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Differenze di disciplina: la ripartizione dell’onere della

2.2 Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: il fondamento

2.2.1 Differenze di disciplina: la ripartizione dell’onere della

entrambe, la lesione di un interesse meritevole di tutela: nel primo caso essa si verifica attraverso la previa violazione di un’obbligazione, nel secondo, contestualmente al realizzarsi della condotta illecita. Ne discende che, nell’area della responsabilità ex contractu, l’interesse, coincidendo con quello creditorio all’esecuzione della prestazione, è selezionato a priori e la sua lesione è conseguenza diretta dell’inadempimento. Tale interesse necessita viceversa di essere individuato e valutato a posteriori nell’ipotesi della responsabilità da fatto illecito. In altre parole, le differenze strutturali ricordate nel precedente paragrafo hanno come prima conseguenza il fatto che,

70 Cit. Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712, in Corr. giur., 2007, 1706, con

commento di A. DI MAJO, Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili.

71 Ancora C. C

ASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, 159.

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mentre nella responsabilità extracontrattuale è necessario trovare innanzitutto se ricorra una situazione soggettiva la cui lesione produce il danno contra ius e non iure lamentato dall’attore, in quella contrattuale non si pone il problema di accertare l’ingiustizia del pregiudizio cagionato72.

Tale precisazione non ha una valenza puramente descrittiva, ma comporta rilevanti conseguenze con riferimento all’operatività della regola sulla ripartizione degli oneri probatori.

E’ principio generale, valido in linea teorica per tutte le ipotesi di responsabilità, quello per cui spetta al (presunto) danneggiato dimostare i fatti costitutivi a fondamento della sua pretesa: l’art. 2697 c.c., rubricato “Onere della prova”, recita «chi vuol far valere un diritto in

giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».

Nella responsabilità da fatto illecito, perciò, chi intende far valere la propria pretesa risarcitoria è tenuto a dimostrare la fondatezza della sua azione, provando la sussistenza di tutti i requisiti richiamati dall’art. 2043 c.c.. L’attore ha quindi l’onere di provare non solo che la condotta del convenuto ha provocato un danno, ma anche che ciò è dipeso da colpa o dolo. Per converso, nella responsabilità contrattuale il creditore si limita a dedurre in causa la circostanza dell’inadempimento del debitore (fatto dannoso e nesso di causa). Alla parte attrice è sufficiente, in questo caso, provare il proprio diritto di credito e la scadenza dell’obbligazione, mentre sul debitore grava l’onere di dimostrare di

72 «L’indagine che mira ad individuare i presupposti delle due responsabilità ha, per

ciascuna di esse, una direzione obbligata. Per la responsabilità contrattuale è indispensabile il richiamo alle fonti dell’obbligazione, con la finalità di individuare l’esistenza di genuini obblighi preesistenti alla produzione del danno. Per la responsabilità aquiliana si impone la scoperta dell’area tutelata dall’obbligo risarcitorio che non può avvalersi del riferimento ad un obbligo preesistente. Le due vie da percorrere sono poi fatalmente collegate e variamente intrecciate». F. GIARDINA, Op. cit., 76.

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non aver potuto adempiere esattamente agli impegni assunti, per cause a lui non imputabili73.

La divergenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, per quanto concerne la ripartizione dell'onere probatorio, riguarda il diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo e il ruolo che si riconosce (o meno) alla colpa quale criterio di imputazione della responsabilità. In ambito extracontrattuale, questo requisito deve sempre essere oggetto di prova da parte del danneggiato, poiché rappresenta un elemento costitutivo del diritto al risarcimento del danno e non un impedimento della responsabilità74. In sede aquiliana la dottrina maggioritaria è infatti portata a ritenere la colpa quale criterio di imputazione, strumento di individuazione del responsabile e di valutazione della sua condotta. In altre parole, è opinione prevalente quella che ritiene il profilo soggettivo del danneggiante fondamento stesso del torto75.

Le costruzioni dottrinali in materia di onere probatorio contrattuale riflettono, invece, le diverse concezioni (oggettive e soggettive) della responsabilità ex art. 1218 c.c.. Come si è visto, la norma fissa la regola di imputazione dell’inadempimento. Per le teorie “oggettive” l’inadempimento non richiede l’accertamento della colpa; viceversa, le

73 Non sembra condivisibile l’opinione di chi ravvisa nell’art. 1218 c.c. un’inversione

dell’onere della prova rispetto alla disciplina delineata dall’art. 2043 c.c.. A bene vedere, infatti, non sussiste alcuna inversione dato che sono diversi i fatti costitutivi del diritto al risarcimento: nella responsabilità contrattuale, “fatto costitutivo” è l’esistenza dell’obbligazione originaria e la circostanza oggettiva del relativo inadempimento, mentre il debitore può provare, come “fatto impeditivo o estintivo”, che l’inadempimento non è imputabile a sua colpa. Nell’altro caso, invece, la colpa o il dolo rientrano tra i “fatti costitutivi” che chi domanda tutela ha l’onere di dimostrare. Cfr.U.BRECCIA,L.BRUSCUGLIA,F.D. BUSNELLI,F.GIARDINA,A.GIUSTI,M.L.LOI, E.NAVARRETTA,M.PALADINI,D.POLETTI,M.ZANA,Op. cit, 685.

74

Cfr. F.D.BUSNELLI,S.PATTI, Danno e responsabilità civile, Torino, 2013, 212.

75 E’ bene ricordare, tuttavia, che, in tema di responsabilità extracontrattuale, è

possibile anche rinvenire tutta una serie di norme che stabiliscono una disciplina analoga a quella dettata in materia contrattuale. Accanto alla generale disposizione dell’art. 2043 c.c. che fa della colpa il fondamento della responsabilità, sono ravvisabili norme che individuano in altri elementi (segnatamente, il rischio) il criterio di imputazione della responsabilità. E’ quanto accade, ad esempio, con riferimento all’art. 2050 c.c. in materia di attività pericolose che adotta una disciplina analoga a quella dettata in materia di trasporto di persone; o, ancora, con riferimento agli artt. 2051 e 2052 c.c., riconducibili alle norme degli artt. 1693, 1784, 1839 c.c..

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teorie “soggettive” ritengono il dolo e la colpa fondamento della responsabilità debitoria in virtù del coordinamento dell’art. 1218 c.c. con l’art. 1176 c.c.76

.

In area contrattuale, l’oggetto della prova e dunque la sua “consistenza” variano, tuttavia, a seconda della prestazione che il debitore si era impegnato ad eseguire; non si tratta, in questo senso, di affermare l’esistenza di regole diverse per la responsabilità debitoria, ma di “modellare” la valutazione dell’inadempimento sulla base del particolare e concreto contenuto del rapporto obbligatorio preesistente. La dimostrazione dei fatti rilevanti per la causa deve essere quindi commisurata al tipo di attività che il soggetto obbligato avrebbe dovuto svolgere: come si è visto nel primo capitolo, la prestazione professionale del sanitario può essere ritenuta adempiuta se svolta nell’adesione (seppur con i limiti già delineati) alle cc. dd. leges artis e alle «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità

scientifica»77. Nel caso di condotta omissiva del ginecologo tuttavia, la

mancata o erronea trasmissione alla gestante delle informazioni relative alla salute del feto è già, di per sé, sufficiente a configurare un inadempimento; ciò in virtù del fatto che tale obbligazione è considerata “obbligazione di risultato” 78

. In questa seconda ipotesi, allora, la prova dell’inadempimento risulterà più “leggera”, consistendo nella semplice dimostrazione del mancato conseguimento del risultato dedotto in obbligazione.

76

C.M. BIANCA,Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 2012, 23 ss.. L’autore ritiene che «la diligenza […] è insieme criterio di determinazione della prestazione obbligatoria e criterio di responsabilità. Come criterio di determinazione della prestazione essa indica il modello di precisione e di abilità tecnica cui il comportamento deve conformarsi; come criterio di responsabilità la diligenza indica lo sforzo che il debitore deve impiegare per evitare l'inadempimento o l'inesattezza dell'adempimento (...)», cit. 24.

77

Art. 3, l. 8 novembre 2012, n.189.

78 Cfr. A. P

ROCIDA MIRABELLI DI LAURO, M. FEOLA, La responsabilità civile. Contratto e torto, Torino, 2014, 380 ss.

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Come affermato in dottrina, infatti, le conseguenze che derivano dalla distinzione tra “obbligazione di mezzi” e “obbligazioni di risultato”rilevano sul piano della colpa e sulla diversa ripartizione degli oneri probatori in sede aquiliana e contrattuale79: con riferimento alle prime «la negazione del risultato come fine essenziale del creditore ha condotto ad escludere che il solo obiettivo inadempimento potesse fondare la responsabilità del debitore; la colpa del debitore è apparsa allora il vero fondamento della responsabilità in questa particolare figura di obbligazioni, e su questa base è stato possibile imporre al creditore danneggiato la prova della colpa del debitore»80. A differenza

delle obbligazioni di risultato, dove l’inadempimento è un dato di fatto, oggettivamente riscontrabile ed evidente, in quelle di mezzi esso passa necessariamente per l’accertamento del mancato rispetto della dovuta diligenza ex art. 1176 c.c., che assurge quindi ad elemento costitutivo dell’illecito.

Tuttavia, nell’ambito del giudizio sulla responsabilità sanitaria, l’elaborazione giurisprudenziale del principio di “vicinanza o riferibilità della prova” ha spesso finito con il condurre ad un sostanziale “esonero” del paziente dalla prova del mancato adempimento: l’applicazione del criterio appena menzionato fa sì che si trasferisca sul medico o sulla struttura l’onere di dimostrare la corretta esecuzione della prestazione professionale (dell’evento imprevedibile e non evitabile che ha ostacolato la corretta attuazione dell’obbligazione). Il principio si basa, infatti, sulla convinzione per cui l’onere della prova di un fatto deve essere posto a carico della parte cui esso si riferisce; ciò impone di ritenere che l’inadempimento, che nasce e si consuma nella sfera di azione del debitore, possa (e quindi debba) essere solo allegato (e non

79 La distinzione tra obbligazioni di “mezzo” e di “risultato”, qui richiamata

esclusivamente quale categoria concettuale è stata superata da Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n.577.

80 Cit. F. G

IARDINA, 1987, 82, richiamata in S. BAGGIO, La responsabilità della struttura sanitaria, in Trattati, (a cura di) P.CENDON, Torino, 2008, 392.

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provato) dal creditore, dovendo, viceversa, essere il debitore a dimostrarne la non imputabilità rispetto alla condotta da lui tenuta81. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, nell’obbligazione di cura

«l’inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia “vicina” a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell’inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto»82. In questa stessa prospettiva si giunge peraltro ad affermare che sul paziente non grava neanche il “peso” della prova del nesso causale tra l’azione (o l’omissione) del medico e il danno cagionato da quest’ultimo: il rapporto eziologico sarebbe, invero, presunto nel mero fatto del mancato adempimento e al debitore spetterebbe l’onere di dimostrarne «l’efficienza causale»83.

81

S.BAGGIO, Op. cit., 751. Cfr. per l’elaborazione generale del principio, Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n.13533. La sentenza è intervenuta ad appianare un contrasto che era insorto in dottrina ed in giurisprudenza circa l’onere probatorio da assegnare al creditore che agisse in giudizio per far valere il proprio diritto di credito ex art. 1453 c.c., sul presupposto dell’avvenuto inadempimento. Secondo la tesi maggioritaria l’onere suddetto doveva differenziarsi a seconda della natura della domanda promossa dal creditore: una mera allegazione dell’inadempimento, qualora avesse agito per ottenere l’esecuzione dell’obbligazione, spettando invece al debitore fornire la prova dell’avvenuto adempimento; la prova dell’inadempimento, viceversa, per il caso in cui avesse chiesto la risoluzione del contratto (o il risarcimento del danno). La soluzione poggiava sulla pretesa diversità di struttura delle due azioni: essendo l’inadempimento elemento costitutivo unicamente della seconda, ai sensi dell’art. 2697 c.c. solo il creditore che avesse agito per la risoluzione o per il risarcimento del danno avrebbe dovuto provarlo. L’orientamento contrapposto, invece, facendo leva sulla pretesa unitarietà del regime probatorio, indifferente al tipo di azione esperita, poneva a carico del creditore, oltre naturalmente alla prova del titolo del diritto di credito, la mera allegazione – e non la prova – dell’inadempimento. Inizialmente minoritaria, è stata questa l’impostazione che ha raccolto il consenso delle Sezioni Unite. La pronuncia ha così anche aperto le porte al superamento della tradizionale distinzione tra “obbligazioni di risultato” e obbligazioni di mezzo”.

82

Cit. Cass. 28 maggio 2004, n.10297, decisum che conferma, con specifico riferimento alla responsabilità sanitaria, il principio di “vicinanza della prova” espresso, in via generale, dalle Sezioni Unite nella già ricordata pronuncia del 2001.

83

Cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n.577, secondo cui l’inadempimento che il paziente è tenuto ad allegare è «un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno».

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La ricerca di standard di tipo “oggettivo” nella valutazione dell’operato del professionista risentono della volontà degli organi giudicanti di predisporre un sistema di tutela forte del paziente in tutte le ipotesi di responsabilità in cui il danneggiante si trovi in possesso di conoscenze e competenze tecniche di cui il danneggiato è invece privo. Ciò nonostante, per quanto le elaborazioni di matrice giurisprudenziale sin qui descritte intendano rispondere ad esigenze di giustizia sostanziale, risultano carenti del necessario fondamento dogmatico- positivo. L’art. 2697 c.c., norma generale in materia, non giustifica infatti che i carichi probatori vadano ripartiti secondo la maggiore o minore difficoltà che le parti incontrano nel fornire la relativa prova.

2.2.2 (segue) La prevedibilità del danno risarcibile e il diverso regime

prescrizionale

Presupposto indefettibile della responsabilità è quello di aver cagionato un danno; un’altra significativa differenza tra le due responsabilità in commento attiene alla sua valutazione.

Com’è noto, il problema giuridico del danno è soprattutto quello di individuarne i limiti ed i criteri di determinazione: si tratta di un’esigenza riscontrabile in ogni ordinamento giuridico, laddove è necessario stabilire i criteri per delimitare il danno rilevante ai fini del risarcimento84.

A tale proposito il codice civile si caratterizza per la mancata elaborazione di una disciplina generale, comune ad entrambi i campi della responsabilità: il legislatore del ‘42 ha infatti dettato specifiche disposizioni in materia di responsabilità contrattuale (artt.1223 – 1229 c.c.), limitandosi a richiamarne solo alcune nella parte del codice

84 F.D.B

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dedicata all’illecito aquiliano. Tra queste, gli artt. 1223, 122685

e 122786 c.c. sono applicabili anche in caso di responsabilità extracontrattuale in virtù del rinvio contenuto nell'art. 2056 c.c., norma di raccordo tra le due aree della responsabilità civile. Fatta eccezione per le disposizioni appena ricordate, le altre regole codicistiche trovano applicazione con esclusivo riferimento all’area della responsabilità da inadempimento.

Particolarmente dibattuta in dottrina è la questione relativa alla non applicabilità dell’art. 1225 c.c.87 in ambito aquiliano. La diversità di regime acquista rilievo se si pone mente al fatto che il criterio della prevedibilità del danno ha anche inevitabili ricadute sul piano dell’accertamento del nesso di causa88

. L’articolo diviene allora indice normativo che induce a riflettere sui diversi aspetti legati alla valutazione della causalità giuridica nelle due specie di responsabilità.

La norma in commento stabilisce che, in caso di inadempimento colposo, è risarcibile soltanto il danno prevedibile al momento del sorgere dell’obbligazione; suddetto limite non trova invece applicazione in caso di inadempimento doloso, ma in questa ipotesi vale comunque la regola dettata in tema di causalità, per cui il pregiudizio deve essere conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.)89. Per la responsabilità

85

Art. 1226 c.c., “Valutazione equitativa del danno”: «se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa».

86

Art. 1227 c.c., “Concorso del fatto colposo del creditore”: «se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza».

87

Art. 1225 c.c., “Prevedibilità del danno”: «se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione».

88 «Tra giudizio di prevedibilità del danno e valutazione del nesso di causalità

giuridica – destinati entrambi a determinare il quantum del danno risarcibile – l’interazione è inevitabile», cit. F.GIARDINA, Op. cit., 84.

89 Come sostiene F. G

IARDINA, Op. cit., 82-83, la previsione normativa di una illimitata responsabilità del debitore doloso non appare legata ad una diversa valutazione dell’interesse del creditore, il quale resta il medesimo ed egualmente insoddisfatto sia in caso di dolo che di colpa. Il differente regime non costituisce

55

extracontrattuale vige, di fatto, la stessa disciplina fissata per l’inadempimento doloso90

.

In altre parole, in sede di responsabilità aquiliana, l’accertamento circa la prevedibilità del danno è irrilevante ai fini della determinazione del danno risarcibile: ciò che, invece, può eventualmente assumere rilievo è l’indagine circa la colpa o il dolo in termini di valutazione della prevedibilità dell’evento.

La diversità di regime si spiega, ancora una volta, alla luce di quella che è la funzione propria della responsabilità contrattuale, quella, cioè, di tutelare le parti da un rischio specifico di danno, determinato in base alla particolare relazione instaurata con il contratto. Nella responsabilità extracontrattuale, viceversa, manca un programma delle parti rilevante come punto di riferimento, ma, soprattutto, la relazione intersoggettiva si determina con il verificarsi dell’evento dannoso, a seguito del giudizio di imputazione, e non si ravvisa l’esigenza di limitare il ristoro del danno causalmente collegato al torto91.

strumento di tutela del creditore, ma una mera reazione al comportamento dell’obbligato.

90

Così F.D. BUSNELLI, S. PATTI. Di altro avviso C. CASTRONOVO, Op. cit., 594, secondo cui, invece, «il mancato rinvio all’art. 1225 può significare soltanto che la responsabilità aquiliana necessita di una regola propria, una regola che, non dettata dal legislatore, deve essere trovata dall’interprete. E l’interprete, tenendo presente la logica non più sanzionatoria della responsabilità extracontrattuale, ma prima di tutto preventiva, può ben giungere ad una norma di pari contenuto di quello che l’art. 1225 c.c. riferisce alla responsabilità contrattuale».

91 Cfr. F.D.B

USNELLI,S.PATTI, Danno e responsabilità civile, Torino, 2013, 28. In C.M.BIANCA,Op. cit., si evidenzia come dottrina e giurisprudenza si sono interrogate a lungo sulla possibilità o meno di estendere l'applicazione della norma anche alla responsabilità extracontrattuale. La migliore dottrina, oggi, afferma che, alla base del principio di prevedibilità del danno, vi è l'idea che «il vincolo obbligatorio importa l'assunzione di un sacrificio contenuto entro limiti di normalità» (cit. 172). Secondo l’autore, applicando il limite della prevedibilità, si circoscrive l'entità del risarcimento entro il normale significato di utilità che la prestazione ha per il creditore. Laddove, però, l'inadempimento sia connotato dal dolo del debitore, viene meno il fondamento della norma e quindi l'esigenza di proporzionare il risarcimento alla normale utilità della prestazione. Tale dottrina è portata quindi a pronunciarsi contro l’estensibilità del principio anche alla responsabilità extracontrattuale, 560 ss..

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Un’altra diversità di regime riguarda i tempi entro i quali il danneggiato è legittimato a far valere la proprie ragioni dinanzi al giudice.

I termini previsti dal codice civile per l’esperimento dell’azione ex

contractu sono quelli ordinari sanciti all’art. 2946 c.c.92. La responsabilità da inadempimento si caratterizza per un termine prescrizionale più lungo rispetto a quello stabilito dalle norme in materia di illecito aquiliano; ciò contribuisce a rendere la posizione processuale della parte attrice indubbiamente più favorevole che nella responsabilità ex delicto, dove invece, trovando applicazione la disposizione di cui all’art. 2947, 1° comma, c.c.93

, il diritto ad ottenere il risarcimento del danno è soggetto ad un termine quinquennale.

A differenza di quanto si verifica rispetto agli altri elementi di distinzione, la diversità del regime prescrizionale non rispecchia il diverso fondamento dei due ordini di responsabilità. In sé, la disciplina relativa alla decorrenza dei termini per esperire l’azione risarcitoria non sembra infatti dipendere dall’esistenza o meno di un precedente rapporto obbligatorio, ma piuttosto essere «un mero accidente normativo, causa di distorsioni interpretative e fonte di espedienti razionalmente e logicamente non giustificabili». Come emergerà anche

da alcune sentenze della Corte di Cassazione che saranno esaminate nel prossimo capitolo, la diversità dei termini di prescrizione propria dei due regimi «costituisce la ragione che meglio spiega la

“contrattualizzazione” di vaste aree di responsabilità, nonché la

92

Art. 2946 c.c., “Prescrizione ordinaria”: «salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni».

93 Art. 2947, comma 1, c.c., “Prescrizione del diritto al risarcimento del danno”: «il

diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato». I termini previsti sono poi oggetti di numerose eccezioni, tra cui quelle previste dalla stessa norma (comma 2) in caso di circolazione di veicoli: «per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni». «In ogni caso, se il fatto è considerato