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IL SISTEMA CLIMATICO, I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LA VARIABILITÁ CLIMATICA

1. Definizione del sistema climatico

Figura 5. Comparti della Terra e interazioni fra di loro

Il sistema climatico fu definito, in un documento prodotto dal Global Atmospheric Research Programme (GARP) del World Meteorological Organization nel 1975, come un sistema composto da:

atmosfera

idrosfera (massa totale del contenuto di acqua sulla/al di sopra della superficie terrestre; gli oceani rap-presentano la maggiore parte di essa)

criosfera (acqua presente sulla superficie terrestre sotto forma di ghiaccio)

litosfera (crosta terrestre)

biosfera (tutta la vita animale e vegetale sulla terra).

Nel 1992, la Framework Convention on Climate Change delle Nazioni Unite (FCCC) definisce il sistema cli-matico come “l’insieme dell’atmosfera, dell’idrosfera, della biosfera e della geosfera, e le interazioni tra di esse”. Queste due definizioni sono simili, ma l’enfasi attribuita alle interazioni, sia nella definizione che nella letteratura, è cresciuta molto negli ultimi trent’anni, a partire dal 1975.

Le Figure 5 e 6 mostrano una rappresentazione schematica delle componenti del sistema climatico che i modellisti sul clima devono considerare. Ciò che viene enfatizzato sono proprio le componenti del siste-ma e i processi, piuttosto che le scale di spazio e di tempo.

Il primo componente configurato è stato l’atmosfera, che, per la sua bassa densità e semplicità di movi-mento, è il più “sensibile” ai sottosistemi climatici. Nei modelli iniziali sviluppatisi direttamente da quelli delle previsioni del tempo, le precipitazioni erano incluse da principio, ma molti aspetti riguardanti le nuvo-le sono ancora difficili da incorporare con successo in un modello climatico. Inoltre, anche l’inserimento dell’idrosfera e degli oceani all’interno dei modelli sul clima non avviene in maniera adeguata, in quanto i computers attualmente a disposizione non ne permettono la corretta risoluzione spaziale e temporale. Questo è, in parte, dovuto al fatto che le scale di spazio e di tempo critiche dei sottosistemi dell’oceano e dell’atmosfera differiscono fra di loro, ma anche perché l’accoppiamento tra i due sottosistemi è fortemen-te dipendenfortemen-te dalla latitudine. Nei tropici, i sisfortemen-temi sono strettamenfortemen-te connessi, specialmenfortemen-te tramifortemen-te la temperatura. Alle medie latitudini, il collegamento risulta debole, mentre alle latitudini elevate esiste un legame più stretto, principalmente attraverso la salinità, che è coinvolta da vicino nei processi di formazio-ne dell’acqua profonda oceanica. I processi biochimici che controllano lo scambio di diossido di carbonio (CO2) tra l’atmosfera e l’oceano variano anche in funzione della località geografica e della circolazione oceanica.

La criosfera fu incorporata nei modelli climatici dapprima per l’elevato albedo del ghiaccio e della neve, che dominava lo scambio radioattivo. L’effetto isolante della criosfera è almeno tanto importante quanto l’effetto del suo potere riflettente: il ghiaccio del mare separa l’oceano dall’atmosfera sovrastante, e la neve ha un effetto simile, anche se minore, sulla terra, provocando dei cambiamenti considerevoli in sottosiste-mi isolati.

L’importanza della biosfera è stata messa in evidenza dagli impatti climatici risultanti dai livelli atmo-sferici del diossido di carbonio, dipendenti dal biota marino e da quello terrestre. Gli studi moderni incor-porano lo stato dell’ecologia sulla superficie continentale e la crescita del biota marino.

Il “buco dell’ozono” nella stratosfera, identificato per la prima volta nel 1985 sopra l’Antartide, fece da catalizzatore per incorporare nei modelli climatici la chimica atmosferica. Risulta, pertanto, ormai evi-dente che i modelli del sistema Terra hanno bisogno di comprendere la chimica atmosferica e marina, come anche i mutamenti transienti nel biota globale. La componente umana del sistema, particolarmen-te manifesta attraverso le emissioni di tracce di gas e di aerosol, oltre che i cambiamenti nello sfruttamen-to del suolo, rappresenta forse l’aspetsfruttamen-to di maggiore difficoltà e opportunità. Le attività umane solo di recente sono state assunte come parametro nei modelli climatici di “valutazione integrata”.

In questa complessa e affascinante connessione di aspetti, la disciplina che riguarda i modelli clima-tici si è evoluta (Figura 7).

Coloro che si occupano di costruire tali modelli hanno scoperto che il sistema quale lo avevano iden-tificato sommariamente nel 1975 è, invece, estremamente complesso, in quanto contiene legami e

feed-backs che sono assolutamente non-lineari e, perciò, difficili da individuare e riprodurre. Il sistema

climati-co non è, pertanto, un sistema deterministiclimati-co ma, al climati-contrario, è un sistema caoticlimati-co e fortemente dipen-dente dalle condizioni iniziali che generano le connessioni al suo interno: è sufficiente anche una piccola incertezza o lieve perturbazione alle condizioni di partenza per far sì che il comportamento del sistema cli-matico tenda a divergere in modo irregolare, secondo quello che il famoso meteorologo Lorenz (1963) definì “effetto a farfalla”, ovvero anche, secondo quanto avviene se utilizziamo la metafora della “doppia buca” (Figura 8). Facendo riferimento a quest’ultima metafora, immaginiamo due buche adiacenti e una pallina (clima) che si trova in una di esse, la quale è continuamente sottoposta a piccole perturbazioni. In un regime lineare, pur in presenza di forti sollecitazioni esterne la pallina è ricondotta all’interno della pro-pria buca, così che il clima mantiene il suo stato stazionario senza mai raggiungere un vero equilibrio. Se, al contrario, si interviene nel movimento della pallina attraverso l’introduzione di lievi perturbazioni, anche molteplici e di opposta direzione, la formazione di regimi irregolari che ne deriva potrà avere come conse-guenza lo sviluppo di moti rapidi e intensi che permettono alla pallina di superare la soglia di confine e passare, così, nella buca adiacente. In tal caso, ci troveremmo di fronte ad un cambiamento climatico vero e proprio. Pertanto, la profonda alterazione dell’attuale stabilità del sistema climatico non passa necessa-riamente attraverso ampie perturbazioni bensì, anche disturbi di relativa lieve entità hanno la potenzialità di raggiungere i “punti deboli” del sistema e, così, di incidere direttamente nella sua complessa dinamica.

Le glaciazioni costituiscono la dimostrazione più manifesta di tale irregolarità nel comportamento del sistema climatico. Sembra, infatti, che esse siano avvenute a causa di lievi spostamenti dell’asse terrestre, i

Figura 7. Crescita progressiva della complessità della rappresentazione del sistema climatico a partire dagli anni ’70 fino ad oggi (Fonte: TAR, 2001).

quali hanno generato una anomala distribuzione del calore sulla Terra in direzione nord-sud, ma con

effet-ti devastaneffet-ti sul clima terrestre. Al giorno d’oggi, un effetto equivalente, seppure con modalità e

distribuzio-ni spaziali diverse, è determinato dalla forte e rapida crescita delle emissiodistribuzio-ni dei gas serra, primo fra tutti l’anidride carbonica, da parte della componente umana del sistema. Una volta raggiunta la soglia critica, peraltro difficile da individuare, queste hanno la capacità di innescare processi così fortemente non-linea-ri (isteresi), tali da condurre ad un tipo di clima completamente diverso da quello nel quale abbiamo vis-suto fino ad ora.

In un simile contesto, è ragionevole includere anche altri esempi eclatanti, come l’estate che ha carat-terizzato il 2003, ricondotta fra quegli eventi estremi definiti anche come ondate di caldo (heat waves), ovve-ro le anomalie di pressione come quelle osservate di recente le quali, se dovesseovve-ro ripetersi a ritmi intensi, potrebbero essere considerate come delle instabilità del sistema climatico dovute alle perturbazioni indot-te dall’uomo.

Dalle importanti considerazioni sin qui scaturite si evince, pertanto, che il complesso sistema climati-co per sua stessa natura non è riproducibile in laboratorio. Il modello numericlimati-co, inteso climati-come il nostro laboratorio virtuale, è dunque l’unico strumento che si conosce per riprodurre il clima attuale e per tenta-re di rapptenta-resentatenta-re le sue tendenze fututenta-re, sebbene contenga limiti propri nel simulatenta-re tutte le scale spa-ziali e temporali coinvolte.

Figura 8. Rappresentazione della metafora della “doppia buca”

1.2. La prospettiva scientifica

La ricerca sul clima può essere definita, al pari delle scienze biomediche, come un Grand Challenge della scienza moderna. Infatti, essa coinvolge ed integra fortemente altri settori della ricerca scientifica. Tale attività obbliga ad una interazione tra la ricerca di base ed applicata e l’industria di punta, soprattutto in

software engineering. Al fine di individuare i meccanismi responsabili (parzialmente sconosciuti) di tutta la

variabilità climatica osservata, comprese le glaciazioni, risulta estremamente necessario adoperare e condi-videre ogni conoscenza teorica e strumentale di cui si dispone oggigiorno, quindi tutte le reti di osservazio-ne globale e tutti i mezzi informatici più avanzati, come stanno facendo da diversi anni gli Stati Uniti e il Giappone, ai quali si sono aggiunti negli ultimi anni anche molti paesi europei, in particolare la Germania.

Data la complessità della ricerca sul clima, tutti i paesi maggiormente industrializzati su indicazio-ne diretta dei governi hanno, infatti, attivato strutture e tavoli di discussioindicazio-ne con la finalità di rendere più efficiente la ricerca in questo settore e più fruibili e comprensibili i suoi risultati. I modelli numeri-ci, insieme alla componente osservativa-sperimentale, sono necessari per fornire al paese la competen-za di base e il miglior sistema di informazioni scientifiche utile al mondo della politica per le future ed auspicabili scelte strategiche che salvaguardino il futuro del nostro pianeta. Tutti i paesi industrializza-ti stanno investendo da decenni (almeno dagli anni ’70) notevoli risorse in questo settore, sia in termi-ni di capitale umano che di risorse tecnologiche: i sistemi di calcolo più potenti al mondo sono dedi-cati al clima, in quanto si richiede l’elaborazione di gigantesche quantità di calcolo.

Le istituzioni di ricerca meteorologica e climatica oggigiorno dispongono dei computers più veloci e potenti. Questo aumento progressivo nelle capacità dei computers ha significato che i modelli climatici si sono sviluppati in termini di maggiore complessità, risoluzione e nella potenzialità temporale delle simula-zioni. Inoltre, le componenti del sistema Terra che possono essere incluse e accoppiate sono aumentate, e continueranno ad aumentare in numero. Le simulazioni multi-decennali, con cicli interi diurni e stagiona-li, cui sono completamente accoppiati l’oceano e il ghiaccio del mare, sono ora attesi negli esperimenti sul clima, e i mutamenti transienti, ad esempio, nei gas serra e nell’aumento di aerosol nell’atmosfera ora rim-piazzano l’equilibrio nelle simulazioni precedenti. Quanto più aumenta la nostra conoscenza, sempre più aspetti del sistema climatico e componenti addizionali saranno incorporati nei modelli climatici.

Attualmente disponiamo, quindi, di tutti gli strumenti teorici, sperimentali e tecnologici per risponde-re alla sfida che i cambiamenti nel clima pongono in esserisponde-re ma, allo stesso tempo, è doveroso esserisponde-re sem-pre coscienti del sem-preciso significato di questa articolata tematica e di tutti i suoi stadi di complessità.

Tuttavia va detto che, sebbene siano stati fatti grandi passi avanti nei modelli durante gli ultimi 40-50 anni, in termini di maggiore complessità, e sebbene sia notevolmente aumentata la capacità di riprodurre alcuni fenomeni fondamentali per lo studio della variabilità climatica, essi sono deboli nel rappresentare l’evoluzione di un clima regionale. Le piccole scale dei fenomeni climatici (come, ad esempio, quelle tempo-rali infrannuale, stagionale, giornaliera) e, soprattutto, i processi non lineari (risposte fortemente discontinue a supposti cambiamenti climatici) sono ancora male rappresentate dai modelli numerici esistenti. L’attuale ricerca sui cambiamenti climatici pone maggiore enfasi sulla variabilità dei parametri medi e non sui mecca-nismi intrinseci e sulle interazioni tra le diverse scale spaziali e temporali della variabilità climatica.

Ulteriori progressi sono possibili, ma è necessario che siano associati ad una maggiore comprensione della natura delle interazioni all’interno del reale sistema climatico e che queste ultime siano poi riprodotte all’interno dei modelli. Le perturbazioni provocate dagli aerosols industriali, dai vulcani, dalla luminosità sola-re, dalla variazione nel carattere della superficie indotta dal clima, devono essere considerate. La costruzione di modelli riguardo una materia così vasta rappresenta un compito formidabile e, se si vuole che vengano deli-neate conclusioni attendibili, richiede che vi sia cooperazione tra molte discipline.

Nuovi modelli e l’ingegneria dei software promettono altre opportunità di creare calcolatori più velo-ci negli anni a venire. In ogni caso, sarebbe un errore pensare che l’unica misura del successo di un

model-lo climatico sia la risoluzione o la vemodel-locità raggiunta attraverso un computer. Il proposito dei modelli cli-matici è guadagnare capacità di discernimento dentro il sistema climatico e nelle sue interazioni. Se da un lato computer più veloci sono di grande utilità, dal momento che proprio grazie alla maggiore velocità dei computers si sono avuti considerevoli miglioramenti nelle simulazioni dei modelli, in termini di dimensio-ni e complessità, ci sono molte altre strade da esplorare per la costruzione di ulteriori modelli in grado di poterci aiutare a comprendere il clima. Anche i modelli semplificati (EMIC – Earth Model at Intermediate

Complexity), infatti, hanno giocato un ruolo importante. Questi ultimi possono essere sufficienti per

rispon-dere a particolari e ben specificati problemi e fornire spiegazioni che altrimenti resterebbero nascoste a causa della complessità di un modello più grande.

I modelli di previsione climatica possono essere testati lungo un periodo di poche ore e pochi giorni, ma ai modelli del clima è richiesto di predire decadi fino a secoli in anticipo, oppure di simulare periodi della storia della Terra per i quali dati convalidanti risultano essere scarsi. È importante notare che le pre-visioni fornite da un modello climatico offrono solo un caso di risposta generale, poiché il modello clima-tico perde la sua associazione con le iniziali condizioni in poco tempo. Di conseguenza, testare singole simulazioni non ha virtualmente senso, mentre occorre assemblare varie simulazioni con diverse condizio-ni di partenza affinché il clima possa essere caratterizzato con una migliore confidenza statistica. Nonostante le limitazioni poste dalla “teoria del caos” nel fare previsioni sull’esatto stato dell’atmosfera oltre 15-20 giorni nel futuro, vi è una buona ragione di credere che la capacità di prevedere la natura dello stato del clima nel suo insieme non sia comunque pregiudicata.

Le diverse tipologie di modelli sul clima attraggono interesse da parte di svariate discipline. Anche i modelli semplificati possono prevedere l’effetto sulla media delle temperature delle eruzioni vulcaniche, come quella nel 1991 del Monte Pinatubo (Filippine), con esito abbastanza positivo su scale stagionali e di più lungo periodo, così che possiamo avere una certa garanzia sul fatto che le previsioni sul clima non siano offuscate dagli stessi caotici processi che complicano le previsioni atmosferiche. In questi processi sono fatti rientrare modelli climatici tridimensionali: le implicazioni dei fenomeni del sistema solare attrag-gono fisici planetari e astronomi, mentre i chimici dell’atmosfera si occupano delle complesse reazioni tipi-camente di breve durata su scala temporale; infine, gli scienziati socio-economici sono interessati alla com-ponente umana del sistema climatico.

1.3. Climate Change Assessment

Nel corso degli ultimi quindici anni, con l’aumentare della consapevolezza degli impatti potenziali dei cambiamenti relativi alle concentrazioni atmosferiche di gas e aerosol, l’interesse per i risultati dei modelli cli-matici da parte dei policymakers è divenuto costante. Nel 1988, l’United Nation Environment Programme (UNEP) e il World Meteorological Organization (WMO) hanno istituito l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). L’IPCC era diretto a produrre una valutazione in merito al cambiamento climatico, sulla base delle informa-zioni scientifiche disponibili, scritta in maniera tale che potesse indirizzare le necessità dei policymakers e dei non-specialisti. Il Primo Assessment Scientifico (First Assessment Report, FAR) fu pubblicato nel 1990 in tre

volu-mi comprendenti la scienza, gli impatti e le risposte. Ci fu un aggiornamento scientifico nel 1992 e due ulte-riori volumi furono pubblicati, quale input alla Prima Conferenza delle Parti alla FCCC, nel marzo del 1995. Il Secondo Assessment Scientifico (Second Assessment Report, SAR) seguì nel 1996; il Terzo Assessment (Third

Assessment Report, TAR) fu pubblicato nel 2001, mentre il Quarto (Assessment Report 4, AR4) è stato

pubblica-to nel 2007. Sono circa 700 i ricercapubblica-tori che hanno contribuipubblica-to al Terzo e altrettanti 700 lo hanno rivispubblica-to. Un risultato importante delle previsioni e delle valutazioni sul clima dell’IPCC è stato quello di foca-lizzare l’interesse sulla ricostruzione climatica. E da tale ricostruzione, a partire da un periodo che va dal 200 al 2000 d.c., sebbene vi sia un certo livello di incertezza, si sottolinea il fatto che, per quel che concer-ne i dati approssimativi sulle temperature dell’Emisfero Nord, le temperature concer-nel ventuconcer-nesimo secolo sono più calde di ogni altra epoca di cui si ha esperienza durante gli ultimi 1800 anni almeno !

Il processo dell’IPCC mira a determinare il livello attuale di confidenza nella nostra comprensione delle forze e dei meccanismi del cambiamento climatico, in modo da scoprire quanto meritevoli di fiducia sono gli assessments, e da chiedersi se possiamo anche inequivocabilmente identificare il cambiamento cli-matico indotto dall’uomo. Attraverso un processo di rivisitazione esaustivo, l’IPCC punta a fornire delle valutazioni che discutono il climate change su scala globale e che rappresentano il consenso internazionale del livello di comprensione odierno.

Gli assessments dell’IPCC coprono tre aree, che sono monitorate da tre gruppi di lavoro. Il Working

Group I è orientato alla valutazione dei più recenti risultati scientifici sulla analisi delle osservazioni e

delle simulazioni numeriche climatiche. Il Working Group II si è occupato delle tematiche relative agli impatti del cambiamento climatico, nonchè agli adattamenti e alla vulnerabilità al cambiamento clima-tico stesso. Il Working Group III, infine, riferiva sulle modalità di mitigazione, ossia di quelle azioni in grado di attenuare gli impatti del cambiamento climatico.

1.4. La prospettiva umana

La popolazione umana vive su quasi tutta la Terra, distribuita a varie latitudini ed a diverse altezze e, quindi, in ambienti profondamente diversi sia sotto l’aspetto morfologico che da un punto di vista clima-tico. Pertanto, come tutte le forme di vita del nostro pianeta, l’uomo risente la varietà degli elementi del clima, da cui è più o meno notevolmente condizionato.

Il clima esercita infatti una notevole influenza sull’uomo con riferimento ad aspetti diversi: l’insedia-mento dei vari gruppi razziali legati a determinati ambienti climatici; le diverse esigenze alimentari; le capa-cità lavorative oppure la presenza di piante, animali e di suoli atti alla coltivazione, che possano fornire all’uomo di che cibarsi, tutti elementi del paesaggio legati a loro volta al clima.

L’uomo, però, può anche esercitare una non indifferente influenza sulle condizioni meteorologiche e climatiche, creando delle modificazioni di esse sia su piccola che su vasta scala; modificazioni che sono essenzialmente connesse ad esigenze economiche.

In certi casi si tratta di modificazioni volontarie del clima, spesso prodotte dall’uomo per creare con-dizioni più favorevoli alle sue innumerevoli attività. Ma l’uomo può provocare anche modificazioni

invo-lontarie del clima, il più delle volte a suo diretto o indiretto svantaggio. Come vedremo meglio in seguito, fra le attività umane più dannose per il nostro pianeta si segnalano il disboscamento indiscriminato e, a scala più vasta, l’aumento della concentrazione di anidride carbonica, l’arricchimento eccessivo in polveri e fuliggine nell’aria, le esplosioni nucleari e l’alterazione della ozonosfera i quali, influenzando la tempera-tura della troposfera, possono quindi produrre mutamenti climatici su scala globale.

Il clima del nostro pianeta è sempre stato soggetto a cambiamenti intensi e repentini, basti pensare alle glaciazioni, e la società degli uomini si è spesso adattata a questi cambiamenti. Tuttavia, l’attuale svi-luppo sociale (incluso l’aumento demografico) e tecnologico potrebbero mettere a dura prova la capaci-tà di adattamento e sopravvivenza non solo dell’uomo ma dell’intero ambiente vivente.

Oggi, infatti, l’atmosfera del pianeta sta subendo dei cambiamenti senza precedenti nella storia umana e, sebbene i cambiamenti cui stiamo assistendo ora sono grandi tanto quanto quelli avvenuti nella passata era geologica, relativamente pochi di essi sono accaduti con la stessa velocità che caratte-rizza i cambiamenti climatici di oggi. Le concentrazioni di gas serra sono in aumento, l’ozono della stra-tosfera è diminuito e le modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera, probabilmente, stan-no riducendo la sua capacità di auto pulirsi attraverso l’ossidazione. Questi cambiamenti globali minac-ciano l’equilibrio delle condizioni climatiche sotto le quali la vita si è evoluta e mantenuta. Le tempera-ture stanno aumentando, la radiazione ultravioletta è in crescita sulla superficie, come pure i livelli di inquinamento dell’aria. Molti di tali mutamenti possono essere attribuiti alla industrializzazione, alla deforestazione e ad altre attività della popolazione umana, essa stessa pure in forte e rapida crescita.