Il 7 agosto 2004 due intermediari d’affari vengono arrestati con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, nell’ambito dell’indagine sugli appalti ENIPOWER, società del Gruppo Eni che si occupa di sviluppare le attività elettriche.
L’indagine ha ad oggetto presunte tangenti pagate per gli impianti della società, e coinvolge un funzionario Enipower, che sarebbe stato il destinatario di una serie di “bustarelle”. Quest’ultimo viene immediatamente licenziato dall’Eni.
Le tangenti, secondo l’inchiesta, avevano lo scopo di permettere alle società cui i corruttori appartenevano di:
• vincere le gare e ottenere gli appalti;
• non subire eccessivi controlli durante l’esecuzione dei lavori.
A seguito della notizia del coinvolgimento del funzionario Enipower, le società interessate dallo scandalo (cioè quelle che versavano tangenti per vincere gli appalti Enipower) sono di nazionalità italiana, belga e svizzera.
Esse avrebbero versato, secondo l’accusa, alcuni milioni di euro su conti correnti esteri e italiani messi a disposizione dai due intermediari arrestati, che fungevano da “collettori” di tangenti.
I numeri del Caso Enipower
Gli iscritti al registro degli indagati per il Caso Enipower sono saliti a circa 70. Di questi nomi, 50 fanno riferimento a persone fisiche e 20 a persone giuridiche, altre società che rispondono a loro volta di violazione del Decreto 231/2001.
Secondo l’accusa, gli intermediari indagati avrebbero messo a disposizione dei manager di Enipower conti correnti italiani ed esteri per far transitare le tangenti, per l’ammontare di almeno 400.000 euro. Il giro complessivo delle mazzette arriverebbe a circa 5 milioni di euro.
Le percentuali delle tangenti andavano dall’1 al 5 per cento del valore degli appalti.
Le società fornitrici di Enipower – italiane e straniere – che risultano coinvolte dal procedimento (e che Eni ha ordinato di sospendere dalle gare d’appalto) sono 12.
4.7 GLI STRUMENTI A DISPOSIZIONE PER PREVENIRE LA RESPONSABILITÀ
Si assiste da alcuni anni ad un progressivo processo di cambiamento tendente a rafforzare l’impostazione relazionale del modello italiano di corporate governance ed
al tempo stesso a creare le condizioni per l’assimilazione dei risvolti positivi del modello a controllo di mercato.
Un forte impulso in tali direzioni è stato dato dal Decreto Legislativo n. 58 del 24/2/98, (e successive modifiche) meglio conosciuto come T.U.F. (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) o anche “Decreto Draghi”, il quale, limitatamente alle società quotate:
ha regolamentato le offerte pubbliche di acquisto e di scambio, rendendo più trasparente la struttura delle stesse e più realizzabile la contendibilità degli assetti proprietari d’impresa186;
ha esteso la capacità di controllo e di intervento degli azionisti, soprattutto quella degli investitori istituzionali, nel monitoraggio sulla gestione, introducendo una serie di previsioni a tutela delle minoranze187;
ha ampliato e riveduto il ruolo del collegio sindacale, la cui composizione deve garantire anche la rappresentanza delle minoranze, e il ruolo delle società di revi- sione188;
ha contribuito alla diffusione dell’informazione societaria, premessa fondamentale dello svolgimento efficace dell’azione di controllo del mercato189.
Occorre osservare che il grande merito del legislatore delegato è stato quello di comprendere l’importanza di lasciare ampio spazio all’autoregolamentazione; infatti il Testo Unico della Finanza fissa le linee generali all’interno delle quali trovano spazio integrazioni connesse all’opportunità di adattare le norme alla singola realtà aziendale e di stabilire regole di Best practice, come è avvenuto attraverso la predisposizione, da parte della Borsa s.p.a., del codice di autodisciplina delle società quotate. Quest’ultimo, pur non avendo ovviamente la stessa valenza regolamentare, completa la normativa esistente, prevedendo importanti indicazioni che riguardano il consiglio di amministrazione, il management, il sistema dei controlli interni. Tali aspetti risultano
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Articoli dal 102 al 112.
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Al riguardo è da segnalare la facoltà di votare per corrispondenza (art. 127) e per delega (articoli dal 136 al 144); ma anche la possibilità per gli intermediari di rappresentare i loro clienti secondo le indicazioni e i limiti dell’art. 24 lettera “e”.
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Si vedano gli articoli dal 148 al 165 del T.U.F.
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di fondamentale rilevanza in un sistema di governo societario adeguatamente indirizzato a massimizzare la creazione di valore.
D’altra parte, si assiste invece all’esigenza in virtù del D.lgs 231/2001 e dei reati societari all’applicazione delle Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D. Lgs. n. 231/2001 approvate da Confindustria nel 2002 meglio definite nel 2004.
Esso, in analogia con le Linee Guida, intende fornire un quadro di riferimento per le imprese disposte a far fronte al rischio di sanzioni pecuniarie a loro carico in caso di commissione di reati societari. Inoltre, il testo non menziona esplicitamente i due elementi che caratterizzano il D. Lgs. n. 231/2001 – il “Modello di organizzazione, gestione e controllo” e “l’Organismo di vigilanza” – il riferimento ad essi può ritenersi implicito per effetto dell’inquadramento della norma nella disciplina citata.
Anche i recenti casi che hanno visto il coinvolgimento di note aziende nazionali ed internazionali per alcuni reati previsti dal decreto hanno messo in luce la necessità per le imprese di dotarsi di un Modello di organizzazione, gestione e controllo (“Modello organizzativo”) che, ancorché facoltativo, possa permettere a talune condizioni di esimere o attenuare la responsabilità dell’ente, preservando l’interesse dei vari stakeholders.
Tutto ciò è reso possibile dal fatto che il legislatore da un lato, e la prassi dall’altro, hanno prodotto un modello di governance puntuale nella definizione di massima dei poteri e delle funzioni di amministrazione e controllo, ma al tempo stesso flessibile nella configurazione complessiva di dettaglio degli assetti istituzionali e di governo societari.
Compito dell’ente è perciò quello di pensare e programmare la fisionomia delle proprie società di capitali, scavando tra le norme giuridiche, le raccomandazioni della prassi, le linee guida, dotandole di un’architettura dei poteri e dei controlli che possa renderle realmente soggetti nuovi ed autonomi, pronti ad affrontare e ad assecondare le sfide di mercato.