Un‟atmosfera rarefatta, un cielo plumbeo incalzano un composito mondo di sacerdoti, chierichetti, donne vestite di nero, croci, traballanti confessionali e parole sussurrate all‟orecchio. Un popolo che con la stessa facilità prega, piange, ride e bestemmia convive tra la più austera tradizione cattolica, automobili, elettrodomestici, tacchi a spillo e travestitismo: il paradosso che preannuncia l‟estetica postmoderma degli anni Ottanta a stretto contatto con la profonda rapidità del cambiamento sociale che lascia poco spazio all‟adattamento. È questa
177 Toby Miller e George Yúdice, Política cultural, Gedisa, Barcellona, 2004, p. 11. 178 Anxel Vence, Doctor Fraga y Míster Iribarne: una biografía temperamental, op. cit.
l‟identità di frontiera malleabile, dialettica e di mutamento culturale che traspare dalle esplorazioni fotografiche di Cristina García Rodero, che nel 1973, con
España Oculta, iniziò un lungo lavoro di ricerca sulla confluenza di elementi pagani
e religiosi nelle feste spagnole179.
La metafora della modernità nella continuità della tradizione cattolica ed
españolista, che la fotografa coglie con il proprio lavoro, può essere con facilità
trasferita a quanto visse lo Stato franchista nella sua fase di agonia e finale delegittimazione. A discapito della veritiera affermazione secondo la quale il regime guidato dal Generale Franco fu un campione di adattamento alle mutevoli vicende storiche, nel campo della politica culturale la dittatura si trovò completamente spiazzata. Non riuscì, pur cercando degli espedienti, ad anticipare con adeguate misure, le complesse trasformazioni della società spagnola degli anni Sessanta. Se la risposta governativa non fu sufficiente ad arrestare la richiesta di cambiamento che proveniva dalla società accanto al recupero della tradizione culturale che precedette la Guerra Civile da parte di alcuni settori falangisti e cattolici, egualmente non è possibile affermare che non esistette un‟amministrazione culturale franchista con precise volontà in merito.
Si trattò di una struttura burocratica dispersa, spesso duplice ed eterogenea che, nata negli anni del conflitto civile, ebbe, assieme alle istituzioni religiose, come obiettivo prioritario quello di difendere e diffondere l‟ufficiale cultura nazionalcattolica e che, nonostante più o meno lievi trasformazioni interne, non cambiò mai sino alla morte del dittatore nel novembre del 1975.
La composizione politica del franchismo, dove la coalizione nazionalista era formata da monarchici tradizionalisti, cattolici, militari e falangisti impedirono la formazione di un‟autentica estetica e stile culturale franchista. I sogni rivoluzionari furono accantonati e a prevalere fu la componente cattolica, non titanici progetti alla Albert Speer, bensì il ritorno al passato, fondato sulla Reconquista, i Re Cattolici ed una morale rigidamente cristiana e pudica. Una sorta di provincialismo, accademicista, duramente bigotto si impossessò della politica culturale franchista fino alla morte del dittatore, elemento che si comprende ancor di più, se si valuta la stessa figura politica di Franco, un militare, avvezzo più alle caserme che ai musei e alle accademie, assai scettico e diffidente rispetto al mondo della cultura.
Nonostante ciò, a partire dagli anni Cinquanta, si intravedono i segnali di una politica culturale all‟insegna della duplicità, con tentativi da parte di settori falangisti e cattolici di integrazione di figure del campo della cultura della tradizione repubblica al servizio di un progetto nazionalista, similare a quello di Giovanni Gentile nei primi anni del fascismo italiano180.
Finché Franco fu in vita, la politica culturale, alla quale furono dedicate ridotte risorse economiche, venne sezionata tra diversi enti: laddove il Ministero de
Información y Turismo era rigidamente tradizionalista, il Ministero de Educación
timidamente si accingeva a comunicare con la cultura dell‟esilio o con l‟opposizione più moderata. E viceversa: un gioco di precari equilibri per far sì che la Spagna potesse mantenersi in piedi quale eccezione politica nel panorama europeo.
Nel campo della politica culturale franchista il «paradosso» appare un dato caratterizzante che culminerà negli anni Sessanta: alla ricerca di un proprio equilibrio interno ed internazionale il regime consentì, di volta in volta, strategiche aperture rispetto a forme artistiche lontane dal modello nazionalcattolico o rispetto ad istituzioni culturali, come i teleclubs, importate dagli Stati democratici. Le politiche culturali contribuirono, quindi, a modellare, seppure nella differenza, un‟identità di apparente modernità della Spagna negli anni del desarrollismo. Questi tentativi di modernizzazione estetica e dell‟azione culturale vennero concepiti dalle istituzioni franchiste come mezzi per assicurare continuità al regime. L‟artista Eduardo Arroyo ricorda in risposta al critico Argan «Come può dire il signor Argan che il Generale Franco non aveva una politica culturale se lo stesso Franco sarebbe stato d‟accordo con lui?»181.
I vertici del franchismo, tuttavia, non seppero prevedere come da queste timide aperture governative nel tempo sarebbero emersi «spazi liberi» che resero possibile quel recupero culturale, poi, evidente ed istituzionalizzato negli anni di democratizzazione.
Inoltre, la coscienza del ritardo culturale spagnolo funse da motore alla società per appoggiare il cambiamento democratico dopo il 1975. Se si osserva il campo della
180 Santos Juliá, Historia de las dos Españas, Tauros Ediciones, Madrid, 2005, p. 350.
181 Cit. in Valeriano Bozal, España Vanguardia artística y realidad social: 1936-1976,
cultura, i segni del processo di democratizzazione si palesano più che nelle istituzioni pubbliche negli attori che ne furono protagonisti182.
La cultura, gli autori e gli artisti che furono figure di spicco negli anni di transizione già erano entrati a far parte dello spazio pubblico e politico durante gli anni del tardo-franchismo. Come si è detto l‟establishment culturale a partire dagli anni Sessanta non era più franchista-falangista bensì quello dell‟opposizione alla dittatura.
Nonostante i tentativi di modernizzazione estetica dello Stato e di diffusione popolare della cultura, l‟eterogenea identità del franchismo si concretizzò nel campo delle arti attraverso uno stretto controllo ideologico che reprimeva dall‟alto qualsiasi forma di dissidenza. Questa politica culturale «in negativo» ebbe delle evidenti ripercussioni nelle problematiche che i Governi transizionali dovettero affrontare e risolvere.
Recuperare un contatto diretto con la cultura laica contemporanea, cercare di definire una nuova relazione tra i poteri pubblici e la società, assicurarsi nuove condizioni per la libera creazione artistica, ristrutturare i servizi culturali e far fronte ad un modello di Stato che gestiva in prima persona l‟arte furono tutti compiti ai quali la politica culturale dovette cercare di dare risposta negli anni di transizione183.
Un articolato processo di spinte dall‟alto e dal basso contribuì a modellare la politica culturale che caratterizzò il percorso di transizione alla democrazia. Da un lato, «dal basso», la società, le associazioni culturali, gli stessi artisti che si mossero ai margini delle leggi franchiste, stimolarono e riempirono di contenuti il modello di un campo della cultura «liberato», dall‟altro, «dall‟alto» le nuove generazioni riformiste di amministratori della politica franchista, che fecero la loro comparsa nella scena pubblica degli anni Sessanta, configurarono un campo della cultura dove venne dato strategico spazio, in un‟ottica nazionalista, all‟estetica della modernità e dove alcune pratiche di democratizzazione culturale furono adattate ad un contesto nel quale era necessario accettare simultaneamente una
182 Juan Arturo Rubio Arostegui, Génesis, configuración y evolución de la política cultural del
Estado a través del Ministerio de Cultura (1977-2007), in “Revista de Investigaciones Políticas
y Sociológicas”, vol. 7, num. 1, 2008, p. 58.
183 CDC, Ramón Ramos Torre, Política cultural española (1978-1989) 2° Informe 1V.,
responsabile libertà con relazioni di potere ed autorità. La produzione culturale, per le ultime amministrazioni franchiste, era come l‟alveo di un fiume che doveva permettere a simboli, significati e significanti di scorrere nella società spagnola, senza dare origine, però, ad inutili e pericolosi «straripamenti», in vista di una possibile continuità del franchismo senza Franco.
Jordan e Weedon hanno definito la politica culturale come la «lotta per sedimentare significati nell‟interesse di particolari gruppi»184: così la volontà degli
ultimi Governi franchisti fu quella di modellare grazie al campo della cultura un‟identità «differente» che, seppur celasse al proprio interno repressione e sfacciata riduzione dei diritti civili, potesse essere sia accettata sia riuscisse a dialogare e perfino competere con le democrazie occidentali.
184 Glenn Jordan, Chris Weedon, Introduction: What are Cultural Politics?, in Glenn Jordan,
Chris Weedon (a cura di), Cultural Politics. Class, Gender, Race and the Postmodern World , Blackwell, Oxford, 1995, p. 543.