3.3 Il nascituro quale autonomo centro di interessi giuridicamente
3.3.2 La responsabilità contrattuale del professionista sanitario ne
confronti del nascituro
Se si accoglie la ricostruzione del fatto illecito sin qui prospettata non sembrerebbe esservi la necessità, quanto meno in linea teorica, di sollevare il problema della lex contractus.
Con riferimento alle controversie in ambito sanitario, l’orientamento degli organi giudicanti è stato di diverso avviso: sulla base della considerazione per cui il nascituro, pur non potendo divenire parte di un rapporto contrattuale, si trova comunque ad essere «punto di obiettiva
incidenza della prestazione» del ginecologo.
Può accadere, infatti, che la negligenza del professionista sanitario nell’assistere la gestante durante le diverse fasi della gravidanza vada a compromettere in modo irreversibile la salute di un feto che, in assenza del suo intervento, sarebbe nato sano. Si tratta, come si è già avuto modo di riconoscere, di illecite interferenze nell’integrità psico-fisica dell’individuo durante il corso della sua vita fetale.
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Dinanzi a simili controversie, i giudici italiani, posti di fronte alla difficoltà teorica di configurare il concepito quale parte del contratto di cura, hanno finito con il recepire la categoria del “contratto con effetti protettivi”, sulla scorta dell’ormai collaudata esperienza giurisprudenziale tedesca.
Se nessuna riserva può più nutrirsi in merito alla riconoscibilità e attualità del diritto alla salute del nascituro, altrettanto non può dirsi circa la strada percorsa per consentirgli di far valere le sue pretese risarcitorie. La soluzione contrattuale suscita riserve e perplessità soprattutto in vista delle evidenti (sole) ragioni di equità e di giustizia sostanziale che ne hanno guidato l’iter argomentativo.
Ciò premesso, per meglio inquadrare la casistica concreta di cui il presente elaborato intende occuparsi, risulta interessante procedere alla disamina di due note pronunce della Corte di legittimità: Cass., 22 novembre 1993, n.11503 e la più recente Cass., 11 maggio 2009, n.10741.
Entrambe le pronunce saranno analizzate con specifico riferimento al pregiudizio subito dal soggetto in fieri; pressoché indisputato è, infatti, in questi casi, il riconoscimento ai genitori di un’azione iure proprio, e non soltanto quali legali rappresentanti del nato. «Nel suo côte
patrimoniale tale riconoscimento implica che il mantenimento del figlio, oggetto di un obbligo legale, non è di meno suscettibile di integrare, in questi casi in parte, un peso economico ingiusto»222. Su questo fronte
alcune difficoltà sembrano persistere solo in punto di liquidazione, sia sotto il profilo della traduzione in moneta di interessi non patrimoniali, sia per i rischi di duplicazione delle poste di danno connessi alla natura plurioffensiva dell’illecito. La legittimazione contrattuale del minore ha riflessi pratici notevolissimi: infatti, se potesse agire solo la madre, a lei spetterebbe unicamente il risarcimento del danno derivante dall’inutile
222 Cit. D. C
ARUSI, Chiamati al mondo. Vite nascenti ed autodeterminazione procreativa, Torino, 2015, 5.
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esborso di spese mediche nonché dal prevedibile esborso di spese di assistenza , cura e mantenimento ulteriori rispetto a quelle “normali”. Il minore ha invece diritto a chiedere il risarcimento da invalidità permanente, nonché il danno biologico, sicuramente tra le voci più elevate nei casi di responsabilità medica neonatale.
Considerazioni diverse saranno svolte più avanti, con specifico riferimento alle vicende di wrongful birth, in cui la negligenza del professionista non incide sulla salute del feto, ma interferisce con le scelta dei genitori in ordine al se della procreazione. In tali circostanze il dibattito sui danni risarcibili non può in alcun modo arrestarsi ai soli oneri di mantenimento, né limitarsi al riconoscimento di un danno non patrimoniale per lesione del diritto all’informazione.
3.3.3 (segue) I casi di handicap derivanti da cause mediche e il dovere
di protezione del sanitario nei confronti del nascituro: da Cass. 11503/1993 a Cass. 10741/2009
La prima delle due pronunce in epigrafe, Cass., 22 novembre 1993, n.11503223, affronta il caso di un bambino rimasto troppo a lungo nel grembo materno a causa di un errato trattamento ostetrico praticato al momento del parto. L’eccessiva permanenza nel corpo della gestante, laddove il quadro clinico avrebbe richiesto di intervenire urgentemente mediante taglio cesareo, aveva prodotto uno stato di asfissia per insufficiente ossigenazione che aveva a sua volta dato origine ad una grave forma di cerebropatia irreversibile.
Entrambi i genitori, in qualità di legali rappresentanti del figlio minore, avevano convenuto in giudizio l’ente ospedaliero presso cui la
223
Cass., 22 novembre 1993, n.11503, in Giur. it., 1994, I, 549 ss., con nota di D. CARUSI, Responsabilità contrattuale ed illecito anteriore alla nascita;in Resp. civ. e prev., 1994, 408 ss., con nota di E.IORIATTI, La tutela del nascituro: la conferma della Corte di Cassazione; in Giur. it., 1995, 321 ss., con nota di A.PINORI,Contratto con effetti protettivi a favore di terzo e diritto a nascere sano; in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 690 ss., con nota diV.ZENO ZENCOVICH, Il danno al nascituro.
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madre era stata ricoverata per essere assistita nel parto, molti anni dopo la nascita, agendo sia in via contrattuale che extracontrattuale.
In primo grado, il Tribunale dinanzi al quale era stata istaurata la controversia aveva escluso la responsabilità ex art. 1218 c.c., ritenendo che il figlio, prima della nascita, non avrebbe potuto stipulare alcun contratto, e aveva, invece, qualificato la fattispecie come illecito aquiliano, respingendo così la domanda per intervenuta prescrizione ex art. 2947 c.c., sul presupposto che i genitori avrebbero potuto rendersi conto delle lesioni subite dal bambino ben prima dei cinque anni precedenti l’esercizio dell’azione.
In secondo grado la Corte di Appello, a fronte delle doglianze dei ricorrenti secondo i quali, tra l’altro, la domanda era fondata anche sulla responsabilità contrattuale dell’ente poiché nella fattispecie rilevava un contratto a favore di terzo224, aveva nuovamente rigettato le pretese avanzate dai coniugi sulla base di motivazioni ancora più drastiche di quelle addotte in prima istanza.
Per il giudice del ricorso le questioni attinenti alla prescrizione del diritto di azione sarebbero state del tutto irrilevanti alla luce della palese incompatibilità delle richieste risarcitorie con l’art. 1, 2° comma, c.c.: la mancanza di capacità giuridica dell’individuo non ancora nato venne considerata condizione idonea già di per sé a chiudere la partita. Esplicito, in questa sede, era stato il rinvio a Cass. n.3467 del 1973.
La Corte di Cassazione, ribaltando i tradizionali orientamenti giurisprudenziali in materia, ha invece accolto la domanda giudiziale presentata dai genitori, ravvisando nell’ordinamento una serie di norme dalle quali si deduce che l’essere umano deve essere tutelato fin dal
224
Gli attori, richiamando un noto precedente della giurisprudenza di merito, Tribunale di Verona, 15 ottobre 1990, avevano presentato ricorso al giudice di Appello sostenendo che «il contratto stipulato dalla partoriente ha per oggetto prestazioni in favore della stipulante e del nascituro, per il momento in cui verrà in vita»; «sotto quest’ultimo profilo, si tratterebbe di un contratto a favore di terzo, in forza del quale il figlio avrebbe acquistato un personale diritto alle prestazioni».
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momento del suo concepimento. Una volta, poi, che il nascituro abbia acquisito, venendo al mondo, la capacità giuridica, il risarcimento del danno va accordato ove sia ravvisabile un rapporto di causalità tra il comportamento tenuto dai sanitari prima del parto e il danno subito.
Rimosso quindi il preliminare ostacolo dell’art. 1 c.c., il Supremo Collegio ha ammesso, a favore del nascituro, la tutela sulla base dei principi della lex contractus ricorrendo, per la prima volta nell’esperienza giuridica italiana, all’istituto del contratto con effetti protettivi a favore di terzo225.
A detta della Corte, a seguito della conclusione del contratto di ricovero con la gestante, il professionista sanitario «si obbliga non
soltanto a prestare alla stessa (la paziente) le cure e le attività necessarie al fine di consentirle il parto, ma altresì ad effettuare, con la dovuta diligenza e prudenza, tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sì da garantirne la nascita, evitandogli – nei limiti consentiti dalla scienza (da valutarsi sotto il profilo della perizia) – qualsiasi possibile danno»226. Ne segue che «la controparte del
contratto rimane sempre la partoriente, ma […] il soggetto che con la nascita acquista la capacità giuridica può agire per far valere la responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto stipulato a garanzia e protezione di un suo specifico interesse, anche se le prestazioni devono essere adempiute anteriormente alla sua nascita»227.
Come già accaduto per le istanze di ricorso in Appello, la Corte non dà seguito alla richiesta degli attori di considerare il negozio tra la gestante e la struttura di ricovero come contratto a favore di terzo. Nel contatto con il professionista sanitario, il nascituro viene in
225 Nelle motivazioni della sentenza si pone in evidenza come «numerosi contratti
abbiano ad oggetto una pluralità di prestazioni in cui, accanto alla prestazione principale, è garantito e rimane esigibile un ulteriore diritto a che non siano arrecati danni a terzi estranei al contratto. Si parla di “contratto a favore di terzi”», cit. Cass., 22 novembre 1993, n.11503.
226 Cit. Cass., 22 novembre 1993, n.11503. 227 Ancora cit. Cass., 22 novembre 1993, n.11503.
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considerazione non come diretto destinatario di una prestazione (rispetto alla quale, non essendo ancora nato, non potrebbe assumere la posizione di creditore), bensì come individuo meritevole di protezione228 in quanto
«punto di obiettiva incidenza della prestazione»229.
Il terzo non ha diritto alla prestazione e viene tutelato ex contractu in virtù degli obblighi di protezione230.
Nonostante la valorizzazione del particolare rapporto che lega madre e figlio, va segnalato che la pronuncia in esame omette di esplicare il fondamento normativo del “suo” contratto ad effetti protettivi. Invero, resta il dubbio su quale sia la base della legittimazione contrattuale del terzo. Come afferma espressamente un noto studioso, la sentenza in esame «sembra completamente inidonea a tracciare una teoria del
contratto con effetti protettivi. […] Quando la visuale si sposta dal rapporto creditore-debitore alla posizione del terzo servirebbe uno sforzo ulteriore: bisogna spiegare perché il terzo viene inserito nella sfera di protettiva del contratto e quali sono i requisiti della sua estensione»231. Se è già ostico nell’ordinamento italiano importare la
teoria degli obblighi di protezione inter partes, diventa quasi impossibile porre le basi del contratto con effetti protettivi senza un fondamento giustificante.
228 Nel caso di specie non è tanto l’identica prossimità del terzo alla prestazione e
perciò l’essere sottoposto al medesimo rischio della parte contrattuale, quanto l’interesse del creditore (la gestante) alla protezione del terzo (il neonato) a rilevare in funzione dell’estensione degli effetti di protezione. «Tra i criteri elaborati dalla dottrina tedesca, questo rimane fondamentalmente il più sicuro a rendere meno mobile il confine tra contrato e torto», cit. A.DI MAJO Op.cit., 24; C.CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 587.
229
Cit. D.CARUSI,Responsabilità contrattuale ed illecito anteriore alla nascita del danneggiato, in Giur. it., 1994, I commento a Cass., 22 novembre 1993, n.11503, 553.
230 La terminologia impiegata dalla Corte non è chiara: si parla di contratto con
«pluralità di prestazioni», ma anche di «prestazione accessoria». Tuttavia, nonostante la promiscuità dei termini utilizzati possa creare difficoltà nel lettore, è indubbio che si tratti di “contratto ad effetti protettivi”, quindi, per coerenza interna con il modello d’origine, è l’obbligo di protezione ciò che viene posto a fondamento di quella « prestazione accessoria» di cui parla la Cassazione. Cfr. G.VARANESE, Op. cit., 165 ss..
231 Cit. G.V
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L’affermazione di responsabilità della struttura ospedaliera nei confronti del bambino nato malformato sarebbe ben potuta essere fondata, in chiave extracontrattuale, sulla violazione del diritto alla salute del feto come diretta manifestazione dell’ingiustizia del danno richiesta dall’art. 2043 c.c.. Dalla (lacunosa) narrazione dei fatti di causa, invece, sembrerebbe evincersi che la Corte di Cassazione, pur non dubitando che siano integrati tutti i requisiti per la tutela extracontrattuale del nascituro, scelga comunque di ricorrere al contratto ad effetti protettivi perché, probabilmente, era oramai decorso il termine di prescrizione quinquennale per il risarcimento del danno, laddove, invece, correva ancora quello ordinario decennale dell’azione ex
contractu232.
La soluzione (contrattuale) adottata dal giudice di legittimità si lascia allora comprendere se si pone l’attenzione al fatto che, di là dalla pur importante questione della soggettività giuridica del nascituro, ciò che realmente ostava al risarcimento del danno subito dal figlio, nel caso di specie, era l’oramai intervenuta prescrizione del suo diritto in sede aquiliana. In altri termini, la c.d. “circolazione dei modelli” ha consentito alla giurisprudenza italiana di fare uso della figura del contratto ad effetti protettivi per tutelare un individuo sicuramente danneggiato, ma che altrimenti non avrebbe potuto ricevere alcuna protezione giudiziale.
In Cass., 11 maggio 2009, n.10741, la vicenda giudiziale si sviluppa, invece, attorno alla decisione dei sanitari di somministrare ad una donna con problemi di fertilità, allo scopo di stimolare l’ovulazione, un farmaco, il Clomid, già noto, all’epoca dei fatti, per l’elevata frequenza statistica con cui erano stati riscontrati effetti teratogeni (7 malformazioni su 7 gravidanze indotte da Clomid nei primi 42 mesi di
232
Dalla narrazione dei fatti di causa si desume, infatti, che il diritto ad ottenere il risarcimento sia stato esercitato nell’aprile del 1978, oltre sette anni dopo il parto, avvenuto il 5 novembre 1971.
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commercializzazione) in conseguenza della sua assunzione. Nel caso di specie il trattamento terapeutico risolse l’infertilità, ma dette comunque luogo alla nascita di un bambino affetto da malformazioni dello stesso tipo di quelle indicate dalla letteratura scientifica come derivanti dalla somministrazione del medicinale in questione: ectrodattilia del tipo
monodactilus agli arti superiori e lobster olge agli arti inferiori,
ipospadia ed atresia anale. Quanto alla responsabilità, la vicenda non si segnala per la ricorrenza di aspetti particolarmente controversi: la prescrizione del farmaco era avvenuta senza chiedere il consenso alla paziente, tenuta peraltro all’oscuro dei rischi legati all’assunzione del
Clomid; il clomifene, contenuto in quest’ultimo, ancora in circolo al
momento del concepimento, esclusa totalmente la concorrenza di altre causa cromosomiche generatrici delle malformazioni successivamente riscontrate, era stato con certezza individuato come ciò che aveva impedito il regolare sviluppo del feto, secondo un giudizio di carattere oggettivo che è quello cui si ricorre in ambito di responsabilità contrattuale per accertare la ricorrenza del nesso di causa tra condotta censurabile e danno. I sanitari sono stati quindi ritenuti responsabili dal giudice di legittimità per aver praticato una terapia potenzialmente pericolosa, senza averne preventivamente richiesto il consenso e per non essersi comportati secondo la diligenza richiesta dall’art. 1176, 2° comma, c.c.. Tutti i sanitari che avevano seguito la gravidanza, sia quelli che avevano prescritto la somministrazione del farmaco, sia quelli che avevano mancato di diagnosticare le malformazioni, vennero ritenuti responsabili in solido sulla base del “contatto sociale” con la donna e condannati al ristoro dei pregiudizi cagionati sia nei confronti della gestante che del nascituro successivamente nato.
Secondo la sentenza in parola l’estensione a favore di terzi dell’efficacia del contratto discende da una lettura costituzionalmente orientata della normativa codicistica in tema di efficacia e di interpretazione del contratto, in forza della quale quest’ultimo deve
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essere inquadrato in una visione sociale (e non individuale) dell’ordinamento, caratterizzato dalla centralità della persona. In una simile ottica, se la causa del contratto (sia tipico che atipico) è la sintesi degli interessi dei soggetti contraenti, deve necessariamente affermarsi che l’accordo che intercorre tra il paziente (gestante), una struttura sanitaria ed i medici è idoneo a dar luogo a conseguenze giuridiche anche nei confronti del nascituro, vero «destinatario finale del
negozio»233.
Secondo la dottrina maggioritaria, il contratto ad effetti protettivi continua a non essere lo strumento adatto a garantire chi non sia stato parte dell’accordo. L’idea su cui poggia il decisum è ancora una volta quella secondo cui l’interesse del contraente che instaura un rapporto contrattuale non è solo quello alla prestazione, ma anche quello alla protezione della sfera giuridica del nascituro, cosa che rende quest’ultimo creditore dell’obbligo di protezione in quanto titolare dell’interesse (negativo) a non subire danni. Secondo l’autrice, la questione può essere impostata in modo diverso se si parte dalla premessa per cui la prestazione sanitaria volta ad ovviare ai problemi di infertilita della madre abbia costituito «solo l’occasione che ha generato
l’elemento materiale della responsabilità del sanitario verso il nascituro». Da qui si dipartirebbe un ventaglio di opzioni diverse: se
l’interesse del nascituro alla conservazione e protezione della propria sfera giuridica è tutelato ex contractu, perché dipende dal contratto, e anzi trova causa nella scorretta esecuzione dello stesso, se ne dovrebbe dedurre che egli vanta un interesse all’esatto adempimento, il che o esclude che sia un terzo o ne fa il destinatario della prestazione. In
233
Cfr. Cass., 11 maggio 2009, n.10741, in Danno e resp., 2009, 1167 ss., con nota di S.CACACE,Figli indesiderati nascono. Il medico in tribunale; in Resp. civ., 2009, 706 ss., con nota di C.SIANO, Medical malpractice e tutela del nascituro; in Resp. civ. e prev., 2009, con nota di M.GORGONI, Il diritto alla salute del nascituro; in Danno e resp., 2010, 144 ss., con nota di F.DI CIOMMO, Giurisprudenza-normativa e “diritto a non nascere se non sano”. La Corte di cassazione in vena di revirement?.
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entrambi i casi egli sarebbe legittimato ad avvalersi della tutela contrattuale: nel primo perché ne è parte, nel secondo perché la prestazione è stata assunta da altri nel suo stesso interesse. C’è inoltre l’ulteriore eventualità che l’interesse del terzo non sia autonomo da quello del creditore, il che comporterebbe l’assorbimento dell’interesse alla conservazione della sfera giuridica del terzo in quello del creditore ogni qual volta l’interesse di quest’ultimo alla prestazione trovi specificazione con riferimento ad uno spettro di altri suoi interessi, tutti socialmente apprezzabili in ragione dei suoi rapporti (in questo caso) affettivi e di parentela.
«Proprio in virtù del fatto che il debitore non ha soddisfatto l’interesse dell’altra parte così determinato, allorché si sia verificata la lesione della sfera giuridica del terzo legato al titolare da una prossimità così rilevante, si dovrebbe escludere che la prestazione sia stata esattamente eseguita: senza chiamare in causa l’obbligo accessorio di protezione e senza pretendere che esso fondi anche l’interesse di un terzo, per quanto qualificato, alla corretta esecuzione del contratto. In ogni altra ipotesi, la tutela del nascituro/terzo potrebbe fondarsi unicamente sull’azione ex art. 2043 c.c.»234
.
In sintesi, ma sul punto si tornerà anche più avanti con riferimento al risarcimento a favore del padre del bambino, posto che al nascituro è attribuibile solo un interesse negativo a non subire danni, «la tutela del
nascituro offeso avverrà sempre a posteriori, dopo che il danno si è verificato, ossia in un’ipotesi in cui alcune conseguenze evitabili tramite lo strumento contrattuale, non appaiono più rimediabili se non con la sanzione risarcitoria: il che induce a concludere che la sua tutela possa utilmente avvenire con il ricorso alle norme di cui agli artt. 2043 c.c.»235.
234
Cit. M.GORGONI,Op. cit., 284.
235 Ancora, cit. M.G
ORGONI,Op. cit., 284. Della stessa autrice si veda anche Il danno da procreazione: profili civilistici (del se, del quando e del come essere chiamati al
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La decisione in esame prende avvio con la formulazione di «due
ineludibili premesse»: la prima, condivisa e condivisibile, incentrata su
l’attuale modo di essere e di strutturarsi del nostro ordinamento, in particolare civilistico, quale basato su una pluralità di fonti, con conseguente attuazione dei cc.dd. principi di “decodificazione” e “depatrimonializzazione”; la seconda, relativa alla funzione interpretativa del giudice in ordine alla formazione della c.d. giurisprudenza-normativa, quale autonoma fonte del diritto.
Nello svolgimento di tali premesse, la Cassazione si sofferma, in modo particolare, sull’apporto, nell’attuale sistema delle fonti, del ruolo creativo degli organi giudicanti considerato, dalla pronuncia in rassegna,
«in linea con la maggiore consapevolezza dei giudici di operare in un sistema ordinamentale che, pur essendo di civil law e quindi non basato sui soli principi generali […] si configura come semi-aperto […] perché non fondato solo su disposizioni di legge riguardanti dettagliate e settoriali discipline, ma anche su c.d clausole generali […] che scientemente il legislatore trasmette all’interprete per consentirgli,