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Il rapporto con la struttura sanitaria

2.3 La “contrattualizzazione” della responsabilità sanitaria

2.3.2 Il rapporto con la struttura sanitaria

Dopo una serie di iniziali incertezze, la giurisprudenza è oggi pressoché pacifica nel qualificare come contrattuale la responsabilità dell’ente ospedaliero (così come quella della clinica privata o ad esso convenzionata) nei confronti del paziente: essa può conseguire, a norma dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento di quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell’ente debitore, ovvero, a norma dell’art. 1228 c.c.102, all’inadempimento delle prestazioni medico-professionali svolte direttamente dai sanitari-ausiliari.

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Art. 1228 c.c., “Responsabilità per fatto degli ausiliari”: «salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti colposi o dolosi di costoro».

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Sebbene quindi la natura contrattuale della responsabilità dell’ente rappresenti un dato acquisito, in passato, soprattutto con riferimento al periodo che ha preceduto l’entrata in vigore della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, l. 23 dicembre 1978, n.833, la questione è stata oggetto di ampio dibattito. I problemi, in particolare, si presentavano quando la causa inerente alla malpractice medica coinvolgeva una struttura sanitaria di tipo pubblico. Che si tratti di un ospedale pubblico o di una casa di cura privata, la questione è oggi del tutto irrilevante, atteso che gli obblighi che gravano su di essi sono sostanzialmente equivalenti: identici sono i beni che vengono in considerazione e identici sono i doveri di diligenza e di salvaguardia che essi reclamano103.

La giurisprudenza maggioritaria, avvallata da parte della dottrina, tuttavia, era solita affermare il carattere extracontrattuale della responsabilità dell’ospedale, combinando quanto sancito dall’art. 28 Cost.104 con il principio generale di neminem laedere di cui agli artt. 2043 ss. c.c.. La ratio decidendi delle pronunce in materia rinveniva il suo fondamento nella natura pubblica del soggetto erogatore della

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M. PARADISO,La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, in Danno e resp., 2009, 704. L’irrilevanza della natura (pubblica, privata o convenzionata) della struttura sanitaria rispetto alla configurabilità di una responsabilità nei confronti del paziente è affermata da Cass., 25 febbraio 2005, n. 4058, in Riv. it. medicina legale, 943. Da ultimo si ricordi anche Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577: «per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi, ed anche nella giurisprudenza si riscontra una equiparazione completa della struttura privata a quella pubblica quanto al regime della responsabilità civile anche in considerazione del fatto che si tratta di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata della struttura sanitaria. Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale comporta la conclusione di un contratto».

104 Art. 28 Cost.: «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono

direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, deigli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo stato e agli enti pubblici».

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prestazione sanitaria, nonché nell’allora assunta incompatibilità ontologica tra il concetto di contratto e quello di servizio pubblico: il rapporto del paziente con un ente statale si riteneva trovasse la sua fonte in un atto amministrativo e mai in un accordo tra soggetti “alla pari”. In questa prospettiva, le attività di cura e di tutela realizzate all’interno del contesto ospedaliero si presentavano intese prevalentemente alla realizzazione di un interesse pubblico, come, cioè, servizio rivolto all’intera collettività e non al singolo individuo. La prestazione medica veniva in rilievo esclusivamente quale esercizio del potere amministrativo dello Stato, idoneo pertanto a concretizzarsi in un atto avente la stessa natura anche nel caso in cui si fosse trattato di ricovero a pagamento105.

Tale visione trovava peraltroun importante riscontro normativo, seppur in negativo, nell’assoluta irrilevanza della volontà del paziente nell’ambito del rapporto di cura106. L’accento posto dalla riforma del 1978 sulla volontà dell’assistito e la valorizzazione del consenso mediante l’ampliamento degli spazi per la sua manifestazione hanno condotto la giurisprudenza ad un’inversione di tendenza. La prospettiva contrattuale era una tesi già avanzata da una parte della dottrina prima ancora dell’intervento normativo; la legge ha messo in luce i profili consensualistici del rapporto tra l’utente e la struttura sanitaria pubblica rendendo, da un lato, necessario il consenso del paziente ai fini

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A tale proposito appare significativa una pronuncia della giurisprudenza di merito, Trib. Firenze, 27 marzo 1974, citata da S. BAGGIO, Op. cit., 425, secondo la quale «a mente della disciplina della prestazione del servizio sanitario nei pubblici ospedali, regolata dal r.d. n.1631 del 1938 all’epoca dei fatti, la tutela e la cura della salute della generalità dei cittadini si presenta come intesa prevalentemente alla realizzazione di un pubblico interesse, talchè il rapporto fra il privato e l’ente si articola su un piano che risponde ai caratteri del pubblico servizio. Né va attribuita alcuna decisiva influenza, nella classificazione del rapporto, neppure all’eventuale onerosità della prestazione, prevista dalla legge e che si riscontra del resto anche in altre ipotesi di servizi gestiti da amministrazioni pubbliche (vedi ad es. il servizio postale), mentre rilievo determinante assume, a contrario, l’esclusione di ogni interferenza del privato nella scelta del personale medico destinato all’espletamento delle singole prestazioni, comprese quelle di essenziale rilevanza, come gli interventi chirurgici».

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dell’esecuzione degli opportuni accertamenti e degli eventuali e conseguenti trattamenti terapeutici, dall’altro, finendo con il riconoscere (indirettamente) la compatibilità tra pubblico servizio e contratto107. In questo senso si è posta l’attenzione anche sull’aspetto “personalistico” dell’attività medica quale servizio erogato da una pubblica amministrazione, ma finalizzato ad assicurare protezione al singolo individuo in quanto titolare del diritto costituzionale alla salute e non più in qualità di indifferenziato e generico fruitore del pubblico servizio. Quello tra paziente ed ente si viene a radicare dunque come «rapporto,

ancorché pubblicistico, innervato dal diritto soggettivo del primo alla prestazione del servizio pubblico e dal dovere del secondo di eseguirla»108.

A partire dalla fine degli anni ’70, dunque, la Suprema Corte ha costantemente qualificato la responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale sul rilievo per cui l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero ovvero di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un vero e proprio accordo negoziale. Ad oggi, è unanime riconoscere che chiunque si rivolge all’ente pubblico, clinica o qualsivoglia altro ente sanitario, e paga un corrispettivo direttamente o tramite servizio sanitario nazionale, stipula tacitamente un contratto con la struttura che, in virtù di tale vincolo, si obbliga non solo a

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Il consenso del paziente era invero richiesto per ogni tipo di accertamento o trattamento sanitario (art. 33, comma 1°, l. 833/1978); senza contare che veniva espressamente fatta salva la facoltà di scelta dell’assistito in ordine al luogo di cura (art. 19, comma 2°), o di ricovero (art. 25, comma 9°), al medico (cd. «di fiducia»: artt. 19, comma 2° e 25, comma 4°), nonché alle modalità di esecuzione della prestazione sanitaria. Cfr. anche G. ALPA, La responsabilità medica, in Resp. Civ. prev., 1999, 331-332.

108 Cit. in S. B

AGGIO, Op. cit., 426. Eloquente è Cass., 11 maggio 1988, n. 2144, cit., nella quale si legge che «Non esiste, in tal caso [ovvero nel caso di esercizio del servizio pubblico sanitario], una posizione di potere dello Stato o dell‟ente pubblico che gestisce il servizio; a differenza dell’attività amministrativa svolta per la realizzazione di interessi generali. Il privato, fattane richiesta, ha un diritto soggettivo alla prestazione del servizio pubblico in suo favore, e al diritto soggettivo del privato corrisponde, ed è correlato, il dovere di prestazione dello Stato o del diverso ente pubblico in favore del privato richiedente»

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somministrare le cure adeguate al ricoverato, ma anche a garantirgli un livello di assistenza rispondente a determinati standards qualitativi. In caso di mancato rispetto di tali obblighi, sarà chiamata a rispondere ex art 1218 c.c.

2.3.3 (segue) Il contratto “atipico” di spedalità

Appurata la natura contrattuale della responsabilità dell’ente, il problema diviene quello di individuare la fattispecie cui ricondurre l’accordo concluso con il paziente.

In un primo momento, la giurisprudenza ha inquadrato detto rapporto nell’ambito del contratto di prestazione d’opera intellettuale facendo ricorso, per via analogica, alla stessa disciplina applicata in caso di attività sanitaria svolta dal medico libero professionista. A fondamento di tale considerazione vi era la presunta «similarità» tra le due prestazioni109: il loro contenuto era infatti ritenuto analogo e ciò giustificava l’applicazione degli artt. 2229-2238 c.c.110.

Presupposto necessario del riconoscimento della responsabilità contrattuale della struttura diveniva allora l’accertamento di un

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A tale proposito è emblematico quanto affermato da Cass., 1 marzo 1988, n.2144, (pronuncia in realtà fondamentale per quanto concerne gli aspetti relativi la responsabilità dei medici ospedalieri, ma che ha dovuto misurarsi inevitabilmente anche con il problema della responsabilità della struttura): «l’attività svolta dall’ente pubblico gestore del servizio a mezzo dei suoi dipendenti, nell’adempimento del dovere di prestazione verso il privato richiedente (titolare del corrispondente diritto soggettivo) è di tipo professionale medico; similare all’attività svolta, nell’esecuzione dell’obbligazione di prestazione, dal medico che abbia concluso con il paziente un contratto d’opera professionale. Ed appunto per questa similarità, perché quella svolta dall’ente pubblico a mezzo dei medici suoi dipendenti è attività professionale medica, la responsabilità è analoga a quella del professionista medico privato. Con la conseguenza che vanno applicate, analogicamente, le norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d’opera professionale: in particolare quella di cui all’art. 2236 c.c.».

110 Art. 2230 c.c., “Prestazione d’opera intellettuale”: «il contratto che ha per oggetto

una prestazione d’opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente».

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comportamento colposo del medico operante presso di essa111. Era possibile cioè affermare la responsabilità dell’ente solo in presenza del fatto colposo o doloso del medico dipendente, alla luce delle norme che disciplinano il contratto d’opera intellettuale e, precipuamente, della norma di cui all’art. 2236 c.c., “esimente” prevista dal codice con specifico riferimento all’attività resa dal professionista, ma in questo caso applicata ad un rapporto, quello tra paziente e struttura sanitaria, privo di un’impronta personalistica112

.

L’orientamento tradizionalmente adottato dalla giurisprudenza è stato superato dalla riconsiderazione del rapporto tra medico ed ente in termini autonomi e distinti rispetto a quello che si viene a creare con il singolo operatore all’interno della stessa struttura; l’idea che l’ente sanitario assuma la veste di un “medico collettivo” che stipula contratti di prestazione d’opera con il paziente è apparso peraltro riduttivo a fronte del più ampio contenuto della prestazione assunta al momento dell’accettazione ospedaliera113

. A ciò si aggiungeva la difficoltà, ravvisata dalla dottrina, di giustificare l’applicazione della disciplina prevista per il contratto di prestazione d’opera ad un rapporto ritenuto privo del carattere personalistico della prestazione.

La giurisprudenza ha abbandonato la tesi del contratto d’opera professionale per riconoscere tra l’ente sanitario e il paziente che ad esso si rivolge l’esistenza di un «autonomo e atipico contratto a

111 La già ricordata Cass., 1 marzo 1988, n.2144 ribadisce come la responsabilità della

struttura abbia «radice nell’esecuzione non diligente della prestazione sanitaria da parte del medico dipendente, nell’ambito dell’organizzazione sanitaria».

112 L’applicazione della norma alla responsabilità della struttura sanitaria è una delle

ragioni poste dalla dottrina a fondamento della critica alla tesi del contratto d’opera. In particolare si è messa in luce l’inconciliabilità tra la natura personale della prestazione di questa tipica fattispecie contrattuale e quella specifica del rapporto tra ente e paziente. S. BAGGIO, Op. cit., a tale proposito parla di «difficoltà nel giustificare l’applicazione della disciplina prevista per il contratto di prestazione d’opera intellettuale ad un rapporto, quello tra ente e paziente, privo del carattere personalistico della prestazione».

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Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n.577, ad esempio, ha ritenuto la tesi del “contratto d’opera” un «riduttivo appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico».

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prestazioni corrispettive», denominato “contratto di spedalità” o, più in

generale, “contratto di assistenza sanitaria”, e disciplinato secondo le disposizioni generali proprie del diritto dei contratti. Si tratta di un accordo nell’ambito del quale, a fianco della prestazione principale consistente in attività di tipo diagnostico o terapeutico, si vengono a collocare altri obblighi specifici, ad essa accessori: con il “contratto di spedalità” l’ente diviene infatti debitore di un servizio «composito», comprensivo cioè delle prestazioni di cura, assistenza e sorveglianza, di quelle organizzative relative alla predisposizione e alla manutenzione delle apparecchiature sanitarie, di messa a disposizione del personale medico ausiliario e paramedico, nonché di quelle più propriamente alberghiere di vitto e alloggio114.

In altre parole, secondo questa diversa impostazione, l’attività del prestatore d’opera rappresenta solo una parte della (più complessa) prestazione di assistenza sanitaria cui la struttura è obbligata ad adempiere.

Il nuovo inquadramento ha consentito così di configurare forme di responsabilità proprie dell’ente che prescindono dall’accertamento della colpa o, comunque, di una specifica condotta negligente del singolo medico ospedaliero, trovando fondamento nell’adempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all’ente stesso. Numerose sono le pronunce, di merito e di legittimità, con cui la struttura sanitaria è stata chiamata a rispondere nei confronti del paziente, non solo per la condotta illecita degli operatori, ma anche per le carenze organizzative e il cattivo funzionamento di macchinari e strumentazione tecnica.

114 Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n.577, in Danno e resp., 2009, 871 ss., con nota di

A. NICOLUSSI, Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. La responsabilità del medico; in Resp. civ. e prev., 2008, 856 ss., con nota di M.GORGONI,Dalla matrice contrattuale della responsabilità nosocomiale e professionale al superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzo/di risultato. La vicenda giudiziaria che ha dato luogo alla pronuncia delle Sezioni Unite è oramai celebre e trae origine da una richiesta di risarcimento dei danni per una malattia, l’epatite “C”, che sarebbe stata contratta con le trasfusioni di sangue praticate in occasione di un intervento chirurgico.

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Nessun rilievo assume peraltro il fatto che il paziente si sia rivolto ad una struttura del SSN o con esso convenzionata, ad una clinica privata, ovvero direttamente al suo medico di fiducia che abbia successivamente eseguito l’intervento presso un presidio scelto da lui stesso o dal paziente: in tutti i casi è configurabile una responsabilità contrattuale diretta, per “fatto proprio”, della struttura sanitaria115.

Significativa per l’impostazione fin qui delineata è Cass., 1 luglio 2002, n.9556, secondo cui «il complesso ed atipico rapporto che si

instaura tra la casa di cura e il paziente (nella specie una partoriente), anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo scelga al di fuori della struttura sanitaria il medico curante, non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto e alloggio) ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico, nonché nell’apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature anche in vista di eventuali complicanze; è perciò configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti casualmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, a nulla rilevando che l’eventuale responsabilità concorrente del medico di fiducia del paziente medesimo sia ancora sub iudice in altro separato processo»116.

La responsabilità dell’azienda ospedaliera, così come quella della casa di cura privata poi, a fronte dell’inadempimento delle obbligazioni di tipo specificamente medico, delle prestazioni, cioè, cui adempie per il tramite dei professionisti del cui lavoro si avvale, supera il rinvio analogico al contratto d’opera professionale e si ancora all’art. 1228 c.c., che, come si è già avuto modo di ricordare, sancisce la responsabilità diretta del debitore per il fatto dei suoi ausiliari.

115 Cfr. M. P

ARADISO,Op. cit., 704.

116 Cass., 1 luglio 2002, n.9556, in Foro. it., 2002, 3060 ss., con nota di A.P

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Ciò significa che, in sede processuale, il paziente che si reputi danneggiato dall’operato del professionista che lo ha avuto in cura può limitarsi a chiamare in causa la struttura quale unica parte debitrice del “contratto di spedalità”; sarà poi quest’ultima, in caso di condanna, a potersi rivalere nei confronti dell’autore materiale della condotta lesiva. Si tratta quindi, anche in questo caso, di una responsabilità per “fatto proprio” dell’ente, che trova la sua fonte nel rapporto contrattuale con il suo assistito; il debitore non risponde, come invece accadrebbe in caso di ex art. 2049 c.c.117, di un illecito altrui, ma esclusivamente in ragione del proprio inadempimento, assumendo l’attività dell’ausiliario, a latere debitoris, il valore giuridico di un mero mezzo di esecuzione della prestazione del “contratto di spedalità”.

In sostanza, la struttura dovrà sempre rispondere dell’agire individuale dei medici per il solo fatto di essersene avvalsa nell’adempimento delle obbligazioni connesse allo svolgimento dell’attività di assistenza ospedaliera e ciò, ancora una volta, a prescindere dall’accertamento del fatto illecito degli stessi, in quanto la funzione dell’art. 1228 c.c. è quella di accollare il rischio dell’opera degli ausiliari al debitore, indipendentemente dall’accertamento di una loro condotta colposa118

.

Peraltro, il ricorso alla prospettiva contrattuale, dunque anche all’art. 1228 c.c., aggrava la posizione dell’ente rispetto agli schemi precedentemente applicati (art. 28 Cost.119 in combinato disposto,

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Art. 2049 c.c., “Responsabilità dei padroni e dei committenti”: «i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti».

118 R. D

E MATTEIS, La responsabilità in ambito sanitario, in Trattato della responsabilità contrattuale, (a cura di) G.VISINTINI,vol. II, I singoli contratti, Padova, 2009, 581-582. Per quanto concerne la ripartizione degli oneri probatori, il paziente che abbia subito un danno per l’illecito del sanitario converrà in giudizio la struttura presso cui è stato eseguito l’intervento allegando l’inesatta esecuzione della prestazione medica e provando il titolo fonte del suo diritto e della sua pretesa risarcitoria; spetta alla struttura provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare la non corretta esecuzione.

119 In passato l’attività del singolo medico era direttamente imputabile all’ente

ospedaliero in virtù del rapporto di immedesimazione organica istituito dall’art. 28 Cost. tra dipendenti dello Stato ed enti pubblici di appartenenza. La teoria del rapporto organico, elaborata al fine di attribuire capacità d’agire agli enti, consente infatti di

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alternativamente, con gli artt. 2043 o 2049 c.c.), in quanto, come confermato da consolidata giurisprudenza, la nozione di “ausiliario” è molto più ampia rispetto a quella di “organo” o di “commesso”120. La prima è infatti idonea ad indicare genericamente tutti i terzi (per usare la stessa terminologia impiegata dall’art. 1228 c.c.) della cui opera il debitore, per propria iniziativa, si avvale nell’adempimento del contratto di cura con il paziente, compresi i collaboratori esterni e autonomi, nei confronti dei quali non sussiste un rapporto di subordinazione, con l’unico limite della mancanza di un vincolo contrattuale che li leghi al malato-creditore. Quanto poi al rapporto tra medici e case di cura, la Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare che sussiste il vincolo di ausiliarietà, rilevante ex art. 1228 c.c., anche nell’ipotesi in cui sia stato il paziente a scegliere personalmente il medico e a farsi ricoverare presso la struttura ospedaliera indicata da quest’ultimo.