• Non ci sono risultati.

Il ruolo del padre nella vicenda procreativa

3.4 L’omessa diagnosi di malformazione congenita

3.4.2 Il ruolo del padre nella vicenda procreativa

Così impostata la fattispecie del danno da nascita indesiderata, l’attenzione deve ora rivolgersi alle vittime secondarie dell’illecito sanitario.

L’inadempimento dei doveri di informazione che integrano il contenuto della prestazione medica può infatti venire a pregiudicare sia

259 Cfr. A.B

ALDASSARRI,S.BALDASSARRI,La responsabilità civile del professionista, in P.CENDON (a cura di),Trattati, Milano, 2006, 1348-1349.

260

Cit. Cass., 10 maggio 2002, n.6735, richiamando quanto già espresso da Cass., 1 dicembre 1998, n.12195.

145

il diritto ad una procreazione cosciente e responsabile della madre, che anche quello del padre, il quale, sebbene sia soggetto estraneo al

vinculum iuris, può comunque risultare leso dalla sua errata esecuzione.

Come si è già avuto modo di affermare nella prima parte del capitolo, nell’ordinamento italiano la possibilità di ottenere il risarcimento del danno è ammessa anche a favore di quei soggetti la cui sfera giuridica, dato lo speciale rapporto di prossimità con il creditore, risulta compromessa della condotta imperita, negligente o imprudente del debitore. A tale proposito, si osserva che, di regola, il terzo, che si trovi così a subire un danno, può agire di fronte al giudice in tutela dei propri interessi ex art. 2043 c.c., a titolo cioè di responsabilità extracontrattuale. Viceversa, la prospettiva della tutela contrattuale è un’ipotesi tutta da verificare con riguardo, in questa sede, alla specifica condizione giuridica del padre del bambino nato affetto da grave malformazione e alla relazione che intercorre con la madre dello stesso.

In passato la Corte di Cassazione, a fronte di una accertata responsabilità del professionista sanitario nei confronti della gestante, ha ripetutamente negato l’esistenza di un danno ingiusto nei confronti del padre (marito o convivente more uxorio della donna) per l’impossibilità di configurare in capo allo stesso un interesse giuridicamente rilevante, riconosciuto come meritevole di tutela dall’ordinamento: se non vi è diritto leso, si affermava, non vi possono essere neppure danni risarcibili262.

Le motivazioni addotte a sostegno di tale posizione sono, ancora una volta, da rinvenire nel dato normativo offerto dalla legge 194/1978; dalla lettura dell’art. 5 si ricava infatti che il medico, cui la gestante si

262 Cfr. Cass., 8 luglio 1994, n.6464 in Giur. it., 1995, I, 1, 790 ss.. , e App. Bologna,

19 dicembre 1991, in Dir. fam. pers., 1993, p.1081, con nota di L.CEI.In entrambe le occasioni i collegi giudicanti hanno sostenuto che, non avendo il padre alcun titolo per intervenire nelle scelte della donna ex art. 5, l. n.194/1978, non può essere configurabile nei suoi confronti alcun altro diritto soggettivo o interesse protetto che possa considerarsi leso alla luce della normativa contenuta nella legge e che gli fornisca titolo per ottenere il risarcimento del danno.

146

rivolge al fine di compiere tutti gli accertamenti necessari in merito alla legittimità del ricorso alle pratiche abortive, valuta l’esistenza di suddette circostanze «con la donna stessa e con il padre del concepito,

ove la donna lo consenta»263, «nel rispetto della dignità e della

riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito»264. In base all’interpretazione datadalla Corte di legittimità, la legge in esame si caratterizza, con chiarezza, come un provvedimento che tutela la vita umana fin dal suo inizio, consentendone il sacrificio solo a tutela della salute della donna, alla quale è per questo affidata in via esclusiva la scelta del se sopportare i rischi connessi alla gestazione, dal momento che qualunque intervento terapeutico deve essere praticato inevitabilmente sul corpo materno.

Fintanto quindi che l’integrità psico-fisica della donna è stata vista come l’unico bene tutelato e tutelabile alla luce della l. 194/1978, la legittimazione attiva del padre è stata negata escludendo in toto l’esistenza di un suo autonomo diritto al risarcimento del danno sia in sede aquiliana che contrattuale. Nessuna tutela giudiziale poteva essere accordata a chi non aveva alcuna facoltà di intervenire sulle scelte di prosecuzione o interruzione della gestazione.

Sull’esclusione del padre dalla partecipazione al procedimento decisionale della gestante, laddove questa non vi abbia acconsentito, si è più volte espressa in termini favorevoli la Corte Costituzionale; la perfetta legittimità della norma è stata confermata sulla base del diverso coinvolgimento psico-fisico della donna rispetto all’uomo durante tutte le fasi della gestazione265. Ne segue che il ricorso all’i.v.g. può di fatto

263 Cit. art. 5, l. n.194, 1978. 264 Ancora cit. art. 5, l. n.194, 1978. 265

L’art. 5, legge n.194 del 1978, stabilisce espressamente che il padre del concepito possa essere interpellato solo dietro previo consenso della gestante ed «esclude comunque, in ogni caso, qualsiasi rilevanza della sua volontà in ordine alla decisione di interrompere la gravidanza», cit. Corte cost., ord., 31 marzo 1988, n.389. Il rispetto del principio dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi nei confronti dei figli, fondato oltre che sugli artt. 29 e 30 Cost. sull’art. 3 Cost., non può essere invocato

147

avvenire in modo del tutto indipendente dalla volontà dell’altro genitore, senza possibilità che questi vi si possa opporre adducendo un proprio personale “diritto alla paternità”.

E’ lecito dunque che l’assoluta uguaglianza dei genitori nei confornti dei figli, valore costituzionalmente garantito agli artt. 29266 e 30267 Cost., non trovi una precisa corrispondenza nei confronti del concepito, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre non possono presentarsi identiche.

Ciò nonostante, al di fuori di un’ipotetica situazione di conflitto tra i due genitori in merito all’opportunità di proseguire o interrompere la gravidanza, i predetti assunti della giurisprudenza di legittimità sembrano perdere la loro perentorietà: pur senza superare del tutto la prospettiva fin qui delineata, l’orientamento è stato adeguatamente confutato. Oggi gli organi giudicanti si mostrano compatti e pacifici nel riconoscere anche al padre la legittimazione a chiedere il risarcimento del danno quando la lesione del c.d. “diritto alla paternità” derivi dal comportamento illecito di un soggetto estraneo alla coppia.

Più precisamente, nel caso in cui la nascita indesiderata consegua ad un errore professionale del medico che non abbia diagnosticato una malformazione fetale impedendo alla gestante di abortire, si è ammessa la tutela giudiziale anche della posizione paterna: non già perché questi sia titolare del diritto all'interruzione della gravidanza, ma perché l'omessa informazione alla madre, incidendo sul diritto del padre alla

laddove la differenza di trattamento è fondata su una diversa posizione di partenza, come appunto accade per il padre e la madre nei confronti del figlio concepito. E’ la naturale disuguaglianza ontologica tra uomo e donna dinanzi all’evento abortivo, che giustifica la scelta politico-legislativa di cui all’art. 5 l. n.194/1978.

266 Art. 29 Cost.: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società

naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».

267 Art. 30 Cost.: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,

anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità».

148

pianificazione familiare (diritto riconosciuto dagli artt. 29 Cost e 144 c.c.) genera un danno che, in quanto lesivo di una situazione di rango costituzionale, è risarcibile anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art 2059 c.c., secondo la lettura costituzionalmente orientata che ne ha dato la Corte di Cassazione.

Si riconosce, cioè, che l’attività sanitaria che il ginecologo o il personale ostetrico devono svolgere sul corpo della donna, durante la gestazione (sia in fase diagnostica, che terapeutica) ovvero al momento del parto, finisce inevitabilmente con il coinvolgere e mettere a rischio anche gli interessi dell’altro genitore, cui conseguentemente viene attribuito il diritto ad agire in giudizio per ottenere il debito ristoro.

Decisivo nel superamento della precedente prospettiva è stato, dunque, l’ammettere, anche nei confronti del padre, un “diritto alla procreazione cosciente e responsabile”, diretta e specifica manifestazione del più generale, inviolabile, diritto di autodeterminazione che la Carta fondamentale riconosce ad ogni individuo, uomo o donna che sia. Il fatto che vi sia una innegabile diversità biologica e che ciò offra opportuna giustificazione al diverso trattamento giuridico previsto dall’art. 5 dinanzi all’evento abortivo, non può privare di qualunque rilevanza, in termini di diritto, la relazione del padre con il concepito ed il suo diretto coinvolgimento nel progetto di procreazione familiare268. Tanto più che nelle vicende di danno da nascita indesiderata affrontate nel presente studio il figlio rappresenta la concretizzazione di un desiderio di genitorialità condiviso da entrambi i

268

Che il padre del concepito non abbia voce nella decisione abortiva dipende dal fatto l’interruzione di gravidanza, essendo un trattamento medico-chirurgico che si compie sul corpo della donna, necessita del consenso personale ed esclusivo di quest’ultima. Ciò non può tuttavia dar luogo a fraintendimenti: il diverso trattamento previsto all’art. 5 non vale ad escludere che sia configurabile in capo al padre del bambino un “diritto alla paternità” tutelabile nei confronti della condotta illecita di un terzo: cfr. G. FERRANDO,Op. cit.. «E’ apparso logico ammettere la protezione anche nei riguardi del padre, sebbene soltanto entro i limiti in cui la sua volontà possa aver acquisito rilevanza giuridica sulla base della normativa in materia di interruzione della gravidanza (v. art. 5 l.194/1978)», C.SIANO,Op. cit., 217-218.

149

coniugi269. In questi termini, allora, i limiti sanciti dalla legge 194/1978 si presentano «non come una disuguaglianza di diritto, bensì (come) la

tutela della diversità di fatto»270 tra padre e madre.

3.4.3 (segue) La scelta alla madre, il risarcimento anche al padre:

Cass. 6735/2002

La giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione ad agire anche al padre del nato a partire da una pronuncia del 1998271. Tale decisione, aderente all’impostazione extracontrattuale, riconobbe il soggetto in questione portatore di un interesse riflesso a chiedere ed ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito di rimbalzo dalla violazione del diritto alla salute della moglie.

La figura giuridica cui venne fatto ricorso in quella sede fu quella del c.d. “danno da rimbalzo”, istituto mutuato dall’esperienza francese del

dommage par ricochet, ed impiegato per indicare la lesione di un diritto

di cui sia titolare un soggetto diverso dalla vittima principale dal fatto

269

In proposito G.FERRANDO,Op. cit., «pare infatti difficile da contestare che le decisioni relative alla procreazione siano tra quelle che definiscono l’indirizzo della vita familiare (ed anzi, tra le più essenziali di queste) e siano quindi affidate all’accordo tra i coniugi (art. 145 c.c.). La procreazione responsabile, la scelta delle dimensioni della famiglia, dei metodi da seguire per attuare tali scelte costituisce senza alcun dubbio espressione della libertà e dell’autonomia di entrambi i coniugi. E dunque non c’è ragione di negare tutela all’autodeterminazione dell’uomo nelle scelte inerenti alla procreazione, solo perché non ha voce in capitolo nell’interruzione della gravidanza della sua compagna», cit. 235.

270 C.S

IANO,Op. cit., cit. 214.

271 Cass., 1 dicembre 1998, n. 12195. In realtà è da far presente che una parte della

giurisprudenza di merito si era già espressa a favore delle ragioni del padre con la sentenza Trib. Bergamo, 2 novembre 1995, in Danno e resp., 1996, p. 249, con note di C. PALOMBO, Errore diagnostico e mancata interruzione della gravidanza: circa l’effettuazione di una erronea diagnosi prenatale. In quell’occasione, il giudice affermò che il padre «avendo il diritto ed il dovere di partecipare in misura paritaria alla vita familiare soprattutto all’esercizio della potestà sul minore» subisce «un evidente pregiudizio alla propria salute in seguito alla nascita di un figlio portatore di handicap fisico tale da imporgli analoghi pesi ed analoghe fatiche rispetto a quelli di una moglie. Si tratta di una causa permanente di disagio e di tensione che finisce per alterare l’equilibrio psico-fisico della persona in ragione di una situazione certamente più usurante di fronte ai propri doveri paterni e maritali».

150

illecito, ma ad essa comunque legato da un rapporto di significativa rilevanza. In altre parole il “danno riflesso” viene utilizzato per risarcire quei danni subiti in via indiretta a causa del comportamento colposo del debitore di un rapporto obbligatorio di cui non si è parte.

Con la sentenza 1 dicembre 1998, n.12195, il Supremo Collegio, dopo aver preliminarmente ribadito che la decisione di interrompere la gravidanza può essere assunta solo dalla donna272, affronta direttamente il problema dei danni risarcibili al padre sostenendo che «se per il

mancato legittimo esercizio del diritto di interruzione di gravidanza da parte della donna a norma dell’art. 6 l. n. 194/1978, la stessa abbia subito un danno grave alla salute, è ipotizzabile un danno, anche biologico, sotto il profilo del danno riflesso dei prossimi congiunti (nella specie del marito della stessa); conseguentemente, se il danno subito dalla donna è da ascriversi a fatto colpevole di un terzo, anche il congiunto, danneggiato di riflesso, è legittimato a richiedere il risarcimento del danno»273.

Il danno al padre venne quindi riconosciuto solo in funzione di quello subito dalla donna, se ed in quanto ne fosse stato il riverbero, e sempre che tale danno rientrasse nelle conseguenze normali e prevedibili della lesione274. I soli pregiudizi il cui ristoro, di fatto, veniva accordato erano quelli “riflessi” delle conseguenze negative sulla salute della moglie, rimanevano esclusi quelli direttamente ricollegabili all’ingresso nella famiglia di un figlio diversamente abile: sofferenze morali, traumi

272«L’interesse protetto è soltanto quello della salute della donna e solo in ragione

della tutela del medesimo è riconosciuto il diritto all’interruzione della gravidanza», cit. Cass., 1 dicembre, 1998, n.12195. Si ricorda che la pronuncia in oggetto appartiene a quel filone interpretativo, già citato nei precedenti paragrafi, che ravvisava nella salute della donna l’unico criterio di selezione dei danni risarcibili, nonché l’unica ratio della legge 194/1978.

273

Cit. Cass., 1 dicembre 1998, n.12195.

274 F.C

ASSONE,Il danno da nascita indesiderata, inS.RODOTÀ P.ZATTI (a cura di), Trattato di biodiritto, La responsabilità in medicina, Milano, 2011, 402-403.

151

psichici, cambiamenti esistenziali nella vita quotidiana e conseguenti costi economici275.

L’impostazione fin qui descritta ha avuto, tuttavia, solamente la funzione di aprire la porta al riconoscimento dei danni ad entrambi i genitori del nascituro; la via del danno indiretto fu abbandonata pochi anni più tardi dalla stessa giurisprudenza di legittimità in favore di quella, tuttora seguita, che attrae la protezione degli interessi paterni nell’area del contratto intercorso tra la gestante ed il ginecologo (o l’ente sanitario). I più recenti approdi giurisprudenziali hanno più correttamente evidenziato che anche i pregiudizi subiti dall’uomo costituiscono conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento del medico.

La Suprema Corte quindi, nel correggere le tesi dottrinali e giurisprudenziali secondo le quali «l’interesse protetto dalla norma» e rilevante ai fini del risarcimento del danno sarebbe soltanto «la salute

della donna»276, ha ribadito la responsabilità ex art. 1218 c.c. del

ginecologo nei confronti sia della madre, sia del padre che risente direttamente degli effetti pregiudizievoli della sua condotta colposa.

Il passaggio alla prospettiva della tutela contrattuale è stato inaugurato con la pronuncia in epigrafe, Cass., 10 maggio 2002, n. 6735277.

A ben vedere però la decisione in esame non contiene alcun esplicito richiamo alla teoria del contratto protettivo e si presenta tutt’altro che particolarmente elaborata nella sua ricostruzione teorica, dando, anzi,

275

C.PONCIBÒ,La nascita indesiderata tra Italia e Francia,in Giur. it., 2003, 884 ss. In sostanza il problema del “danno da rimbalzo”, o “danno riflesso”, consiste nella sua inidoneità a risarcire, compensare pienamente tutte le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito.

276

Cit. Cass., 8 luglio 1994, n. 6464.

277 Cass., 10 maggio 2002, n. 6735, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 669 ss., con

nota di R. MATTEIS, La responsabilità medica per omessa diagnosi prenatale: interessi protetti e danni risarcibili;in Resp. civ. e prev., 2003, 134 ss.,con nota di M. GORGONI,Il contratto tra la gestante ed il ginecologo ha effetti protettivi anche nei confronti del padre;in Giur. it., 2003, 884 ss., con nota di C.PONCIBÒ,Op. cit..

152

l’impressione di lasciare ancora una volta spazio preminentemente a valutazioni di giustizia sostanziale.

L’abbandono della prospettiva aquilana è da leggere alla luce del progressivo slittamento della responsabilità medica dall’ambito extracontrattuale a quello ex art. 1218 c.c.: una volta individuata nel contratto la fonte, si rese necessario ripensare al sistema per riconoscere tutela anche al padre.

La vicenda trae origine da un atto medico di mancata diagnosi della malattia congenita di un feto a causa di una non corretta interpretazione dei risultati degli esami ecografici prescritti nel corso di una gravidanza che, però, si profilava già a rischio date le condizioni patologiche della gestante278. La coppia di coniugi aveva quindi citato in giudizio il ginecologo: il figlio era nato affetto dalla sindrome di Apert, gravissima patologia che comporta una rara forma di deformazione dello sviluppo consistente essenzialmente in una craniosinostosi (prematura fusione delle suture craniche) e sindattilia (fusione delle dita di mani e piedi). Durante uno dei ricoveri di controllo che avevano preceduto il parto e che si era svolto presso un istituto universitario, i sanitari avevano consigliato alla donna di procedere con le pratiche abortive sulla base delle cattive condizioni di salute della stessa incontrando, però, il diniego della gestante. I coniugi si erano così rivolti al convenuto affinché procedesse con i controlli necessari a verificare il regolare sviluppo del feto, nonché il generale andamento della gravidanza. Fu in quella sede il medico omise completamente di rilevare la presenza di qualunque malformazione: l’esistenza di quest’ultime non venne mai prospettata e alla paziente venne fatta in più occasioni rassicurazione del

278 La condizione patologica di cui si era scoperta affetta la gestante e i trattamenti

terapeutici cui era stata sottoposta, prima ancora di venire a conoscenza del suo essere in stato interessante, l’avevano esposta all’azione di fattori teratogeni (farmaci, radiazioni ionizzanti).

153

regolare sviluppo della gestazione279. «Una tempestiva diagnosi

prenatale avrebbe consentito di interrompere la gravidanza anche oltre il novantesimo giorno»280.

La domanda degli attori, in proprio e nell’interesse del figlio, minorenne, non riguardava, quindi, un’eventuale responsabilità del ginecologo per la causazione delle malformazioni, bensì la circostanza che il medico, per colpa, non avesse riconosciuto i sintomi della patologia e, di conseguenza, non ne avesse opportunamente informato i genitori.

Il Tribunale di Perugia, rilevando in via preliminare la carenza della legittimazione ad agire del figlio, incentra la responsabilità del medico nei confronti dei due coniugi per omissione di informazione sulle possibili malattie del feto. La domanda giudiziale viene tuttavia accolta solo in parte: da un lato si riconosce la colpa del professionista nel non essersi reso conto dell’esistenza delle malformazioni, dall’altro si esclude, però, che una tempestiva diagnosi dello stato del nascituro avrebbe consentito alla madre di interrompere la gravidanza.

Nella pronuncia di primo grado non vengono mai utilizzate espressioni quali “contratto ad effetti protettivi”, “obblighi di protezione”, “efficacia protettiva per i terzi”, ovvero altre espressioni con significato analogo; la condizione giuridica del marito viene, invece, presa in considerazione congiuntamente a quella della moglie, attribuendo valore decisivo al fatto che la colpevole omissione del professionista sanitario «ha dato luogo ad una nascita inaspettata di un

figlio portatore di handicap con un conseguente ed evidente trauma per i genitori, sicuramente incidente sull’integrità psico-fisica dei medesimi»281. A ciò è da aggiungere che la pronuncia del collegio non

279 I fatti in causa sono ben illustrati nella pronuncia di primo grado: Trib. Perugia, 7

settembre 1998, in Foro it., 1999, p.1804, con nota di A.PALMIERI.

280 Cit. Cass., 10 maggio 2002, n.6735.

154

sembra affrontare il problema della natura e del titolo, extracontrattuale o contrattuale, di tale ipotesi di responsabilità verso gli attori.

Considerazioni simili sono state quelle effettuate in secondo grado dalla Corte di Appello di Perugia.

La vicenda viene trattata diversamente dalla Corte di legittimità, laddove, viceversa, la natura contrattuale della responsabilità del ginecologo nei confronti di entrambi i genitori diventa la base di tutto l’iter argomentativo che ha condotto all’adozione dell’arresto in oggetto.

Secondo i giudici, anzitutto, la mancata informazione priva colposamente e ab origine la donna della possibilità di ricorrere alle tecniche abortive (nel caso di specie, ricorrevano tutti i presupposti