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L A P ATOLOGIA DELL ’ ORGANO AMMINISTRATIVO : IL RUOLO DEL CONTROLLO INTERNO

4.2 G OVERNO D ’ IMPRESA , CONTROLLI E RESPONSABILITÀ : IL D LGS 231/2001 La qualità dei controlli interni è divenuta oggi indispensabile per gestire le

4.2.1 D AL D LGS 231/2001 ALLA RIFORMA DEI REATI SOCIETAR

Il decreto legislativo n. 231/2001, recante “la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, nasce con l’intento di colmare una evidente lacuna normativa presente nel nostro ordinamento, soprattutto se si pensa che la responsabilità delle “societas” è già una realtà in molti paesi europei162. Di seguito vengono evidenziati i riferimenti normativi che hanno dato luogo alla riforma sulla responsabilità (Tab. N. 2), sia a livello nazionale che comunitario.

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Effettivamente, la riforma, come si afferma nella relazione ministeriale al Decreto Legislativo , “appariva ormai improcrastinabile”. Da lungo tempo infatti, esigenze di armonizzazione e coordinamento con gran parte dei sistemi europei (così con Francia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Svezia, Finlandia), obbligavano il legislatore italiano alla scelta di “criminalizzare” gli enti collettivi.

Tab. N. 2 – Riferimenti normativi al Decreto Legislativo 231/2001 Il D. Lgs. 231/2001 ha dato attuazione alla:

 Legge delega 29 settembre 2000, n. 300, emessa a ratifica ed esecuzione

dei seguenti Atti Internazionali elaborati in base all'articolo K. 3 del Trattato dell'Unione Europea;

 Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità

europea – 1995;

 Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono

coinvolti funzionari della Comunità Europea o degli Stati membri dell'Unione Europea – 1997;

 Convenzione O.C.S.E. sulla lotta alla corruzione di Pubblici Ufficiali

stranieri nelle operazioni economiche internazionali, 1997. Fonte: ns elaborazione.

Il Governo italiano ha dunque dato applicazione alla legge delega n. 300/2000 con l’emanazione del decreto legislativo 231/2001 che rappresenta, una vera e propria “rivoluzione copernicana” nel settore del diritto societario italiano per i contenuti innovativi che lo contraddistinguono; al contempo, il Decreto in esame ha posto questioni giuridiche di rilevante interesse dogmatico, prima fra tutte quella relativa alla natura giuridica della responsabilità oggetto d’esame. In modo particolare, si è a lungo tempo messo in discussione se si tratta di una responsabilità amministrativa o penale quella che il legislatore italiano ha voluto riconoscere alla categoria delle persone giuridiche. In effetti, prima del tanto discusso Decreto Legislativo n. 231\2001, se certa ed assodata era la responsabilità civile dell’Ente, impossibile, invece, era il riconoscimento di una qualsiasi responsabilità penale dello stesso, a causa della disposizione contenuta nell’art. 27 della Costituzione, secondo cui “La responsabilità penale è personale” ove “personale”, stante ai lavori preparatori della Costituzione significa “per fatto proprio”, essendosi voluto espressamente escludere la responsabilità “per fatto altrui”; da qui nasce il principio “societas delinquere non potest”. Quest’ultima rappresenta, infatti, la formulazione con la quale si escludeva dal nostro ordinamento, in modo incontrovertibile fino a qualche tempo fa, una responsabilità penale in capo alle persone giuridiche.

Pertanto, con il decreto in questione, cade uno dei principi cardini nel nostro ordinamento163. Difatti, la presa d’atto che oggi alcune tra le più gravi forme di criminalità economica sono in realtà manifestazioni delle criminalità d’impresa e che la loro mancata punizione si traduce in un ingiustificato accollo di responsabilità ad altro soggetto, ha posto il problema del superamento del vecchio principio dell’esclusione della responsabilità penale delle persone giuridiche. Quindi se le persone giuridiche danno vita a “veri organismi naturali”, dotati di “volontà propria” come le persone fisiche, diventa possibile in vista di un rapporto di “immedesimazione organica” imputare all’Ente non solo gli atti leciti, posti in essere a suo nome da rappresentanti e/o amministratori, ma anche gli atti illeciti. Non si tratta dunque, di un di un illecito penale vero e proprio, né di un illecito amministrativo tradizionale: si tratta, invece, di una forma di responsabilità considerata un “tertium genus”164, che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo, nel tentativo di contemperare le ragioni della massima efficacia preventiva, con quelli ancora più ineludibili, della massima garanzia165. Quindi siamo di fronte ad una responsabilità definita formalmente amministrativa, ma al tempo stesso il legislatore ha disciplinato secondo schemi tipicamente “penalistici”, alcuni caratteri essenziali di tale responsabilità. Ma la collocazione della responsabilità dell’Ente nel sistema penale amministrativo impone comunque il suo assoggettamento a quanto disposto dall’art. 27 della Costituzione, vale a dire al principio di personalità della responsabilità penale. Vale a dire che, applicato all’Ente, il concetto di personalità o colpevolezza viene a tradursi nel requisito di “ragionevolezza”, intesa come “colpa o difetto di organizzazione”: l’Ente, pertanto, in ipotesi di commissione di reato da parte di uno dei suoi organi, risponde a titolo di responsabilità autonoma, per colpa, consistente proprio nella negligenza di non essersi

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Si veda in proposito la relazione al D. Lgs. N. 231/2001, al punto 1.1.

164 Si consulti a riguardo la relazione ministeriale del Decreto legislativo N. 231/2001, nonché Nuovi profili

di responsabilità della persona giuridica nel processo penale, a cura di GIUSEPPE ZANALDA, in “Il Fisco”, 2001.

165 Il legislatore nazionale, infatti, resosi conto del tradizionale ostacolo posto dall’art. 27 della Costituzione,

definisce “responsabilità amministrativa”, quando poi trova applicazione un controllo giurisdizionale compiuto dal giudice penale e con le forme a questo proprie. E difatti ciò si spiega sia con la considerazione che la responsabilità introdotta dal Decreto 231 consegue necessariamente alla commissione di un fatto di reato, sia per la gravità delle conseguenze (anche “capitali”) che ricadono sull’Ente: sanzioni pecuniarie, ma anche misure interdittive, quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca di autorizzazioni, il divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e simili.

dotato di un'organizzazione tale da impedire la realizzazione del tipo di reato verificatosi. Il legislatore chiaramente si è ispirato ad una logica di prevenzione generale negativa, con il chiaro intento di contrastare precise scelte di politica d’impresa, veicolo di molteplici illeciti penali. Il dato che emerge inconfutabile è unico: l’intento è stato quello di concepire e predisporre un modello di prevenzione efficace ed idoneo a fronteggiare la criminalità che può nascere e svilupparsi nell’impresa, soprattutto nei casi in cui ancorare la responsabilità dell’ente collettivo alla mediazione del singolo può comportare, di fatto, l’impunità di entrambi. Bisogna, in altre parole, giocare su una logica di prevenzione, implementando una strategia di contrasto alla moderna e sempre più invasiva politica criminale, convincendosi che rendere completamente irresponsabili le imprese, può significare spesso lasciare impunita tutta una serie di fatti costituenti reato.

Il Decreto Legislativo N. 231\2001 ha introdotto nell’ordinamento nazionale il rivoluzionario concetto di responsabilità amministrativa dell’impresa per reati commessi, in interesse di questa, da soggetti ad essa riconducibili, rappresentando un vero e proprio “contenitore” delle ipotesi di “corporate liability”, di quelle esistenti e di tutte quelle che saranno introdotte in un futuro prossimo. È opportuno, in effetti, definire quali manifestazioni dell’illegalità sia destinata a regolare questa poligenetica responsabilità delle persone giuridiche: il Decreto indica espressamente le ipotesi di reato per le quali scatta la responsabilità penale per le persone fisiche ed amministrativa per l’Ente. Il punto di partenza per l’attribuzione della responsabilità amministrativa agli Enti collettivi, ai sensi del Decreto in esame, è la “commissione o il tentativo” di uno dei reati dolosi ipotizzati dagli artt. 24 e seguenti. Tra le tipologie delittuose che il legislatore ha ritenuto di dover sanzionare con il coinvolgimento diretto dell’Ente, rientrano i reati concernenti la macroarea della truffa e dell’indebita percezione di erogazioni pubbliche. In particolare:

a) Corruzione di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio, compresa l’istigazione alla corruzione;

b) Concussione, ovvero adesione alla richiesta illegale avanzata da pubblico ufficiale o da incaricato di un pubblico servizio;

c) Malversazione a danno dello Stato o di altro Ente pubblico, come ad esempio finanziamenti pubblici che l’impresa destina a fini diversi rispetto a quelli per le quali i finanziamenti sono stati erogati;

d) Truffa a danno dello Stato o di altro Ente pubblico, compresa la truffa aggravata per il conseguimento, da parte dell’impresa, di finanziamenti pubblici;

e) Frode informatica a danno dello Stato o di altro Ente pubblico, come ad esempio l’alterazione del funzionamento di un sistema informativo o telematico dello Stato o di un Ente pubblico per procurarsi un ingiusti profitto166.

A questi si aggiungono altre ipotesi di reato con la Legge N. 409/2001, contenente disposizioni urgenti in vista dell’introduzione dell’euro e altro, all’art. 6 ha disposto l’introduzione nel D. Lgs. N. 231/2001 nuove ipostesi di reato sanzionando i delitti di falsità di monete, in carte di pubblico credito e in valori i bollo (art. 25 bis). Inoltre, la recente Legge Delega N. 366\2001 per la riforma del diritto societario, ha esteso l’applicazione della disciplina in esame anche ai nuovi reati societari che sono stati riformulati poi nel decreto legislativo delegato che n'è seguito (D. Lgs. N.61\2002); tra questi, in particolare, si segnala:

1) il falso in bilancio, il falso in prospetto o nelle comunicazioni sociali ed impedito controllo ad opera degli amministratori, dei direttori generali, dei sindaci e dei liquidatori (art. 25 ter).