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Il decennio ‟80: dalla rottura del Patto Federativo al tentativo di ripristino dell‟unità d

CAPITOLO 3 – LA DISCIPLINA NEGOZIALE DELLA RAPPRESENTANZA:

3.1. Il decennio ‟80: dalla rottura del Patto Federativo al tentativo di ripristino dell‟unità d

(CARS); ‒ 3.2 La ritrovata unità sindacale nei luoghi di lavoro: le Rappresentanze Sindacali

Unitarie; ‒ 3.2.1 La struttura mista e la clausola del terzo riservato; ‒ 3.2.2 La questione del c.d.

cambio di casacca del membro di R.S.U.; ‒ 3.2.3 La diffusione delle R.S.U. tra clausola di salvaguardia e coesistenza con le R.S.A.; ‒ 3.3 Il “trittico” di Accordi e le nuove R.S.U.

3.1. Il decennio ’80: dalla rottura del Patto Federativo al tentativo di ripristino dell’unità di azione sindacale.

Come esposto supra parlando dell‟autunno caldo (v. cap. 1, par. 3) i delegati, da organo di rappresentanza nei luoghi di lavoro alternativi ‒rectius, contrapposti‒ al sindacalismo “storico”, diventano «istanze sindacali di base, con poteri di contrattazione sui posti di lavoro (…),politicamente ed organizzativamente collegati con le strutture sindacali»135. I Consigli dei Delegati, quindi, forti dell‟ambito sindacale richiesto dall‟art. 19, entrano “legalmente” nelle fabbriche come strumento unitario di rappresentanza, in alternativa alle r.s.a. singolarmente istituite da ogni sindacato aderente alle Confederazioni storiche.

La rappresentanza unitaria e ‒parzialmente‒ elettiva dei Consigli aveva però un limite di fondo: quello di essere sostanzialmente affidata alla volontà delle Confederazioni, e quindi indissolubilmente legata alla loro unità d‟azione.

La rottura del Patto Federativo nel 1984, infatti, determinò il rapido ed inesorabile declino dell‟esperienza consiliare, ed il ritorno al carattere associativo- individuale della rappresentanza, in una logica puramente “competitiva” fra le tre grandi Centrali sindacali.

La rottura dell‟unità sindacale, però, ebbe l‟ulteriore effetto di mettere a nudo l‟inadeguatezza del sistema selettivo disciplinato dall‟art. 19, e soprattutto della nozione di maggiore rappresentatività sindacale, misurata non solo fuori dalle imprese, ma addirittura a livello confederale e con parametri ‒non effettivi ma‒ storici. Idea di rappresentatività obsoleta più che inadeguata, in quanto nata dall‟obiettivo di una grande confederazione unitaria ‒quantomeno riguardo le tre maggiori Centrali‒ capace di canalizzare al proprio interno tutti i dissidi e le correnti, e di monopolizzare la rappresentanza, al fine ultimo di realizzare quell‟obiettivo di contrattazione erga omnes ancora oggi inattuato.

Nasce dunque dalla rottura dell‟unità sindacale quell‟esigenza di ripensare forme e criteri della rappresentanza che porterà al referendum del 1995, ma che verrà avvertita, sia dal legislatore sia dalle parti sociali, con molto anticipo: «si assiste in questi anni al succedersi di accordi intercategoriali e progetti di legge che tentano di supplire e reagire al vuoto aperto dalla rottura del patto federativo, nella prospettiva della ricostruzione di un processo fondato sulla necessità di rispettare l‟unità con tutti i sindacati e non solo con chi ci sta»136

.

Le molte riforme proposte hanno come denominatore comune la c.d.

composizione mista della rappresentanza, in parte associativa ed in parte elettiva:

la prima allo scopo di impedire un‟eccessiva frammentazione della tutela, mentre la seconda per assicurare sia una misurazione oggettiva della rappresentatività, sia per dare stabilità, tramite una legittimazione dal basso, all‟organismo. Soluzione generalmente condivisa anche in dottrina, secondo cui il sindacato «pur recuperando la volontà dei padri costituenti di premiare la vocazione egemonica del sindacalismo storico, non può limitarsi a valorizzare la sola base associativa, ma deve soddisfare l‟istanza di rilegittimazione democratica»137

.

La prima risposta alle suddette esigenze arriva dal livello categoriale, e più precisamente dalle strutture sindacali regionali piemontesi, le quali propongono dei regolamenti dai tratti unificanti: oltre a prevedere il predetto sistema elettorale

136

F.SANTINI, Le rappresentanze sindacali unitarie, struttura e funzioni, Giappichelli, Torino, 2012, p. 45.

137 U.R

misto ed una composizione dei collegi rispettosa di tutte le categorie professionali impiegate nell‟impresa, a tali organismi viene delegata «la rappresentanza per la tutela negoziale in azienda dell‟insieme dei lavoratori, ‒costituendo‒ l‟agente contrattuale sulle materie sindacali aziendali»138; le liste restano in ogni caso ad esclusivo appannaggio dei sindacati, con correttivi al proporzionale atti a garantire comunque la presenza di ciascun sindacato confederato.

Un primo passo verso la rappresentanza unitaria, seppur notevole, ma pur sempre instabile, sia per lo sbilanciamento ancora evidente verso l‟aspetto “associativo”, sia per la mancanza di meccanismi sanzionatori che facciano da deterrente ad eventuali violazioni degli accordi.

A partire dal 1988, quindi, ci fu una proliferazione di proposte, sia legislative, sia negoziali, tutte comunque, seppur con qualche peculiarità, strutturate con i suddetti principi di rappresentatività mista, con da un lato una composizione più o meno elettiva degli organi, e dall‟altro un controllo più o meno esclusivo delle candidature da parte dei sindacati139.

3.1.1. I Consigli Aziendali delle Rappresentanze sindacali (CARS).

La proposta più interessante fu senza dubbio quella, giunta dal compromesso ‒ stipulato in data 19 maggio 1989‒ fra CGIL, CISL, UIL e Confindustria, dei c.d. CARS (Consigli Aziendali delle Rappresentanze sindacali).

La ratio dell‟organismo era, da un lato, di ricondurre ad unità le numerose r.s.a. costituite dai vari sindacati, creando un unico interlocutore in sede ‒anche‒ di contrattazione aziendale, e dall‟altro di conciliare le esigenze associative dei sindacati con quelle elettive della base.

138 Regolamento dei metalmeccanici, in Lav. Inf., I, 1988, p. 59 ss.

139 Si citano le proposte più importanti: la prima, elaborata dall‟Osservatorio di Diritto del lavoro,

in Dir. Prat. Lav., 1989, p. 688; il d.d.l. Giugni, in Lav. inf., 1989, I, p. 27; le due proposte di legge firmate Ghezzi, in rappresentanza e rappresentatività del sindacato, Atti delle giornate di studio

di diritto del lavoro, Macerata, Giuffrè, Milano, 1990; la proposta della confederazione CGIL, in Lav. inf., 1989, I, p. 29.

La pariteticità dell‟organismo venne però rispettata solo in superficie: nonostante, infatti, i membri venissero per metà nominati dai sindacati aderenti, e per l‟altra metà eletti da tutti i lavoratori, la facoltà di presentare le liste elettorali, diversa a seconda della dimensione aziendale, tradiva la propensione associativa dell‟organo: fu stabilito, infatti, che nelle imprese fino a 70 dipendenti, le liste elettorali erano ad esclusivo appannaggio delle Federazioni aderenti alle tre Confederazioni firmatarie; solo nelle imprese di dimensioni maggiori fu prevista la possibilità anche per “gruppi di lavoratori” di presentare proprie liste di candidati, ma solo se sottoscritte dal 20% (per le votazioni inerenti singole “aree”) o il 10% (per le votazioni relative all‟intera unità produttiva) dei lavoratori. Inoltre ‒e soprattutto‒, con alcuni correttivi al sistema proporzionale, i “posti” riservati ai sindacati di minoranza erano al massimo di 1/6 dei totali, a prescindere dal risultato effettivo140.

Nonostante la predilezione “associazionista” non fosse mutata, i CARS presentavano importanti novità: in primis venne previsto un antidoto alla scarsa esigibilità del patto, “tallone d‟Achille” di ogni disciplina negoziale, mediante la possibilità di rinnovare o costituire per la prima volta i Cars «su iniziativa delle tre Federazioni di categoria, aderenti a CGIL, CISL e UIL, oppure su iniziativa di una singola Federazione, o ancora su iniziativa diretta dei lavoratori interessati»141; pur avendo ancora molti tratti oscuri, come ‒tra tutti‒ le conseguenze del dissenso di una o tutte le Federazioni‒, la possibilità di “innescare” la consultazione elettorale attribuita ad una sola sigla sindacale, o addirittura agli stessi lavoratori, costituisce un profilo di novità per niente scontato, che verrà ripreso in seguito . Il sistema dei CARS, insomma, pur non vedendo mai la luce per le numerose critiche ricevute, ebbe il merito di indicare la strada alle parti sociali per la disciplina delle Rappresentanze Sindacali Unitarie.

140 Pertanto, un sindacato aderente alle tre Confederazioni storiche conquistava la maggioranza del

Consiglio con il 70% dei voti, mentre un sindacato non confederale restava minoritario anche, paradossalmente, con il 90% di preferenze.

3.2. La ritrovata unità sindacale nei luoghi di lavoro: le Rappresentanze