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Ritorno alla prospettiva aquiliana? Decreto Balduzzi e la più

Si è già fatta menzione, nel primo capitolo, delle perplessità suscitate dal testo normativo citato in epigrafe rispetto al profilo della valutazione della colpa professionale del medico. In questa sede, si intende invece concentrare la riflessione sugli effetti che la riforma ha avuto riguardo alle elaborazioni giurisprudenziali descritte nei precedenti paragrafi.

Secondo l’art. 3 del decreto137

, è qui opportuno citarlo di nuovo, «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta del primo periodo»138. Mentre la prima parte della norma introduce una causa di non punibilità per il medico che, pur versando in colpa lieve, si sia attenuto alle leges artis, la seconda parte esclude che tale disposizione possa essere applicata anche all’area della responsabilità civile, rispetto alla quale egli sarà comunque chiamato a

136 Cfr. G. A

LPA, Op. cit., nota di commento a Cass. 589/1999; A. DI MAJO, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corr. giur., 1999, 451; E. NAVARRETTA Op. cit., 241-242.

137 D.l. 13 settembre 2012, n.158, convertito in legge 8 novembre 2012, n.189, c.d.

“riforma Balduzzi”.

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La disposizione in esame è, peraltro, l’unica, nell’ambito dell’intera riforma, ad occuparsi di disciplinare la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria. L’art. 3 introduce novità che incidono sia sull’an che sul quatum della responsabilità: sul piano penale, il legislatore ha introdotto una limitazione di responsabilità (an), sul piano civile ha previsto, al 3° comma della norma, l’applicabilità delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private al settore sanitario (quatum).

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rispondere, salvo il caso in cui non siano sussistenti i requisiti di cui all’art. 2043 c.c..

Il riferimento alla responsabilità extracontrattuale dell’esercente la professione sanitaria è ciò che ha suscitato maggiori problemi interpretativi. Prima della conversione in legge del decreto, il testo dell’art. 3 si limitava a statuire che, «fermo restando il disposto dell’art

2236 c.c., nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’art 1176 c.c., tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale». Tale norma, nella sua originaria stesura, interveniva

dunque solo sul versante civilistico della responsabilità del medico e, tramite il richiamo all’art. 2236 c.c., sembrava confermarne la natura contrattuale, avvallando implicitamente gli approdi giurisprudenziali in materia139. La redazione iniziale, in assenza del rimando all’art. 2043 c.c., aveva come unico obiettivo quello di definire il concetto di diligenza professionale in ambito sanitario; il testo di conversione approvato dal Parlamento ha di fatto “stravolto” la disposizione precedentemente varata dal Consiglio dei Ministri, spostando l’attenzione dal profilo della responsabilità civile a quello della responsabilità penale del medico e circoscrivendo quest’ultima alle sole ipotesi di dolo e colpa grave.

Le modifiche apportate hanno sollevato importanti quesiti soprattutto riguardo al regime della responsabilità del medico e alla sua natura140: ci

139

La norma è stata oggetto di censura e modifica da parte della Commissione Giustizia sulla base della considerazione per cui, nella sua originale formulazione, risultava «in contrasto col principio costituzionale di ragionevolezza, in quanto per un medesimo fatto un soggetto potrebbe essere penalmente responsabile, ma non civilmente, rispetto ai danni derivanti dal reato commesso». Cit. in A. QUERCI,Le evoluzioni della responsabilità sanitaria, fra Riforma Balduzzi e novità giurisprudenziali,in Nuova giur. civ. comm., 2014, 15 ss..

140

I dubbi interpretativi sono limitati alla responsabilità del medico-persona fisica, dunque alla natura della responsabilità del medico dipendente, in quanto la norma parla espressamente di «esercente la professione sanitaria». Nulla, invece, si ritiene

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si è chiesti, in particolar modo, se il rinvio operato dal legislatore all’art. 2043 c.c. dovesse essere preso in considerazione quale generale “atecnico” richiamo alla responsabilità civile nel suo complesso, ovvero come un consapevole rimando alla sola e specifica disciplina dell’illecito aquiliano141

. La soluzione del quesito appare tutt’altro che di poco conto se si pone mente al fatto che il ritorno alla prospettiva aquiliana andrebbe a modificare radicalmente tendenze giurisprudenziali consolidate, oramai, da quasi un ventennio.

Le sentenze soffermatesi sull’impatto applicativo dell’art. 3 hanno fatto registrare esiti contrastanti: se, infatti, secondo la maggioranza delle pronunce (sia di merito che di legittimità) la natura della responsabilità del professionista sembrerebbe non essere stata in alcun modo intaccata dalla novella legislativa, pochi altri interventi giurisprudenziali, esclusivamente di merito, hanno optato per la soluzione opposta, ponendosi in linea con quella parte della dottrina che ha sostenuto la tesi di un sostanziale doppio binario di responsabilità142.

A questo proposito, i giudici della prima sezione del Tribunale di Milano con due recenti sentenze143, lungi dal considerare il riferimento

essere cambiato per le strutture sanitarie, la cui responsabilità era e continua ad essere unanimemente considerata contrattuale, e per il libero professionista, il cui rapporto con il paziente è indiscutibilmente caratterizzato dalla conclusione di un contratto d’opera. L’orientamento dottrinari che ravvede nel richiamo all’art. 2043 c.c. una riqualificazione in termini extracontrattuali anche della responsabilità della struttura sanitaria è ad oggi minoritario.

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A.QUERCI,Le evoluzioni della responsabilità sanitaria, fra Riforma Balduzzi e novità giurisprudenziali,in Nuova giur. civ. comm., 2014, 15 ss..

142 Cfr. L.M

ATTINA, “Legge Balduzzi”: diventa extracontrattuale la responsabilità del medico?, in Danno e resp., 2015, 60 ss.. Secondo questa tesi, sostenuta da una parte minoritaria della dottrina, la responsabilità civile del medico dipendente avrebbe natura extracontrattuale, a differenza della struttura sanitaria che, invece, risponderebbe, sulla base del “contratto di spedalità”, ex art. 1218 c.c..

143 Trib. Milano, 14 giugno 2014 e Trib. Milano, 17 luglio 2014; entrambe in Danno e

resp, 2015, 47 ss. e in Nuova giur. civ. comm., 2015, 96 ss., con nota di R.PUCELLA, Un improvvido legislatore fa più danno dei medici. Tra le Corti di merito favorevoli alla prospettiva aquiliana, si veda anche Trib. Varese, 29 novembre 2012; Trib. Torino, 26 febbraio 2013, con nota di V. CARBONE, La responsabilità del medico dopo la Legge Balduzzi, in Danno e resp., 2013, 367: «in tutti i casi in cui il medico sia chiamato a rispondere del suo operato, che questo sia penalmente rilevante o meno, significa che la responsabilità del medico è extracontrattuale. Questo getta alle

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alla lex Aquilia alla stregua di una semplice “svista” normativa, hanno ritenuto extracontrattuale la responsabilità sanitaria del professionista limitatamente ai casi oggetto della teoria del contatto sociale. Secondo questa impostazione, ciò apparirebbe conforme ed in linea con la volontà della riforma di restringere e limitare la responsabilità (risarcitoria) derivante dall’esercizio delle professioni mediche, al fine di contenere la spesa sanitaria e porre rimedio al fenomeno della c.d. “medicina difensiva”144

. Tanto più che il 3° comma della stessa norma si occupa di comprimere ulteriormente tali ipotesi di responsabilità attraverso una limitazione dell’entità del danno biologico risarcibile al danneggiato145.

Questa posizione mira dunque a ricondurre il dato letterale della disposizione all’aspetto teleologico della ratio legis.

Del tutto opposto è invece l’orientamento portato avanti, pochi mesi più tardi, dalla quinta sezione dello stesso Tribunale146. L’organo giudicante in questione ha ritenuto che, con la disposizione in parola, il legislatore abbia inteso unicamente sancire l’esonero da responsabilità penale del medico che, pur versando in colpa lieve, si sia diligentemente attenuto alle linee guida accreditate dalla comunità scientifica, senza

ortiche la utilizzabilità in concreto della teorica del contatto sociale, e porta la lite all'interno della responsabilità aquiliana, con conseguente spostamento dell'onere probatorio tutto a carico della parte attrice». Tuttavia è da osservare che mentre quest’ultima pronuncia (rimasta isolata) riconduce al parametro dell’art. 2043 c.c. la responsabilità sia del medico che della struttura sanitaria, con superamento quindi anche del c.d. contratto di spedalità, il decisum del Tribunale di Varese limita il riferimento testuale della norma alla figura del medico persona fisica.

144 Secondo Trib. Milano, 17 luglio 2014, «la citata legge del 2012 induce a rivedere il

diritto vivente […] il tenore letterale del comma 1 dell’art. 3 e le esplicite finalità perseguite dal legislatore del 2012 non sembrano legittimare semplicisticamente un’interpretazione della norma nel senso che il richiamo all’art. 2043 c.c. sia atecnico o frutto di una svista».

145 Art. 3, 3° comma: «il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della

professione sanitaria e' risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo».

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tuttavia che tale esclusione precluda di per sé l’insorgenza di una obbligazione risarcitoria a beneficio del paziente che, per effetto della condotta medica, abbia sofferto un danno alla salute.

A conclusioni analoghe è giunto anche il Tribunale di Brindisi, secondo cui l’inciso di cui all’art. 3 esprimerebbe la volontà del legislatore di ribadire l’assenza di un vero e proprio vincolo inter partes, senza che, tuttavia, a ciò possa e debba essere attribuito l’ulteriore significato di limitare le azioni esperibili dall’assistito nei confronti del professionista147. D’altronde, a detta del giudice pugliese, l’eventuale adesione (pur paventata in dottrina) ad una interpretazione diversa, nonché rivoluzionaria, rispetto a quella oramai consacrata con Cass. 589/1999, avrebbe richiesto «una previsione espressa ed esplicita (del

tipo: “il medico risponde solo ex art. 2043 c.c.”)», che invece, nella

normativa in esame, manca148. Nonostante il tenore letterale della riforma del 2012, nulla quindi sembra essere cambiato e, ancora oggi, al paziente è fatta salva la possibilità di esperire azione aquiliana da sola, ovvero in alternativa a quella da inadempimento, fondata sul “contatto sociale”. Peraltro, secondo il Tribunale di Arezzo, l’espressione «resta

147 Trib. Brindisi, 18 luglio 2014, in Danno e resp., 2015, 56. Il giudice di merito, a

distanza solo di un giorno dalla più recente delle due già richiamate pronunce del Tribunale di Milano, dimostra di conformarsi pienamente alla teoria del contatto sociale: «il medico anche dopo il Decreto Balduzzi continua a rispondere sulla base delle regole della responsabilità contrattuale, e ciò quand’anche difetti un vero e proprio contratto quale momento genetico del rapporto professionista-paziente. Ciò in virtù del c.d. contatto sociale […] In tale contatto rinviene la propria fonte un rapporto il cui contenuto non consiste nella “protezione” del paziente, bensì in una prestazione che si modella sul contratto d’opera professionale e alla quale il medico è tenuto in virtù dell’esercizio della propria attività nell’ambito ospedaliero. […] Peraltro il suindicato principio può essere esteso a qualunque soggetto che eserciti una professione c.d. protetta (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato), specie quando l’esercizio della stessa incida su beni costituzionalmente garantiti […] Nell’ipotesi del contatto sociale, deve escludersi la configurabilità di una responsabilità di tipo aquiliano, prefigurandosi, invece, una responsabilità di tipo contrattuale. Infatti, la responsabilità sia del medico dipendente che dell’ospedale derivano eziologicamente dall’inadempimento delle obbligazioni ai sensi dell’art. 1218 c.c.».

148

Anche volendo optare per l’interpretazione aquiliana, il Tribunale di Brindisi ritiene che quest’ultima troverebbe applicazione solo con riferimento ai casi di colpa lieve e non anche a quelli di colpa grave o dolo.

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fermo l’obbligo» sembrerebbe più un rimando al consolidato diritto

vivente, piuttosto che un revirement da parte del diritto positivo. L’art. 3, inoltre, riferendosi “all’esercente la professione sanitaria” allude al medico-persona fisica, ragione per cui la rigida applicazione della normativa condurrebbe all’estensione dell’art. 2043 c.c. anche ad ipotesi

«pacificamente contrattuali», quali la vicenda del libero professionista

scelto dal paziente149.

Similmente, il Tribunale di Pisa, con specifico riferimento ad un caso di intervento di isterectomia totale con effetti invalidanti, ha continuato ad affermare che: «in tema di responsabilità professionale del chirurgo

e della struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata,, sussistendo un rapporto contrattuale (quand’anche fondato sul contatto sociale), in base alla regola dell’art. 1218 c.c., il paziente ha l’onere di allegare l’inesattezza dell’inadempimento, non la colpa né tantomeno la gravità di essa, dovendo il difetto di colpa o la non qualificabilità della stessa in termini di gravità (nel caso di cui all’art. 2236c.c.) essere allegata e provata dal medico»150.

Tali orientamenti sono stati ribaditi anche da una pronuncia della Corte di Cassazione, con la quale, sebbene unicamente in un obiter

dictum, il Collegio di legittimità ha spiegato il richiamo alla norma

cardine dell’illecito aquiliano osservando che la lesione di diritti umani inviolabili, quali la salute, trovando origine al di fuori del contratto, legittima l’applicazione della clausola generale di neminem laedere, ma

«la materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per quella c.d. contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale»151. Per questo, la Corte ha proceduto poi con

149 Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013. 150 Trib. Pisa, 27 febbraio 2013. 151

Cit. Cass., 19 febbraio 2013, n.4030. con riferimento alla scarsa chiarezza terminologica ed ai dubbi sollevati dal decisum in esame si veda A.QUERCI, Op. cit.. Alla sentenza è seguita poi un’ulteriore conferma l’anno successivo, Cass., 17 aprile

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l’applicare il regime di ripartizione dell’onere della prova discendente dall’art. 1218 c.c., richiamandosi ai principi da essa già affermati nel 2008ed ai contratti di protezione, ed affermando che spettava ai medici ed alla struttura dimostrare l’esistenza di una complicanza non prevedibile e non prevenibile.

Questa, ad oggi, sembra essere l’interpretazione finale dell’art. 3. Nonostante siano trascorsi tre anni dall’entrata in vigore della riforma Balduzzi, è evidente come il dibattito in materia sia ancora vivace e tutt’altro che sopito. Il contrasto giurisprudenziale fin qui descritto, così come emerge dalla rassegna giurisprudenziale riportata in questa parte dell’elaborato, altro non è se non la diretta conseguenza dell’emanazione di un testo normativo niente affatto trasparente nei suoi contenuti. Come si è visto, al legislatore può essere fatto rimprovero sia di aver detto troppo e male (creando a quel punto un ingiustificato allarmismo per una parte della giurisprudenza in merito rispetto ad un possibile cambio di rotta della responsabilità medica), sia di aver detto troppo poco, di non aver espresso quindi con la dovuta chiarezza ciò che realmente intendeva realizzare, un revirement in materia sanitaria. Ad ogni modo, c’è anche chi sostiene che il contrasto, inconsapevolmente rappresentato dalle pronunce in commento, forse non è solo frutto di un fumoso ed infelice intervento normativo, ma sembrerebbe piuttosto portare a galla «un pregresso disagio della giurisprudenza di merito,

tenuta a confrontarsi sempre più con il tema della responsabilità medica ed il sistema di regole create per i sanitari e per le strutture ospedaliere»152. Non si può infatti ignorare come in Italia, negli ultimi anni, si sia registrato un rilevante incremento delle azioni giudiziali

2014, n.8940. Secondo quest’ultima il legislatore non avrebbe preso alcuna posizione in ordine alla qualificazione della responsabilità sanitaria, bensì si sarebbe limitato ad escludere l’irrilevanza della colpa lieve dal campo della responsabilità extracontrattuale. Cfr. L.MATTINA, Op. cit., 67.

152 Cit. L.M

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presentate nei confronti di strutture ospedaliere e personale sanitario153. Se in un passato, oramai lontano, le ipotesi nelle quali era riconosciuto il risarcimento a seguito di vicende di medical malpractice erano rare, nel presente si verifica il fenomeno opposto. L’eccessiva entità del contenzioso civile ha finito con il condurre al fenomeno della medicina difensiva, pericoloso per il professionista tanto quanto lo diviene per il paziente affidato alle sue cure. Si comprende allora l’esigenza, manifestata ad esempio dai giudici milanesi, di chiedersi se non sia arrivato il momento di valutare concretamente l’adesione ad un modello di responsabilità civile diverso da quello oramai consacrato dal diritto vivente, soprattutto con riferimento ai principi giurisprudenziali in materia di ripartizione degli oneri probatori.

Per quanto attiene strettamente alla ratio della riforma, sembra ad ogni modo più plausibile convenire con chi ritiene che, lungi dall’esprimere un’effettiva preferenza per un regime di responsabilità piuttosto che per un altro, il legislatore abbia inteso semplicemente rendere manifesta la volontà di non inserire una limitazione alla possibilità di esperire azione risarcitoria, qualora sia stata esclusa la responsabilità penale. La dottrina favorevole a tale impostazione fonda il proprio convincimento sulla base della considerazione per cui il richiamo all’art. 2043 c.c. è contenuto in un comma, il primo, dedicato, a ben vedere, alla responsabilità penale. La particolare collocazione sistematica induce allora la maggioranza degli studiosi a riconoscere la sostanziale inutilità del rinvio, visto che, in ambito civile, il risarcimento del danno sarebbe garantito anche nel caso in cui il medico sia stato penalmente assolto. Il pregiudizio, se provato in sede civile, è

153

M. ROSSETTI, Responsabilità sanitaria e tutela della salute, in Quaderni del Massimario, 2011, 2 ss., ricorda come il fenomeno sia in costante crescita riportando alcuni dati relativi l’attività svolta dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione: in tema di responsabilità sanitaria sono state aggiunte all’archivio Italgiure 60 massime nel periodo 1942-1990, 83 in quello 1991-2000, e ben 201 in quello 2001-2011.

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comunque suscettibile di ristoro e la sua liquidazione non cambia a seconda della natura, aquiliana o contrattuale, della responsabilità. Ecco dunque che quella della novella sembra essere solo una «mera petizione

di principio», volta a ricordare che l’assoluzione penale non mette in

discussione l’eventuale sussistenza dell’illecito civile154

.

La riforma avrebbe, invece, inciso più significativamente sul piano del quantum debeautur, mediante il rinvio alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private (a loro volta oggetto di modifica, in senso restrittivo, da parte della legge 24 marzo 2012, n.27, di conversione del d.l. 1/2012). Ciò è destinato a determinare una riduzione delle poste risarcitorie, in quanto, ad oggi, la tendenza è stata quella di fare ricorso alle Tabelle di Milano sul danno non patrimoniale, più remunerative per il danneggiato. In aggiunta, occorre ricordare che l’art. 3 stabilisce che, in caso di responsabilità per colpa lieve, della non gravità della colpa deve tenersi conto nella liquidazione del danno risarcibile, per cui si dovrebbe avere, anche sotto questo profilo, una riduzione dell’ammontare spettante al paziente leso155

. In tali profili, secondo buona parte della dottrina, sarebbe da rinvenire la vera finalità della norma in esame156.

Il 28 gennaio del 2016 la Camera dei Deputati ha approvato un nuovo testo di riforma per la materia sanitaria. Il disegno di legge, attualmente in discussione al senato, potrebbe introdurre novità significative sia sul piano della responsabilità penale, che su quello della responsabilità civile. Con riferimento a quest’ultimo ambito l’art. 7 del

154

Cfr. L. MATTINA, Op. cit., 66, che in aggiunta a ciò afferma che «l’omesso riferimento all’art. 1218 c.c. sarebbe ininfluente e quello alla lex aquilia definito piuttosto come “frutto del trascorrere dal piano penale a quello civile, ove il concetto di illiceità si lega quasi indissolubilmente all’art. 2043 c.c.».

155

G. IANNI, La responsabilità della struttura sanitaria come responsabilità contrattuale: in particolare la responsabilità per danni cagionati in occasione del parto ed il c.d. “danno da nascita indesiderata”. La c.d. riforma Balduzzi, relazione al Convegno del 14 dicembre 2012, organizzato dalla Camera civile di Lamezia Terme, in La nuova proc. civ., 2013.

156 Ancora A.Q

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testo approvato alla Camera stabilisce la natura contrattuale della responsabilità della struttura e quella extracontrattuale per l’esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività nell’ambito dell’ente o in rapporto convenzionale con il SSN.

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Capitolo 3

L

A TUTELA DELLE VITTIME SECONDARIE

DELL

ILLECITO NEL DANNO PRENATALE E NEL C

.

D

.

DANNO DA NASCITA INDESIDERATA

SOMMARIO: 3.1 Introduzione - 3.2 Il contratto e i terzi - 3.2.1 La protezione contrattuale del terzo: il “contratto ad effetti protettivi” nell’elaborazione tedesca - 3.2.2 La giurisprudenza italiana - 3.3 Il

nascituro quale autonomo centro di interessi giuridicamente tutelato -

3.3.1 Il “come” della tutela giuridica del concepito: danno al nascituro e