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La decadenza dall’azione

Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza

6 IL “PERIODO SOSPETTO” E LA DECADENZA DELL’AZIONE REVOCATORIA NELL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA: DECORRENZA DEI TERMINI E

6.3 La decadenza dall’azione

Come già segnalato al paragrafo precedente, l’originario richiamo operato dall’art. 49, d.lgs. n. 270/1999 agli artt. 67-70 l.fall. non poteva ricomprendere anche l’art. 69-bis, entrato in vigore solo successivamente. Nessuna specifica norma di coordinamento tra la nuova disposizione e la disciplina dell’A.S. è stata inserita nel d.lgs. n. 5/2006 né negli interventi legislativi successivi, con la conseguenza per cui si pone il problema di stabilire se il citato art. 69-bis si applica effettivamente alla procedura di amministra- zione straordinaria, e, in caso positivo, come tale applicazione si modelli concretamen- te, con particolare riferimento all’individuazione del dies a quo per computare i periodi triennali e quinquennali indicati dal primo comma.

La risposta al primo quesito non sembra porre particolari difficoltà: benché l’art. 49

non richiami espressamente (per gli ovvi motivi visti in precedenza) l’art. 69-bis [92], la

natura “aperta” del rinvio ivi contenuto (che non individua singolarmente le norme rese applicabili, ma menziona la sedes materiae di queste ultime) ha l’effetto di inclu- dere anche l’art. 69-bis tra le disposizioni fallimentari estensibili all’A.S.; conseguente- mente, anche il commissario straordinario è tenuto a rispettare i termini decadenziali sopra indicati nell’esercizio delle azioni revocatorie.

Ma da quando decorrono questi termini, dunque? L’interrogativo, a livello generale,

92 Sul punto D. Fico, Decorrenza dei termini per l’esercizio di azione revocatoria nell’amministrazione straordinaria conse-

si è posto fin dalla vigenza della l. n. 95/79 (c.d. “Legge Prodi”), il cui rinvio alla nor- mativa in tema di liquidazione coatta amministrativa aveva determinato un contra- sto tra la giurisprudenza di legittimità ed una parte di quella di merito. Secondo un primo e prevalente orientamento, più volte ribadito anche di recente dalla Suprema Corte, l’azione revocatoria fallimentare nell’A.S. era esperibile solo dalla data del decreto che disponeva l’apertura della procedura e la nomina del commissario, es- sendo quest’ultimo l’unico soggetto legittimato al suo esercizio, con la conseguen- za per cui il relativo termine prescrizionale non decorreva dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì dalla data del decreto di nomina del commissario, ossia dal momento in cui, a norma dell’art. 2935 c.c., il diritto poteva essere fatto valere; né vi erano ragioni per derogare a tale principio con riguardo all’azione promossa da una società, appartenente ad un gruppo già dichiarato insolvente e sottoposto all’amministrazione straordinaria, in quanto, anche in tal caso, prima della nomina del commissario non vi era alcun soggetto legittimato ad agire in giudizio in nome e per conto della singola procedura concorsuale [Cass. I, 24.4.2015, n. 8390; Cass. I, 29.7.2014, n. 17200; Cass. I, 16.6.2011, n. 13244; conf. Trib. Udine 31.12.1986, in Di- ritto Fallimentare 1987, II, 520. Contra, tra le più recenti, Cass. I, 19.1.2016, n. 803]. Secondo la contrapposta tesi minoritaria, a suo tempo sostenuta da alcuni importan- ti giudici di merito, la decorrenza del termine prescrizionale coincideva invece con la data della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e non con quella, succes- siva, del decreto ministeriale che apre la procedura [App Milano 9.1.1987, in Diritto Fallimentare 1987, II, 930; Trib. Milano 12.3.1992, in Il Fallimento 1992, 650; Trib. Milano 21.4.1988, in Diritto Fallimentare 1989, II, 650].

Il richiamo al dibattito sorto durante la “Legge Prodi” non ha valenza meramente ar- cheologica, perché un’eco dei suoi contenuti è rintracciabile anche nell’applicazione giurisprudenziale del vigente art. 49 con riferimento al dies a quo del termine deca- denziale. Esiste, infatti, un corposo filone di merito per il quale il termine di deca- denza dell’azione decorre dalla data dell’autorizzazione al commissario all’esecuzione del programma di cessione (Trib. Padova 11.11.2014, in www.ilcaso.it ; Trib. Novara 17.12.2012, n. 869, www.ilcaso.it) o comunque da quella di approvazione del program- ma di liquidazione (Trib. Milano II, 2.3.2013), e ciò sulla base del principio generale

previsto dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere. Secondo questa impostazione, sarebbe infatti contraddittorio e ma- nifestamente incostituzionale sostenere che l’art. 49 preclude da un lato la possibilità del commissario di agire in revocatoria fino all’approvazione del programma di cessio- ne, e dall’altro determina la consumazione del termine prima ancora che tale evento si sia verificato, vanificando così di fatto l’astratta esperibilità della revocatoria (si veda, in particolare, Trib. Padova, cit.).

È innegabile, tuttavia, che in base al secondo comma dell’art. 49 tutti i termini previ- sti dagli artt. 66-70 l.fall. (e quindi, dovrebbe dedursi, anche quelli indicati nell’art. 69-

bis) decorrono dalla dichiarazione di insolvenza, sicché quest’ultima dovrebbe costitu-

ire sempre il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale [93], indipendentemente

dalle specifiche vicende della procedura in concreto. Queste ultime rivestono peraltro un’importanza pratica spesso decisiva, poiché tra la dichiarazione di insolvenza e l’au- torizzazione del programma decorre in genere un significativo lasso di tempo (dettato dalle incombenze previste dagli artt. 28, 30, 54 e 57: relazione del commissario, apertura della procedura, predisposizione del programma e sua approvazione), che contribuisce ad erodere in modo rilevante il termine triennale. Ciò ha condotto una parte degli inter- preti ad allinearsi, o comunque a condividere, l’orientamento giurisprudenziale ricorda- to in precedenza, che attribuisce valenza dirimente all’autorizzazione al programma di

cessione [94], ed ha altresì indotto taluni commentatori a ricercare una soluzione stretta-

mente processualistica del problema, così da ravvisare nell’approvazione non tanto un presupposto processuale (necessariamente presente fin dalla proposizione di quest’ulti- ma), quanto una condizione dell’azione, da accertarsi quindi al momento della pronun-

cia giudiziale e non del radicamento della domanda [95]: tesi, quest’ultima, che riecheg-

93 V. Zanichelli, L’amministrazione straordinaria, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da L. Panzani e G.

Fauceglia, Torino, 2009, 2049; A. Coppola, Gli effetti dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, in L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a cura di C. Costa, Torino, 2008, 406.

94 P. Baldassarre, I presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria nell’ipotesi di amministrazione straordinaria, Il Falli-

mentarista, 4.7.2012; C. Costa, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2008,

693; A. Daccò, Le azioni revocatorie nell’amministrazione straordinaria e nella liquidazione coatta amministrativa, in

Trattato delle procedure concorsuali, vol. 2, a cura di F. Fimmanò, Torino, 2010, 325-326; L. Gualandi, in AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 596.

95 Si veda Zanichelli, cit., 2049. In senso contrario, tuttavia, P. Pajardi-A. Paluchowski, Codice del fallimento, Milano,

2009, 2100; E. Gallesio Piuma, Il depotenziamento dell’azione revocatoria fallimentare, in Il Fallimento, 2000, 1117, se- condo le quali l’azione rimane “quiescente” durante la fase conservativa, come sostiene anche G. Bozza, Conversione

gia quanto già affermato dalla Cassazione a proposito della “Legge Prodi” (cfr. Cass. I, 10.1.2007, n. 267).

Notevole rilevanza pratica riveste l’ipotesi in cui l’azione revocatoria, o quantomeno la relativa eccezione, debba venire esercitata durante l’accertamento del passivo, al fine di evitare che si formi il giudicato endofallimentare sul credito insinuato. In que- sto caso, infatti, ben difficilmente il programma di cessione è già stato approvato, e si pone quindi il problema dell’ammissibilità della revocatoria “abbreviata” in assenza del provvedimento ministeriale. Nessuna delle soluzioni suggerite dagli interpreti per agevolare l’esperibilità dell’azione appare adeguatamente cautelativa: non quella che da un lato consente l’ammissione al passivo del credito e dall’altro fa salva la proponi-

bilità successiva dell’azione [96], data la insuperabile preclusione derivante dal giudica-

to endofallimentare, e nemmeno quella che fa ricorso al meccanismo dell’ammissione condizionale del credito subordinatamente al successivo verificarsi dell’approvazione

del programma [97], per le incertezze che essa comporta in relazione all’ammissibilità

di una condizione forse “atipica”. Sotto il profilo strettamente pratico, l’accorgimento migliore è quello di ritardare la definitività dello stato passivo ad un momento succes- sivo alla scelta del programma, evenienza probabilmente contemplata dallo stesso le- gislatore del 1999 laddove ha calcolato i tempi della procedura in modo da far conclu-

dere la verifica dopo l’inizio della seconda fase dell’A.S. [98]

96 Sostenuta da G. Lo Cascio, Commentario alla legge sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi,

Milano, 2000, 233, e da Maffei Alberti, Commentario breve, cit., 1751, per i quali non vi è sostanzialmente obbligo di esercizio della revocatoria “abbreviata” in sede di verifica del passivo.

97 Dubitativamente esposta da P. Pajardi-A. Paluchowski, Codice del fallimento, cit., 2100. 98 P. Pajardi-A. Paluchowski, Codice del fallimento, cit., 2101.

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