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La coscienza soggettiva di una «mutilazione culturale», di una «minore età per decreto» allontanò le classi medie che avevano fatto il loro ingresso nella scena pubblica negli anni del desarrollismo da qualsiasi tentazione postfranchista131. La

delegittimazione culturale del franchismo alla metà degli anni Sessanta era ormai realtà. Ciò nondimeno, se nell‟ambito della cultura d‟èlite il discredito nei confronti della politica franchista era palese, non bisogna dimenticare che il regime investì i maggiori sforzi amministrativi nel cercare di attrarre con la propria

aurea mediocritas le diverse componenti della società spagnola, in particolare proprio

le classi medie.

L‟applicazione della dicitura «cultura popolare» alle differenti ramificazioni dell‟apparato culturale franchista fece riferimento a questo desiderio di captare gli interessi culturali extra-scolastici della società spagnola nel suo assieme. Il tentativo di avvicinarsi al «popolo» fu condotto grazie ad una «sottocultura» che rappresentò il migliore «cordone sanitario» che il regime ebbe per ignorare il capillare diffondersi della cultura liberale e per cercare di frenare il processo di appropriazione dello stesso campo da parte dell‟opposizione comunista132.

Per questo motivo favorì, grazie alle organizzazioni culturali del Movimiento e alle istituzioni ministeriali, sia per motivi estetici sia con un chiaro intento di passivizzazione politica, una cultura fatta di canzoni leggere, processioni di paese, teatro di intrattenimento, romanzi rosa e partite di calcio, «un mosaico che coniugava un nazionalismo ossessivo, un populismo per nulla forbito, erotismo

130 CDC, La política cultural en España, Unesco, Instituto Nacional de Ciencias de la

Educación, Madrid, 197?.

131 José Carlos Mainer, La cultura de la transición, in Carme Molinero (a cura di), La

Transición treinta años después. De la dictadura a la instauración y consolidación de la democracia, Ediciones Península, Barcellona, 2006, p. 156.

132 Cfr. Raymond Carr e Juan Pablo Fusi, España, de la dictadura a la democracia, op. cit., pp.

residuale e mitologia del genuino ed inespugnabile, il tutto custodito all‟interno degli stretti e sempre vigili limiti del dicibile»133.

Nel tardo-franchismo il divorzio tra i due ambiti della politica culturale, high e low, si rafforzò ed il regime, nonostante le istituzioni culturali falangiste languissero, giocò le ultime carte per avvicinarsi alla società; l‟aggettivazione «popolare», associata al termine «educazione» o «azione culturale» proliferò: un ampio comparto del Ministero de Información y Turismo sarà specificatamente dedicato alla «cultura popolare», secondo un‟accezione prettamente populistica e paternalistica della stessa.

In particolare, fu Fraga a sviluppare le potenzialità intrinseche alla Dirección de

Cultura Popular con l‟obiettivo di incontrare i desideri di una società molto più

dinamica. Il caso fraghiano è davvero interessante, in quanto mette in evidenza come il regime fosse a conoscenza delle strategie culturali che venivano sperimentate nei Paesi democratici. Sia la cultura d‟èlite sia la cultura rivolta alla totalità della società, dal punto di vista governativo, doveva entrare in relazione con il processo di modernizzazione che stava investendo la Spagna negli anni Sessanta.

L‟elemento d‟unione, pertanto, tra alta cultura e cultura popolare fu rappresentato dal comune interesse utilitaristico per i mezzi di comunicazione della modernità nella gestione di entrambe: nel campo delle arti, l‟avanguardia, seppure da presupposti conservatori venne utilizzata per rinnovare l‟immagine spagnola, dall‟altro la gestione della cultura popolare, intesa dai vertici franchisti come la produzione culturale che doveva circolare nella società spagnola, fu concepita come un valido mezzo per controllare e regolamentare una società in accelerato sviluppo.

La Dirección de Cultura Popular, fino a pochi mesi prima della morte di Franco era così articolata: due grandi comparti ne scandivano le funzioni, la Subdirección

General de Acción Cultural e la Subdirección General de Promoción y Ordenación Editorial

(febbraio 1975) 134. Nella prima sottodirezione si gestiva la rete dei teleclubs e le

campagne culturali, nella seconda, al contrario, tutto quello che aveva a che fare con la promozione e l‟ordinamento editoriale, quindi, la promozione dell‟editoria

133 Vicente Sánchez-Biosca, Las culturas del tardofranquismo, op. cit., p. 92.

134 AGA, Gabinete de Enlace, Fascicolo León Herrera Esteban, Organigrama Informativo de la

ma anche la censura. All‟interno di questa struttura rientrava anche la Editora

Nacional , la casa editrice dello Stato franchista.

Un primo dato emerge: per «politica della cultura popolare» il franchismo intendeva tutte quelle pratiche che fossero in relazione con la circolazione di una determinata produzione culturale nella società e, d‟altro canto, queste pratiche rappresentavano il mezzo per «educare nella responsabilità» il «popolo spagnolo». Per cultura popolare, quindi, il regime non intendeva la cultura che veniva «dal» popolo ma la cultura «per» il popolo, che coincideva con una produzione massificata, in una ferrea dinamica di acculturazione dall‟alto al basso. Solo a partire dagli anni Sessanta, le differenti culture regionali, quindi, «dei» differenti popoli spagnoli iniziarono ad apparire timidamente nel discorso politico franchista. Sulla base di alcune teorie economiche e funzionaliste sul valore della decentralizzazione regionale, prese forma all‟interno delle stesse istituzioni franchiste un timido processo di recupero di simboli, miti storici e materiale culturale locale. D‟altra parte, bisogna anche ricordare come nel contesto discorsivo del nazionalismo centralista spagnolo il folklore, le tradizioni ancestrali, le feste locali ed, in particolare, il paesaggio delle regioni e dei popoli di Spagna durante tutta la dittatura furono presentati come l‟essenza organica della Nazione. Immagini e simboli culturali locali, secondo la lettura franchista, sostenevano reti di significati in grado di promuovere e rafforzare l‟identità ispanica135.

In termini di finanziamenti la Dirección de Cultura Popular ricevette il maggior numero di investimenti, raggiungendo un picco tra il 1969 ed il 1971. Secondo i dati raccolti da Sierra Ludwing, tenendo in considerazione la decelerazione economica tra il 1973 ed il 1974, la somma degli investimenti realizzati nei tre anni nella promozione della cultura popolare è pari a 386,5 milioni di pesetas di contro ai 35 milioni di pesetas investiti nella promozione del libro, ai 90,4 milioni di pesetas per la promozione del cinema all‟estero e ai 128,4 milioni per la promozione del teatro, includendo anche i popolari Festivales de España136.

La politica della cultura popolare, inoltre, cercando di acquisire una propria modernità, fece propria la capillarità della televisione. Le prime trasmissioni

135

Cfr. Xosé M. Núñez Seixas, Nuevos y viejos nacionalistas: la cuestión territorial en el

tardofranquismo, 1959-1975, in “Ayer”, n. 68, 2007, pp. 85-86.

136 Victoriano Sierra Ludwing, Inversiones publicas de caracter cultural: Análisis del período

televisive risalivano al 1956, tuttavia, il tubo catodico si diffuse in Spagna solo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta: se nel 1960 l‟1 per cento delle case spagnole possedeva la televisione, nel 1977 ben il 90 per cento ne aveva una137.

Fraga fu il primo a sfruttare il televisore nell‟obiettivo di creare dei centri di diffusione culturale extrascolastici, chiamati teleclubs, che avevano l‟obiettivo di fronteggiare e allo stesso tempo assecondare in base agli obiettivi del regime le trasformazioni della società spagnola.

Una pubblicazione del 1971, tascabile ed economica, racconta la storia della nascita del progetto dei teleclubs. Ci soffermeremo su questa storia che aiuta a delineare i tratti dell‟idea di cultura popolare del tardo franchismo138.

Nel 1964, in un paesino nelle vicinanze di Zamora, alla frontiera con il Portogallo, venne fondato il primo teleclub. L‟idea fu del laborioso Ministro Fraga durante una visita di Franco alla conca mineraria di Teruel: per il Caudillo era necessario che operai e minatori non stessero oziosi nelle taverne ma che occupassero il proprio tempo libero a contatto con la cultura, apprendendo nozioni socialmente utili. Robles Piquer, su incarico di Fraga, quindi, mise in moto la Red Nacional de

Teleclubs, attraverso una serie di strutture pilota nelle zone rurali della penisola

iberica. Una povera sala fornita dal Comune o dalla Parrocchia, al centro la televisione come fattore di aggregazione e socializzazione cittadina: così si presentavano i teleclubs.

Il vero modello di ispirazione, però, fu ancora una volta l‟esperienza francese. Malraux apportò alla politica la filosofia dell‟azione culturale: il progetto delle

maisons de la culture concretizzava l‟idea di una democratizzazione della cultura,

ovvero come spiega Émile Biasini di una «generalizzazione della cultura»; grazie all‟edificazione di centri culturali nelle varie località francesi, si palesava «il riconoscimento da parte dello Stato dell‟obbligo trascendente che già da tempo deteneva nel campo dell‟insegnamento»139.

Le case di cultura rappresentarono, quindi, lo strumento per agire nella società attraverso la stessa produzione artistica che, secondo una precisa volontà dello

137 Raymond Carr e Juan Pablo Fusi, España, de la dictadura a la democracia, op. cit., p.168. 138

Carmen Llorca, Los teleclubs en España, Publicaciones Españolas, Madrid, 1971.

139 Propositions d‟Émile Biasini concernant les maisons de la culture (octobre 1962), in

Philippe Poirrer (a cura di), Les politiques culturelles en France, Documentation française, Parigi, 2002, pp. 210-220.

Stato, doveva diventare accessibile a tutti i cittadini in maniera analoga a quanto accadeva con l‟istruzione elementare. Tuttavia per Malraux era necessario che le case di cultura rifiutassero qualsiasi forma di didatticismo ed allontanassero il rischio di una cultura amatoriale affinché l‟arte si aprisse in tutto il suo splendore al popolo. Inoltre, secondo questa lettura l‟impatto delle opere d‟arte poteva fungere da strumento per trasformare situazioni sociali caratterizzate da una chiara asimmetria della popolazione nell‟accesso e godimento culturale.

A questo modello si aggiunse la precoce esperienza canadese di educazione popolare patrocinata dalla Canadian Broadcasting Corporation, la Canadian Asociation

for Adult Education e la Canadian Federation of Agricolture che finanziarono un

programma radiofonico «Tribuna Radiofonica Rurale» con l‟obiettivo di raggiungere ed educare le masse rurali all‟interno di un Paese, come il Canada, già avanzato economicamente140. In Francia, con la collaborazione dell‟Unesco, a

partire dal 1952 fu avviato un programma di educazione popolare attraverso la televisione: nella penisola iberica il primo teleclub venne inaugurato il 25 novembre del 1964, al contrario delle «Case di Cultura» che in Spagna furono istituite nel 1956, ancor prima che in Francia.

L‟istituzione dei teleclubs in Spagna, pur partendo da questi presupposti teorici, stravolse il latente concetto di democratizzazione culturale per concepire il tempo libero degli spagnoli come spazio per la socializzazione ai valori del discorso franchista. Le sale dei teleclubs, localizzate nei centri rurali, rispondevano più che altro ad un‟arbitraria strumentalizzazione della funzione del tempo libero applicata alla sociologia della cultura di Dumazedier141.

Il teleclub, secondo l‟idea fraghiana, rispondeva, infatti, più che altro ad uno strumento di educazione popolare intesa come «un modello complesso di azione socioculturale, che utilizza l‟ozio per suscitare e diffondere conoscenza […] in senso ascendente ai settori sociali e culturalmente arretrati, favorendo la loro partecipazione ai beni della cultura e sviluppando la loro integrazione comunitaria in un nucleo di valori condivisi»142.

140 Chus Cantero, Los Teleclubs, in “Periférica: Revista para el análisis de la cultura y el

territorio”, n. 6, 2005, p. 106.

141

Cfr. Joffre Dumazedier, Televisión y educación popular: Los teleclubs en Francia, Marcel Blondin, Parigi, 1956.

142 Miguel Muñoz Castillejo, Objectivos de Política Cultural en los programas de inversiones

Il televisore diventava un elemento di attrazione delle masse popolari che attraverso le proiezioni controllate dallo stesso Governo era in grado di contrastare l‟avanzare, seppur diseguale, di un modello di consumi sempre più europeo ed il progressivo illanguidimento delle istituzioni culturali del Movimiento. Carmen Llorca Vilaplana, Vicesegretaria della Junta Central de Información, Turismo y

Educación Popular, ente nel quale rientrava la Red Nacional de Teleclubs affermava: «Sicuro è che il televisore non è che uno dei molti elementi sui quali deve contare un teleclub perché, posti in funzionamento questi centri, si è visto che hanno superato totalmente l‟attività che si considerava come primordiale: guardare la televisione. Effettivamente, in un teleclub si vede la televisione, però il fatto che per assistere a questo spettacolo si riunisca gran parte o la quasi totalità degli abitanti di un borgo implica una convivenza dalla quale possono sorgere altri aspetti ed altre attività»143.

La televisione, quindi, divenne ben presto un pretesto per il teleclub, a mano a mano che anche in Spagna questo mezzo di comunicazione di massa si diffondeva. Il teleclub rappresentava un‟ «istituzione di prossimità», un ente che consentiva allo Stato di avvicinarsi alle disperse ed arretrate realtà locali. Secondo Manuel Vázquez Montalbán «lì dove non arrivò il libero arbitrio consumista del pubblico, arrivò il Ministero de Información y Turismo, con la creazione di teleclubs diretti da istruttori»144.

L‟istruttore (monitor), sorta di animatore socio-culturale, era il responsabile del funzionamento del teleclub e delle sessioni dell‟istituzione. Maestri, parroci, professionisti venivano formati direttamente dalla Junta Central de Información,

Turismo y Educación Popular attraverso dei corsi per organizzare il tempo libero degli

spagnoli. Come affermava la descrizione del II Plan de Desarrollo, «il monitor non è propriamente un controllore, un militante, un responsabile, un docente. […] È un uomo capace di dialogare ma anche di far dialogare tra loro coloro che fanno parte del suo circolo, sarebbe a dire, il monitor è chi incanala la comunicazione televisiva ad un pubblico scarsamente acculturato»145.

143

Carmen Llorca, Los teleclubs en España, op. cit., p. 3.

144 Manuel Vázquez Montalbán, La penetración americana en España, Edicusa, Madrid, 1974. 145 Citazione dal II Plan de Desarrollo Económico y social, tratto da: Chus Cantero, Los

Come si è detto, l‟idea di «democrazia» è in molte occasioni associata alla realtà del

teleclub:

«Il teleclub, creato volontariamente, si governa con un procedimento assolutamente democratico. Tutte le cariche direttive sono elette tra i soci, ad eccezione del monitor, grazie ad un‟assemblea generale ed il suo mandato dura due anni, rinnovando attualmente la metà delle cariche»146.

A prima vista, quindi, il teleclub appariva come un modello di democrazia, anche se era ferreo il controllo centrale attraverso sia la figura del monitor sia attraverso la cernita e la divulgazione governativa del materiale culturale che poteva circolare all‟interno delle strutture. Il termine più appropriato per definire la relazione governativa con questi organismi è quello di una politica di «incanalamento» e di «indirizzamento culturale».

Dal 1964 fino al 1967 furono creati 2124 teleclubs, alla fine del 1971 erano 4351 i centri in funzionamento; al 31 dicembre del 1975 non era cresciuto molto il numero delle strutture, arrivando a quota 4629; i centri si dividevano in 48 teleclubs

piloto che fungevano per dimensioni ed organizzazione da modello per gli altri teleclubs, 56 centri della Sección Femenina, 282 teleclubs regionali e 4243 teleclubs

locali147.

Dopo essere stati creati, ai teleclubs veniva consegnata una televisione e dell‟altro materiale culturale, come il quotidiano del capoluogo, le riviste Teleradio España

Semanal, La Voz Social ed il giornale Alba della Campagna di Alfabetizzazione del Movimiento148.

Secondo la pubblicazione di Carmen Llorca, nel teleclub le attività dovevano essere molteplici, oltre alle riunioni per assistere ai programmi televisivi, era necessario stimolare, in un‟ottica polifunzionale, la visione di film, la creazione di una biblioteca basica, mostre d‟arte, spettacoli teatrali e l‟ascolto di musica grazie ai giradischi inviati, seppure in pessime condizioni, dallo Stato. Accanto a queste attività di tipo culturale, l‟obiettivo governativo era quello di rendere possibili «riunioni periodiche con tutti gli abitanti di una località per promuovere lo

146

Carmen Llorca, Los teleclubs en España, op. cit., p. 7.

147 Miguel Muñoz Castillejo, Objectivos de Política Cultural en los programas de inversiones

publicas durante el periodo 1968-1975, op. cit., p. 36.

sviluppo di attività che risultino a beneficio di tutti, come sono per esempio, la pavimentazione della strada, acquedotti, la realizzazione di nuovi percorsi…».149

Per il Governo franchista gli investimenti in materia culturale, quindi, dovevano essere sempre legati ad un possibile tornaconto sociale e all‟accelerazione della modernizzazione delle realtà agricole. Probabilmente, proprio in questo aspetto troviamo un comune denominatore nelle differenti politiche culturali franchiste: la dimensione di intervento sociale rappresentò il tratto d‟unione di una politica tecnocratica che intendeva modernizzare in superficie non nei concreti contenuti. La televisione pubblica, a partire dal 1968, produsse dei programmi televisivi per i

teleclubs. Nella programmazione si trattavano tematiche di cultura generale, di

divulgazione tecnico-scientifica e qualsiasi argomento che potesse arricchire le conoscenze del mondo agricolo. Ad esempio, No estamos solos era un programma informativo sulla realtà rurale e Ventana abierta era un programma dagli svariati contenuti culturali ed educativi: il discorso veicolato dai teleclubs non era di certo di grande spessore culturale dal momento che si basava sulla televisione e sul comune denominatore dello scarso livello educativo globale della popolazione rurale150.

Ad esempio, è rimasta traccia negli archivi di un progetto di programmazione per i

teleclubs. Operación Nuevos Pueblos è il titolo della trasmissione, che includeva un

concorso per il villaggio che dava prova di maggior vitalità:

«Con il titolo Operación Nuevos Pueblos [...] si sottopone alla Junta Central de la Vicesecretaria de

Educación Popular del Ministerio de Información y Turismo uno spazio destinato a promuovere e

stimolare la trasformazione e lo sviluppo dei paesini e nuclei rurali su scala nazionale. Fondamentalmente, il fine di questo contenitore è dimostrare in modo pratico i miglioramenti che si possono realizzare in un paese quando l‟immaginazione, l‟entusiasmo ed il lavoro si mettono al servizio delle risorse naturali e dell‟azione collettiva»151.

Il plot della trasmissione schematicamente era il seguente: presentazione del villaggio, interviste con le principali autorità locali, problematiche del paese e possibili risoluzioni da parte della Junta Delegada responsabile dell‟Operación, invito

149 Carmen Llorca, Los teleclubs en España, op. cit., pp. 9-11. 150

Chus Cantero, Los Teleclubs, op. cit., pp. 123-124.

151 AGA, Dirección Cultura Popular, fascicolo Notas interiores – director de cultura popular y

espectaculos cartas del ministro, Operación Nuevos Pueblos – Memoria. Anteproyecto (14 febbraio 1969), c. 71839.

ai teleclubs a partecipare al concorso, intervista ad una personalità politica di spicco e congedo con un cantante che ricordasse che per l‟esito contava «il lavoro, l‟entusiasmo e l‟immaginazione»152.

I teleclubs rientravano perfettamente nella logica tecnocratica di euforica modernizzazione di propaganda del secondo franchismo.

Tra le attività che queste istituzioni sviluppavano si annovera anche la creazione di una piccola biblioteca con volumi che venivano direttamente consegnati dal Ministero de Información y Turismo. Ad esempio, nel teleclub di Motilla Palancar (Cuenca) nell‟aprile del 1969 vennero inviati 85 testi di natura diversa, che, però, ci danno un‟idea della tipologia di produzione letteraria con la quale il regime nella sua fase finale desiderava che la popolazione rurale venisse a contatto153. Accanto

ad “innocui” testi di cultura generale geografica (opere che illustrano le bellezze turistiche di Granada, León o le Asturie, sulle costellazioni o il cielo…), l‟apertura ad un certo regionalismo (Cataluña sintesis de una región o Libro de Santiago), romanzi (La fuente como pajaro escondido di Jorge Urrutia, Londres ciudad centrífuga di Joaquín Merino o volumi su Manuel de Falla o Benito Pérez Galdós), si associano pubblicazioni antologiche del giurista e teologo Alfonso de Castro, su Garcilaso de la

Vega, dello scrittore realista Pedro Antonio de Alarcón, di quello che è ricordato come

il fondatore di Santiago del Cile, Pedro de Valdivia o del missionario francescano in California, Fray Junípero Serra; d‟altro canto, nella stessa lista di testi non mancano, accanto alle Leyes Fundamentales, opere di ispirazione cattolica, come La teología

moral en la historia de la salvación, la Eucaristia hoy, Abel in tierra de Caín, e rispetto alla

storia contemporanea spagnola rintracciamo due testi assai significativi, Gibraltar,

historia de una usurpación e Bibliografia de la Guerra de España di Ricardo de La Cierva.

A tutti questi elenchi di testi che venivano spediti senza grandi variazioni nelle differenti realtà spagnole, si aggiungono manuali di Educación Cívico-Social o Guía de

Formación Social. Rispetto al modello culturale del dopoguerra, per il Governo nelle

biblioteche degli spagnoli non doveva ora mancare la produzione culturale