• Non ci sono risultati.

Della modernità: la cosmesi dell‟arte contemporanea

Un primo dato emerge: la politica culturale del franchismo si mosse in una condizione di netta separazione tra cultura di massa e cultura per le èlite istruite.

Avendo perso la battaglia nell‟ambito dell‟alta cultura e delle arti, il regime ripose maggior attenzione sulla cultura popolare e folklorica. Era consapevole che la maggiore tolleranza culturale fosse possibile in contesti, come quello della cultura d‟èlite, dove il pubblico era ridotto. Analizzare la politica artistica del franchismo mette in evidenza come l‟integrazione all‟interno dello Stato di pratiche artistiche repubblicane o legate all‟opposizione rispondesse ad obiettivi di immagine pubblica e di identità sociale specifici.

La Spagna, pur cronicamente isolata dalle correnti culturali occidentali, a lungo bollata dalla difficoltosa etichetta di un irrecuperabile, quanto peculiare, ritardo rispetto al resto dell‟Europa, fu il Paese che diede i natali alle maggiori individualità pittoriche della modernità, come Velázquez, Goya o Picasso. Fu sempre nella penisola iberica che nel 1894 venne creato il primo Museo di Arte Contemporanea, con grande anticipazione rispetto al newyorchese Museo di Arte Moderna (1929).

Nonostante questi dati incoraggianti, come dimostra la travagliata storia delle istituzioni museali spagnole o il difficile cammino verso la creazione di una collezione di arte moderna statale, il rapporto tra arte e Stato nel corso del Novecento si articolò in stretta relazione con le vicende politiche del Paese. In particolar modo, la sfumata relazione tra tradizione e modernità nel campo delle arti, si fece ancor più complessa all‟indomani del conflitto civile e si intersecò con la politica culturale di controllo e nazionalismo spagnolista dei vertici franchisti. È indubbio che nei primi anni della dittatura l‟arte acquisì una funzione di legittimazione e propaganda del potere sulla base di quanto aveva sostenuto Giménez Caballero nel 1935 in Arte y Estado99. Questa prima tappa fu dominata

dall‟estetica falangista che, come il nazismo, pose enfasi nell‟arte monumentale per il potere e nell‟arte folklorico-familiare per la sfera privata, con alcune differenze motivate dallo speciale spirito di repressione in materia erotica, mantenuto sopra ogni cosa, dalla grande autorità del nazionalcattolicesimo100.

99 Il lavoro di Giménez Caballero fu pubblicato nella rivista Acción Española nel 1935 e

ricevette dallo Stato fascista italiano il Premio Internazionale Sanremo. Il testo rappresenta l’unica teorizzazione spagnola sulla funzione sociale della produzione artistica nella prospettiva ideologica del fascismo. Cfr. Ernesto Giménez Caballero, Arte y Estado, Gráfica Universal, Madrid, 1935.

Spiritualità e cattolicità permearono una pittura classicista e fortemente accademicista: i vertici franchisti favorirono un‟estetica fondata su angeli, figure evangeliche, epici ritratti del Caudillo ed un enfatico monumentalismo di chiara mimesi fascista. Inoltre, giganteschi gioghi e frecce, atti cerimoniali di grande impatto scenico, rosari e via crucis alimentarono la comune iconografia del dopoguerra. Gli artisti legati alla Seconda Repubblica, se riuscirono a sfuggire alla liquidazione fisica del regime, scelsero la via dell‟esilio. I movimenti artistici d‟avanguardia, come il cubismo ed il surrealismo, per i franchisti rappresentavano la perdita di españolidad dell‟arte a vantaggio di una concezione materialista della realtà.

Tuttavia, il tentativo di creare uno «stile franchista» si rivelò poco più di un proposito che, dopo la vittoria delle democrazie nella Seconda Guerra Mondiale, fu politicamente isolato dal momento che un progetto fascista ormai non aveva più alcun senso.

Dal punto di vista normativo, invece, le principali finalità delle prime misure legislative franchiste sulla circolazione dell‟immagine nella società furono, come in tutti gli altri campi della cultura, di controllo, centralizzazione e dirigismo. Non venne promulgata una legislazione specifica per la protezione delle arti plastiche ma fu applicata la stessa normativa di controllo dei mezzi di comunicazione di massa e della propaganda.

Il franchismo non riuscì, a differenza del fascismo italiano, a proiettare una propria identità fondata su un determinato stile artistico: la relativa indifferenza alle questioni culturali e, al contrario, l‟insistenza sulla dimensione religiosa rivela che al suo vertice non si trovava una figura come Mussolini ma un militare come Franco101.

Di conseguenza, l‟apertura verso forme artistiche anteriori al 1939 o verso i movimenti d‟avanguardia plastica fu precoce. Eugeni d‟Ors, dopo aver creato nel 1937 con Dionisio Ridruejo la sezione di stampa e propaganda del nuovo Stato, fu nel 1939 collocato al vertice della Direzione di Belle Arti102. Nel 1941 d‟Ors

101 Alicia Alted Vigil, Política del nuevo estado sobre el patrimonio cultural y la educación

durante la guerra civil española, Ministerio de Cultura, Centro Nacional de Información

Artística, Arqueológica y Etnológica, Madrid, 1984, p. 20.

102 Eugeni d’Ors (1881-1954), formatosi negli ambienti letterari modernisti, fu segretario

promosse l‟esperienza della Academia Breve de Crítica de Arte, nel cui proclama di fondazione si può leggere: «È urgente porre termine alla vergogna per la quale il pubblico di Madrid e quello di quasi tutta la Spagna e, persino dei suoi critici militanti, si trovino sprovvisti della conoscenza di nemmeno una pagina dell‟arte contemporanea universale»103. La Academia si basò sull‟annuale Salón de los Once,

dove a partire dal 1946 fecero la loro comparsa i giovani catalani di Dau al Set (Antoni Tàpies, Modest Cuixart, Joan Ponç e Joan Tharrats), accompagnati dall‟avanguardia di Joan Miró e Salvador Dalí. Nella stessa manifestazione artistica fu possibile, a partire dagli anni Cinquanta, conoscere per la prima volta i giovanissimi Jorge de Oteiza, Josep Guinovart, Antonio Saura e Manolo Millares. Emerge, quindi, un primo elemento: parte della cultura che guiderà il processo di normalizzazione democratica si forma all‟interno delle istituzioni franchiste. Proseguendo in questo rapido excursus sulla relazione tra Stato franchista ed avanguardia, nel 1949 nacque la Escuela de Altamira con l‟obiettivo di riflettere sull‟astrazione e sulle coeve correnti artistiche internazionali. Spoliticizzazione, essenzialismo e sconnessione dalla realtà, come elementi costitutori dell‟astrattismo pittorico, piacquero al regime. Il Primer Congreso de Arte Abstracto de

la Universidad Internacional Menéndez Pelayo (1953) fu finanziato dallo stesso Fraga, al

tempo segretario generale dell‟Instituto de Cultura Hispánica104.

I vertici franchisti si interessarono ai movimenti d‟avanguardia astratta nella costruzione di una nuova identità in sintonia con il paradigma di sviluppo economico statunitense: un‟arte senza riferimenti politici, profondamente individualista ed in grado di accrescere lo scarso appeal culturale della Spagna franchista era perfettamente consequenziale agli obiettivi della politica diplomatica.

L‟arte contemporanea fu promossa nella Bienal Hispanoamericana de Arte organizzata dall‟Instituto de Cultura Hispánica105. Tre Biennali, a Madrid (1951) a La

Mancomunitat de Catalunya durante la Seconda Repubblica, per poi ricoprire ruoli

nell’amministrazione culturale del franchismo.

103 Francisco Calvo Serraller, Del futuro al pasado. Vanguardia y tradición en el arte español

contemporáneo, Alianza Editorial, Madrid, 1988, p. 88.

104 Cfr. Sulle origini dell’avanguardia astratta Jorge Luis Marzo, Art modern i franquisme: els

orígens conservador de l‟avantguarda i de la política artística a l‟Estat Espanyol, Fundació

Espais d’Art Contemporani, Girona, 2007, pp. 12-22.

105 Cfr. Miguel Cabañas Bravo, Política artística del franquismo: el hito de la bienal hispano-

Habana (1954) e a Barcellona (1955-1956), nonostante il boicottaggio da parte di alcuni artisti106, si proposero di costruire e diffondere una nuova immagine della

Spagna. Per Gracia le Biennali rappresentarono, dal punto di vista governativo, «una risposta estetica ad un esaurimento politico»107.

L‟informalismo espressionista di El Paso, l‟astrazione geometrica di Equipo 57, la materia, l‟uso rinnovato degli oggetti comuni, la densa pasta che ricopre la tela si avvicinarono alle analoghe esperienze dell‟espressionismo astratto americano (Pollock, de Kooning, Motherwell) o alla coeva realtà dell‟informalismo parigino. L‟obiettivo del regime fu quello di occultare l‟eccezione politica di uno Stato dittatoriale attraverso la normalizzazione estetica e l‟avvicinamento alla realtà dell‟arte del resto dell‟Occidente.

Lo Stato franchista, fin dagli anni Cinquanta, si presentò come mecenate d‟arte. Il Ministro Ruiz-Giménez, alla cerimonia d‟inaugurazione della I Bienal, spiega con grande chiarezza le motivazioni per le quali lo Stato franchista assimilò l‟estetica d‟avanguardia:

«Nella nostra situazione concreta, ci sembra che questo aiuto all‟autenticità debba assumere due direzioni: da un lato, stimolare il senso storico, ovvero, la collocazione dell‟artista nel tempo presente rifuggendo dall‟inganno del tradizionalismo formalista; dall‟altra parte fortificare il senso

nazionale, fuggendo da ogni falso universalismo, da qualsiasi provinciale ammirazione per ciò che si

realizza fuori dalla propria patria […] Tanto più grave ed urgente è il nostro compito quanto gli Stati comunisti si sforzano di porre l‟arte al loro servizio, realizzando una tremenda mistificazione e caricatura della vera arte. Se si riesce ad ottenere che questa serva al suo unico padrone, lo spirito, si convertirà in un alleato essenziale di qualsiasi opera politica cristiana»108.

L‟espressionismo astratto per i vertici franchisti rappresentava un mezzo per fortificare l‟identità nazionale ed i valori cattolici che la animavano, come d‟altra parte per contrastare i modelli artistici comunisti. Egualmente, negli Stati Uniti, l‟astrazione veniva esaltata per la spoliticizzazione, per il distacco dalla gente comune e la capacità, con il proprio spirito individualista, di contrastare in piena

106 Cfr. Miguel Cabañas Bravo, Artistas contra Franco, Universidad Nacional Autónoma de

México, Instituto de Investigaciones Estéticas, Messico, 1986.

107

Jordi Gracia, Estado y cultura. El despertar de una conciencia crítica bajo el franquismo,

1940-1962, op. cit., p. 45.

108 Joaquín Ruiz Giménez, Arte y política; relaciones entre arte y estado, in “El Correo

Guerra Fredda il mondo sovietico e lo stesso realismo socialista. L‟arte astratta era vista come il prodotto di una società di individui liberi e lo specchio più immediato della democrazia nordamericana109.

Di conseguenza, per i tecnocratici dell‟Opus Dei, che volevano adattare alla Spagna autoritaria i principi del libero mercato statunitense, l‟estetica dell‟astrazione poteva contribuire all‟impresa di modernizzare la penisola iberica senza incorrere in cambiamenti politico-istituzionali non desiderati.

Tra i tanti paradossi che caratterizzano il franchismo, quindi, si rintraccia la volontà di utilizzare un certo tipo di avanguardia a proprio vantaggio. Le ragioni di questa accettazione ed, anzi, promozione sono evidenti.

Come ricorda Tàpies nelle proprie memorie, quando Franco venne invitato a vedere la sala dei giovani artisti durante l‟inaugurazione della Bienal «qualcuno, credo Alberto del Castillo, disse a Franco: “Eccellenza, questa è la sala dei rivoluzionari”. E sembra che il dittatore rispose: “Se fanno la rivoluzione così…”»110.

Per il regime, infatti, la pratica artistica moderna, come forma di contestazione politica, possedeva un valore ed efficacia relative e, seppure negli anni Sessanta ci furono casi di censura a mostre ed opere pittoriche compromettenti, come accadde allo scultore comunista Agustín Ibarrola e al pittore Juan Genovés, il franchismo non ebbe timori ad integrare l‟avanguardia pittorica come propria immagine di fronte alla comunità internazionale.

Inoltre, l‟arte astratta, rispetto ad altri generi artistici, come il neorealismo cinematografico o le incisioni realiste di Estampa Popular, era portatrice di messaggi criptici e difficilmente accessibili alla gente comune: ai vertici della dittatura, quindi, non interessava se, in privato, alcuni artisti professassero idee contrarie al regime, il fattore importante, alla luce dei nuovi rapporti con gli Stati Uniti, era il valore di per sé carismatico dell‟arte contemporanea e l‟immediato messaggio di

109 Sull’articolato rapporto tra politica culturale degli Stati Uniti, espressionismo astratto e

Guerra Fredda, si veda: Frances Stonor Saunders, The Cultural Cold War: The Cia and the

World of Arts and Letters, The New Press, New York, 2000. E si veda anche il testo: Serge

Guibault, How New York Stole the Idea of Modern Art. Abstract Expresionism, Freedom and

the Cold War, The University of Chicago Press, Chicago, 1983. In questo testo

l’espressionismo astratto è visto come il linguaggio artistico che rispondeva alla nuova immagine degli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale in funzione anticomunista e quale stendardo del liberalismo statunitense.

110 Jorge Luis Marzo, Art modern i franquisme: els orígens conservador de l‟avantguarda i de

modernità per una Spagna vista quale anomalia da una consistente fetta della comunità internazionale.

La storia diplomatica spagnola, infatti, fino alla morte del dittatore, fu quella della lotta di uno Stato per mantenersi stabile, quale eccezione autoritaria, all‟interno di un‟Europa democratica. La politica artistica servì, pertanto, a mascherare, grazie a vetrine come la Biennale di Venezia, la totale assenza di diritti democratici all‟interno del Paese.

La principale promotrice di questa politica culturale fu quella che il critico Moreno Galván ha chiamato la «generazione Fraga»111. Un eterogeneo gruppo politico-

intellettuale che si sentiva affine ai vincitori per il proprio cattolicesimo e l‟aristocratico falangismo: un gruppo di giovani che viaggiava spesso a Parigi, Londra, Roma, Buenos Aires e New York. Leggeva Sartre e Camus, visitava le mostre d‟arte nel mondo: una generazione alla ricerca di un nuovo modello culturale che la rappresentasse ma che non mettesse a repentaglio il proprio status sociale e politico e che intendeva, quando viaggiava, essere presentabile alla borghesia europea:

«È un ragazzo con gli occhiali, serio e grave, che è arrivato all‟Università di Madrid da qualche provincia spagnola. Il padre è un discreto avvocato, o uno sconosciuto militare, a volte un proprietario terriero. A Madrid vive in un Colegio Mayor […]. La sua stanza lì è semplice e luminosa; ha una piccola biblioteca, una riproduzione di Van Gogh alla parete, un letto semplice e sopra di questo una croce di foggia semplicissima ed austera. I suoi libri – Ortega, José Antonio, Maritain, Unamuno – sono tutti in brossura e sulla tavola, ce ne sono alcuni attentamente annotati. Di mattina dopo una doccia con acqua fredda, va all‟Università o alla „biblioteca del Consejo‟ per preparare il proprio dottorato […] L‟archetipo corrispondente al secondo livello potrebbe essere madrileno – è curioso – […] non risiede in un Colegio Mayor ma in una pensione più economica. A volte dispone di una stanza, a trecento pesetas al mese, e va a mangiare alla mensa del Seu [Sindicato

Español Universitario]. I ragazzi di questo livello non leggono già Rilke o Höderling a meraviglia

tradotti e adattati per l‟èlite, però, citeranno i testi più spagnolizzatori di Unamuno. […] Infine i ragazzi del primo livello non provano ad eliminare nulla se non cercano di costruire una Spagna ideale, i secondi, invece, si scagliano violentemente contro tutto ciò che è „decrepito‟»112.

111

Si veda l’incisivo ritratto di questa generazione in: José María Moreno Galván, La

generación de Fraga y su destino, in “Cuadernos de Ruedo ibérico”, Parigi, giugno-luglio

1965, num. 1, pp. 5-16.

È questo sia l‟incisivo ritratto degli anni giovanili della generazione che andò ad ingrossare le fila dei ministri e dei funzionari franchisti che parteciparono in prima persona al processo di apertura del franchismo sia è la fotografia del contesto culturale ufficiale dove si mossero gli artisti e gli intellettuali che riuscirono ad emergere all‟interno del grigiore franchista e poi ressero le fila del processo di democratizzazione. Da questo duplice mondo, dove si mossero i figli di vincitori e vinti, prenderà forma, anche se su versanti contrastanti e spesso in conflitto tra loro, il lento cammino verso la transizione della cultura.

L‟interesse dei vertici franchisti non si rivolse solo verso l‟arte astratta. La borghesia franchista, alla ricerca di una propria modernità che non sovvertisse l‟ordine stabilito, corteggiò costantemente due artisti di primo ordine: Picasso e Miró. Questi due artisti, seppur da presupposti differenti, potevano trasmettere, in un‟ottica di nazionalismo spagnolista, la grandezza della Spagna. Picasso era sì un «rosso» ma era in primo luogo «spagnolo» e rappresentava alla perfezione la forza e creatività della cultura iberica. L‟arte contemporanea non poteva danneggiare in alcun modo, secondo lo Stato franchista, l‟immagine nazionale.

Ciascuno dei tre «geni nazionali», Picasso, Miró e Dalí visse in un rapporto differente con lo Stato franchista. Dalí si inserì nella cornice istituzionale; Miró, seppure durante la Guerra Civile si schierò a lato dei repubblicani, già nel 1941 tornò in Spagna ed optò per una sorta di esilio interno. Divenne il punto di riferimento dei giovani informalisti catalani, veicolando l‟immagine «del compromesso intimo autonomo, indistruttibile dell‟artista con la propria opera»113.

Rispetto a Picasso la questione appare ancor più complessa: da un lato, la prima rassegna di un‟opera del pittore di Malaga fu pubblicata il 5 gennaio del 1946, dall‟altro, nonostante i tentativi occulti di avvicinamento dell‟artista da parte del regime, Picasso continuò ad essere identificato con il comunismo114. Nonostante il

fatto che l‟artista si fece promotore delle principali mostre antifranchiste, già negli anni Cinquanta si avviarono i primi e fallimentari tentativi di avvicinamento da parte del Ministero degli Esteri115.

113 Jorge Luis Marzo, Art modern i franquisme: els orígens conservador de l‟avantguarda i de

la política artística a l‟Estat Espanyol, op. cit., p. 43.

114

Le prime forme ufficiali di riconoscimento dell’opera franchista, in: Gijs Van Hensbergen,

Guernica. Biografia di un‟icona del Novecento, op. cit., pp. 224-225.

115 Genoveva Tusell García, El Picasso más político: el Guernica y su oposición al franquismo,

L‟interesse per l‟arte contemporanea acquisì, pertanto, diverse forme e sfumature di significato: il Ministerio de Información y Turismo di Fraga portò avanti un‟importante opera di divulgazione della modernità:

«A nessuno risulta strano e molto meno per gli artisti e per la critica, il lavoro che realizza la

Dirección General de Información y Turismo. […] Fin dal principio, la direzione di queste sale ha

dimostrato un eccellente criterio di selezione, dal momento che presenta, non soltanto l‟opera degli artisti consacrati ma anche dei giovani […] Vaquero Turcios, Quirós, Ortega Muñoz, Millares, Canogar, Francisco Mateos, Hernández Mompó, Martín Chirino, José Vento, José Caballero, Gerardo Rueda, Lucio Muñoz, Manuel Rivera, Pancho Cossio, Juana Francés, María Antonia Dans, Genovés [...] Bastano i nomi che citiamo per dar fede che tutta l‟arte spagnola del nostro tempo è stata esibita nelle Sale dell‟Ateneo di Madrid e per confermare l‟efficacia del lavoro che realizza la Dirección General de Información y Turismo»116.

Se da un lato l‟arte contemporanea acquisì un ruolo essenziale nella diplomazia internazionale, dall‟altro all‟interno del Paese rappresentò «una manovra legata alla politica culturale del desarrolismo e al suo auto contenimento nella virtualità del simbolo e della apparenza»117.

L‟arte rappresentò un «simbolo», un elemento di «virtualità» per celare, attraverso mezzi politicamente innocui, la realtà di rigido contenimento dei diritti sociali e civili della Spagna. Luis González Robles, Comisario de Exposiciones de la Dirección

General de Bellas Artes tra il 1950 ed il 1970, allestì le principali mostre che

lanciarono nel panorama internazionali le nuove generazioni artistiche spagnole (Chillida, Tàpies, Feito, Cuixart…), dando un giro europeista alla politica artistica estera spagnola.

Tuttavia, molti artisti a partire dalla metà degli anni Sessanta decisero di non prendere più parte alle esposizioni ufficiali allestite dal regime: la rottura si fece insanabile e la protesta nei confronti di Franco divenne manifesta118. La

Culturales, Madrid 2006. Sul rapporto tra Stato franchista e Guernica, si veda: Giulia Quaggio,

Il Guernica conteso. Percezione, circolazione, ritorno di un dipinto che anche Franco avrebbe voluto, in “Spagna Contemporanea”, n. 36, 2009 [in pubblicazione].

116 Isabel Cajide, Breve repaso de la labor artística de la Dirección General de Información, in

“Artes”, num. Straordinario, dicembre 1964, pp. 39-40.

117 Mónica Nuñez Laiseca, Arte y política en la España del desarrollismo: (1962-1969),

Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid, 2006.

118 Per studiare il ruolo degli artisti nell’opposizione al franchismo, si veda: Michelle

Vergniolle Delalle, La palabra en silencio. Pintura y oposición bajo el franquismo, Universidad de Valencia, Valencia, 2008.

riproduzione dell‟immagine di Luis Gordillo, la manipolazione dell‟iconografia nazionale di Equipo Crónica e di Eduardo Arroyo, la nuova figurazione di chiaro compromesso politico di Juan Genovés che nel 1966 espose la nota sequenza