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La questione del c.d cambio di casacca del membro di R.S.U

CAPITOLO 3 – LA DISCIPLINA NEGOZIALE DELLA RAPPRESENTANZA:

3.2. La ritrovata unità sindacale nei luoghi di lavoro: le Rappresentanze Sindacali Unitarie

3.2.2. La questione del c.d cambio di casacca del membro di R.S.U

Una discussione a parte merita il fenomeno del c.d. cambio di casacca, molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza, legato anch‟esso alla natura delle rappresentanze unitarie.

L‟Accordo del 1993, infatti, si limita a prendere in considerazione il caso in cui un membro della r.s.u. si dimetta durante il mandato, ma non l‟eventualità che egli abbandoni il sindacato di militanza, in favore ‒o meno‒ di altre sigle.

Tale vulnus normativo ha provocato un acceso dibattito in dottrina e molte incertezze in giurisprudenza, in quanto, seppur si tratti di una casistica “marginale”, la questione investe necessariamente la fondamentale questione riguardante la natura associativa od elettiva delle rappresentanze unitarie. Una lettura elettiva delle r.s.u., infatti, imporrebbe che il membro uscito dal sindacato di provenienza mantenesse comunque la carica, poiché legittimato dai lavoratori, e non dal sindacato; di contro chi prediligeva una visione associativa si poneva il problema di tutelare il diritto dell‟associazione sindacale a mantenere «inalterato il quantum di presenza all‟interno della r.s.u., dal momento che il voto dei lavoratori, prima di essere diretto al singolo individuo, ricade sull‟organizzazione di appartenenza, contribuendo a definire le proporzioni della relativa presenza nell‟organismo»167. Si nota chiaramente come il “nocciolo” della questione sia la

fonte di legittimazione del membro della r.s.u., e come la diversa natura di tale

organo sia la chiave di volta per risolvere il dubbio.

Un primo aiuto per dirimere la questione ci viene dallo stesso Accordo Interconfederale 1993 che, poche righe sopra, avevamo affermato tacere sul punto. In realtà, disciplinando il ‒seppur diverso‒ caso di dimissioni volontarie dall‟organo, opera comunque una distinzione non trascurabile: afferma infatti che «in caso di dimissioni di componente elettivo, lo stesso sarà sostituito dal primo

167 M.D

E ROSA, Il rappresentante sindacale “transfugo” nel Protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. It dir. Lav., 3, 2013, p. 129 ss.

dei non eletti appartenente alla medesima lista», mentre «il componente dimissionario, che sia stato nominato su designazione delle associazioni stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell‟unità produttiva, sarà sostituito mediante nuova designazione da parte delle stesse associazioni»168. La previsione di un diverso tipo di sostituzione in caso di defezioni all‟interno delle r.s.u.169, ed il fatto che l‟una o l‟altra disciplina dipendano dalla diversa “via d‟accesso” del membro dimissionario, non lascia dubbi sulla consapevolezza delle parti stipulanti circa il diverso tipo di legittimazione all‟interno dell‟organo, mista elettiva-associativa per i 2/3 eletti, ma totalmente associativa per il restante terzo, per cui non vi sono dubbi circa la decadenza del membro designato dall‟associazione sindacale, in virtù della c.d. riserva del terzo, in quanto chiaramente legittimato dal sindacato stesso.

L‟indagine quindi si restringe, da un lato, ai rimanenti 2/3 dei membri eletti a suffragio universale, e dall‟altro alla questione se, con le elezioni, i lavoratori esprimano «il proprio voto in favore della persona del candidato, anche a prescindere dalla sua affiliazione al sindacato che lo ha inserito in lista, ovvero se la preferenza sia diretta in primis all‟organizzazione sindacale, la quale concorre alla competizione elettorale anche nella persona del candidato eletto»170; valorizzare, pertanto, da un parte il carattere unitario e la costituzione elettiva delle r.s.u., dall‟altra la frammentarietà dell‟organismo, dovuta al fatto che, in sostanza, esso nasce dall‟accordo tra i sindacati, ed espleta funzioni non iure

proprio, ma in virtù del trasferimento delle stesse da parte delle r.s.a.

La giurisprudenza inizialmente si mostrò favorevole alla visione associativa delle rappresentanze unitarie, affermando quindi la decadenza del membro e la conseguente sostituzione da parte del sindacato di provenienza. La suddetta tesi fu raggiunta partendo da due argomentazioni: la prima basata sul fatto che, come in qualsiasi consultazione elettorale, «gli elettori votano in primo luogo la sigla sindacale che intendono favorire, esprimendo semmai (essendo tale ulteriore

168 A.I. 20 dicembre 1993, cit., parte prima, art. 6. 169

Defezioni che, in ogni caso, non possono superare il 50% dei membri, «pena la decadenza della r.s.u. con obbligo di procedere al suo rinnovo».

170 M.D

manifestazione di volontà meramente eventuale) solo in seconda istanza la propria preferenza per uno dei candidati presenti nella lista prescelta»171. La seconda argomentazione, partendo dal presupposto che «la r.s.u. è la struttura organizzativa endo-aziendale attraverso cui l‟associazione sindacale, che ha concorso a costituirla attraverso la presentazione di una lista all‟elezione, esercita la sua attività» conclude che «pertanto, il componente eletto nella r.s.u. non è che un rappresentante (mandatario) dell‟associazione sindacale (mandante) che configura un rapporto giuridico di rappresentanza di diritto privato»172. Si evidenziava quindi l‟insostituibilità della affiliazione sindacale, che legittimava ex

ante la carica, eventualmente acquisita, in virtù della consultazione elettorale, dal

proprio rappresentante. In sostanza, era il sindacato che soddisfaceva i requisiti degli Accordi 1993, per presentare la propria lista, partecipare alla competizione elettorale ed entrare nella stessa r.s.u., e pertanto, rompendosi il vincolo fra l‟associazione ed il suo rappresentante, veniva meno anche la legittimazione dello stesso, che quindi decadeva automaticamente dalla carica.

Permettere il cambio di casacca all‟interno delle r.s.u. avrebbe inoltre minacciato un aspetto fondamentale dell‟accordo, vale a dire il mantenimento dei rapporti di forza basati sul consenso all‟interno dell‟organismo unitario; sotto questo aspetto le preferenze espresse si traducono in una “proporzione sindacale” che si riflette nella composizione dell‟organo, e che deve essere preservata per tutta la durata del mandato. Pertanto, «tutte le volte che il predetto equilibrio venga rotto, (…) lo stesso deve essere ripristinato con meccanismo di decadenza dalla carica del componente che abbia mutato appartenenza e seggio alla lista elettorale già vincente»173. La potestà sindacale di sostituire il membro “traditore”, dunque, si giustifica con la necessità di mantenere i rapporti di forza all‟interno dell‟organismo, rapporti voluti, tramite il voto, proprio dagli stessi lavoratori;

ergo un tale meccanismo non va visto come una “criminalizzazione del dissenso”,

ma piuttosto come la reazione ad un «danno arrecato al sindacato a causa della

171 Trib. Milano, sent. 30 giugno 2003, in Orient. giur. lav., I, 2003, p. 291 172

Entrambi i virgolettati sono di Trib. Messina, 15 marzo 2000, in Lavoro nelle p.a., 2000, p. 872.

riduzione o totale eliminazione dei suoi rappresentanti in seno alla r.s.u. rispetto al numero dei voti riportati e dei seggi guadagnati dalla sua lista»174

La Suprema Corte avallò la tesi della decadenza automatica175, confermando la sentenza d‟appello secondo cui «il componente della r.s.u. si presenta necessariamente ed inscindibilmente collegato, attraverso la lista nella quale era candidato, all‟organizzazione sindacale come strumento dei suoi fini organizzativi e gestionali in base ad un rapporto simile al mandato, onde il membro della r.s.u.

non può conservare la carica qualora venga meno il coinvolgimento con la

suddetta lista»176.

La lettura della Cassazione non mancò tuttavia di suscitare perplessità in dottrina, in special modo per quanto riguarda l‟iter logico adottato: la Suprema Corte, infatti, presuppone una stretta simmetria tra le r.s.u. e le r.s.a., ricorrendo sovente alla giurisprudenza di quest‟ultimo istituto, senza però considerare la diversa natura dei due modelli di rappresentanza, prettamente associativa il secondo, mista associativa-elettiva il primo; componente elettiva che non può non avere riflessi anche sulla legittimazione dei membri, quantomeno per la componente elettiva, ma che viene ignorata dalla Corte.

«La disciplina interconfederale ‒afferma la dottrina‒ pare assai lontana dall‟imporre un rapporto associativo in senso stretto tra candidato e organizzazione di riferimento», né tantomeno, come prospettato dalla Corte, prescrive che l‟eletto debba essere “necessariamente ed inscindibilmente collegato all‟organizzazione sindacale”; piuttosto l‟ingerenza associativa, tramite la compilazione “sindacale” delle liste elettorali, suggerisce un potere di

accreditamento preliminare e di controllo generale da parte del sindacato, ma ciò

non toglie che l‟elezione dei candidati debba avvenire in base ai voti di preferenza; l‟investitura dal basso, quindi, non può essere ignorata nell‟interpretazione della disciplina, in quanto gioca un ruolo fondamentale per la

174

Trib. Milano, 30 giugno 2003, cit.

175 Cass., sent. 12 agosto 2000, n. 10769. 176 Trib. Milano, 21 febbraio 1998, cit.

legittimazione della componente elettiva della r.s.u.177. L‟elezione, infatti, conferma altra dottrina, «innesta un flusso legittimante concorrente con quello associativo, con pari dignità se non altro ai fini dell‟attività sindacale nei luoghi di lavoro»178.

A parere dei citati autori, quindi, la disciplina pattizia lascia sì ai sindacati la libertà di inserire nelle proprie liste qualsiasi lavoratore abbia i requisiti di elettorato passivo, inclusi «candidati più vicini alla base dei lavoratori che alla propria nomenclatura, al fine di assicurarsi la vittoria elettorale»179, ma con la consapevolezza che una tale opzione potrà ritorcersi contro il sindacato stesso; insieme alla libertà, insomma, «il sindacato si assumerebbe anche la responsabilità, o meglio il rischio, delle proprie scelte fiduciarie, non potendo pretendere di farle poi ricadere sul corpo elettorale nell‟ipotesi in cui il rappresentante, eletto quale suo esponente, successivamente modifichi la propria collocazione sindacale»180.

Un tale orientamento, basato sulla preminenza della legittimazione extra-sindacale dei membri della r.s.u. eletti da tutti i lavoratori, è stato recentemente accolto anche dalla stessa Suprema Corte, la quale, mutando nettamente opinione rispetto alla pronuncia di cui sopra, ha affermato che «I lavoratori, una volta eletti, non sono più legati al sindacato nelle cui liste si sono presentati alle elezioni, ma fondano la loro carica sul voto, universale e segreto, dell'intera collettività dei dipendenti aziendali. E tale fondamento permane anche se il lavoratore si dimette dal sindacato nelle cui liste si è presentato e quale che siano le sue successive decisioni (tanto nel caso in cui non aderisca ad alcun sindacato, che nel caso in cui aderisca ad altro sindacato). Non può sostenersi che tale scelta del lavoratore implichi la decadenza dalla carica ed il venir meno dei diritti connessi alla carica. Lo si desume, sul piano sistematico, dal fondamento universalistico della carica elettiva prima esaminato e se ne trova conferma nel fatto che l'accordo regola

177 P. C

AMPANELLA, Sulla decadenza di membro elettivo di r.s.u. per revoca del mandato

associativo, nota a sent. Cass. 10769/2000, in Riv. It. Dir. Lav., 2, 2001, p. 192. 178 G. F

ONTANA, Profili della rappresentanza sindacale. Quale modello di democrazia per il

sindacato?, Giappichelli, 2004, p. 105. 179 P.C

AMPANELLA, op. cit., p. 192 ss.

180 M.D

espressamente i casi di decadenza (art. 6 della prima parte) e non prevede tra questi le dimissioni dal sindacato nelle cui liste ci si è presentati alle elezioni»181. Come sarà esposto infra, l‟ultima parola sulla questione verrà detta dalle stesse parti negoziali, le quali con il Protocollo d’Intesa 31 maggio 2013, ed il successivo T.U. Rappresentanza 2014, chiariranno la questione una volta per tutte, stabilendo che «il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la r.s.u. ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito»182; la virata in senso associativo delle parti sociali, in contrasto con i recenti orientamenti giurisprudenziali, in realtà trova giustificazione se si guarda al nuovo sistema di rappresentanza introdotto, come vedremo infra.

3.2.3. La diffusione delle R.S.U. tra clausola di salvaguardia e coesistenza con le