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Gli antefatti: motivazioni alla base della vicenda

CAPITOLO 4 – IL CASO FIAT v FIOM: LA FRAGILITA‟ DELLA

4.1. Gli antefatti: motivazioni alla base della vicenda

necessità; ‒ 4.1.2 (segue) I motivi di opportunità; ‒ 4.2 Da Pomigliano a Mirafiori: cronaca del

Caso Fiat; ‒ 4.3 I contenuti del nuovo CCSL ed i rapporti con il sistema contrattuale; ‒ 4.3.1 La

parte normativa; ‒ 4.3.2. La parte obbligatoria; ‒ 4.3.3. L’efficacia dei nuovi contratti; ‒ 4.4 La

questione della rappresentanza sindacale in azienda; ‒ 4.5 I ricorsi della FIOM e la rimessione alla Consulta; ‒ 4.5.1. L’interpretazione letterale; ‒ 4.5.2. L’interpretazione sistematica; ‒ 4.5.3. Le

ordinanze di rimessione; ‒ 4.6 La sentenza n. 231/2013 della Corte Costituzionale ed il nuovo art.

19.

4.1. Gli antefatti: motivazioni alla base della vicenda.

Quello che le cronache giornalistiche hanno etichettato come “Caso Fiat” è la storia del percorso, intrapreso da una delle maggiori industrie italiane, verso la creazione di un “universo parallelo” dei rapporti di lavoro, un micro-sistema chiuso e perfettamente autosufficiente.

Una scelta ‒coraggiosa o padronale, a seconda del lettore‒ compiuta dall‟Amministratore Delegato di F.C.A. Sergio Marchionne, di riformare completamente il sistema italiano di relazioni industriali, che provocò un terremoto di dimensioni tali da svegliare persino il legislatore, reo di avere, con la sua inerzia, causato l‟approvazione ed il mantenimento del tanto criticato articolo 19 dello Statuto, usato poi come “lucchetto” da Marchionne per tenere fuori dai cancelli delle fabbriche l‟unica associazione che ‒stoicamente o ciecamente, anche qua dipende dal lettore‒ si oppose con forza alla creazione del suddetto universo Fiat.

Come presumibile, le motivazioni che hanno spinto la Fiat ad un così profondo cambiamento non possono che essere molteplici e complesse, differenziabili ‒a mio avviso‒ in ragione della loro necessità od opportunità.

4.1.1. (segue) I motivi di necessità.

I motivi di necessità che hanno spinto la multinazionale torinese a “scardinare” la disciplina lavoristica sono tutti “ambientali”: la Fiat del nuovo millennio era solo un pallido ricordo dell‟azienda-simbolo del miracolo economico del secondo dopoguerra, stretta com‟era in una crisi non solo produttiva ma anche “identitaria”, da cui uscirà in virtù di un radicale cambiamento di prospettiva, a partire dalla “gestione” Elkann-Marchionne. «La Fiat del secolo scorso era una impresa italiana, con forte diffusione internazionale. La Fiat di oggi è una impresa multinazionale che guarda all‟Italia con un “cannocchiale rovesciato” anche perché ha di fronte un problema gigantesco: reggere alla competizione globale nel settore auto quando in quel settore si sta verificando una conclamata crisi di sovrapproduzione»221. Ad un settore già di per sé saturo nell‟offerta si aggiunse, infatti, il fenomeno della globalizzazione, che al pregio di aver dato una prospettiva a popolazioni che, fino al giorno prima, sopravvivevano sotto la soglia di povertà, creando la categoria dei c.d. “paesi emergenti”, ha contrapposto un

dumping sociale di dimensioni incalcolabili, a tutto svantaggio dei “paesi

industrializzati”. Un quadro tutt‟altro che rassicurante, a cui aggiungere l‟elevata pressione fiscale che storicamente si registra in Italia, ed infine la crisi economico-

finanziaria che, seppur di dimensioni globali, colpì con maggiore forza, come la

cronaca ci ha dimostrato, nelle economie deboli della c.d. Euro-Zona, tra le quali rientra il Belpaese.

Una situazione tutt‟altro che rassicurante, alla quale si doveva comunque rispondere in qualche modo, onde evitare conseguenze ben peggiori, e non solo per gli investitori; una critica alla “reazione” dei vertici Fiat a tale scenario, infatti, non può che vertere sul quomodo di tale reazione, essendo diventato l‟an una scelta obbligata.

221 L.M

ARIUCCI, Back to the future: il caso Fiat tra anticipazione del futuro e ritorno al passato, in Lav. Dir., n. 2, 2011, p. 240.

4.1.2. (segue) I motivi di opportunità.

I profili di opportunità, vale a dire gli elementi che hanno di certo contribuito non solo alla scelta del quomodo, ma anche del quando, sono ancora più variegati, ed abbracciano sia aspetti, anche in questo caso, ambientali, sia più strettamente

giuridici.

Riguardo ai primi, una importante “freccia” all‟arco dei vertici Fiat fu proprio la

crisi occupazionale che, come risultante dei suddetti fenomeni di dumping sociale

e di crisi economico-finanziaria, aumentò esponenzialmente, soprattutto tra i giovani, a partire dal 2009: è indubbio infatti che in situazioni di forte disoccupazione la prospettiva di “mantenere” uno stipendio sia da sola sufficiente a giustificare la concessione di alcuni diritti che, agli occhi dell‟opinione pubblica, spesso si trasformano in privilegi, permettendo di affievolire il gap, in termini di costi del lavoro, rispetto ai paesi in via di sviluppo.

In secondo luogo la situazione politica di quel periodo ha permesso una sostanziale tolleranza, per non dire un aiuto, all‟opera di ristrutturazione della Fiat: dapprima, (anche) il terzo Governo Berlusconi mostrò non troppo velatamente il suo favor per la “parte” datoriale, non solo elevando a dogma parole, come produttività o flessibilità, tanto care all‟A.d. Marchionne, ma soprattutto confezionando a quest‟ultimo, con l‟art. 8 della l. 148/2011, una “sanatoria ad hoc”, giusto pochi giorni prima di essere deposto a “colpi di

spread”. Successivamente, il susseguirsi di Governi più o meno instabili o

“tecnici” ha decretato il ritorno a quell‟inerzia tanto criticata nel periodo pre e

post-referendario.

Crisi politica che fa da sfondo anche alla rottura dell’unità sindacale perfezionata, dopo alcuni scossoni, con gli accordi 2009 analizzati supra (v. cap. 3, par. 3), e che ha fornito la “piattaforma di lancio” agli Accordi aziendali separato che analizzeremo tra poco.

Le cause “giuridiche” del caso Fiat sono state già anticipate nel corso di questo lavoro, vale a dire la sostanziale debolezza delle due, alternative, discipline con cui viene regolata la rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro: da un lato,

infatti, la rappresentanza unitaria ha il limite di fondo dovuto proprio alla sua fonte di legittimazione negoziale, necessariamente legata alla volontà delle parti contraenti, mentre dall‟altro le r.s.a. sono pericolosamente legate, in virtù dell‟esito referendario, al ‒solo‒ requisito della firma di un contratto collettivo, di qualsiasi livello, applicato nell‟unità produttiva, esponendo il fianco ad un ingerenza datoriale che già all‟indomani del referendum parte della dottrina, profeticamente, aveva segnalato (v. cap. 2, par. 3).