramente si tradussero in punti di partenza per concrete azioni.
L‟UCD venne travolta dalle parole e con lei anche le sue avanguardistiche ipotesi; l‟idea di un istituto per l‟animazione sociale dei cittadini, i piani di ravvivamento culturale delle periferie, gli studi sui consumi culturali rurali e riflessioni sui centri culturali d‟arte internazionale rimasero lettera morta97.
94 Il 36 per cento dei finanziamenti era utilizzato per pagare i dipendenti del Ministero, il 30 per
cento veniva dato agli organismi autonomi che erano stati creati, il 10 per cento a Rtve e a mezzi di comunicazione dello Stato, e solo il 5,5 per cento era destinato ad attività culturali di varia natura.
Cfr. DSCD (Comisión de Cultura), num. 62, 9 maggio 1978.
95
Ministerio de Cultura, Primera Etapa: hasta la Constitución julio 1977- diciembre 1978, op. cit., pp. 63-65.
96 Il dato è tratto da un reportage del País sull’attività del Ministero di Cultura tra il 1979 ed il
1982. Prima delle elezioni dell’ottobre del 1982 il País dedicò diversi reportage all’attività realizzata dai governi dell’UCD nei vari comparti politici. Cfr. Juan G. Bedoya, La mayoría de
los Ministros de Cultura no consumieron el „presupuesto tercermundista‟ del departamento,
“El País”, 28 settembre 1982.
97 Si tratta di alcuni progetti che si possono rintracciare negli archivi dell’amministrazione.
Probabilmente per questa incapacità d‟azione, i cinque ministri di Cultura UCD non hanno lasciato grande memoria del proprio operato. Nella letteratura sull‟argomento la questione viene per lo più abbozzata con poche parole, ricordando come la rapida successione dei ministri, che si somma all‟egualmente accelerato valzer di poltrone nelle varie direzioni generali, impedirono una politica culturale che fosse tale98. L‟instabilità in molti campi, ad esclusione forse di ciò che
avvenne nella politica artistica, fu la nota dominante. In sei anni si succedettero ben cinque ministri:
Tabella 4 Ministri di Cultura UCD (1977-1982)
Ministri Cultura UCD Arco cronologico dell’incarico
Pío Cabanillas Gallas luglio 1977- aprile 1979 Manuel Clavero Arévalo aprile 1979- gennaio 1980 Ricardo de La Cierva y Hoces gennaio 1980-settembre 1980 Iñigo Cavero Lataillade settembre 1980-dicembre 1981 Soledad Becerril Bustamante99 2 dicembre 1981- 3 dicembre 1982
I vertici del Ministero provenivano tutti dall‟eterogenea area del riformismo franchista: se Cabanillas e de La Cierva, come si è visto, avevano preso parte all‟amministrazione culturale del tardo-franchismo, quali membri dell‟entourage fraghiano e aperturista; Iñigo Cavero partecipò accanto all‟opposizione franchista al Congresso di Monaco del 1962 e fino al 1975 fu affiliato alla democristiana
Izquierda Democrática, mentre Clavero Arévalo e Soledad Becerril avevano un
passato di militanza in istituzioni regionaliste.
Anteproyecto. Marzo 1978, c. 81113. AGA, Dirección General de Difusión Cultural, Proyecto sobre la Constitución de un Gabinete de Planificación y Animación Socio-Cultural, c. 81113. O, come esempio delle ricerche dei governi UCD sui centri d’arte contemporanea presenti in Europa: MAE, Dirección Relaciones Culturales, exp. Creación en Madrid de un Centro Nacional de Arte y Cultura (13 giugno 1979), Leg. 23540. E: MAE, Dirección
Relaciones Culturales, exp. Proyecto de crear en Madrid un Centro Cultural, Leg. 23536 (23
luglio 1979).
98 Si veda ad esempio: Bernard Bessiere, La culture espagnole. Les mutations de l‟après-
franquisme, op. cit., p. 52.
99
Soledad Becerril Bustamante, nominata dal Presidente del Governo, Leopoldo Calvo-Sotelo, fu la prima donna ad accedere al Consiglio dei Ministri dagli anni della Seconda Repubblica, dopo l’anarchica Federica Montseny. Era professoressa all’Università di Siviglia e prese parte alla conferenza che si occupò di sviluppare lo Statuto d’Autonomia dell’Andalusia.
Come ricordava il cronista Herzog, la generale insicurezza e frammentarietà dell‟UCD portò in primo luogo a sostituire la politica della proibizione franchista con una politica della concessione, fatto che senza ombra di dubbio rappresentò un importante passo avanti.
Tuttavia fu la penuria di fondi che dimezzò l‟attività culturale dell‟UCD «finché non comprendono che una maggiore generosità a favore della Cultura aiuta a rafforzare la democrazia che difendono, Cabanillas non potrà andare avanti facilmente» insisteva Herzog100.
Se un grande merito dell‟UCD risiede nella politica di riabilitazione e riconciliazione con la produzione artistica antifranchista e dell‟esilio, negli altri ambiti dominò una politica di “accordi culturali” più che effettive e nuove realizzazioni. In altri termini, si crearono nuove istituzioni amministrative che, però, non gestirono nuove infrastrutture culturali né debellarono i pesanti lasciti del franchismo.
Si è abbondantemente discusso e documentato lo spirito che animò Cabanillas nell‟istituire il Ministero di Cultura: con un focus antropologico, ovvero vincolando cultura, usanze e vita quotidiana, il Ministro riteneva essenziale, soprattutto nelle particolari circostanze storiche che la Spagna stava vivendo, un legame stretto tra Stato e mondo della cultura, in quanto la produzione culturale era il «fondamento della democrazia». Il diritto alla cultura era la base della nuova attività ministeriale e si raffigurava come una sorta di vero e proprio «stato di necessità». Tuttavia, quale spia delle origini e continuità di Cabanillas con il riformismo franchista, nella cerimonia di insediamento si rifaceva al discorso
aperturista pronunciato a Barcellona nel 1974 il giorno del Día del Libro:
«In primo luogo, bisogna constatare che il paese è cambiato ed è cambiato molto. Credere, opinare, dubitare, sbagliarsi, ricercare, conoscere e dibattere non sono più intesi in un certo senso come azioni sospettose, se non come obblighi dello spagnolo d‟oggi. […] La cultura non può essere ancora per molto destinata ad una minoranza privilegiata, bensì in questo cammino di riconoscimento pluralista della cultura, accettata come un dato di fatto, deve situarsi il ruolo dello
100 Werner Herzog, Los sueldos de los funcionarios se llevan la mayor parte del presupuesto,
Stato. […] Ripeto: queste parole hanno la loro importanza per essere state pronunciate nell‟aprile del 1974: valgono anche per oggi»101.
Ancora una volta, il cambiamento era messo al riparo della legittimità del passato. Ciò nondimeno emergeva la consapevolezza che bisognava dare nuove responsabilità al Governo in ambito culturale. Ottimi principi. Tuttavia, Cabanillas, a differenza dei socialisti che si facevano sostenitori di una politica di investimenti concreti, in questa prima fase, intendeva «sensibilizzare tutte le forze politiche in questa „necessità culturale‟ e nelle linee basiche del nuovo tipo di vita che desideriamo per gli spagnoli».
Non gli interessava un «Ministero di Cultura che fosse un consumatore di prodotti concreti che potesse dare a ciascun spagnolo un magnetofono o alcuni libri, ma che non pianificasse seriamente una politica culturale». Affermazioni che risuonano alquanto paradossali, se si pensa che gli artisti, i grandi nomi della cultura già c‟erano ma quello che non c‟era erano strutture culturali, musei e centri in grado di riflettere la grandezza culturale spagnola:
«Non è oggi il momento di iniziare a realizzare costruzioni dedicate alla cultura, se non di porre in piedi lo stesso fatto culturale. Perché rispetto a ciò che è possibile abbiamo locali per realizzare attività culturali e sono ottimi, ed abbiamo, seppur in un contesto molto elementare, per metterci in moto, quasi il sufficiente. Per questo motivo abbiamo dedicato una preferenziale attenzione rispetto alle strutture, però non ossessiva rispetto alle costruzioni, alla questione dei centri sociali, delle case di cultura, dei centri della gioventù, in tutte le sue manifestazioni»102.
A differenza dell‟opposizione parlamentare, il Governo spingeva per una politica culturale che era innovativa in termini di principi ma che nella sostanza si rifaceva ad idee fraghiane, come potevano essere i “centri sociali” edificati sui redivivi
teleclubs e sui locali del Movimiento. O, se si ritorna con il pensiero al Cabanillas
Ministro de Información, non stupisce molto che queste idee siano strettamente associabili alla rete di Aulas de Cultura prospettata in quegli anni.
101 Per studiare la posizione di Cabanillas rispetto al concetto di cultura e politica culturale: Cfr.
Pío Cabanillas Gallas, Principios para una política cultural. Extracto de las declaraciones del
Excmo Señor Ministro de Cultura don Pío Cabanillas Gallas durante la I etapa del Ministero de Cultura, julio 1977- diciembre 1979, Ministerio de Cultura, Madrid, 1979.
Altra novità introdotta da Cabanillas fu la misura delle cartas, convenios e conciertos culturali, ovvero, di accordi con enti pubblici regionali o privati per finanziare attività culturali103. Questa misura, secondo Cabanillas, doveva mediare
l‟intervento diretto dello Stato in cultura. In secondo luogo i convenios regionali rappresentavano un primo tentativo di delega delle funzioni culturali dal centro alle periferie, poi, concretizzato nei principi della Costituzione del 1978 che reagiva al centralismo culturale franchista. Dichiarava Cabanillas:
«La prima delle orientazioni [del Ministero di Cultura] è il pluralismo culturale. La cultura è indubbiamente il marchio o il segno di identificazione di un popolo, ed è indubbio che la diversità culturale ben intesa è molto più fonte di armonia che fonte di conflitti. Tutte le culture patrie sono vocazionalmente eguali perché tutte dovrebbero sopravvivere e la loro diversità per contenuto non è più che la dimostrazione delle diverse forme di vita, però, tutte meritevoli di analogo rispetto. Qual è la più importante parcella di realizzazione di questo pluralismo culturale? Dunque, dal punto di vista pratico la decentralizzazione e l‟autonomia culturale. Le tendenze più moderne in questo ambito sono tutte coscienti che l‟adeguamento al mondo locale, al gruppo concreto, allo spontaneo fenomeno associativo consente di estrarre le migliori conseguenze dalla ricchezza creatrice che c‟è nello stesso evento culturale»104.
Nonostante questi anni siano caratterizzati da una profonda rivitalizzazione dei nazionalismi, da una euforia autonomistica senza pari, da un vivace riemergere nello spazio pubblico delle culture e lingue locali, il processo di trasferimento di competenze culturali alle Autonomie, secondo i dettami della nuova Costituzione, iniziò con la UCD soltanto nel 1979. Si trattò di un processo lungo e difficoltoso per i Governi centristi, tuttavia, sarà con i Socialisti che attraverso numerosi decreti di trasferimento dal centrale Ministero di Cultura agli Enti Autonomi, vi sarà un netto passaggio di competenze dal centro alla periferia. Basti pensare che fu nel 1983 che scomparvero tutti i direttori provinciali del Ministero di Cultura e la struttura periferica di chiara origine franchista105. Negli anni di UCD le
principali competenze in materia culturale erano state trasferite alla Catalogna (tra il 1979 ed il 1981), ai Paesi Baschi (1979) e alla Galizia (1982) secondo i dettami della Costituzione del 1978 che riconosceva la pluralità culturale del Paese.
103
Ordenes ministeriales de 28 de febrero, 31 marzo, 10 de junio y 28 de diciembre de 1978.
104 DSCD (Comisión Cultura), num. 62, 9 maggio 1978, pp. 2125-2126.
105 Juan Arturo Rubio Aróstegui, La política cultural del Estado en los gobiernos socialistas:
A nulla valse che il successore di Cabanillas fu Manuel Clavero Arévalo, presidente UCD di Andalusia e nel secondo Governo Suárez, Ministro aggiunto per le Relazioni con le Regioni. Clavero Arévalo proprio da quest‟ultimo incarico sostenne l‟estensione del fenomeno preautonomico più in là della Catalogna e dei Paesi Baschi. Anzi, lo stesso Ministro presenterà le proprie dimissioni per incompatibilità con gli altri componenti dell‟UCD sull‟estensione del processo delle Autonomie. L‟atteggiamento dell‟UCD in merito ad una politica culturale pluralista, ancora una volta, si dimostrava titubante e soprattutto privo di una visione complessiva del fenomeno culturale.