2.3 La “contrattualizzazione” della responsabilità sanitaria
2.3.4 Rapporto con il medico dipendente
Nel corso dei precedenti paragrafi si è già avuto modo di porre in evidenza come la struttura sanitaria si presenti quale organizzazione “complessa” che, ai fini dell’esecuzione della prestazione di assistenza cui è tenuta nei confronti del paziente, si avvale del lavoro (autonomo e subordinato) di ausiliari professionisti. Nell’ambito della degenza ospedaliera, l’attività di cura diviene il risultato di sinergie integrate, in
imputare al soggetto collettivo l’attività amministrativa implicante l’esercizio di poteri pubblicistici, m si rivela non congruente quando a venire in rilievo siano le conseguenze di un’attività strettamente tecnica e materiale, quale certamente è quella svolta dal personale medico negli ospedali pubblici. Cfr. F. AGNINO,Responsabilità della struttura sanitaria, onere della prova e nesso di causalità: mala tempora currunt per gli allievi di Ippocrate, in Giurispr. di merito, 2013, 1796 ss..
120 Con l’autonomizzazione della responsabilità della struttura sanitaria che segue
all’inquadramento del contratto di cura nel “contratto di spedalità”, il personale dipendente cessa di essere un “organo” dello stesso ente per assumere il ruolo di ausiliario del debitore. S.BAGGIO, Op. cit., 451.
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cui confluiscono diversi livelli di competenza e professionalità. In questo contesto si intrecciano, allora, tre diversi rapporti: il primo è quello tra il paziente e la struttura, il secondo è quello tra quest’ultima e i suoi operatori ed il terzo, infine, è quello tra l’assistito e i medici alle cui cure si trova ad essere concretamente affidato.
Mentre i primi due si caratterizzano, per orientamento ormai consolidato, per la presenza di un accordo, di tal che nessun dubbio può sollevarsi sulla natura della relativa responsabilità, l’inquadramento della relazione tra il medico strutturato e il paziente nell’area della responsabilità contrattuale ha suscitato maggiori perplessitàedè, ancora oggi, dibattuto e controverso, soprattutto in ragione delle costruzioni giurisprudenziali adottate al fine di giustificare tale qualificazione. Secondo la giurisprudenza tradizionale, il titolo della responsabilità in parola sarebbe aquiliano; secondo una parte della dottrina, viceversa, la responsabilità sarebbe contrattuale per violazione di un obbligo di protezione nato dal contratto di lavoro tra il medico e la struttura sanitaria ricostruito come contratto con effetti di protezione dei terzi; infine, secondo una teoria dottrinale più recente e secondo la prima pronuncia della Corte di Cassazione che ha avvallato la tesi del “contatto sociale”, la natura contrattuale deriverebbe da un’obbligazione senza obbligo primario di prestazione.
Il problema della responsabilità del medico dipendente di una struttura sanitaria è una di quelle ipotesi di danno che si va a collocare in quella zona grigia tra contratto e torto che un’autorevole dottrina ha definito come «l’area di turbolenza ai confini tra responsabilità
aquiliana e responsabilità contrattuale»121. Le fattispecie in esame, se
121 C.C
ASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in AA.VV.,Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, I, Milano, 1995, 148. ID, La nuova responsabilità civile, 443. Si tratta di ipotesi di danno di non facile collocazione in quanto connotate da profili che le accostano all’una e all’altra forma di responsabilità senza, però, riuscire a rendere persuasivo e soddisfacente l’inquadramento che se ne voglia fare nell’una o nell’altra. Ascriverle alla responsabilità contrattuale sembra frutto di una enfatizzazione, mentre ricondurle a
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da un lato denotano infatti la mancanza di un accordo concluso tra danneggiato e danneggiante, dall’altro sembrano caratterizzarsi per la presenza di una serie di vincoli e obblighi specifici che, proprio in virtù della loro specificità, sono stati ritenuti non riconducibili al generico dovere di neminem laedere. Ciò ha spinto giurisprudenza e dottrina alla ricerca di criteri idonei a caratterizzare siffatte forme di responsabilità.
Ripercorrendo sommariamente le diverse fasi che hanno condotto agli orientamenti tuttora seguiti è opportuno ricordare che il modello aquiliano122, a lungo affermato, rinveniva la sua ratio giustificativa nell’assenza di uno specifico vincolo giuridico tra i soggetti concretamente coinvolti, essendo il professionista legato unicamente all’ente ospedaliero da un rapporto di lavoro subordinato. Lo strutturato si riteneva fosse tenuto a svolgere, a favore del paziente, prestazioni, diagnostiche o terapeutiche, in esecuzione del contratto di lavoro subordinato che lo legava all’ente sanitario ed in veste di “organo” dell’intero apparato ospedaliero.
Seguendo questo modello, i giudici hanno fatto ricorso, in caso di pregiudizio alla salute dell’assistito, al c.d. cumulo improprio che, se dal punto di vista sostanziale riconduce ad un unico comportamento (l’illecito del sanitario) la violazione di un impegno negoziale e la lesione del diritto alla salute del paziente, sotto il profilo processuale impone che l’ente ospedaliero e il medico, soggetti diversi, siano chiamati a rispondere in solidarietà passiva: il primo a titolo di responsabilità contrattuale, il secondo di responsabilità aquiliana.
quella aquiliana un impoverimento. Cfr. anche A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, 69 ss..
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Come ricorda M. PARADISO, Op. cit., 705, l’assenza di un vincolo contrattuale aveva inizialmente portato la giurisprudenza a dubitare dalla stessa imputabilità di una responsabilità in capo al medico dipendente. Alcuni orientamenti, infatti, erano propensi ad optare in favore di un regime di irresponsabilità del professionista nei confronti del suo assistito (salvo regresso da parte dell’ente in caso di colpa del sanitario).
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Il paradigma della responsabilità aquiliana è stato tuttavia superato sia per ragioni teoriche, in quanto, a detta della maggioranza degli interpreti, rispecchierebbe una funzione meramente protettiva dell’attività medica non coincidente con la realtà fenomenologica, sia per ragioni pratiche, in quanto tale modello spesso rende troppo difficoltosa la tutela risarcitoria del paziente sotto il profilo probatorio e del regime prescrizionale123. Inoltre la soluzione extracontrattuale contribuiva a delineare un regime di ingiustificata disparità tra l’accertamento della responsabilità del medico strutturato, chiamato a rispondere solo per dolo o colpa grave, e quella del libero professionista, che sarebbe stato tenuto a rispondere del suo operato anche in caso di colpa lieve.
Allo stesso modo, la maggioranza della dottrina, prendendo atto delle specifiche qualifiche professionali del danneggiante, ha considerato l’applicazione dell’art. 2043 c.c. una indebita equiparazione tra la posizione del medico e quella del “quisque de populo”. A tal proposito si è parlato di manifesta dissociazione tra sovrastruttura giuridica e realtà materiale, atteso che prima che il danno si verifichi esiste già un rapporto, un “contatto”, tra medico e paziente, il quale affida al primo la tutela della suasalute124. In questo senso, tale responsabilità si è ritenuto dovesse essere ripensata sullo stesso modello di quella del medico libero professionista, il quale, come si è visto, opera in base a un contratto.
Queste voci dottrinarie sono state recepite dalla giurisprudenza di legittimità attraverso la realizzazione di un regime unitario di responsabilità professionale dei medici liberi professionisti e dei medici dipendenti dell’ente sanitario. La Corte di Cassazione ha quindi definitivamente ripudiato l’impostazione aquiliana.
Sul finire degli anni ‘90, la Suprema Corte, con una sentenza che, nelle sue linee essenziali, ancora oggi esprime compiutamente
123S.F
AILLACE,La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, 25.
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l’orientamento seguito dalla giurisprudenza in subiecta materia, ha ravvisato nel “contatto sociale” che si instaura tra il medico e il paziente la fonte da cui dedurre la natura contrattuale della responsabilità: esso farebbe infatti sorgere, in capo all’operatore sanitario, uno specifico dovere di protezione nei confronti dell’individuo affidato dall’ente ospedaliero alle sue cure125. Rispetto alle proposte precedentemente avanzate dalla dottrina, la sentenza si presenta come il risultato di un percorso interpretativo nuovo126: a detta dei giudici ermellini, il fondamento negoziale della responsabilità non deve essere rinvenuto né nell’istituto del contratto a favore di terzo o del contratto ad effetti protettivi, né, tantomeno, nell’art. 28 Cost.127, bensì in una
125 Cass. in Danno e resp., 1999, con nota di V. C
ARBONE, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, 294 ss.. Il caso è quello di una ragazza feritasi accidentalmente al dorso della mano destra con dei cocci di bottiglia. Il chirurgo che ha il compito di operarla non si accorge che, accanto alla sezione di alcuni tendini, vi è anche quella dei nervi mediano ed ulnare, per cui si limita ad eseguire la sola tenorrafia; un tentativo successivo di correzione da parte di altro specialista non dà esito soddisfacente, per cui alla paziente resta una limitazione funzionale (deficit nell'estensione delle interfalangee). Il Tribunale, dopo 26 anni dal fatto, riconosce la responsabilità del primo chirurgo e lo condanna al risarcimento del danno, in solido con il Comune di Roma (subentrato nei rapporti dei disciolti enti mutualistici dopo l'entrata in vigore della L. 833/78). La condanna viene successivamente confermata dal giudice di gravame. Il sanitario quindi presenta ricorso presso la Corte di Cassazione, sostenendo, in aggiunta, che nella sentenza di appello è stata illegittimamente affermata la sua responsabilità solidale senza specificare a che titolo e sulla base di quale norma.
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Pur, come sostiene C.CASTRONOVO,allineandosi «alla più recente e autorevole dottrina»nel qualificare come contrattuale suddetta responsabilità, Cass. 589/1999 ne ridiscute il fondamento. L’obbligazione senza prestazione, cit., 193 ss.. Cfr. anche S. FAILLACE,Op. cit., 28-29.
127 Si tratta di configurazioni, quasi tutte derivate dalla dottrina tedesca e che non è il
caso di esaminare in dettaglio. Qui basterà rilevare che si tratta di varianti solo verbali degli “obblighi di protezione”, ai quali tale dottrina connette centrale rilevanza, e che si è cercato di argomentare movendo dall’affidamento che il paziente farebbe sulla qualifica (e sulla coscienza) professionale del medico. Ma dovrebbe essere sufficiente osservare che il malato, in una struttura sanitaria, non sceglie il medico: il suo perciò è un affidamento subito, non di elezione, mentre vi sono poi i casi di coloro che giungono privi di sensi in ospedale e nei quali manca per definizione qualsiasi tipo di affidamento. Può anche aggiungersi che dette impostazioni appaiono legate a una visione dell’attività medico-sanitaria che non corrisponde più a quella odierna, nella quale non si tratta più soltanto di evitare un peggioramento delle condizioni del malato, bensì di conseguire sovente un vero e proprio risultato positivo. Cfr. M. PARADISO, Op. cit., 705. Per una ricostruzione dettagliata, invece, si veda S.BAGGIO, Op. cit., 469-479.
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«obbligazione senza obbligo di prestazione ai confini tra contratto e torto»128. «La rilevanza che la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento giuridico» riconosce all’operatore sanitario è idonea a far
sorgere, in capo a quest’ultimo, veri e propri obblighi di comportamento nei confronti di chi, sulle sue competenze professionali, «ha fatto
affidamento entrando in contatto con lui». In questa prospettiva, il
danneggiante è tenuto al risarcimento in quanto «non ha fatto (culpa in non faciendo) ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vinculum iuris, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale». In altre parole, con la sentenza in commento, «si ammette che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso»129. La relazione di fatto che
si instaura tra due o più soggetti diviene fonte di rapporti giuridici e di obbligazioni per i medesimi soggetti. L’ingerenza che viene esplicata nella sfera giuridica di un altro individuo determina la nascita di un vincolo non definibile sulla base del troppo generico dovere di neminem
laedere, ma comporta un più specifico dovere di collaborazione per
realizzare le aspettative suscitate dalle capacità e abilità professionali nell’altra parte.
La tesi dell’obbligazione senza prestazione fondata sul contatto sociale “rompe” pertanto con il tradizionale sistema delle fonti delle obbligazioni ancorato alla summa divisio contratto-torto e inserisce, quale fonte autonoma di specifiche obbligazioni, l’affidamento che un soggetto ripone in un altro a seguito al contatto avvenuto tra i due130.La
128
Cit. Cass., 22 gennaio 1999, n.589.
129 Ancora cit. Cass., 22 gennaio 1999, n.589. 130 S.F
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relazione sociale tra i soggetti in questione viene ricondotta dalla Corte all’alveo delle fonti delle obbligazioni quale «fatto idoneo a produrle in
conformità con l’ordinamento giuridico», ex art. 1173 c.c.131
.
Le novità introdotte dal decisum in esame dunque, prima ancora di riguardare la struttura (complessa) del rapporto obbligatorio, attengono alle sue fonti: la portata dell’art. 1173 c.c. viene estesa nel senso di ammettere che un’obbligazione tra paziente e medico strutturato possa sorgere nonostante l’assenza di un contratto di cura. Si verificherebbe così, secondo la Corte, una sorta di dissociazione tra la fonte dell’obbligazione e l’obbligazione stessa, in quanto quest’ultima può comunque sorgere ed essere sottoposta alle disposizioni in materia contrattuale benché la fonte non si sostanzi in un accordo132. L’attività di cura materialmente esercitata dal medico dipendente nei confronti del debitore del contratto di spedalità è fonte di un’obbligazione conforme all’ordinamento giuridico: l’operato del professionista non può tradursi nel semplice rispetto della sfera giuridica dell’assistito (non facere), ma deve consistere in un vero e proprio facere, nell’adempimento adempiendo di quelli che sono stati definiti i cc. dd. “obblighi di protezione”133
.
In sostanza, a detta dei giudici, sono proprio le caratteristiche della professione medica a garantire il rispetto del requisito della conformità all’ordinamento richiesto dall’art. 1173 c.c..
Stanti le considerazioni sin qui riportate, si assiste ad un ampliamento dell’area assoggettata alla disciplina contrattuale ed è
131 «Va subito rilevato che non si può criticare la definizione come “contrattuale”
della responsabilità del medico dipendente di struttura sanitaria, limitandosi ad invocare la rigidità del catalogo delle fonti ex art. 1173 c.c., che non consentirebbe obbligazioni contrattuali in assenza di contratto», cit. Cass. 589/1999.
132 Ancora S. F
AILLACE, Op. cit., 31-32. L’autore peraltro ricorda come il medico sia vincolato, nel suo agire professionale, al rispetto della disciplina prevista dal codice deontologico, il cui riferimento normativo, nell’ambito delle regole del diritto civile, può essere rinvenuto nell’art. 1337 c.c., che impone alle parti, ancorché non legate da alcun vincolo negoziale, un generale dovere di correttezza.
133 Cfr. C. C
ASTRONOVO,Obblighi di protezione, voce Enciclopedia Treccani, XX, 1990.
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evidente come il ricorso alla responsabilità da inadempimento offra al malato una serie di vantaggi, in tema di risarcimento del danno, che diversamente non sarebbe possibile garantire, specie sotto il profilo degli oneri probatori. La decisione in commento rappresenta un tentativo per soddisfare sentite esigenze di tutela, in tema di danno alla salute, da parte del malato cioè di un soggetto ontologicamente debole, il quale si è fidato dei medici abilitati dallo Stato ai quali per legge è costretto a rivolgersi.