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Il “trittico” di Accordi e le nuove R.S.U

CAPITOLO 3 – LA DISCIPLINA NEGOZIALE DELLA RAPPRESENTANZA:

3.4. Il “trittico” di Accordi e le nuove R.S.U

La rottura dell‟unità sindacale, sommata al contemporaneo periodo di forte crisi economica che ha attraversato ‒anche‒ il Belpaese, seppur durata solo tre anni, ha avuto effetti devastanti nel sistema di relazioni industriali, come vedremo infra trattando del c.d. “caso Fiat”. L‟aver prediletto una contrattazione separata ed aziendale ha, infatti, minacciato non solo le tutele “minime” previste dal CCNL, ma addirittura la stessa presenza della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, anche in virtù della formulazione “tronca” dell‟art. 19 post-referendario, che in ultima analisi soggiace al potere di accreditamento dell‟imprenditore l‟ingresso delle r.s.a. in azienda.

Una minaccia che porterà non solo al deciso dietro-front delle Confederazioni sindacali, le quali torneranno a sedersi allo stesso tavolo con rinnovato spirito collaborativo, più per “istinto di conservazione” che per appianamento dei conflitti, ma anche al frettoloso intervento della Consulta, che con la sentenza 231/2013 cercherà di mettere una pezza alle lacune della disciplina legale della rappresentanza.

Come da titolo, le Confederazioni stipuleranno ben tre Accordi in quattro anni, con un modus operandi evidentemente simile a quello che portò, venti anni prima, all‟emanazione del Protocollo 1993, riuscendo a partorire un‟organica disciplina della rappresentanza ‒non solo‒ unitaria, superando le ambiguità della precedente regolamentazione.

Il primo passo fu appunto l‟Accordo Interconfederale 28 giugno 2011, improntato alla correzione dei punti di maggior critica inseriti negli accordi separati, seguito dal Protocollo d’Intesa 31 maggio 2013 che «sotto l‟aspetto di un accordo applicativo dell‟A.I. 2011, restava pur sempre un accordo di “principi ai quali ispirare la regolamentazione attuativa e le necessarie convenzioni con gli enti

202 L‟espressione è tratta da V.B

AVARO, Note sul Testo unico sulla Rappresentanza sindacale del

interessati”»203

. Una disciplina organica di tutto l‟istituto della rappresentanza verrà varata un anno dopo, con il Testo Unico sulla Rappresentanza 10 gennaio

2014 (d‟ora in avanti T.U.); già dal titolo risulta chiara la ratio di riorganizzare a

sistema l‟ampia disciplina negoziale cominciata negli anni ‟90, con l‟intento di creare un testo di riferimento pro futuro, seppur in parte “debitore” del precedente A.I. 1993. L‟impronta codicistica dell‟accordo si scorge già dalla struttura, articolata in quattro parti ratione materiae che oltre ad introdurre alcune novità riprendono gli accordi precedenti.

Andando ora a trattare le novità introdotte dal T.U., principalmente per quanto riguarda la parte seconda, relativa alla “regolamentazione della rappresentanza

in azienda”, si ritiene comunque necessaria una ‒seppur breve e non esaustiva‒

disamina della prima e terza parte, riguardanti rispettivamente la misurazione della rappresentatività e la titolarità ed efficacia in relazione alla contrattazione collettiva, per le ragioni dette in precedenza di miglior comprensione dei numerosi aspetti inerenti al “caso Fiat”, trattato infra, e soprattutto per l‟incontrovertibile legame tra il contratto collettivo e l‟accesso al Titolo III dello Statuto.

Si anticipa, peraltro, che la sent. 231/2013 (v. infra, cap. 4, par. 6) ha spostato il requisito d‟accesso alla legislazione di sostegno previsto dall‟art. 19 Statuto dalla

stipulazione alla mera negoziazione di un contratto collettivo applicato nell‟unità

produttiva, modifica recepita dal suddetto T.U.

La prima parte dell‟Accordo, dal titolo “misura e certificazione della

rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria”

specifica i riferimenti alle soglie di rappresentatività minima per accedere alle trattative per i rinnovi dei contratti collettivi di categoria, formulati dai precedenti Accordi 2011 e 2013; criteri che, peraltro, hanno un campo di applicazione limitato al mondo industriale ed, al suo interno, alle imprese rappresentate da Confindustria, lasciando così “scoperti”, oltre a settori importanti quali commercio, credito, ecc., anche grandi imprese che, o hanno recentemente

203

F.CARINCI, Il lungo cammino per Santiago della rappresentanza sindacale: dal Titolo III dello

Statuto dei Lavoratori al Testo Unico sulla Rappresentanza 10 gennaio 2014, in WP C.S.D.L.E.

abbandonato l‟associazione datoriale, concludendo contratti collettivi di primo livello interni all‟azienda (come nel caso di Fiat) o hanno da sempre regolato i rapporti di lavoro con un contratto nazionale non di settore ma di corporation (come ad esempio Rai)204.

La misurazione della rappresentatività avviene attraverso l‟incrocio di un dato associativo, consistente nel numero di «deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori» ed uno elettorale, vale a dire i «voti espressi in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie»205; la raccolta dei dati sarà a carico rispettivamente di INPS e CNEL, quest‟ultima onerata anche di calcolare con media semplice i due dati206.

La successiva terza parte, disciplinante la “titolarità ed efficacia della

contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale”, specifica il campo

di applicazione delle misurazioni di cui sopra, ammettendo alla contrattazione solo le organizzazioni che abbiano raggiunto la soglia del 5% di rappresentatività, con qualche distinzione a seconda del livello contrattuale e degli organismi stipulanti.

A livello nazionale l‟ammissione al tavolo delle trattative è riservata alle associazioni che raggiungano la soglia del 5% di rappresentatività, mentre si considerano efficaci ed esigibili i contratti collettivi stipulati da «Organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% +1 della rappresentanza, previa consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggioranza semplice»207.

A livello aziendale si ha invece una differenziazione di disciplina, a seconda del tipo di rappresentanza presente nell‟impresa: nel caso di presenza di r.s.u., infatti, basta che il contratto aziendale sia approvato dalla maggioranza dei componenti,

204

S. B. CARUSO, Testo Unico sulla Rappresentanza, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D‟Antona”.IT,227/2014, p. 4.

205 Testo Unico sulla Rappresentanza Confindustria – Cgil, Cisl, Uil, 10 gennaio 2014., parte

prima.

206 Nei casi in cui il dato elettorale non sia ottenibile, vale a dire nelle imprese dove siano presenti

r.s.a. in luogo di r.s.u., o non sia presente alcuna forma di rappresentanza, il CNEL calcolerà le deleghe per due volte, la prima attribuendoli il valore di un voto.

superando così la co-titolarità del potere negoziale da parte delle organizzazioni territoriali, la cui intesa resta necessaria solo se tale contratto deroghi al CCNL. Nel caso in cui, invece, nell‟impresa siano presenti r.s.a. in luogo della r.s.u., il contratto deve essere sottoscritto dalla maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali, ma inoltre, su richiesta del 30% dei lavoratori o di almeno una organizzazione sindacale “espressione” di una Confederazione firmataria, l‟accordo deve essere sottoposto a conferma referendaria da parte di tutti i lavoratori, ed entrerà in vigore solo se approvato a maggioranza semplice, con

quorum costitutivo del 50% +1 degli aventi diritto.

La diversa disciplina, che chiaramente esprime una maggiore fides nei confronti delle r.s.u., si spiega dal fatto che esse sono comunque espressione del voto dei lavoratori, i quali scegliendo i propri rappresentanti appongono un placet, seppur preventivo ed indiretto, al loro operato, e quindi anche alle loro scelte contrattuali; al contrario le r.s.a. sono espressione di designazione sindacale, e pertanto, data l‟efficacia erga omnes di tali contratti, risulta necessaria anche una legittimazione elettiva altrimenti del tutto assente.

La seconda parte, intitolata “regolamentazione delle rappresentanze in azienda”, regola organicamente la materia delle rappresentanze sindacali ‒non solo unitarie‒ nei luoghi di lavoro, affiancando meri rinvii agli Accordi precedenti a sostanziali novità.

La prima sezione, dal titolo “regole generali sulle forme di rappresentanza in

azienda”, fissa i principi da seguire. Il modello di rappresentanza scelto dalle parti

sociali, seppur chiaramente favorevole alla r.s.u., è aperto anche all‟eventuale persistenza in azienda di r.s.a.: dopo aver chiarito l‟impegno ad adottare una sola forma di rappresentanza nelle unità produttive con più di 15 dipendenti, le parti sociali infatti «concordano che, qualora non si proceda alla costituzione di

rappresentanze sindacali unitarie, ma si opti per il diverso modello della rappresentanza sindacale aziendale: a) dovrà essere garantita l’invarianza dei costi aziendali rispetto alla situazione che si sarebbe determinata con la costituzione della rappresentanza sindacale unitaria; b) alla scadenza della r.s.a., l’eventuale passaggio alle r.s.u. potrà avvenire se deciso dalle organizzazioni

sindacali che rappresentino, a livello nazionale, la maggioranza del 50% +1 come determinata nella parte prima del presente accordo»208.

La disposizione sembrerebbe chiara sull‟alternatività delle due forme di rappresentanza, prediligendo la struttura unitaria ma permettendo, “ove non siano

mai state costituite forme di rappresentanza sindacale”, anche le r.s.a., le quali

ricevono inoltre una sorta di garanzia di sopravvivenza, in quanto superabili solo con il via libera della maggioranza dei sindacati, in base al criterio di misurazione della rappresentatività visto in precedenza. Sennonché, nella seconda sezione, il T.U. conferma la clausola di salvaguardia già presente nel 1993, limitando notevolmente la libertà di scelta dei sindacati: l‟art. 8 prevede infatti che le oo.ss. aderenti alle Confederazioni firmatarie dei tre accordi, o che comunque vi abbiano aderito «partecipando all‟elezione della r.s.u., rinunciano formalmente a costituire r.s.a. ai sensi dell‟art. 19…», ed in particolare, le oo.ss. legate a Confederazioni firmatarie degli accordi, «o che comunque ad essi aderiscano, si impegnano a non costituire r.s.a. nelle realtà in cui siano state o vengano costituite

r.s.u.»209.

Si nota un problema di coerenza interna fra le parti della clausola, in quanto la prima parte suggerisce, per le associazioni aderenti a Confederazioni firmatarie, un divieto assoluto, cioè valido anche nelle imprese ove non vi sia alcuna forma di rappresentanza, mentre per le oo.ss. aderenti tramite la partecipazione alle elezioni delle r.s.u. un divieto solo relativo, vale a dire ristretto alle unità produttive dove sono presenti r.s.u. o sono in via di costituzione; guardando però alla seconda parte della clausola, riferita ancora alle oo.ss. facenti capo alle Confederazioni firmatarie o comunque aderenti, senza specificare come, il divieto sembrerebbe in entrambi i casi relativo210. Al dubbio lasciato dalla clausola se anche le prime oo.ss. possano costituire r.s.a. nelle unità produttive ove non sia presente alcuna forma di rappresentanza da una risposta la prima sezione, affermando che possono essere costituite r.s.a. se “non siano mai state costituite

forme di rappresentanza sindacale”.

208

Ibidem.

209 Ibidem, parte seconda, sez. 2, art. 8. 210 F.C

La novità rispetto alla disciplina del 1993 è quindi l‟ulteriore impegno per i sindacati di non costituire r.s.u. nemmeno nel caso in cui siano già state costituite in passato, rendendo quindi la scelta per la rappresentanza unitaria un “punto di non ritorno”, con evidente preferenza verso quest‟ultimo tipo di istituto211

Il potere di iniziativa per la costituzione di r.s.u. resta aperto, come nella precedente disciplina, oltre alle oo.ss. facenti capo alle Confederazioni firmatarie degli accordi, a quelle firmatarie del CCNL oppure abilitate a presentare liste elettorali, a condizione di accettare formalmente ed espressamente il suddetto trittico. Una leggera novità riguarda semmai la legittimazione a presentare le liste

elettorali, prevista sempre ‒anche‒ per le «associazioni sindacali formalmente costituite con proprio statuto ed atto costitutivo» a condizione di aderire ai tre

accordi e di corredare tali liste con un numero di firme pari almeno al 5% dei lavoratori votanti, ma il T.U. aggiunge che, «nelle aziende di dimensione

compresa fra i 16 e 59 dipendenti, la lista dovrà essere corredata da almeno 3 firme di lavoratori», rendendo meno oneroso l‟accesso alle r.s.u., per le

associazioni di dimensione aziendale, nelle unità produttive di più modeste dimensioni.

In ogni caso le due maggiori novità del T.U., peraltro strettamente legate, sono relative alla composizione dell‟organismo: la prima è l‟eliminazione della

clausola del terzo riservato, che permetteva alle associazioni sindacali, in

proporzione ai voti ottenuti, di nominare un terzo dei componenti le r.s.u.; la seconda è l‟introduzione di una regola sulla decadenza del membro eletto in caso di c.d. cambio di casacca, la quale, contraddicendo il più recente orientamento giurisprudenziale212, dispone che «il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente della r.s.u. ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituto»213.

211

V.BAVARO, op. cit., p. 2.

212 Cass., sent. 07 marzo 2012, n. 3545.

Novità, come detto, strettamente legate, in quanto specchio di due orientamenti opposti delle parti sociali: da un lato, infatti, esse sembrano voler allentare sensibilmente il vincolo associativo, rendendo la composizione delle r.s.u. espressione della base dei lavoratori, totalmente legittimata dal basso; scelta che acquista un “peso” ancora maggiore se correlata a quella di assegnare la competenza negoziale esclusiva alle r.s.u., tranne nei casi di deroghe in pejus al CCNL. Dall‟altro lato, però, l‟accordo lancia un “salvagente” alla natura associativa, prevedendo l‟intangibilità dei rapporti di forze tra sindacati all‟interno dell‟organismo.

In realtà, seppur la regola del cambio di casacca costituisca «chiaramente un

succedaneo della riserva del terzo»214, la natura elettiva dell‟organismo ne esce notevolmente rafforzata, sia perché tale “vincolo di mandato” opera soltanto «nel caso estremo dell‟adesione dell‟eletto ad altro sindacato»215

, e non in caso di scarsa partecipazione o critica nei confronti delle direttive ufficiali del membro, sia perché la riserva del terzo offriva un “premio di maggioranza” sproporzionato, dato che rendeva sufficiente per il controllo dell‟organismo il 30% dei consensi.216

Ad ultimo il T.U., nella parte terza, da un interpretazione estensiva della sent. 231/2013 C.Cost., precisando che, per l‟accesso alla legislazione premiale ex art. 19 Statuto, non è sufficiente per le associazioni sindacali essere firmatarie del CCNL, ma è necessario che «abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l‟ultimo rinnovo del CCNL definito secondo le regole del presente accordo». La previsione, ovviamente destinata a valere solo per le parti firmatarie o aderenti al Testo Unico, intende escludere dalla legislazione premiale non solo il sindacato “assenteista”, che non ha trattato, ma anche quello che ha proposto una piattaforma minoritaria217.

214

L.ZOPPOLI, Le nuove rappresentanze sindacali unitarie e il gattopardo democratico, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D‟Antona”.IT, n. 204/2014, p. 11.

215 Ibidem. 216 A. D

I STASI, Le rappresentanze dei lavoratori in azienda, in G. Proia (a cura di),

Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, trattato di diritto del lavoro, diretto da M.

Persiani e F. Carinci, II, 2014, p. 271.

217 F.C

Previsione che supporta la visione critica di alcuni autori nei confronti del T.U.,

reo a loro dire di aver sì scongiurato il rischio di una “dittatura della minoranza”

basata sul potere di accreditamento del datore verso qualunque sindacato gradito, a prescindere dall‟effettiva rappresentanza di esso, ma di aver dato origine al problema contrario, ad una dittatura della maggioranza, basata sulla validità erga

omnes dei c.c. conclusi dai sindacati che, anche per sommatoria, rappresentino il

50% +1 dei lavoratori218. La critica in esame si fonda sul fatto che le parti sociali con il T.U. si impegnano a «trattare sulla base di una piattaforma maggioritaria di sindacati che abbiano almeno il 51% di rappresentanza, (…) creando una

“conventio ad escludendum” nei confronti di altri sindacati, salvo che essi non si

pieghino ad aderire all‟accordo»; inoltre, “aggirando” la sentenza 231/2013, nell‟accordo «si intende che abbia partecipato al negoziato solo il sindacato che abbia contribuito a formulare la piattaforma rivendicativa maggioritaria»219. Un pericolo senza dubbio fondato, ma che potrebbe essere risolto allargando fino alla generalizzazione il campo di applicazione delle r.s.u., la cui composizione adesso è divenuta completa espressione delle scelte dei “rappresentati” ed ancorata a criteri di presentazione delle liste senza dubbio oggettivi; in caso di r.s.u., infatti, l‟accesso al Titolo III sarebbe legato sostanzialmente alla vittoria elettorale, in quanto «se si partecipa alle elezioni delle r.s.u. e si ottiene almeno un seggio, non occorre dimostrare la partecipazione alle trattative perché la r.s.u. è

organo per definizione trattante»220.

218 P. A

LLEVA, I pericoli dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza, in

www.dirittisocialiecittadinanza.org, p.1

219 Ibidem. 220 S.B.C

CAPITOLO 4 – IL CASO FIAT v. FIOM: LA FRAGILITA‟ DELLA