• Non ci sono risultati.

La partecipazione alle trattative: soluzione al problema o spostamento del problema?

CAPITOLO 5 – IL FUTURO DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE

5.1. Il dibattito dottrinale all‟indomani della sent 231/2013

5.1.1. La partecipazione alle trattative: soluzione al problema o spostamento del problema?

La questione riguarda il “nodo” centrale di tutta la sentenza, vale a dire il “nuovo” criterio di rappresentatività costituito dalla partecipazione alle trattative: la Corte, infatti, non brilla per chiarezza a riguardo, lasciando intendere in un primo momento che ci sia in capo al datore di lavoro un vero e proprio obbligo a trattare con un sindacato rappresentativo, essendo il rifiuto perseguibile per condotta antisindacale ex art. 28; subito dopo però, tra i suggerimenti dati al legislatore per una regolazione della materia, inserisce «l‟introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento»318, ammettendo così implicitamente il fatto che tale obbligo non sia ancora operante. La questione è molto delicata anche nei risvolti pratici, in quanto, interpretando restrittivamente il concetto di negoziato nel senso di ammettere solo il sindacato che, pur non firmatario, abbia comunque oggettivamente intavolato una trattativa, il potere di accreditamento sanzionato dalla Corte non verrebbe eliminato, bensì solamente spostato “a monte”, in quanto basterebbe al datore di lavoro negare l‟ingresso nella “stanza dei negoziati” al sindacato scomodo per ottenere lo stesso risultato della mancata sottoscrizione. Dall‟altro lato, un‟interpretazione eccessivamente lata di trattativa, intesa come la mera manifestazione di volontà unilaterale da parte di un sindacato, anche senza

317

S. SCARPONI, La sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 2013: la quadratura del

cerchio?, in Lav. Dir., 4, 2013, p. 503. 318 C. Cost., sent. n. 231/2013, cit., pto. 9.

collaborazione datoriale, rischierebbe di minare alla radice la funzione selettiva dell‟art. 19, aprendo la porta a qualunque associazione sindacale.

La risposta dottrinale è stata prevalentemente negativa rispetto alla sussistenza di un generale obbligo a trattare in capo al datore di lavoro: anche se, verosimilmente, una simile previsione risolverebbe alla radice il problema sottoposto alla Corte, essa finirebbe per stravolgere la ratio selettiva dell‟art. 19, oltre che introdurre una sorta di principio di parità di trattamento “a tutti i costi”, certamente lesivo dell‟art. 3 Cost.

Il presupposto per risolvere la questione sta, in realtà, nel fatto che «quando si parla di trattative, si parla di una relazione preliminare fra due soggetti entrambi disponibili a misurarsi, nel che sembra riemergere inevitabilmente la prospettiva, e il problema, dell‟accreditamento da parte del datore di lavoro»319

. Pertanto, la chiave di volta «sarà quella di capire quando questo accreditamento è fisiologico come in ogni relazione (e trattativa) contrattuale, e quando invece è

patologico»320; decisione che spetta necessariamente al giudice, tramite la tutela prevista dall‟art. 28 dello Statuto per condotte antisindacali: egli infatti potrà valutare, di volta in volta, se l‟esclusione dalle trattative di una sigla sindacale corrisponda, o meno, ad un atteggiamento discriminatorio del datore di lavoro. Anche in questa prospettiva però si aprono ulteriori problematiche, in quanto tale tutela è azionabile solo in sede aziendale, nei confronti del datore di lavoro, e quindi sembrerebbe non operare «nel caso in cui l‟esclusione dalle trattative avvenga ad opera dell‟associazione rappresentativa dei datori di lavoro in occasione della stipula di contratti territoriali o nazionali»321. In realtà non si vede la ragione di limitare il diritto di partecipazione alla sola sede aziendale, ma resta il fatto che, data la limitata applicazione del rimedio ex art. 28, senza una regolamentazione certa permane il rischio che, in concreto, a livello sovra-

319 C.C

ESTER, Prime osservazioni sulla sentenza n. 231/2013 della Corte Costituzionale, in F. Carinci (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte

costituzionale n. 231/2013, Labour studies e-book series, n. 20, Adapt University Press, 2014, p.

111.

320 Ibidem. 321 F.L

aziendale «il diritto alla partecipazione non riceva soddisfazione e che quindi possa non concretizzarsi»322.

Peraltro (anche) su questo aspetto il nuovo articolo 19 sembra essere passato in secondo piano, così come avvenne nel 1995 con la formulazione post- referendaria, a causa della ritrovata unità sindacale che ha portato, in ultimo, alla stipula del T.U. Rappresentanza, e che ha sostanzialmente ridotto il campo di applicazione della disciplina legale ai casi in cui non sia applicato alcun contratto collettivo, ai sindacati non aderenti agli Accordi oppure a quelle aziende, in primis la Fiat, estranee al sistema confindustriale.

Le Confederazioni sindacali, infatti, dopo lo strappo che ha portato alle ormai note conseguenze esposte nel capitolo precedente, hanno anche in questa occasione accolto prontamente i moniti che la Corte Costituzionale ha rivolto al legislatore, prevedendo nel “trittico” di Accordi una puntuale regolamentazione dei requisiti necessari a considerare un sindacato “trattante”.

Afferma infatti il T.U. che, «ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge (…) si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l‟ultimo rinnovo del CCNL definito secondo le regole del presente accordo»323. Il raggiungimento di tali requisiti, inoltre, comporta un vero e proprio

obbligo a trattare per il datore di lavoro.

I requisiti ulteriori alla soglia di rappresentatività, non presenti nel precedente Protocollo d‟Intesa, sono stati criticati in quanto potrebbero portare ad una c.d. ”dittatura della maggioranza”: parte della dottrina infatti, partendo dal presupposto che «il negoziato per il contratto nazionale si svolge, in caso di più piattaforme rivendicative, sulla piattaforma presentata dai sindacati che, nel loro

322 Ibidem.

insieme, abbiano il 51% di rappresentatività»324, e che «si intende che abbia partecipato al negoziato solo il sindacato che abbia contribuito a formulare la piattaforma rivendicativa maggioritaria»325, conclude che il Testo Unico, aggirando la sentenza 231/2013, precluderebbe ai sindacati minoritari l‟accesso alla rappresentanza.

Il problema in realtà è sempre quello di definire il significato dei requisiti richiesti, in questo caso di “contribuire alla definizione della piattaforma” e “partecipare alla delegazione trattante”: in questo caso però, data la legittimazione negoziale che comunque permette alle parti di “sapere prima chi si ha di fronte”, non sembra illogico avallare un‟interpretazione estensiva dei requisiti, considerando pertanto anche i sindacati che presentino una piattaforma minoritaria idonei a costituire r.s.a., «anche se poi la trattativa dovesse interrompersi immediatamente o addirittura non avviarsi»326.

Tirando le somme, la sentenza 231/2013 ha assolto all‟obiettivo pratico per cui era stata chiamata in causa, individuando nella partecipazione alle trattative un rimedio efficace al paradosso costituito dalla cacciata della Fiom, ma non è andata oltre, ancora una volta, «ad una soluzione interpretativo-correttiva di pura emergenza costituzionale»327; e d‟altro canto non sembra possibile chiedere di più ad una Consulta che, da quasi trent‟anni, chiede a gran voce al legislatore di intervenire per fornire delle regole di rappresentanza certe. Anche in questo caso, come visto, il monito è tutt‟altro che velato, arrivando la Corte persino ad elencare un range di possibili soluzioni che, evidentemente, hanno ricevuto una sorta di “avallo costituzionale preventivo”.

Certo la sensazione di deja-vu resta palpabile, dato che oltre agli espliciti moniti della Corte, oggi come allora è intervenuta l‟autonomia negoziale che, dopo una fase di rottura dell‟unità d‟azione, ha “messo una pezza” all‟inerzia legislativa con

324 P. A

LLEVA, I pericoli dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, pto. 2.

325 Ibidem. 326

V. BAVARO, note sul Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, pto. 4.

327 O.M

una disciplina negoziale suppletiva di quella legale, nascondendo l‟urgenza di riformare quest‟ultima.

In ultimo non deve stupire il fatto che un così rapido e “sofferto” mutamento nel sistema di relazioni sindacali abbia riportato in auge la ‒ciclica‒ questione circa la necessità di una legge sindacale che dia un minimo di certezza del diritto alle parti sociali, soprattutto in relazione alla strutturale fragilità della disciplina negoziale, richiesta a gran voce, oltre che ‒ma non è una novità‒ dalla Corte Costituzionale, anche dalla stessa Fiat.