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Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza

5.1 Nozione di Gruppo

La legge fallimentare, come modificata negli anni 2006 e 2007 (giusta il D. lgs. n. 5/2006 e il D.lgs. n. 169/2007) non ha introdotto veruna disciplina concernente i gruppi di im- prese. Ne deriva che, in tema di gruppi insolventi, deve farsi riferimento alla disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. Come ricordato, la c.d. Legge Prodi bis, ovvero il D. lgs. n. 270/1999, a differenza di altre procedure concorsuali, prende in considerazione i gruppi di imprese negli artt. 80-91. Detta ultima normativa regola le ipotesi di amministrazione straordinaria di un’impre- sa facente parte di un gruppo e ne prevede l’estensibilità ad altre imprese del medesi- mo gruppo, che si trovino in stato di insolvenza, anche nei casi in cui dette imprese non posseggano i restanti requisiti prescritti per essere ammesse alla procedura.

Il che sottende il crtiterio dell’unitarietà economica dell’impresa di gruppo pur se or- ganizzata in strutture giuridiche separate e distinte.

In detta cornice la procedura madre è quella di riferimento, in quanto concerne l’im- presa che, rivestendo i requisiti di legge, viene avviata per prima all’amministrazione straordinaria. Il che costituisce il presupposto per dare corso all’estensione della pro- cedura conservativa anche alle altre imprese del gruppo, indipendentemente dal pos- sesso, da parte di queste, dei requisiti di legge.

Ciò precisando che per imprese del gruppo devono intendersi, giusta l’art. 80, comma 1 lett. b), quelle (anche individuali) che controllano, direttamente od indirettamente, la società sottoposta alla procedura madre, le società, direttamente o indirettamente, controllate dall’impresa sottoposta alla procedura madre o dall’impresa che la control- la, le imprese che, per la composizione degli organi amministrativi o sulla base di altri concordanti elementi, risultano soggette ad una direzione comune a quella dell’impre- sa sottoposta alla procedura madre.

Va, infine, precisato che il rapporto di controllo, agli effetti del predetto comma 1, lett. b), numeri 1) e 2), sussiste anche con riguardo a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall’art. 2359, commi 1 e 2, c.c. (art. 80, comma 2).

Viene in rilievo come, per la prima volta, il concetto di controllo possa fare riferimen- to non solo a entità societarie ma pure a imprese individuali. Tenuto poi conto che le imprese individuali non possono essere partecipate, è di tutta evidenza che esse pos- sono espletare solo la funzione di capogruppo e operare il controllo diretto o indiretto interno o il controllo diretto esterno.

L’estensione all’interno [72] del gruppo può operare sia in senso ascendente verso le con-

trollanti, sia in senso discendente verso le controllate, sia in senso orizzontale tra so- cietà sorelle, ovvero tra società tutte sottoposte al controllo della medesima impresa in amministrazione straordinaria.

Quando nel gruppo interessato vi è un’impresa individuale, priva dei requisiti autono- mi per l’assoggettamento alla procedura, l’estensione può operare solo in senso verti- cale ascendente, per giungere dalle controllate alla controllante.

72 Daccò, Amministrazione straordinaria delle imprese del gruppo, in AA.VV., La nuova disciplina dell’amministrazione

straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, a cura di Castagnola-Sacchi, Torino, 2000 p. 426 e segg. Anche

La norma pare contemplare anche l’ipotesi di un’impresa individuale capogruppo non- ché il caso del c.d. gruppo paritetico, cioè il gruppo all’interno del quale non vi sia rap- porto di dominio tra le varie società sottoposte alla direzione unitaria («direzione co- mune» nell’art. 80, comma 1, n. 3).

Va messo in evidenza, sempre con riguardo all’art. 80, comma 1, n. 3, la dilatazione del criterio che aveva connotato la precedente disciplina della direzione unitaria, sotteso non soltanto dalla composizione degli organi amministrativi, ma anche da altri ele- menti di fatto comprovanti la direzione comune a quella dell’impresa soggetta alla procedura madre.

A tale proposito, la precedente normativa si limitava alla mera coincidenza, totale o parziale degli organi amministrativi o di controllo della società. Mentre la Prodi bis abbandona criteri riferiti a computi sui componenti degli organi amministrativi e di controllo, e approda alla nozione di influenza dominante.

Il riferimento a tale approdo concettuale è l’art. 23, comma 2, del Testo Unico in mate- ria bancaria e creditizia ovvero il D. Lgs. 1 settembre 1993 n. 385.

Problemi di applicazione si intravedono ove non vi sia una coincidenza preponderante degli organi ed occorra individuare e scrutinare gli altri concordanti elementi a cui la norma fa cenno (art. 80, comma 1, n. 3).

Si osserva che «altri concordanti elementi» possono essere di varia natura, entità, con- formazione, organizzazione aziendale, dinamica industriale.

Possono sussistere molteplici elementi dai quali desumersi la gestione di una com- binata attività imprenditoriale e commerciale, con unico centro decisionale che cura l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle attività del gruppo nell’ottica di un disegno imprenditoriale unitario e del perseguimento di interessi riferibili ad obbiet- tivi industriali e strategici convergenti. Questo concependo e conducendo disegni e progetti industriali a geometria variabile ed organizzando imprese, in un Gruppo rife- ribile ad un unico soggetto economico. Il tutto in un quadro di coerenza e convergenza strategica.

Ergo è possibile riferirsi a fattori quali rapporti di finanziamento o di garanzia, flussi finanziari reciproci, erogazione di servizi comuni, utilizzo dei medesimi marchi, esi- stenza di patti parasociali che vincolano il comportamento amministrativo dell’ente o altri comportamenti convergenti di natura negoziale.

Il legislatore del 1999 ha utilizzato per definire il criterio di collegamento l’espressione direzione comune (art. 80, comma 1, n. 3), espressione che ha modificato in direzione unitaria nel successivo art. 90, in tema di responsabilità degli amministratori. Una par- te della dottrina ritiene che le due espressioni si equivalgano. Altra dottrina sostiene invece che la dizione direzione comune si differenzia dal concetto di direzione unita- ria, in quanto quest’ultima implica un collegamento di tipo gerarchico.

Di contro l’espressione direzione comune di cui all’art. 80 avrebbe una portata più ampia, comprendendo pure il caso in cui una terza impresa indirizza la gestione coordinata del- le due altre, le quali pertanto non hanno tra di loro scambi di istruzioni ma ne ricevono, in modo coordinato, dall’impresa terza, ad esse sovrastante. Si configurerebbe così, in tema di direzione comune, oltre al rapporto madre figlia, il rapporto tra imprese sorelle.

5.2

Il procedimento di estensione. La conversione del fallimento in