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Un ente di «transizione» dedito allo «charme»: la ristrutturazione del

Capitolo II. Il nuovo e «democratico» Ministerio de Cultura

4. L‟attività ministeriale (1977-1982)

4.4. Un ente di «transizione» dedito allo «charme»: la ristrutturazione del

Il successore di Pío Cabanillas, Manuel Clavero Arévalo annunciò come sue principali preoccupazioni Rtve, l‟ente radioteleviso ed il Campionato Mondiale di Calcio del 1982120. Durante il suo mandato venne approvato lo Statuto di Rtve, la

Ley de Cuota de Pantalla y Distribución Cinematografica e, quindi, la chiusura di sei

quotidiani che erano appartenuti al Movimiento ed ora appartenevano allo Stato. Se per Cabanillas il problema principale fu rappresentato dalla ristrutturazione delle istituzioni culturali franchiste, Clavero Arévalo dovette fare i conti con i

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Il 29 settembre del 1978 venne istituito con un decreto reale il Comité Organizador del

Mundial de 1982. «Oltre all’attenzione che il Ministero rivolge al Campionato Mondiale in

quanto manifestazione sportiva, c’è l’idea pure di approfittare di questa occasione per convertire l’evento in una grande manifestazione di tipo culturale […] il Ministero […] metterà a disposizione tutti i mezzi perché si porti a termine nello stesso tempo un ampio lavoro di diffusione della cultura spagnola, specialmente nei confronti dei paesi stranieri, sollecitando in questo senso la collaborazione dei nostri migliori intellettuali, musicisti, artisti e lirici, etc.». Cfr. Ministerio de Cultura, Líneas básicas de la política cultura: Ministerio de Cultura, op. cit., p. 65.

Medios de Comunicación Social del Estado, ovvero lo smantellamento della stampa

dello stesso Stato franchista.

Apriamo, però, ora una breve parentesi rispetto all‟eterogeneo ventaglio di azioni del Ministero di Cultura. Una delle principali caratteristiche del nuovo dicastero fu, in linea con il peculiare momento storico che stava vivendo la Spagna, proprio la transitorietà, oltre che la frammentarietà. Come descrive un rapporto ministeriale sulla politica culturale spagnola tra il 1978 ed il 1989:

«Gli altri tre tratti (eterogeneità, transitorietà e precarietà) sono quelli decisivi nell‟analisi che segue, dal momento che presiedono tutta la politica di ristrutturazione di competenze fino al 1988. […] È evidente che si tratta di una struttura ambiziosa ed eterogenea. Con ciò, dal primo momento, si rese esplicito che alcune delle sue competenze erano puramente provvisorie; in concreto, quelle riferite ai mezzi di comunicazione. […] A questi casi si somma un altro, anche se di minor trascendenza finanziaria, si tratta della Editora Nacional, organismo autonomo di creazione franchista, che venne soppresso con la Ley de Presupuesto del 1985, completandosi così un processo di ristrutturazione di competenze, non esente alla polemica, che aveva la volontà di sottolineare lo svincolamento del Ministero da qualsiasi apparenza di dirigismo culturale o ideologico che lo potesse confondere con l‟antico Ministero de Información franchista»121.

I Ministri UCD dovettero, pertanto, affrontare il progressivo scollamento del controllo delle comunicazioni di massa dal Ministero di Cultura. Rtve era stata trasformata dal Governo nel 1977 in organismo autonomo e, come chiedeva a gran voce l‟opposizione in Parlamento, rimaneva da risolverne in modo definitivo l‟inquadramento organico e lo Statuto. Clavero Arévalo aprì il dibattito: in primo luogo venne approvato lo Statuto che aveva il compito di trasformare la televisione spagnola in «veicolo essenziale di informazione e partecipazione politica dei cittadini» e, nonostante le successive lentezze, difficoltà e proroghe nella nomina del consiglio d‟amministrazione, si arrivò alla Legge 4/1980 del 19 gennaio che, rispetto al focus che qui ci interessa, mutò definitivamente Rtve in un ente pubblico, svincolato dalle competenze del Ministero.

Ciò ebbe importanti ripercussioni in termini di fondi del Ministero, dal momento che le entrate dedicate a Rtve tra il 1978 ed il 1980 rappresentavano circa il 30 per

121 CDC, Ramón Ramos Torre, Política cultural española (1978-1989) 2° Informe 1V.,

cento del preventivo totale dell‟istituzione122. A sottolineare il cambiamento che si

voleva imprimere ad una televisione a lungo feudo esclusivo della dittatura franchista venne sostituito ad un anno dall‟approvazione dello Statuto il Direttore Generale di nomina governativa, Fernando Arias Salgado, figlio di Gabriel Arias Salgado, con Fernando Castedo. D‟altro canto lo stesso Ministro Clavero Arévalo tentò di unire la dimensione culturale con la televisiva attraverso la selezione di diciassette progetti cinematografici da proiettare su Tve123.

L‟altra competenza transitoria del Ministero di Cultura fu rappresentata, come si è detto, dai Medios de Comunicación Social del Estado sui quali pendeva ancora una definitiva decisione da parte del Parlamento124. Anche in questo caso il peso

economico della ex stampa del Movimiento sulla politica culturale governativa fu notevole.

L‟evoluzione economica di questi mezzi di comunicazione (35 quotidiani ed un‟agenzia stampa) era negativa già dalla metà degli anni Sessanta, al principio degli anni Settanta si calcolava una perdita che superava gli otto milioni di pesetas. Si creò una sottocommissione in Parlamento che elaborò un documento che studiava la situazione dei Medios125 ma solo con il Ministro Clavero si riaprì il

dibattito: «non realizzerò una politica continuista […] e [il Ministro] aggiunse che non concepi[va] la cultura come uno strumento per arrivare al potere»126.

122 Nei primi mesi del 1980 sulle pagine del País si aprì un lungo dibattito sull’uso e, in

particolare, sperperi delle risorse finanziarie all’interno di Rtve attraverso un dossier del Ministerio de Hacienda. Cfr. Rtve gasta sin límite y acumula facturas sin fecha para

posteriores justificaciones, “El País”, 26 gennaio 1980; Televisión Española dificulta la comercialización de sus proprios pruductos, “El País”, 26 gennaio 1980. Il Direttore Generale

dell’organismo autonomo Rtve rispose alle polemiche sul quotidiano. Cfr. Fernando Arias- Salgado, La Realidad de Radiotelevisión Española, “El País”, 31 gennaio 1980.

123 Nonostante i tentativi di democratizzazione di una televisione a lungo feudo della dittatura

franchista, gli influssi governativi nel mezzo di comunicazione di massa rimasero massicci negli anni transizionali. Cfr. Nuria Quintana Paz, Televisión y prensa durante la Ucd: premios

y castigos mediático-gubernamental, Fragua, Madrid, 2007.

124 Per avere un quadro complessivo della vicenda, si veda: Juan Montabes Pereira, La prensa

del Estado durante la transición política española, Siglo XXI, Centro de Investigaciones

Sociológicas, Madrid, 1989.

125

La sottocommissione era mista (Ucd, PSOE, Pce, Ap) ed elaborò un documento che sanciva la realizzazione di un piano di risanamento della stampa e di tutela dei lavoratori, la continuità dell’organismo per altri due anni sotto il controllo di una commissione parlamentare. In altri termini, dilazionava nel tempo la decisione sul futuro della stampa del Movimiento.

126

El Ministro de Cultura defiende el proyecto de Estatuto de Rtve, “El País”, 16 maggio 1979. Lo stesso ministro Clavero affermava nel giugno del 1979: «Presto si assumerà una decisione sull’antica stampa del Movimiento anche se non so ancora in che senso[…] La radio e la televisione sono un servizio pubblico, e la stampa no». Inminente decisión sobre el problema

Il Ministro annunciò la dissoluzione della catena dei quotidiani e nel mese di giugno del 1979 emanò un decreto governativo urgente che sanciva la chiusura di sei quotidiani e dell‟agenzia Pyresa, decreto che venne confermato dal Tribunal

Supremo per via del pesante deficit dei Medios (circa 132 milioni di pesetas127).

Nonostante le numerose polemiche e proteste da parte dei cinque mila dipendenti dei quotidiani del Movimiento e dell‟opposizione parlamentare, poche settimane dopo vennero chiusi altri due quotidiani. L‟atteggiamento governativo in merito sembrava chiaro: l‟organismo autonomo Medios de Comunicación Social del Estado doveva estinguersi a poco a poco attraverso progressive, quanto continue, chiusure dei quotidiani.

Ancora una volta, la transizione culturale si rivelava come un lento passaggio, fondato sull‟attenta interpretazione giurisprudenziale, dalle istituzioni culturali create dalla dittatura a più moderne entità democratiche. Il dibattito sul futuro dei mezzi di comunicazione creati dalla dittatura occupò l‟opinione pubblica per tutti gli anni del postfranchismo, tuttavia, la soluzione su come gestire il cambiamento fu patteggiata e si sviluppò all‟interno delle stesse istituzioni governative con delle misure normative di natura aperta e passibili di differenti percorsi interpretativi. Fu, quindi, la legge 11/1982 di Supresión del Organismo Autónomo Medios de

Comunicación Social del Estado che sancì un arco temporale di due anni per

dissolvere la catena di quotidiani, riconoscendo il diritto preferenziale di acquisizione per i dipendenti dei quotidiani. L‟alienazione di ciascun organo di stampa doveva avvenire attraverso un‟asta pubblica, i giornali che non venivano aggiudicati sarebbero stati liquidati ed i dipendenti integrati all‟interno dell‟amministrazione statale attraverso un‟apposita commissione128.

Il processo di liquidazione si concluse nel 1984: 17 quotidiani furono venduti e gli altri chiusi, per un totale di 1800 dipendenti coinvolti. Nel 1985 venne, infine,

de la prensa del Movimiento, “El País”, 6 giugno 1979. Lo stesso articolo stila i propositi del

Ministero Clavero Arévalo.

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A questa cifra ammonta il calcolo delle perdite da parte del Ministerio de Cultura. Cfr. El

Supremo rechaza la demanda de suspensión del cierre de periódicos del Estado, “El País”, 1

agosto 1979.

128 Veniva seguito il principio del Decreto Reale 1434/1979 che sanciva che, in caso di

chiusura di alcuni organi di stampa statali, i dipendenti dovevano essere riassorbiti dall’amministrazione pubblica attraverso una commissione interministeriale dipendente dalla Presidenza del Governo. I dipendenti che non volevano integrarsi nelle nuove istituzioni democratiche potevano optare per un’indennità.

soppressa la Editora Nacional ed il Ministero della Cultura si liberò completamente del peso economico degli ex organi franchisti.

Ciò nondimeno negli anni centristi l‟onere di questi organismi ricadde pesantemente nelle possibilità ministeriali di elaborare una rinnovata identità culturale, convertendosi in inevitabile freno al mutamento.

La consapevolezza delle numerose restrizioni ministeriali si riverbera con forza nelle dichiarazioni degli ultimi ministri UCD. Nonostante il processo di normalizzazione democratica fosse avanzato, gli interventi parlamentari dei Ministri di Cultura per lo più si concentrarono ad enfatizzare, come ai tempi di Cabanillas, le virtù della democrazia culturale. Pochi ed oscuri rimanevano, invece, i ragguagli sul concreto avanzamento delle attività culturali nel Paese.

Il Ministro Iñigo Cavero Lataillade nell‟ottobre del 1980 innanzi alla Commissione Cultura del Parlamento invocava, ancora una volta, una politica che creasse le condizioni per lo sviluppo artistico del Paese:

«Questa mancanza di libertà d‟espressione la pagheremo per molti anni. Sarebbe a dire, non può molte volte crearsi una cultura sul vuoto, è facile trasformare un regime politico, è facile cambiare le sue istituzioni, è facile cambiare la sua Costituzione, è meno difficile conseguire una distribuzione del potere territoriale; però quello che indubbiamente non si improvvisa è un bagaglio di uomini creativi della cultura, di intellettuali delle diverse manifestazioni culturali che possano, dalla notte alla mattina, improvvisare innanzi al cambiamento politico nuove manifestazioni o creatività culturali. […] Alla fine possiamo dire che [la dittatura] distrusse qualcosa che è assai più difficilmente recuperabile, quello che possiamo chiamare humus o ambiente culturale propizio alla diffusione della cultura»129.

Il cambiamento nella produzione culturale stentava ad arrivare nonostante i buoni propositi politici. Come ricordava El País, quella di Cultura, rimaneva una «poltrona maledetta»130. Dopo un iniziale ottimismo governativo che si

129

DSCD (Comisión Cultura), num. 24, 23 ottobre 1980, pp. 5-6.

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«Il primo governo democratico di Adolfo Suárez incluse tra i suoi dipartimenti – prima volta nella storia del paese – un Ministero di Cultura. Prima fu di Cultura y Bienestar [...] però l’ottimistico sostantivo scomparve presto: non sembrava fosse il momento per essere così trionfali . […] Si possono criticare, o stimare, i diversi aspetti della politica del presidente Suárez, però, fino ad ora è nell’ambito della cultura dove gli errori sono stati non solo immensi ma totali. Adolfo Suárez è stato carente di politica culturale, e quella poltrona maledetta, non è servita fino ad oggi più che come alibi e come strumento per fare un’altra politica: quella dei partiti». Rafael Conte, El sillón maldito, “El País”, 18 gennaio 1980.

concretizzò nell‟istituzione del Ministero di Cultura, la crisi emerse in tutti gli ambiti artistici, in particolare nella cinematografia che dovette fare i conti con la mala amministrazione della dittatura, con ingenti debiti verso i produttori e l‟invasione del cinema straniero131.

La fine della dittatura diede via libera a tutte le lacune culturali della precedente amministrazione: l‟UCD non riuscì a fronteggiarle. D‟altro canto, i Governi centristi non ebbero un sostanziale sostegno da parte degli intellettuali ed artisti, nonostante questi ultimi di sovente lavorassero per le strutture amministrative. Anzi, rimase attiva la pratica delle missive al Ministro per contestare le limitazioni in ambito culturale.

Lo storico Ricardo De La Cierva, il terzo Ministro di Cultura UCD, tentò, seppur invano, di avvicinarsi al mondo della cultura, nominando una serie di «consiglieri culturali», tra i quali il critico Santiago Amón, Julio Caro Baroja, José María Castellet, Camilo José Cela, Nuria Espert, Cristóbal Halftter, Eusebio Sempere132.

Nonostante ciò, lo stesso mondo delle arti si scagliò contro il Ministro chiedendone le dimissioni per il mancato intervento nei persistenti casi di censura, come nel caso del film El crimen de Cuenca. L‟atteggiamento di De La Cierva è speculare di un più complessivo atteggiamento governativo: al cospetto della Commissione Cultura il Ministro affermava la volontà di «rafforzare la libertà d‟espressione», nel contempo innanzi agli interventi di censura militare non proferiva parola133. La mancanza di coraggio, come di una netta presa di posizione

simbolica contro i retaggi amministrativi franchisti, fu nota dominante nell‟UCD.

131 I problemi della cinematografia negli anni di transizione emersero evidenti: la produzione

era sull’orlo della crisi economica per i debiti dell’Amministrazione pubblica (circa 2 milioni di pesetas), oltre al fatto che i film spagnoli erano sempre più schiacciati dalle produzioni americane. Il 10 gennaio del 1980 viene approvata una nuova legge governativa che obbliga una programmazione con un film nazionale per ogni tre giorni di film stranieri. Anche nel mondo del teatro la situazione del postfranchismo era di profondo caos, nonostante alcune misure tese a migliorare la situazione come il Centro Dramático Nacional.

132 Nombramiento de los asesores del ministro de Cultura, “El País”, 3 febbraio 1980. Anche

Pío Cabanillas si rivolse al mondo della cultura. In particolare ebbe degli incontri con Joan Miró e scrisse una lettera al mondo della cultura «nella mia lettera diretta agli intellettuali e a coloro che si interessano di temi culturali, soprattutto, chiedevo aiuto mentale» . Cfr.“He

pedido ayuda mental” en mi carta a los intelectuales, “Pueblo”, 1 dicembre 1977.

133 «Tutti quelli che mi hanno detto cosa fare sul film El crimen de Cuenca sanno perfettamente

che non posso fare nulla […] Il Ministro ripeté che non aveva alcuna competenza giuridica su questo problema, che proveniva dal precedente gruppo ministeriale […] Si sbaglia chi sostiene che la legislazione spagnola sulla libertà d’espressione non è quella di uno Stato democratico». Cfr. De La Cierva „no puedo hacer nada sobre el Crimen de Cuenca‟, “El País”, 16 maggio 1980.

Questo non significa che in alcune occasioni il Ministero di Cultura non si fece portatore della volontà modernizzatrice dello Stato spagnolo: nel giugno del 1981 venne aperta al pubblico la biblioteca del Ministero della Cultura con circa 450 mila libri e riviste, che per lo più provenivano dagli ex depositi della censura e fino ad allora erano accessibili solo ai funzionari pubblici134.

Anche l‟attività del Ministero di Cultura, come lo stesso processo transizionale, nacque sotto il segno del paradosso135. Ovvero, se è possibile tracciare delle linee

conduttrici nell‟attività del Ministero di Cultura, queste si rifanno alla volontà di cambiamento delle istituzioni nella continuità; il cambiamento venne, quindi, di continuo posticipato fino a produrre un generale logoramento delle forze sociali e politiche che confluì nel profondo sentimento di disincanto che caratterizzò gli anni di democratizzazione.

Il discorso politico fu caratterizzato da costante proroga; si pensi a quanto affermava il Ministro Iñigo Cavero al termine del suo mandato: «Me ne vado soddisfatto pensando più alle opere che mancano che a quelle che abbiamo realizzato […] Iñigo Cavero che per poco più di un anno ha assistito al ritorno del Guernica, alle celebrazioni del centenario di Picasso e Calderón […] abbandona il suo incarico con la coscienza esplicita che rimanevano ancora in questo dipartimento importanti problemi da risolvere, come la promulgazione di una nuova Ley de Patrimonio, la Ley de Propriedad Intelectual, la Ley de Teatro, le opere di ampliamento del Museo del Prado e la definitiva costruzione di un nuovo auditorium a Madrid»136.

Come ricorda il sopracitato dossier ministeriale:

«Se qualcosa definisce la politica dell‟Ucd è la sua discontinuità o intermittenza, prodotto forse dell‟instabilità di carica dei titolari del Ministero di Cultura. […] Ciò comportò che non solo la politica globale soffrisse successivi riorientamenti, ma anche che le politiche settoriali fossero molti instabili e scarsamente accumulative. […] Fino al 1982 ci sono alcuni timidi passi; è a partire da questa data e già ben avanzati gli anni 80 quando si procede ad una riorganizzazione che riguarda diversi settori (biblioteche, musei, archivi, auditorium). […] Alla fine di questo periodo il risultato

134 Libre acceso a casi medio millón de libros del Ministerio de Cultura, “El País”, 25 giugno

1981.

135

Utilizzo le interessanti suggestioni dell’analisi socio-semiotica del processo transizionale di Gérard Imbert. Gérard Imbert, Los discursos del cambio. Imágenes e imaginarios sociales en

la España de la transición (1976-1982), op. cit., pp. 17-18.

raggiunto è un importante rinnovamento dell‟assieme dell‟attrezzatura culturale come dimostra il fatto che il 47 per cento esistente nel 1990 sia di creazione posteriore al 1979»137.

L‟avanzamento in termini di infrastrutture e a livello legislativo fu ridotto. Ciò che emerse, come ricordava Iñigo Cavero, fu la soddisfazione per «rendersi conto di fino a che punto in tutto questo tempo si era prodotta una rinascita della sensibilità cittadina per i beni della cultura»138. Un piccolo passo avanti verso la

costruzione dell‟«humus culturale» della democrazia.

I dati sulle attività culturali, tuttavia, parlano chiaro. Negli anni di riforma dell‟UCD, nonostante si avviino delle pratiche virtuose nel trattamento del patrimonio artistico ed archivistico, la situazione rimane poco confortante. Ad esempio, tra il 1977 ed il 1978, vennero presentati 3137 progetti per opere in complessi storico-artistici, vennero realizzate 66 dichiarazioni di complessi monumentali, si inaugurò un solo museo, vennero acquistate due opere di Juan Gris e Goya, si realizzarono 42 mostre e furono stanziati circa 150 milioni di pesetas per il miglioramento degli archivi spagnoli139. D‟altro canto, il 27 per cento

dei musei spagnoli ed il 55 per cento delle sale espositive è stato creato dopo il 1979 o ancora ben il 75 per cento delle infrastrutture nei piccoli centri spagnoli è stata realizzata sempre dopo il 1980140. A nulla valsero le improvvisate di Ricardo

De La Cierva nei teatri spagnoli141 ed i continui moniti governativi a progetti di

modernizzazione degli auditorium presenti, perché era evidente il deplorevole stato delle infrastrutture.

Nel 1982, ad esempio, la ripartizione di spese del Ministero di Cultura era pari a 34,738 miliardi di pesetas, di questi oltre 24 milioni erano utilizzati per il personale (13,981 milardi per la cultura, 13,42 miliardi per lo sport, 3,547 milardi per la dimensione sociale del Ministero ed altrettanti per i Medios de Comunicación Social del

137

CDC, Ramón Ramos Torre, Política cultural española (1978-1989) 2° Informe 1V., op. cit., p. 21.

138 Frustraciones de un Ministro, “El País”, 2 dicembre 1981. 139

I dati sulle attività tra il 1977 ed il 1978 sono tratti da: Ministerio de Cultura, Primera

Etapa: hasta la Constitución julio 1977- diciembre 1978, op. cit. La maggior parte dei dati

sulle attività realizzate in ambito culturale è ritracciabile per il periodo Cabanillas che pubblicizzò particolarmente il proprio operato. Tra il 1978 e 1982 la documentazione è molto più frammentaria.

140

CDC, Ramón Ramos Torre, Política cultural española (1978-1989) 2° Informe II V., 1990?, c. 17418.

141 El Ministro de Cultura sigue sus visitas por sorpresa a los teatros de Madrid, “El País”, 23

Estado); mentre ammontava a 3,1 miliardi di pesetas lo sforzo economico di

trasferimento di competenze alle Comunità Autonome142.

Un tentativo di raccogliere l‟informazione sulle attività culturali del Paese venne realizzato con il progetto Punto de Información de la Cultura (PIC). Il Ministero della Cultura, sulla base delle indicazioni della Conferenza di Helsinki dell‟Unesco del 1975, realizzò dei “punti di informazione della cultura” con l‟obiettivo di «far circolare a tutte le classi della società spagnola una informazione ampia e