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Pesti e malattie della pianta del caffè

CAPITOLO II LA PIANTA DEL CAFFÈ:

Tavola 2. Quantità di compost per ha/ogni 2 anni

4. Pesti e malattie della pianta del caffè

Vi sono tre stadi principali, relativi alla crescita della pianta, favorevoli alla colonizzazione dell’albero da parte di pesti specifiche: la fase di crescita allo stadio di piccola piantina di caffè, dalla germinazione

al trasferimento nel campo; l’albero allo stadio adulto e, infine, quello che si ha quando le ciliegie diven-tano mature, compresi i semi del caffè.

Le pianticelle crescono, comunemente, sotto l’ombra per circa 18 mesi prima di essere trasferite nel campo. Nei centri in cui sono fatte crescere e sviluppare (ing., nursery), le talee sono sistemate in modo molto vicino le une alle altre su semenzai, dove esiste un’ampia possibilità di attacco da parte delle pesti che abita-no il suolo, che le può rendere abita-non adatte per essere trapiantate successivamente nei campi. Questo rischio è attenuato dalla pratica moderna di far crescere ogni pianticella nel proprio sacchetto di plastica, e può esse-re ridotto ancor più effettuando una sterilizzazione del suolo o utilizzando pesticidi per il teresse-reno.

I giovani e delicati piccoli arbusti di caffè e le loro foglie sono una grande attrazione per un’ampia varietà di parassiti e pesti, che si nutrono delle foglie stesse anche quando vengono piantati nuovamente sul campo. Si è riscontrato, infatti, che le pestilenze che solitamente attaccano le talee nelle nursery sono i bruchi che mangiano le foglie come, ad esempio, i bruchi di Leaf Miners, che scavano gallerie sotto l’epi-dermide delle foglie, di Leaf Skeletonizer, o le termiti.

In generale, l’albero adulto di caffè è un ambiente piuttosto stabile, grazie alla costante copertura fogliare e, dunque, particolarmente favorevole per popolazioni di insetti, tanto dei parassiti quanto dei loro predatori. A questi organismi si devono le pestilenze e le malattie che colpiscono la pianta, compro-mettendone gravemente la produttività e la qualità dei suoi frutti. I metodi di coltivazione del caffè diffe-riscono enormemente, non soltanto tra regioni diverse, ma spesso tra produttori confinanti tra di loro. I sistemi di potatura, la presenza o l’assenza di alberi d’ombra, il mulching e l’irrigazione, in realtà, si riflet-tono nel livello di pesti e parassiti che colpiscono le piante di caffè, senza considerare gli effetti evidenti che risultano dalla scelta di pesticidi e dalla frequenza della loro applicazione.

Per combattere le pesti si usano sistemi chimici, spesso costosi e non sempre convenienti. Anche se irro-rate frequentemente con insetticidi ad ampio spettro, nelle piantagioni si può verificare, paradossalmente, un aumento dei parassiti se questi sono meno suscettibili agli insetticidi dei loro specifici predatori.

Si è, invece, dimostrato che molte tecniche colturali quali, la rimozione di alcuni fusti, la potatura, la riduzione di ombra e la regolare ispezione nei campi, riescono ad agire in maniera da evitare il contagio di malattie, anche in modo più efficiente di altre metodologie di controllo più costose e che forse non riusci-rebbero a contenere del tutto il danno provocato alle piante. Nel caso, per esempio, di patogeni che richie-dono un ambiente acquoso per diffondersi, si possono mantenere le piante ad una certa distanza le une dalle altre, e potarle convenientemente per facilitare l’irrorazione degli insetticidi, permettere un’adeguata circolazione dell’aria e, quindi, un rapido essiccamento della superficie fogliare.

Un sistema integrale, che utilizza metodi chimici, culturali e biologici, è il più efficiente per mantene-re le popolazioni dei parassiti a livelli tali da non compromettemantene-re la pianta e, così, il raccolto. Per i coltiva-tori, la lotta contro queste infestazioni rappresenta una delle sfide principali per il mantenimento e l’espan-sione della produzione caffeicola. Tuttavia, risulta evidente il problema largamente connesso alla produ-zione caffeicola in molti paesi produttori, costituito dai processi di inquinamento delle falde acquifere e provocato dall’uso di pesticidi e concimi chimici nelle coltivazioni agricole.

L’utilizzo degli insetticidi può incidere, in linea generale, per circa il 10% sul costo totale della produ-zione (UCDA, 2000).

In particolare, la pianta di caffè robusta è pressoché al riparo dall’attacco di gravi pesti e malattie, se fatto crescere nelle proprie condizioni ambientali. Di conseguenza, i coltivatori di questa varietà di pianta uti-lizzano, quale unico input per aumentare la produttività, i fertilizzanti (nutrienti aggiuntivi, specialmente il nitrogeno, da usare quando le piante non crescono all’ombra). Si deve, tuttavia, osservare un duplice aspet-to. Da un lato, un buon risultato conseguente all’applicazione di fertilizzanti dipenderà anche dall’effettiva cura e gestione degli alberi di caffè (controllo delle erbacce, potatura, corretta densità, etc). Dall’altro lato, prezzi del caffè depressi comportano necessariamente una riduzione del fattore lavoro e, di conseguenza, anche una minore probabilità che con i fertilizzanti il rendimento del raccolto sia più elevato.

4.1. Pesti

Il caffè, come noto, è una pianta sempreverde che cresce in ben determinate condizioni climatiche e ambientali. Di conseguenza, le pesti possono sopravvivere sull’albero durante tutto l’anno, vicino ai loro stessi nemici naturali (predatori), tra cui anche altri insetti, i quali esercitano comunque un certo control-lo sulle pestilenze. Questo fatto, tuttavia, non evita la possibilità che scoppi un’epidemia control-localizzata, in grado di compromettere seriamente la produzione caffeicola.

Quasi tutte le parti dell’albero possono essere attaccate da insetti nocivi: ad esempio, le radici, i rami, le foglie, le ciliegie e i semi. Una rapida diagnosi ed identificazione della tipologia di pestilenza in corso è, dunque, essenziale per poter intervenire in tempo e adottare le opportune misure di cura.

Abbiamo detto che un certo numero di insetti può attaccare i cloni di robusta che si trovano tempo-raneamente nei vivai.

Esistono poi diverse pesti che si verificano invece nelle coltivazioni sui campi, legate a gruppi di inset-ti quali le scales, green scales, brown scale, helmet scale o white waxy scale; cimici (mealybugs, common coffee

mealy-bug, coffee root mealybug) e l’Hypothenemus hampei, la larva della ciliegia del caffè, all’interno della quale scava

gallerie per cibarsi dell’endosperma, e conosciuta in inglese come Coffee Berry Borer (CBB). Costituisce la peste più grave per le piante di caffè robusta, ma può anche attaccare l’arabica coltivata a basse altitudi-ni. In ogni caso, non è comune al di sopra dei 1500 metri.

Questo tipo di pestilenza è provocata da un’ombreggiatura eccessiva o dall’incuria dovuta alla man-canza di una potatura adeguata, dal momento che queste condizioni non favoriscono la presenza dei nemici naturali della CBB. Al fine di ridurre l’ombra ed evitare, dunque, l’attacco della pianta da parte della CBB, la potatura è dunque essenziale, mentre è consigliabile raccogliere le ciliegie mature (almeno una volta ogni due settimane). Inoltre, durante la raccolta occorre utilizzare sacchi o teli di iuta da sten-dere sul terreno, in modo da evitare che le ciliegie infestate si disperdano tra il materiale organico che costi-tuisce il mulch. Per prevenire, poi, che la CBB possa intaccare anche il raccolto successivo, le ciliegie sec-che o quelle sec-che hanno oltrepassato la giusta maturazione dovrebbero essere strappate via dall’albero e bruciate.

Diversamente, un’alta popolazione di mealybug si sviluppa soltanto in presenza di determinate condi-zioni del suolo. È ben noto, infatti, che esiste un’esatta correlazione tra condicondi-zioni del suolo eccessivamen-te povere e l’incidenza della mealybug sul siseccessivamen-tema delle radici della pianta. Gli alberi che crescono in eccessivamen-terreni carenti di potassio, con uno scarso ricambio di calcio e con un pH al di sotto di 5 sono suscettibili all’at-tacco della mealybug.

4.1.1. Formiche del caffè

Le formiche non rappresentano, di norma, delle tipologie di peste per la pianta del caffè. Tuttavia, a causa della loro abitudine di mordere e di pungere tutto ciò che possa infastidire gli arbusti, esse agisco-no nel senso di ostacolare, in generale, molte delle attività legate alla coltivazione del caffè. Alcune specie di formiche favoriscono la contaminazione delle scales e delle mealybugs.

Le piccole formiche nere, particolarmente aggressive (biting ants), sono comuni nella maggior parte delle zone coltivate a Robusta. Sono solite costruire nidi sottili come la carta tra le foglie della pianta e, con i loro fieri attacchi, rendono difficile la raccolta, la potatura o le altre necessarie cure alle piante a chi lavora nei campi. Generalmente non favoriscono, invece, l’aggressione delle piante da parte delle scales e delle mealybugs.

La tailor ant è meno comune della biting ant ma più preoccupante in alcune zone di coltivazione tipiche della Robusta e, anche, più aggressiva e feroce. In maniera simile alle prime, queste formiche sono solite fare i propri nidi sugli alberi, come l’anacardo, il cedro e il mango ma, a differenza delle biting ants, si accompagnano ad alcuni tipi di scales.

4.2. Malattie.

Osservazioni generali

A causa delle differenti reazioni dovute a specifiche condizioni ambientali, l’impatto dei vettori delle più rilevanti malattie che colpiscono la pianta del caffè varia enormemente a seconda dell’am-biente stesso. Un tipico esempio di questo fenomeno è ben rappresentato dal caso della ruggine delle foglie dell’albero, la Orange Leaf Rust (Hemileya vastatrix), una malattia molto grave in climi caldi e, per-tanto, meno attiva ad altitudini più alte. Un altro esempio è quello della Coffee Berry Desease (CBD), riscontrata in piantagioni ad altezze oltre i 1500 metri, nelle regioni equatoriali. In queste zone, le più basse temperature non solo sono favorevoli per lo sviluppo del patogeno ma, altresì, rallentano il pro-cesso di maturazione del frutto, il che sta a significare una maggiore vulnerabilità delle ciliegie per un periodo più lungo. Deve, quindi, essere tenuto in considerazione il fatto che, la prevalenza di un deter-minato patogeno non necessariamente significa che lo stesso sarà in grado di provocare una grave malattia alle piante, con la conseguenza di danni significativi dal punto di vista economico.

In alcuni casi, anche se la pianta mostra sintomi di una malattia, questi rivelano soltanto dei disordini fisiologici i quali, tramite l’indebolimento della pianta, la rendono più vulnerabile alla malattia stessa. Un esempio tipico è costituito dal caso della morte regressiva della pianta (“die-back”), dovuta al Colletotrichum

sp. oppure alla c.d. Cercospora coffeicola. In entrambi i casi, poiché i parassiti hanno un’influenza solamente secondaria, il problema può essere risolto con un miglioramento delle pratiche e cure agricole.

È necessario, altresì, tenere in considerazione la conoscenza della natura fisiologica della pianta e l’in-fluenza che hanno su di essa certi fattori ambientali, al fine di determinare quanto lo stato nutrizionale della pianta è in grado di concorrere al verificarsi di certe malattie. Se è pur vero che un migliore nutrimen-to, o più appropriate pratiche agricole, non sono in grado di sradicare una malattia, è anche vero che è possibile ridurne l’effetto e diminuire le probabilità per il suo sviluppo. Peraltro, una migliore conoscenza di ciò, permette di ridurre l’uso di fungicidi utilizzati per il controllo delle malattie.

In ogni caso, è necessario determinare i fattori che ne favoriscono lo sviluppo in modo da adottare le misure più adeguate per sconfiggere quelle malattie che si manifestano in zone e in condizioni ambientali specifiche.

Si deve osservare che, tutte le malattie causate da parassiti si sviluppano sotto determinate condizioni climatiche e secondo la vulnerabilità delle piante stesse. Pertanto, diventa essenziale determinare lo stato preciso della pianta che, combinato con i fattori climatici (precipitazioni e temperature), è in grado di indur-re lo sviluppo di una malattia e il tempo della sua diffusione. Nei casi in cui, ad esempio, condizioni ambien-tali come un’eccessiva umidità, o una altrettanto eccessiva copertura ombrosa, non sono dannose per le piante del caffè, ma contribuiscono al sorgere di patogeni, è necessario implementare pratiche quali la pota-tura, la riduzione della chioma e un adeguato drenaggio del terreno.

Tuttavia, è opportuno prestare attenzione al fatto che questi metodi devono essere praticati con cau-tela, dal momento che potrebbero arrecare maggiori danni alla piantagione che ai patogeni stessi. Nel caso della Coffee Leaf Rust (cfr. par. 4.2.1), ad esempio, la potatura della chioma dell’albero aumenterà l’effetto del sole sulla pianta ostacolando, quindi, lo sviluppo del patogeno, ma, allo stesso tempo, incrementerà la produttività di quest’ultima. Ciò significa che la pianta richiederà un maggior input di nutrienti, in par-ticolare di nitrogeno, in modo da compensare il maggior livello di produttività. Inoltre, si è provato che una più alta produzione di frutti favorisce la diffusione di altre malattie quali la CBD e la stessa Coffee Leaf

Rust. Sarebbe, pertanto, opportuno valutare i benefici e gli svantaggi derivanti nell’attuare certe pratiche

di coltivazione per combattere il sorgere di malattie.

Alcune malattie attaccano solo laddove la pianta sia stata accidentalmente infettata con gli attrezzi agricoli, specialmente nel momento in cui si effettuano tagli alla base del tronco con il macete, al fine di eseguire il controllo delle erbacce. Altre infezioni, causate da insetti o animali, come pure da pratiche col-turali come la potatura, anche della chioma fogliare, possono favorire lo sviluppo di patogeni.

La Coffee Wilt Desease (CWD) (cfr. par. 4.2.1), che costituisce una grande minaccia per le piante di caffè in Uganda, così come altre malattie, sembrava essere sparita lungo un periodo di 20 anni, ma è ora ricom-parsa in alcuni paesi Africani come la Repubblica Democratica del Congo e l’Uganda. Dagli anni ’30 e ’60, questa malattia, che attaccava anche la C. canephora, rappresentava la tematica principale su cui si concentra-vano indagini e ricerche scientifiche in Africa Occidentale e Centrale. Poi, per una ragione non ben identifica-ta, sparì quasi del tutto, probabilmente grazie all’introduzione di nuove varietà di C. canephora, ad esempio la

Robusta, naturalmente più resistenti alla CWD, associata ad un ringiovanimento delle piantagioni caffeico-le, come pure al miglioramento delle pratiche colturali, un’appropriata fertilizzazione e un miglior controllo sanitario. La momentanea scomparsa della malattia non deve, tuttavia, indurre a credere che essa sia defini-tivamente sradicata. Infatti, è riapparsa nel 1995 nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo e nel 1993 in Uganda (quasi tutte le aree coltivate a caffè del paese furono attaccate), dove è diventata una malat-tia letale per la Robusta. Allo stato attuale, ha raggiunto lo stadio di malatmalat-tia endemica e, fino ad ora, non è possibile stabilire se ciò sia dovuto a mutazioni avvenute nel fungo (Fusarium xylariodes), oppure ad una scar-sità di pratiche agricole e controlli sanitari o, più probabilmente, alla combinazione dei due fattori.

La situazione deve necessariamente essere monitorata costantemente, come avviene nel centro di ricerca di Kituza (NARO), dove peraltro sono in corso di svolgimento esperimenti sulla resistenza dei nuovi cloni di Robusta alla CWD, soprattutto perché questa malattia potrebbe anche avere un significativo impatto sull’economia delle diverse regioni produttrici.

4.2.1. Principali malattie della Robusta.

Le malattie che colpiscono la pianta del caffè sono normalmente causate da microscopici organismi viventi, come funghi e batteri, ma anche da condizioni ambientali avverse quali la siccità, l’elevata tempe-ratura e umidità dell’aria, e l’insufficienza di nutrienti. Questi patogeni attaccano diversi organi della pian-ta e comporpian-tano, di conseguenza, una sua debilipian-tazione, con una o più funzioni vipian-tali compromesse, una sua deformazione e, alcune volte, la morte totale. Gli effetti delle malattie che colpiscono l’arbusto di caffè si manifestano, anche, in un minor livello di produttività e qualità del caffè.

La pianta della Robusta è, generalmente, più resistente alle pesti e alle malattie rispetto a quella dell’Arabica. Ciò nonostante, esistono diverse malattie che possono danneggiare in maniera seria anche alcune varietà di Robusta.

Tra queste, quella che potenzialmente è la più seria per questa specie è la Ruggine del Caffè, meglio conosciuta con il nome di Coffee Leaf Rust (CLR), provocata da un fungo, Hemileya Vastatrix, e riconosci-bile dalle macchie, dapprima di colore giallo pallido, che determina sulla superficie inferiore delle foglie. Queste macchie, poi, si allargano e diventano di colore giallo-arancione, polverose, di forma arrotondata e irregolare, cui si accompagna, quindi, la produzione di spore.

Le spore del fungo sono disperse principalmente dal vento, dalla pioggia, in misura minore dagli inset-ti e da vettori passivi come l’uomo e i macchinari. La loro germinazione ha luogo in condizioni favorevoli di temperatura, comprese in un intervallo tra 20°C e 25°C, con maggiore attività delle spore a 22° C, e in presenza di acqua (oltre i 10 mm, ed una piovosità più o meno costante) così che la malattia si possa dif-fondere. Durante i periodi piovosi, si rileva un incremento nella diffusione della malattia, mentre quelli di infezione intensa corrispondono con periodi di alta precipitazione. L’incidenza di questa malattia, infatti, aumenta con la stagione delle piogge e, insieme a nuove infezioni, si è riscontrata circa 3-5 settimane dopo il verificarsi delle precipitazioni (G. J. Hakiza, 1997). Alle alte altitudini (> 1700 mt), le più fredde tempe-rature prevengono severe epidemie (J. M. Waller, 1985).

Dal momento che le temperature sono direttamente collegate con l’altitudine, il rischio di infezione può essere definito sulla base di questi parametri. Se, nelle zone equatoriali, l’attacco della malattia è più intenso alle bassi altitudini, sarà praticamente nullo al di sopra dei 1300 metri. Vicino ai tropici, il livello pericoloso è stato determinato intorno agli 800-900 metri (Witgens, 2004).

In Wintgens (2004), si legge che uno studioso (Avelino) ha riscontrato che un basso livello di pH del suolo combinato con un alto livello di rendimento predispone l’albero alla malattia.

Soltanto le spore che germinano sulla superficie della foglia rivolta verso il basso sono in grado di penetrarvi dentro attraverso i suoi pori e provocarne l’infezione. I miceli del fungo sono molto ramificati e possono compromettere la funzione fotosintetica delle foglie, fino a provocarne la caduta. L’attività di fotosintesi fornisce i carboidrati necessari sia per lo sviluppo delle ciliegie che per la crescita vegetativa. Le ciliegie in formazione costituiscono il principale sink fisiologico di carboidrati, così che ogni riduzione del-l’attività di fotosintesi stessa avrà come conseguenza un rallentamento nella crescita vegetativa. Le foglie malate che cadono prematuramente e che riducono la crescita vegetativa, compromettono così la produt-tività della stagione successiva. Quando la malattia prosegue senza alcun controllo nel corso di diverse sta-gioni di raccolto, si verifica un progressivo declino nel vigore dell’arbusto e nel suo rendimento. Di frequen-te, accade che un albero indebolito, gravemente affetto dalla CLR, non riesca a sopravvivere.

Se la malattia colpisce le foglie dell’albero di caffè nel momento in cui i rami stanno sostenendo un abbondante raccolto, può accadere che la fotosintesi sia incapace di incontrare le necessità del raccolto in crescita; i carboidrati sono, pertanto, esclusi dalle foglie restanti e dai giovani tessuti vegetativi, con la con-seguente perdita completa delle foglie, uno stress da carico eccessivo di frutti e la morte regressiva dell’ar-busto, a partire dalla cima dei rami fino a diffondersi progressivamente verso quelli più grandi (dieback), con il risultato che la produttività e la qualità del raccolto in corso è compromessa. Infatti, spesso accade che una grande porzione del raccolto che cresce su una pianta affetta da questa malattia non matura in modo appropriato, oppure può essere costituita da molti grani leggeri o non sviluppati (J. M. Waller, 1985).

Gli studi condotti sulla riduzione dell’attività fisiologica delle foglie dal CIRAD, nel Centre d’Etudes Nucléaires de Cadarache, hanno constatato che almeno il 20% delle foglie deve essere affetto prima che possa parlarsi di una significativa distruzione dell’intero processo di fotosintesi. D’altro lato, il danno maggiore pro-vocato dalla CLR è valutato in termini di perdita di produttività; nondimeno, il livello di infezione subito dalle foglie dovrebbe essere anche utilizzato quale indicatore del danno inflitto alla pianta medesima.

Ad oggi, tuttavia, nessuna correlazione è stata determinata tra l’entità del danno arrecato alle foglie e l’impatto che questo ha sulla produttività. Non esistono neppure dati precisi in grado di dare una indi-cazione chiara dell’estensione del danno alla produttività potenziale. In generale, si assume che l’1% delle foglie danneggiate possono portare ad una perdita produttiva dell’1% nel successivo anno di raccolto. In Brasile, ad esempio, si ritiene che, a seconda della località di coltivazione e dell’annata, la malattia può