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La sentenza n 231/2013 della Corte Costituzionale ed il nuovo articolo 19

CAPITOLO 4 – IL CASO FIAT v FIOM: LA FRAGILITA‟ DELLA

4.6. La sentenza n 231/2013 della Corte Costituzionale ed il nuovo articolo 19

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 231 del 2 luglio 2013, accoglie i dubbi prospettati dai Tribunali rimettenti, dichiarando «l‟illegittimità costituzionale dell‟art. 19, primo comma, lettera b), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell‟ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell‟unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell‟azienda»289

.

Le motivazioni addotte a sostegno di tale decisione ripercorrono, così come l‟ordinanza di rimessione esaminata supra, tutta la “storia” dell‟art. 19 e delle numerose decisioni prese nei suoi riguardi, cercando però la Corte di mostrare una certa coerenza interna, minimizzando l‟eventualità, sottolineata dalle parti resistenti, di una contraddizione con i precedenti avalli della norma in oggetto, ora ritenuta, seppur in parte, incostituzionale.

La Consulta, infatti, ricorda i primi dibattiti intorno all‟art. 19, nella sua versione originaria, «in vista di una esigenza di revisione del meccanismo selettivo della “maggiore rappresentatività” previsto ai fini della costituzione delle rappresentanze nei luoghi di lavoro», sottolineando i moniti, rivolti al legislatore, ad elaborare nuove regole che conducessero ad un ampliamento della cerchia dei soggetti chiamati ad avere accesso al Titolo III290; inviti che, disattesi, portarono all‟ammissione dei quesiti referendari da parte della stessa Corte, e quindi alla modifica che si trova adesso sul “banco degli imputati”. In questo passaggio la

289 C. Cost., sent. 23 luglio 2013, n. 231, pto. 8. 290 C. Cost., sent. n. 30/1990 e n. 1/1994, cit.

Consulta sembra voler “scaricare la colpa” della mutilazione referendaria dell‟art. 19 al legislatore stesso, reo di aver sottovalutato le criticità che tali modifiche avrebbero fatto affiorare, nonostante l‟invito ad «intervenire dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, improntata a modelli di rappresentatività sindacale compatibili con le norme costituzionali e in pari tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo»291.

La Corte afferma poi che, rispetto alla normativa uscita dalle urne, fin da subito non «mancò di sottolineare come questa (…) rischiasse, nella sua accezione letterale, di prestare il fianco ad una applicazione sbilanciata: per un verso, in

eccesso, ove l‟espressione “associazioni firmatarie” fosse intesa nel senso della

sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, del contratto a fondare la titolarità dei diritti sindacali in azienda; e, per altro verso, in difetto, ove interpretata, quella espressione, come ostativa al riconoscimento dei diritti in questione nei confronti delle associazioni che, pur connotate da una azione sindacale sorretta da ampio consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non sottoscrivere il contratto applicato in azienda»292.

La Corte afferma, in sostanza, di aver fin da subito notato i vari aspetti critici della normativa di risulta, ma che, al contrario della tesi avanzata dalle parti resistenti, non avesse fino ad allora mai affrontato la questione in difetto, bensì solo «con riguardo al primo dei due sottolineati punti critici»293, riguardanti la necessità di limitare l‟effetto espansivo del “criterio della firma”, escludendo dalla species di firmatario il sindacato che si fosse limitato ad una mera adesione formale, od alla stipulazione di un contratto c.d. gestionale294.

Il secondo profilo critico della norma, «di fatto fin qui oscurato dalla esperienza pratica di una perdurante presenza in azienda dei sindacati confederali, viene ora compiutamente ad emersione»295, a causa del «diverso scenario delle relazioni

291

C. Cost., sent. n. 1/1994, cit., considerato in diritto, pto. 4.

292 C. Cost., sent. n. 231/2013, cit., pto. 6.3. 293 Ibidem, pto 6.4.

294 C. Cost., sent. n. 244/1996, cit. Per quanto riguarda la valenza dei contratti c.d. gestionali per

l‟accesso al Titolo III, la giurisprudenza ha in realtà avuto un atteggiamento oscillante, come esposto supra cap. 2, par. 3.

sindacali e delle strategie imprenditoriali»296, portando il criterio in questione a negare una rappresentatività che, come sostenuto dai rimettenti, in realtà esiste. Dopo aver ripercorso, allo scopo di giustificare in chiave organica il dispositivo, le precedenti decisioni sull‟art. 19, la Corte si occupa del “presente”, esaminando in primo luogo le diverse soluzioni prospettate dalla giurisprudenza di merito: così come il Tribunale di Modena, anche i giudici di legittimità ritengono da un lato impropria l‟interpretazione adeguatrice, definendo l‟articolo «effettivamente univoco e non suscettibile di una diversa lettura, ‒tale da‒ non consentire l‟applicazione di criteri estranei alla sua formulazione letterale»297, e dall‟altro

proprio la lettera della norma fa emergere l‟incostituzionalità della stessa.

Infatti, afferma la Corte, la mutata situazione storico-sociologica fa venire meno la funzione di selezione, basata sulla effettiva rappresentatività, propria dell‟art. 19 che, «per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative»298, concludendo che, per questa ragione, «il criterio della sottoscrizione dell‟accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3, e 39 Cost.»299. Nello specifico, in relazione al principio di eguaglianza sostanziale sancito dall‟art. 3, c. 2, Cost., la Corte rileva il pericolo di un irragionevole disparità di

trattamento, dal momento che i sindacati «sarebbero privilegiati o discriminati in

base non già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l‟azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa»300; una discriminazione che, inoltre, deriverebbe

296 Ibidem. 297 Ibidem, pto. 7. 298 Ibidem. 299 Ibidem. 300 Ibidem.

dall‟esercizio «della loro funzione di autotutela dell‟interesse collettivo che, in quanto tale, reclama la garanzia dell‟art. 2 Cost.»301

.

Risulta parimenti violato il principio di libertà e pluralismo sindacale sancito dall‟art. 39 Cost., nel momento in cui l‟ammissione alla legislazione premiale venga condizionata «esclusivamente da un atteggiamento consonante con l‟impresa, o quantomeno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione sindacale», traducendosi in un‟indebita sanzione del dissenso mostrato dai sindacati che scelgano di non sottoscrivere il contratto collettivo. La Corte in conclusione argomenta la scelta di non “spingersi oltre” nel suo intervento de facto legislativo, evitando così di individuare, «in coerenza con il

petitum dei giudici a quibus e nei limiti di rilevanza della questione sollevata, (…)

un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al Titolo III302; e nel negare la propria competenza alla generale regolazione della materia, non manca di rivolgere un ‒ennesimo‒ invito al legislatore ad affrontare i casi in cui in azienda manchi un contratto

collettivo, «per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire

ad un accordo aziendale»303, allo scopo di evitare che tale carenza produca la conseguenza di vietare qualsiasi forma di rappresentanza in azienda. In questo senso la Corte si spinge fino a “suggerire” alcune alternative, quali ad esempio la generalizzazione dell‟indice di rappresentatività costituito dal numero di iscritti, o l‟introduzione di un vero e proprio obbligo a trattare in capo al datore con le oo.ss. che superino una certa soglia di sbarramento.

La sentenza della Corte, come prevedibile, ha avuto un notevole seguito in dottrina, provocando reazioni diametralmente opposte fra gli autori, soprattutto riguardo i nuovi, e non di poco conto, interrogativi lasciati aperti: quando un sindacato si considera trattante?; viene introdotto un vero e proprio obbligo a

trattare in capo al datore di lavoro?; come conciliare la disciplina legale con

quella negoziale?. Il dibattito sorto all‟indomani della sentenza 231, e vertente

301

Ibidem.

302 Ibidem, pto. 9. 303 Ibidem.

quindi sull‟attuale disciplina della rappresentanza, verrà affrontato infra nel capitolo successivo.

Per quanto riguarda il “caso Fiat”, vero e proprio detonatore della chiamata alla Corte, la sentenza in esame ha senz‟altro il merito di aver «riallineato norma e realtà», obbligando la multinazionale italo-americana a riaprire la porta al sindacato dissenziente; la questione però continuava ad essere tutt‟altro che definita, in quanto i contratti collettivi nel frattempo rinnovati non avevano visto nemmeno la partecipazione della Fiom al tavolo delle trattative, e pertanto, stante la poco chiara disposizione della Consulta sul punto, ben la Fiat avrebbe potuto continuare ad escludere il suddetto sindacato anche in relazione al “nuovo” art. 19, scatenando probabilmente un nuovo iter giudiziale.

La Fiat, al contrario, ha deciso di accettare la costituzione di r.s.a. della Fiom, «anche negli stabilimenti in cui la stessa Federazione non ha preso parte alle trattative per il contratto»304, con chiaro intento distensivo; «in questo modo ‒si legge in un comunicato della stessa Fiat‒ l‟azienda intende rispondere in maniera definitiva ad ogni ulteriore strumentale polemica in relazione all‟applicazione della decisione della Suprema Corte. Peraltro questa fissa, come ovvio, un principio di carattere generale la cui riferibilità alla Fiom nella concreta situazione Fiat è più che dubbia»305. L‟azienda, casomai, pone l‟attenzione sulla necessità di «certezza del diritto in materia di rappresentanza sindacale ed esigibilità dei contratti, ‒ritenendola una‒ condicio sine qua non per la continuità stessa dell‟impegno industriale di Fiat in Italia»306

, ed auspicando, così come la Consulta, un intervento legislativo in tal senso.

Un comunicato, quindi, che intende porre la parola “fine” ad un conflitto durato 4 anni e la cui protrazione avrebbe comportato più problemi che benefici, in relazione anche al fatto che l‟obiettivo primario della Fiat di aumentare la

304 V.B

ERTI, La vicenda Fiat e le possibili soluzioni de iure (?) condendo: dalla frattura sindacale

all’unità e viceversa, p. 136, in AA.VV., La RSA dopo la sentenza della Corte Costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, Labour studies e-book series, n. 13, Adapt University Press, 2013.

305 Comunicato stampa FCA Group, 2 settembre 2013, in www.fcagroup.com 306 Ibidem.

produttività tramite l‟introduzione di contratti collettivi “a misura di azienda” risulta, verosimilmente, pienamente raggiunto.