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“Governace” è una parola che ha alle spalle una lunga storia. Deriva dal latino “gubernare” che significa “guidare” o “governare”, e viene utilizzata in Gran Bretagna già dal XIV secolo per indicare saggezza e senso di responsabilità. Il termine “governance” indica sia l’azione, sia il metodo di governo: termine quest’ultimo che viene utilizzato infatti in merito alle imprese.

Nella nostra lingua il termine Corporate governance non risulta agevolmente traducibile; talvolta si usa sostituirlo, con non poche difficoltà, con l’espressione italiana di governo societario. Tra le molteplici nozioni date di corporate governance nella letteratura, sia nazionale sia internazionale, spesso si preferisce quella di “il modo in cui le imprese sono governate e controllate”13. Tale sintesi, in particolare, è evocativa delle strutture e dei meccanismi attraverso i quali si esercita il governo economico dell’impresa, ossia si prendono le decisioni aziendali di fondo; il che equivale ad osservare i massimi organi di governo e di controllo societario (assemblea dei soci, consiglio di amministrazione, comitato esecutivo, presidente, amministratore delegato, collegio sindacale ecc.) nella loro composizione e modalità di funzionamento. Sono evidenti i riferimenti tra la nozione di corporate governance ed il sistema delle regole14 preordinate alla migliore realizzazione del processo decisionale aziendale che

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La definizione è fornita come abbiamo già accennato nel paragrafo preced. dal Cadbury Committee. Nel 1992, la Borsa di Londra e l’ente di rappresentanza della professione contabile promossero la costituzione di un comitato sugli aspetti finanziari della corporate governance, noto come Cadbury Committee (dal nome del suo presidente, Sir Adrian Cadbury, appartenente ad una famiglia d’industriali e membro di numerosi consigli d’amministrazione di società quotate inglesi), che produsse un codice di Best Practice.

14 Si tratta di norme che possono avere natura diversa: legislativa, statutaria, negoziale, decisioni

giurisprudenziali, precetti di tipo consuetudinario o anche di semplice etica degli affari. Altrettanto vario può esserne il contenuto. Tra esse, vi sono ad esempio:

 le norme che regolano l’ingresso, la permanenza e la fuoriuscita di un soggetto da un’impresa, in stretta connessione con la forma giuridica di quest’ultima;

 le norme che regolano la partecipazione dei singoli alle scelte di gestione di carattere ordinario e straordinario (patti di sindacato, voto per corrispondenza, rapporti tra consiglio di amministrazione e amministratore delegato, ecc.);

 le norme che disciplinano le responsabilità e gli obblighi dei soggetti che compongono gli organi di governo economico, oltre che le procedure di controllo sul loro operato e la denuncia di irregolarità.

deve garantire il funzionamento e la sopravvivenza nel tempo dell’impresa, attraverso la valorizzazione del contributo e nell’interesse delle diverse categorie di interlocutori aziendali.

Altra definizione, che strettamente si ricollega alla precedente, è quella di Airoldi G. (1993) secondo cui la corporate governance è l’insieme di istituzioni, regole e meccanismi attraverso cui garantire il contemperamento di interessi diversi, e potenzialmente in contrasto tra loro, nell’attività d’impresa. In questa prospettiva, la corporate governance si sostanzierebbe in un insieme di strumenti formali e informali attraverso cui consentire a ogni categoria di portatori di interessi istituzionali di esercitare pressioni per indirizzare il governo economico d’impresa.

Trattando degli interlocutori aziendali ci si riferisce anzitutto ad azionisti (shareholders) e manager, soggetti cioè che presentano aspettative non sempre coincidenti e che sono istituzionalmente demandati ad esprimere gli organi massimi del governo societario.

Al riguardo l’accento è posto sui sistemi di governo delle grandi imprese -che in genere accedono al pubblico risparmio- , puntualizzando che il modello societario di grande impresa si caratterizza per la separazione fra proprietà e controllo, ovvero per il fatto che coloro i quali esercitano il controllo sulla gestione non sono proprietari (al 100%) dell’impresa.

In imprese, nelle quali la proprietà è separata dal controllo15, le funzioni dell’imprenditore classico, il quale è contemporaneamente sia proprietario che manager dell’azienda, vengono separate ed esercitate da differenti gruppi di individui. Questa separazione può causare due effetti contrastanti. Infatti essa può:

1. essere economicamente desiderabile e, quindi, efficiente, nel caso in cui la distribuzione della ricchezza e la distribuzione delle abilità manageriali non coincidano, come spesso accade nella realtà. La necessità di abilità e conoscenze

15 Si osservi che il termine controllo può essere variamente inteso, ma due significati in particolare

necessitano di chiarimento: la prima interpretazione è del termine francese “control” inteso proprio come espressione sintetica di ispezione, di verifica, di riscontro; la seconda espressione, di derivazione anglosassone “control” risulta adoperata come sinonimo di guida di governo dell’azienda. È nella seconda accezione che in questo contesto si utilizza tale termine. Pertanto il termine controllo si specifica in quello di controllo direzionale. “Il controllo direzionale si occupa dell’implementazione delle strategie e del raggiungimento delle finalità, e quindi opera affinché l’azienda attui le strategie in modo efficace ed efficiente.” R.N.ANTONY,D.W.YOUNG, 1992, p. 33.

specifiche rende indispensabile, per i possessori del capitale, delegare l’attività di gestione a coloro che detengono tali requisiti. L’Alta direzione, in tale maniera, sarà in grado di porre in essere le operazioni aziendali che ritiene più opportune per migliorare il processo di creazione di valore, dei cui risultati potranno beneficiare anche i soggetti portatori di interessi specifici non direttamente coinvolti nella gestione;

2. essere economicamente indesiderabile e, quindi, fonte di inefficienza, poiché chi detiene il controllo può avere (e spesso ha) interessi contrastanti rispetto a chi detiene la proprietà.

Il sistema di governo societario viene ad essere fortemente influenzato dalle caratteristiche (struttura in primis) dell’assetto proprietario dell’azienda. Ed infatti, al fine di limitare i danni derivanti dall’assunto di cui al punto sub 2), occorre costituire un sistema di governo aziendale che venga riconosciuto da parte degli investitori, sia attuali che potenziali16, come un efficace elemento di salvaguardia contro il rischio di espropriazione del valore creato tramite la produzione economica e che sia in grado di limitare la probabilità di scelte gestionali improprie in un’ottica di creazione di valore.

Infatti un’azionista difficilmente apporterà proprie risorse, nella dimensione che può ritenersi ottimale per accrescere il valore economico d’impresa, se ritiene che il sistema di governo aziendale non tuteli il proprio interesse a “ottenere un ritorno dal proprio investimento” (Shleifer A., Vishny R., 1995).

In tal senso, l’attenzione si focalizza, quindi, sulle relazioni tra alta direzione, consiglio di amministrazione e azionisti, tralasciando le relazioni intercorrenti con altri eventuali portatori di interessi specifici. Una tale visione della corporate governance è dominante nella scuola di management anglo-americana tradizionalmente ancorata al mito della superiorità degli interessi degli azionisti.

Nella dottrina economico-aziendale italiana, la concezione di corporate governance tende ad avere una valenza più ampia: il quadro di riferimento teorico non assume come legittimi stakeholders solo gli azionisti. Il fatto è, che la capacità di creare valore nel tempo passa attraverso il consenso anche di altri stakeholders strategici, che, a

16 In termini più rigorosi, il ragionamento vale sia per i fornitori di capitale cosiddetto di rischio, sia per quelli

di capitale di credito, nel caso in cui (fallimento de jure o de facto) l’impresa si trovi nell’impossibilità di remunerare tale capitale in maniera congrua.

vario titolo, offrono fattori produttivi e vari contributi all’attività d’impresa; è questo il caso del personale in genere, degli istituti finanziatori, dei clienti, dei fornitori e degli altri partner industriali, ma anche della comunità in senso lato. L’impresa, per durare nel tempo, deve assicurare adeguata soddisfazione alle attese dei suoi diversi interlocutori perché, ove non si dimostrasse in grado di farlo, verrebbe abbandonata a vantaggio di altre aziende che, meglio di lei, ne venissero giudicate capaci.

Secondo tale e più ampio modello, detto stakeholder model, il compito di un buon sistema di governo aziendale è quello di evitare che i soggetti che gestiscono l’impresa pongano in essere azioni al fine di perseguire i propri interessi anche quando ciò avviene a scapito di quelli degli altri stakeholders legittimi, appropriandosi di quella parte del valore creato che, ottenuta con i contributi determinanti dei secondi, spetterebbe loro sotto forma di più “adeguate” ricompense. Si badi bene che dotare il sistema di governo d’impresa di un complesso di regole e meccanismi idonei a gestire possibili divergenze tra i principali soggetti partecipi al destino dell’impresa, in vista della realizzazione di un equilibrio dinamico tra i contributi ricevuti dall’azienda e le ricompense ai soggetti che le hanno fornite, non risponde solo ad un generico principio di equità sociale, ma getta le basi perché l’impresa, attraverso l’attività di produzione economica, crei nuovo valore. Entrando nel dettaglio, è facile ad esempio dimostrare come gli interlocutori aziendali mostreranno una maggiore o minore propensione a mettere a disposizione dell’impresa le risorse e le energie necessarie ai fini produttivi in ragione della percezione che essi hanno dell’adeguatezza del sistema di governo, soprattutto in termini di correttezza e trasparenza dei criteri seguiti nel ripartire il nuovo valore economico in corso di formazione. Un razionale agente economico (sia esso azionista, manager, collaboratore a qualunque titolo, partner industriale e finanziario ecc.) difficilmente apporterà le risorse controllate nella dimensione ottimale per accrescere il valore economico d’impresa, se ritiene che la propria posizione non sia sufficientemente tutelata dal sistema di governo aziendale. Regole di buon governo, idonee cioè a suscitare la fiducia degli stakeholders, rappresentano dei potenti incentivi per promuovere la capacità di impegno dei diversi interlocutori aziendali e, quindi, costituiscono una condizione essenziale per la creazione di nuovo valore economico da parte dell’impresa.

Scopo ultimo di un sistema efficace di corporate governance è quello di favorire la creazione di ricchezza o di valore per l’intero sistema aziendale.

Il modello di corporate governance secondo lo stakeholder model può essere schematizzato come segue:

Figura 1 -Stakeholder model-

Dove l’Alta direzione deve render conto delle proprie azioni non solo agli azionisti, ma anche ai dipendenti, ai creditori, ai clienti e fornitori e alla comunità locale17.

Nel processo di formulazione delle strategie, la produzione di stakeholder value (valore inteso ad “ampio raggio”) diviene un imperativo economico tanto quanto è lo shareholder value, di consolidata ed universale accettazione. La creazione di nuovo valore nel medio lungo termine è riqualificato, cioè, come accrescimento del benessere dell’impresa, il quale deve “istituzionalmente accompagnarsi con l’accrescimento del benessere fruibile da parte di tutti i protagonisti, nell’ambito di uno schema in cui alla confligenza tra gli interessi si sostituisca progressivamente la cooperazione” (Cattaneo M., 1993).

Il riconoscimento dell’esistenza di numerose categorie di soggetti operanti all’interno e all’esterno del complesso aziendale infatti, coinvolge in diversi modi gli effetti della sua gestione, complica notevolmente il processo decisionale svolto dagli

17 L’inclusione della comunità locale serve a tener conto anche delle esternalità che può produrre l’attività

d’impresa. Azionisti Lavoratori Comunità locale Alta direzione Creditori Fornitori e clienti Corporate Governance

amministratori dell’impresa, in quanto determina l’esigenza di soddisfare svariati bisogni, ciascuno dei quali costituisce, teoricamente, un fine da raggiungere per l’impresa e, allo stesso tempo, implica la necessità di raggiungere molteplici obiettivi che rappresentano la premessa indispensabile per la soddisfazione di ciascun bisogno.