congiunti: patrimoniale, morale, esistenziale e biologico (cenni e rinvio)
Le conseguenze della malpractice medica sono, di regola e in via generale, rappresentate da un evento dannoso, naturalisticamente percepibile, quale il peggioramento delle condizioni di salute del paziente, le lesioni che il medesimo potrebbe aver riportato, sino all’ipotesi più grave del decesso. Oltre al diritto alla salute e alla vita, la condotta del medico può arrecare pregiudizio anche ad altri valori, costituzionalmente tutelati, che fanno capo al singolo individuo. Basti pensare, sotto questo profilo, alla sopravvenuta impossibilità di svolgere le proprie occupazioni professionali, di attendere alle personali abitudini di vita quotidiane, ovvero, come nel caso oggetto della presente riflessione, di gestire e programmare la propria esistenza familiare. In aggiunta a ciò, le conseguenze dannose finiscono, spesso, con l’avere ripercussioni anche su parenti e prossimi congiunti del malato.
La nascita di un bambino malformato può rivelarsi causa di un danno risarcibile nei confronti di ciascun membro del nucleo familiare: imputato il fatto dannoso alla condotta del medico e accertata la colpevolezza di quest’ultimo, la valutazione si sposta ora sul diverso piano dei danni risarcibili e dei soggetti lesi, al fine di considerarne gli estremi per la legittimazione attiva.
Per “danno risarcibile” deve, anzitutto, intendersi la conseguenza pregiudizievole della lesione di un interesse giuridicamente rilevante51; esso rappresenta il vulnus arrecato ad una qualsivoglia situazione giuridica soggettiva attiva52 (diritto soggettivo assoluto, diritto
51 U.B
RECCIA,L.BRUSCUGLIA,F.D. BUSNELLI,F.GIARDINA,A.GIUSTI,M.L.LOI,E. NAVARRETTA,M.PALADINI,D.POLETTI,M.ZANA,Op. cit., 666-667.
52 A questo proposito è opportuno operare una distinzione tra “danno patrimoniale” e
“danno non patrimoniale”: mentre il primo, infatti, è risarcibile con riferimento a qualsivoglia situazione giuridica lesa (patrimoniale e non), il secondo lo è solo «nei casi determinati dalla legge» (art. 2059 c.c.), cioè esclusivamente nell’ipotesi in cui sia stata leso un diritto inviolabile dell’uomo.
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soggettivo relativo, interesse legittimo), a condizione che tale situazione giuridica sia presa in considerazione dall’ordinamento, sia, cioè, direttamente o indirettamente tutelata da norme di legge e che, dalla lesione di suddetto diritto o interesse sia derivata, per consequenzialità diretta, «la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse
(o il diritto), secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega»53. Si è visto, infatti, che l’an (così come il quantum) del danno non può ritenersi presunto ed implicito, ma
necessita di essere opportunamente provato in sede giudiziale. E’ necessario, cioè, dimostrare di fronte al giudice come dalla lesione di un interesse protetto siano derivate conseguenze pregiudizievoli nella sfera personale o patrimoniale dei soggetti coinvolti54.
Nel caso di omessa diagnosi prenatale, ad esempio, il diritto ad interrompere la gravidanza costituisce una situazione giuridica attiva espressamente riconosciuta e tutelata nell’ordinamento. Il fatto che la gestante non sia messa nelle condizioni di esercitare suddetto diritto (data l’incompletezza o l’assenza di informazioni circa la salute del concepito) può andare a ledere quel bene della vita rappresentato dal suo interesse a pianificare le proprie scelte familiari e a godere di un
ménage domestico conforme ai propri desideri e alle proprie aspettative.
Quello di non avere figli, o di avere una discendenza sana, non costretta ad una vita breve e segnata dalla malattia, costituiscono interessi che trovano specifica copertura costituzionale agli artt. 2 e 29 Cost., ma che devono essere in ogni caso “bilanciati” con quelli che l’ordinamento stesso riconosce a favore del nascituro.
Nei confronti della gestante-paziente la condotta (inadempimento) del professionista sanitario può cagionare pregiudizi di natura sia
53 Cit. Cass., SS.UU., 22 luglio 1999, n.500, in Foro it., 1999, I, 2487 ss..
54 Nell’ambito della responsabilità medica la lesione di una situazione soggettiva
protetta non può di per sé bastare all’attivazione del rimedio risarcitorio, ovviando alla concreta verifica dell’effettiva sussistenza di danni derivati alla vittima, pregiudizi che, viceversa, andranno allegati e opportunamente provati.
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patrimoniale che non patrimoniale. Ciò che muta nei due casi è la funzione della responsabilità: compensativa, dunque riparatoria di una perdita economica, nel primo tipo di danno, solidaristico-satisfattiva, nel secondo. In ogni caso, se il medico non adempie esattamente alle sue obbligazioni, egli sarà chiamato a risarcire tutte le conseguenze prodotte dalla propria condotta ex art. 1223 c.c.55.
Per quanto concerne il danno patrimoniale, i giudici hanno individuato tale pregiudizio negli oneri economici relativi alle spese di mantenimento ed educazione di un figlio malato, nel rimborso delle
«spese mediche già sopportate e che dovranno essere sopportate in futuro»56: il quantum liquidato dovrà, in ogni caso, tener conto del
«differenziale tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto da grave handicap o deficit»57, secondo quanto stabilito dalle più recenti pronunce giurisprudenziali. Sul piano del lucro cessante ha, invece, assunto rilevanza come la presenza di un figlio diversamente abile necessiti di una cura e un’attenzione tali da ridurre il tempo che il genitore può dedicare alle proprie attività professionali e lavorative. In
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L’art. 1223 c.c., “Risarcimento del danno”, stabilisce che «Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta». La norma opera anche in ambito aquiliano in virtù del rinvio ad essa operato dall’art. 2056 c.c., 1° comma, «il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli artt. 1223, 1226 e 1227».
56 Così, ad esempio, Cass., 10 maggio 2002, n.6735, cit..
57 Cit. Cass., 4 gennaio 2010, n.13, in Danno e resp., 2010, 697 ss., con nota di M.
FEOLA, La Cassazione e il diritto del minore a nascere sano. La risarcibilità del danno patrimoniale nei casi di omessa diagnosi prenatale è stata a lungo messa in discussione. Secondo un primo, oggi superato, orientamento, infatti, la legge 194/1978 in materia di i.v.g. sarebbe preordinata a tutelare la salute, e non il patrimonio, della donna, e pertanto gli unici danni risarcibili in caso di lesione del diritto di aborto sarebbero dovuti essere unicamente quelli scaturenti dalla violazione del bene protetto dalla norma. I danni patrimoniali il cui ristoro potrebbe essere accordato alla gestante sarebbero quelli rappresentati dai «costi economici necessari a rimuovere le difficoltà economiche idonee ad incidere negativamente sulla salute della donna». Cit. Cass., 8 luglio 1994, n.6464, in Corr. Giur., 1995, 91.
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questo senso, pertanto, il risarcimento dovrà compensare l’eventuale diminuzione del reddito58.
A ciò si aggiunge il ristoro del danno non patrimoniale in tutte le sue distinte componenti (danno biologico, morale ed esistenziale), secondo quell’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale che ne ammette la risarcibilità anche in caso di responsabilità contrattuale, pur in assenza di una fattispecie di reato, ma in presenza della lesione di un diritto inviolabile59. Dalla nascita di un bambino malformato può, anzitutto, derivare un danno alla salute della madre: normalmente sotto questo profilo viene dedotta in giudizio l’esistenza di una sindrome depressiva, quindi di un danno biologico di natura psichica. Dall’analisi delle principali pronunce in materia si ricava che vi sono anche altri fattori presi in considerazione dalla giurisprudenza al fine di monetizzare il danno in esame: la sofferenza morale causata dalla perduta possibilità di ricorrere alle pratiche dell’i.v.g.; l’ansia e la preoccupazione per le sorti del figlio malato; il sensibile cambiamento delle abitudini di vita, prodotto della necessità di assistere una persona invalida; la mancanza di una opportuna preparazione psicologica di fronte alla realtà di un figlio menomato, dunque il trauma che può esserne seguito; l’età e la conseguente possibilità di avere altri figli.
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A titolo di esempio può essere nuovamente richiamata Cass., 10 maggio 2002, n.6735, laddove si afferma che il danno patrimoniale consiste anche nella «diminuzione di reddito» derivante dalla «limitazione del tempo da dedicare all’attività professionale».
59 Sulla questione della risarcibilità del danno non patrimoniale (vicenda che a lungo
ha animato il confronto giurisprudenziale e dottrinale) si veda Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 29674, 29675, in Resp. civ. e prev., 2009, 39 ss., con note di MONATERI, E. NAVARRETTA, D. POLETTI, ZIVIZ, in particolare si veda E. NAVARRETTA,Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, 63; in Foro it., 2009, 120 ss., con note di A. PALMIERI, R. PARDOLESI, SIMONE, G. PONZANELLI, E. NAVARRETTA, «se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell’adozione di responsabilità contrattuale».
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Come si è detto, tali considerazioni possono rilevare, oltre che nei riguardi della paziente, anche nei confronti dei suoi prossimi congiunti. Se è facile intuire come i problemi attinenti la salute del nascituro possano aver richiamato l’attenzione i giudici rispetto alla possibilità di offrire a questi tutela giudiziale, la valutazione dei risvolti negativi della “nascita indesiderata” sul piano “esistenziale” (oltre che su quello della salute) dei soggetti coinvolti dalla vicenda procreativa ha consentito ai giudici di prendere in considerazione, a fianco di quella della gestante, anche la posizione del padre del bambino, nonché, in tempi recenti, quella degli eventuali altri figli già nati.
In dottrina e giurisprudenza è, infatti, pacificamente ammessa la legittimazione di tale categoria di soggetti ad esercitare l’azione risarcitoria contro il professionista sanitario (o la struttura presso cui svolge il suo lavoro) che abbia tenuto un comportamento contrario ai suoi doveri. Si tratta di individui che la Corte di Cassazione ha frequentemente riconosciuto come lesi in ragione degli effetti protettivi che il c.d. “contratto di spedalità” produrrebbe anche nei loro confronti. La tutela viene così accordata «oltre al paziente, a soggetti terzi, ai
quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita, ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata»60.
Ai danni subiti dalla paziente vanno, dunque, aggiunti quelli patiti dai suoi prossimi congiunti, individui che, per quanto estranei al rapporto terapeutico, possono ugualmente subire pregiudizi dalla condotta illecita del sanitario: per la Corte di legittimità anche il danno della vittima secondaria trova causa (diretta ed immediata) nel fatto illecito che colpisce la vittima primaria. Nell’individuazione e selezione, poi, delle vittime secondarie aventi diritto al risarcimento del danno, il
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criterio da adottare è quello della titolarità di una situazione qualificata dal rapporto, di natura familiare, che le lega al contraente-creditore. Il danno-evento cagionato nei loro confronti diviene quindi suscettibile di considerazione anche sul piano dei danni-conseguenze per quanto attiene ai profili risarcitori.
Il ragionamento sarà ad ogni modo approfondito nel terzo ed ultimo capitolo di questa tesi.
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Capitolo 2
I
L DIBATTITO SULLA NATURA DELLARESPONSABILITÀ SANITARIA
SOMMARIO: 2.1 Introduzione – 2.2 Responsabilità contrattuale ed