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La rottura dell‟unità sindacale e la crisi della R.S.U

CAPITOLO 3 – LA DISCIPLINA NEGOZIALE DELLA RAPPRESENTANZA:

3.3. La rottura dell‟unità sindacale e la crisi della R.S.U

Come detto all‟inizio del capitolo, il più grande limite delle r.s.u. è proprio la sua fonte di legittimazione negoziale, che non permettendo la costituzione di efficaci

deterrenti contro la disapplicazione degli accordi finisce per rimettere alla volontà

delle parti la tenuta di tutto il sistema di rappresentanza unitario; l‟unico rimedio al rischio di diaspora sindacale predisposto dagli Accordi Interconfederali, come visto supra, era la c.d. clausola di salvaguardia, che comunque si infrangeva contro il muro della legge, non potendo di certo una disciplina negoziale derogare alla legge, impedendo la costituzione di r.s.a. ai sensi dell‟art. 19 dello Statuto, né quantomeno alla Costituzione, limitando la libertà sindacale sancita dall‟art. 39, c. 1.

Fu così che, sulla scia dei Consigli di Fabbrica, scomparsi con la rottura del Patto

Federativo nel 1984, anche le r.s.u. videro negli accordi separati, e soprattutto nel diktat a favore delle r.s.a. imposto dalla Fiat (questione che sarà trattata nel

dettaglio infra, cap. 4) la celebrazione del loro requiem, salvo poi risorgere come “l‟araba fenice”, in virtù del mea culpa sindacale, sotto le “nuove spoglie” del Testo Unico della Rappresentanza stipulato dalle Confederazioni unitarie nel 2014, disciplina organica che supera il Protocollo 1993 ‒in parte‒ modificandolo. Ripercorrendo brevemente le fasi della “morte e resurrezione” della rappresentanza unitaria, si nota fin da subito come in realtà le ragioni della rottura tocchino solo marginalmente la materia trattata in questo lavoro, ma riguardino diatribe da un lato meramente politiche, e dall‟altro inerenti il contratto collettivo, riaccendendo la storica divergenza fra una predilezione per la dimensione nazionale della contrattazione, tanto cara alla CGIL in quanto permetteva la creazione di diritti “minimi” ed omogenei in tutto lo Stivale, ed il favor della CISL verso la valorizzazione della contrattazione “decentrata”, anche a livello aziendale, in ossequio al “mantra” della “flessibilità”. Si ritiene però necessaria una breve trattazione sul tema, sia per una migliore comprensione dei molteplici aspetti legati al “caso Fiat”, sia ‒e soprattutto‒ poiché la stipulazione (ed, in seguito, la negoziazione, come esposto infra) del contratto collettivo costituisce

l‟unica via d’accesso alla legislazione promozionale prevista dal Titolo III dello Statuto, in virtù dell‟art. 19 così come uscito dalla consultazione referendaria. I primi scricchiolii dell‟unità sindacale si cominciano a sentire all‟indomani delle elezioni politiche del 2001, che videro salire a Palazzo Chigi il Governo di centro- destra presieduto da Silvio Berlusconi, il quale presentò lo stesso anno il Libro

bianco sul mercato del lavoro in Italia, documento che elevava il “dialogo

sociale” a «metodo alternativo rispetto al modello di concertazione sociale degli anni ‟90, ritenuto troppo vincolante per il potere esecutivo, del quale limitava la capacità decisionale, subordinandola al raggiungimento del consenso delle parti sociali»197. Al contrario il “dialogo sociale” comportava la netta preminenza della legge, che poteva non solo derogare, ma anche sostituire la contrattazione collettiva, e l‟abbandono della necessaria unanimità in favore della regola della

maggioranza.

Proprio la regola della maggioranza fece da apripista alla stipulazione di accordi separati, in quanto anche il sindacato di maggioranza relativa ben potrebbe ‒ed è accaduto con la CGIL‒ essere estromesso, nel caso in cui l‟unione delle altre parti sociali superi il 50% dei consensi. Il Patto Per l’Italia, stipulato nel 2002, è il primo esempio di ciò, non essendo stato firmato dal sindacato maggiormente rappresentativo, la CGIL, in aperto contrasto con la creazione di enti bilaterali a composizione mista sindacale-imprenditoriale, aventi rilevanti funzioni di contrattazione e gestione del mercato del lavoro.

La parentesi governativa di centro-sinistra, in carica dal 2006 al 2008, ricompose l‟unità delle tre Confederazioni, firmatarie sia del Protocollo Welfare del 23 luglio 2007, sia delle Linee di riforma della struttura della contrattazione, approvate il 12 maggio 2008. Quest‟ultimo accordo porrà le basi alla successiva riforma del sistema di contrattazione collettiva, manifestando l‟inidoneità del Protocollo 1993, nella parte in cui lega l‟aggiustamento retributivo al tasso di inflazione programmata, deciso dal Governo senza concertazione, a rispecchiare la reale inflazione, e proponendo indici oggettivi di riferimento in tal senso; inoltre, pur

197 M.V.B

restando invariati i rapporti fra i livelli di contrattazione, l‟accordo prefigurava una nuova disciplina della rappresentatività, basata su parametri oggettivi di stampo misto associativo (riferito al numero di deleghe, rilevabili dall‟INPS) ed elettivo (numero di consensi nella elezione della r.s.u.).

La caduta, nel 2008, del Governo Prodi, e la conseguente vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, portò alla stipulazione dell‟Accordo quadro di riforma degli

assetti contrattuali 22 gennaio 2009, applicato con l‟Accordo Interconfederale 15 aprile 2009, senza la firma della CGIL, in virtù delle ‒a loro dire‒ sostanziali

modifiche apportate rispetto alle precedenti linee programmatiche. Riassumendo brevemente198, le critiche della CGIL vertevano sia sul sistema di calcolo dell‟inflazione per l‟adeguamento contrattuale199

, sia sulla diversa disciplina di raccordo fra i due livelli contrattuali; riguardo alla contrattazione decentrata, in particolare, pur dovendo comunque rispettare le deleghe nazionali ed il principio del ne bis in idem, si prevedeva che, per combattere crisi aziendali od in occasione di significativi investimenti, potessero essere definite specifiche intese idonee a «modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici e normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria»200.

Riguardo la rappresentatività l‟Accordo si discostava nettamente dalle precedenti

Linee di riforma del 2008, in quanto prevedeva l‟emanazione di «nuove regole in

materia di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo, ivi comprese la certificazione all‟INPS dei dati di iscrizione sindacale»201

; veniva cioè tagliata la “gamba” elettorale della rappresentanza, misurata dai consensi raggiunti nella elezione della r.s.u., in favore di una valutazione prettamente associativa, basata unicamente sulle adesioni al sindacato.

198

Le doglianze della CGIL, seppur non strettamente legate alla materia ivi trattata, sono utili per la comprensione del c.d. Caso Fiat, esposto nel capitolo successivo

199 Si sostituiva il criticato tasso di inflazione programmata con il c.d. IPCA (indice dei prezzi al

consumo armonizzato in ambito europeo), escludendo però i “prezzi energetici importati”, scaricando così ‒a detta della CGIL‒ sui lavoratori l‟effetto di un fattore esterno incontrollabile del potere d‟acquisto.

200 Accordo quadro riforma degli assetti contrattuali, 22 gennaio 2009, pto. 16. 201 Ibidem, pto. 17.