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Il caffè allo stato selvatico in Uganda: C. canephora Pierre

fenologia e requisiti climatici della Coffea Canephora

Tavola 1. Raggruppamento delle specie nella sub-sezione Eucoffea secondo la classificazione effettuata da Chevalier (1947)

2. L’habitat naturale delle piante di caffè selvatiche

2.1. Il caffè allo stato selvatico in Uganda: C. canephora Pierre

La pianta selvatica di caffè robusta è ampiamente distribuita nelle foreste dell’Africa equatoriale e di essa si trova una buona rappresentazione in Uganda.

La C. canephora è, a causa della sua sterilità, una specie di caffè molto variabile e, proprio in considera-zione di questo, alle molte forme di pianta sono stati assegnati diversi nomi, C. Laurentii, C. robusta, C.

arabi-ca var. Stuhlmanii, C. bukobensis, C. Maclaudii, C. ugandae, e C. quillou. Questa molteplicità di denominazioni

spe-cifiche, quando riferita alle varietà caffeicole, può portare grande confusione; le specie native dell’Uganda sono indicate con il termine “nganda”, facendo riferimento alle forme di pianta più estese, come sono chia-mate le C. quillou, mentre il nome C. ugandae è utilizzato per indicare quelle piante dalla forma eretta.

Tutte queste specie sono ricomprese sotto la denominazione di Robusta. La specie della Robusta costi-tuisce una delle principali coltivazioni agricole in Uganda, così come nel distretto di Bukoba della Tanzania e in Africa Occidentale, oltre che in gran parte del Sud Est asiatico.

botaniche. La C. canephora var. nganda che, come abbiamo già detto, è nativa dell’Uganda allo stato spon-taneo e qui trova larga diffusione, sebbene in altri luoghi cresca assai raramente. Similare è la var. kouilou (o quillou), tipologia di pianta che si è sparsa anche in altri paesi come il Brasile. Anche la C. eugenioides, a differenza della C. canephora, cresce allo stato selvatico in molte altre località.

La C. canephora ha bisogno di condizioni più umide rispetto alla C. eugenioides la quale, invece, è intol-lerante ad un’umidità eccessiva e cresce spontaneamente in zone più secche. La C. canephora è spesso pre-sente, e in abbondanza, nelle vallate oppure nella parte occidentale più umida delle foreste, mentre è raro trovarla in quello che resta delle foreste in prossimità delle cime delle colline (A. S. Thomas, 1944).

Va tuttavia osservato che, poiché a queste regole esistono delle eccezioni, diventa privo di significato il tentativo di stabilire in quali località la C. canephora è presente allo stato spontaneo, senza che vi sia stato l’intervento dell’uomo o degli animali, come le scimmie. Quest’ultime, infatti, nello staccare i frutti matu-ri, di cui ne masticano il dolce e succulente pericarpo, sputandone, poi, i semi, hanno contribuito in tal modo a gran parte della distribuzione della pianta di caffè sul territorio. Gli uomini, come le scimmie, sono tra i normali elementi che costituiscono la comunità base di piante e animali in Uganda, svolgendo peral-tro un ruolo dominante. Non vi è dubbio, dunque, che alcuni arbusti di caffè possano peral-trovarsi anche in qualche piccola foresta sulle colline come residuo di coltivazioni umane precedenti. In Uganda, abbiamo una lunga tradizione di utilizzo e di coltivazione della C. canephora che, probabilmente, si estende lungo un periodo che copre centinaia di anni.

Una delle località in cui la C. canephora è maggiormente presente allo stato agreste è la foresta di Kibale, e sempre si accompagna ad alberi dal fusto più morbido, come il Ficus mucoso Welw., Spathodea campanulata Beauv., e Markhamia platycalyx Sprague. Il caffè è particolarmente abbondante, e in alcuni luoghi anche predo-minante, nella sterpaglia delle vallate vicino al fiume Mpanga, che scorre attraverso la zona orientale della fore-sta. Queste valli sono, infatti, molto umide, quasi paludose, durante la stagione delle piogge. Non sorprende, dunque, che le radici si trovino in prossimità della superficie del suolo; quando il sottile strato di muffa viene rimosso, un sistema di grandi radici orizzontali laterali si dispiega e si irradia in tutte le direzioni. Queste radi-ci e le loro appendiradi-ci sembrano trovare maggior nutrimento e sostentamento nel materiale organico residuo che costituisce il letto del suolo boschivo, piuttosto che all’interno del suolo stesso (A. S. Thomas, 1944).

Tra la popolazione spontanea di C. canephora esiste una grande varietà, anche in ognuna delle zone in cui è stata riscontrata. Nella parte centrale della foresta di Kibale, l’arbusto di caffè assume la forma di un piccolo albero dalla chioma ampia, alto dai 4.5 metri fino a 7,5 metri circa nelle zone più ombrose (Fig. 1 e 2) ma, invece, di altezza inferiore e maggiore estensione in luoghi dove non c’è una densa copertura boschiva sovrastante. Il diametro del tronco può arrivare ad un’ampiezza di circa 20 cm; le foglie sono nor-malmente piuttosto piccole e ravvicinate, con una misura tipica pari a quasi 23 cm di lunghezza e 7,6 di larghezza; anche i frutti della maggior parte degli alberi sono piccoli. La ruggine (Hemileia vastatrix), che col-pisce le foglie, e la c.d. “Berry Borer”, una larva che si nutre della ciliegia, costituiscono rispettivamente la malattia e la peste più dannose e pericolose per la pianta di caffè robusta in Uganda. Entrambe sono molto comuni tra gli alberi di C. canephora che crescono nella foresta di Kibale e nelle altre foreste del paese.

Per quanto riguarda il tipo di suolo in cui la C. canephora cresce, bisogna dire che essa predilige allo stato selvatico un suolo che sia molto poco acido. In particolare, è stata trovata in suoli neutri o alcalini, con un valore di pH tra 6.0 e 7.5 circa. Va, tuttavia, osservato che la C. canephora cresceva spontaneamen-te anche nella parspontaneamen-te finale della foresta di Kibale a nord, conosciuta come foresta di Itwara, tratto di fore-sta che presenta un suolo abbafore-stanza acido (pH di 4.5). Poiché un tipo di caffè ben tollerante a suoli acidi è di grande valore economico per la coltivazione in Uganda, i semi di questa pianta, peraltro di notevole dimensione, sono stati raccolti e la loro progenie è cresciuta presso la Stazione Sperimentale di Kawanda. I risultati sono stati però deludenti. Il fogliame di questo tipo di arbusto si è dimostrato essere troppo deli-cato per l’esposizione diretta alla luce del sole, e la dimensione dei grani prodotti era di gran lunga più pic-cola di quella dei suoi genitori (A. S. Thomas, 1944).

Tutte le specie di caffè sono enormemente influenzate dall’intensità della luce sotto la quale esse cre-scono. Le piante di caffè agresti, provenienti da foreste differenti, mostrano sostanziali variazioni, sebbene risulti difficile stabilire il grado al quale tali diversità siano dovute a fattori genetici o, altrimenti, alle con-dizioni dell’ambiente in cui crescono. Le piante cresciute all’interno di una foresta mostravano un vigore eccezionale e una notevole dimensione dei grani; diversamente, quelle stesse piante, utilizzate nella colti-vazione, hanno invece dato vita ad una progenie che non era assolutamente rimarchevole, dal momento che la loro produttività risultò talmente bassa da non avere alcun valore economico.

Anche il sistema radicolare della C. canephora spontanea della foresta di Itwara si sviluppa prevalente-mente vicino la superficie del suolo, come quello della pianta che cresce nella foresta di Kibale.

Figura 1 e 2. Albero selvatico di caffè (C. canephora), ritrovato in uno dei bio-corridoi che attraversano la piantagione di Kaweri, situata nel distretto di Mubende, 150 km ad ovest di Kampala (Uganda).

Alcune misurazioni effettuate in diverse parti del suolo all’interno della foresta, con riferimento alla lunghezza delle radici delle piante a diverse profondità, hanno dimostrato che le radici del caffè nei primi 8 cm di profondità del terreno sono lunghe il doppio di quelle che si trovano ad una profondità di 30-38 cm. In tutti i casi, si rileva pertanto che, l’insieme delle radici principali per l’arbusto del caffè si trovano vicino alla superficie del suolo, che risulta essere neutro o leggermente alcalino, e non nel sot-tosuolo, più acido.

La foresta di Kibale si trova ad un’altitudine di 1524 metri s.l.m. ed è la più alta delle grandi foreste dell’Uganda, nelle quali si è scoperto che il caffè cresce allo stato selvatico. Tuttavia, un’altra interessante forma di albero con foglie corte e larghe è stata trovata sulle pendici a più basse altezze del Monte Ruwenzori. Dall’altra parte della montagna, vicino al confine con il Congo Belga, la C. canephora cresce spontanea ad un’altitudine di soli 724 mt, nella foresta di Bwamba.

La C. canephora cresce in abbondanza anche nella foresta di Kasai, che può essere considerata come una porzione periferica della foresta di Mabira, situata a nord del Lago Vittoria. Come in altre foreste, esi-ste una marcata variabilità tra la popolazione di caffè allo stato spontaneo, ma la maggior parte degli arbusti ha una forma estesa, con foglie piuttosto ravvicinate. La pianta che cresce in questa foresta è di enorme importanza economica, poiché costituisce la fonte dalla quale proviene la gran parte del caffè che è coltivato dalla popolazione dell’Uganda e in Tanzania (Bukoba). Gli abitanti delle Isole Sese nel Lago Vittoria, in un vecchio centro di coltivazione del caffè, utilizzavano tradizionalmente piante provenienti proprio dalla foresta di Kasai e da quelle del distretto di Masaka, dove esse potevano essere trovate in molte foreste a valle. La C. canephora è stata trovata anche in una località di Busoga, ad est del fiume Nilo, vicino alle sponde del Lago Vittoria; sembra che si tratti del residuo di una coltivazione antica (A. S. Thomas, 1944).

Nel XII° secolo, il caffè è stato esportato in quantità da Buganda, vicino al Lago Vittoria, verso Bunyoro, il distretto nel quale si trova la foresta di Budongo, ad est del Lago Albert, e dove pure esistono alberi di C. canephora allo stato silvestre, sebbene non così in abbondanza come nelle foreste vicino al Lago Vittoria.

La C. canephora è stata scoperta anche nella foresta di Zoka, a nord di quella di Budongo, ad un’alti-tudine di 724 mt. Questa foresta è piccola e isolata, con un clima più caldo e secco rispetto a tutte le altre foreste dell’Uganda, e dove si riscontra una minore copertura ombrosa sovrastante. Poiché, però, questo breve tratto di foresta si trova all’incrocio di due fiumi (Zoka e Aluga), non vi sono dubbi che sia stata pro-prio l’acqua del terreno che ha permesso la crescita del caffè. Esso, infatti, è presente in abbondanza in quelle parti della foresta costituite dalle valli vicino ai fiumi, con suoli misti (sabbia e argilla) che in deter-minate parti dell’anno vengono inondati. Dove la copertura ombrosa si fa più fitta, la crescita degli arbu-sti di caffè è più eretta e le foglie sono più larghe (A. S. Thomas, 1944).

Il fatto che la C. canephora è una specie di caffè indigena del paese e ne costituisce il raccolto di mag-gior valore, aiuta enormemente non soltanto il lavoro di selezione e di ricerca sulle diverse specie, bensì for-nisce materiale prezioso per lo studio dei requisiti ambientali di cui la specie stessa ha bisogno per poter

crescere. Merita, inoltre, di essere osservato che, il principale vantaggio di un fatto simile è riconducibile al non utilizzo di concimi e fertilizzanti chimici per la coltivazione del caffè.

In primo luogo, abbiamo visto che questa pianta, allo stato selvatico, cresce sempre all’ombra di altri alberi, seppure la copertura ombrosa debba essere irregolare.

In secondo luogo, il fatto che la C. canephora cresce spesso in vallate paludose indica che essa presen-ta un sistema di radici superficiale, all’incirca di 30 cm di lunghezza.

Terzo, si è visto che raramente la C. canephora cresce allo stato selvatico in suoli acidi e, di conseguen-za, ciò indica la preferenza da parte di questo tipo di pianta per i suoli neutri o alcalini. Inoltre, anche quando i suoli del suo habitat sono poveri di calcare e sono acidi, come nella foresta di Itwara, il caffè è tuttavia ben supportato dal potassio, a dimostrazione di quanto sia importante per la pianta la presenza di questo elemento nel suolo.

3. La Ricerca

La ricerca in questo campo è attualmente indirizzata ad aumentare la variabilità delle specie di Coffea per ottenere piante con maggior produttività e facilità di raccolta, più resistente alle malattie ed ai paras-siti, e maggior tolleranza alle condizioni ambientali e climatiche estreme, cercando allo stesso tempo di ottenere le migliori caratteristiche organolettiche del chicco.

Gran parte delle coltivazioni esistenti, specialmente di Arabica, derivano da poche piante, per cui la base genetica su cui si fonda questo importante settore economico è molto fragile. Per questo motivo, nel patrimonio genetico delle piante silvestri, si cercano dei caratteri che possano servire per migliorare, rin-forzare e diversificare le varietà finora coltivate.

Fino a circa venti anni fa, almeno, era assai probabile incontrare in Africa tropicale arbusti selvatici di caffè negli ambienti indisturbati delle foreste e allo stato di crescita quasi spontaneo in zone tradizional-mente agricole. È, tuttavia, diventata sempre crescente l’urgenza di proseguire la collezione del germopla-sma del caffè, soprattutto dove gli habitat naturali sono minacciati dall’attività umana. Durante le varie epoche geologiche, i mutamenti del clima hanno provocato fluttuazioni anche vistose nella distribuzione delle foreste africane; certe zone, però, si sono mantenute intatte nel mutare delle ere e, ancora oggi, sono quelle che presentano la maggiore diversità genetica delle differenti specie di Coffea. L’ambiente però è con-tinuamente sottoposto anche a pressioni negative da parte dell’uomo. I paesi tropicali, che nella maggior parte dei casi sono la sede di un maggior livello di biodiversità, sono quelli che negli ultimi decenni hanno subito i cambiamenti, climatici e non, più radicali. Basti pensare che, le foreste vergini sono state trasfor-mate in aree coltivate o destinate al pascolo, ed il legno utilizzato come combustibile.

L’Uganda, in particolare, sta affrontando seri problemi legati ad un elevato tasso di degradazione delle foreste tropicali. Si calcola che, mentre nel 1900 il 45% delle terre del paese erano coperte da foreste, oggi si sono ridotte di oltre il 60%. (Leipzig, 1996 – Fao).

Un problema importante per il futuro della produzione mondiale resta, pertanto, la base genetica estremamente ridotta della stragrande maggioranza del caffè coltivato, Arabica e Robusta. La diversità genetica offre una maggiore capacità di sopravvivenza e di adattamento nel caso di eventi particolari o di cambiamenti climatici.

Poche sono le banche di germoplasma del caffè, centri di raccolta e conservazione dei semi esistenti al mondo. I semi della Coffea, anche se conservati a basse temperature, mantengono la loro capacità ger-minativa per meno di due anni, per cui le diverse varietà vengono coltivate nelle piantagioni dei centri di ricerca, per mantenere vivo il germoplasma. Tuttavia, i pochi centri esistenti al mondo, tra i quali quello più importante è l’Instituto Agronomico de Campinas in Brasile, ma ce n’è uno importante anche in Costa Rica, in Costa d’Avorio, in Kenya, in Etiopia, oltre quelli sparsi nei vari distretti dell’Uganda, stanno lavo-rando soprattutto per risolvere le problematiche legate alla produttività nel proprio paese. Spesso, però, gli indirizzi della ricerca non prendono in sufficiente considerazione le caratteristiche organolettiche del chicco in tazza, trascurando così il potenziale rappresentato dalla produzione mirata ai consumi di caffè di alta qualità.

In generale, la sostenibilità dell’agricoltura per la produzione alimentare dipende dalla diversità bio-logica. Senza di essa, il sistema di produzione alimentare risulterebbe estremamente vulnerabile e forte-mente condizionato dall’andamento climatico e dal verificarsi di eventi, soprattutto estremi. In ogni setto-re agricolo, tuttavia, le attività di studio delle risorse genetiche in agricoltura con l’evidente finalità di pro-muovere la diversificazione della produzione agricola, devono garantire il miglioramento della qualità dei prodotti agricoli e la gestione sostenibile delle stesse. Quello che deve essere rispettato e valorizzato è, in primo luogo, la terra e tutto ciò che ha davvero un diretto contatto con essa.

Per quanto riguarda il caffè coltivato in Uganda, circa il 60% delle piante è costituito dalla varietà

nganda, i cui rami secondari crescono paralleli al principale, e dalla varietà erecta, nella quale i rami

secondari hanno un’angolatura a 45 gradi rispetto al ramo principale. La elite, di cui si è iniziata la ripro-duzione per clonazione una decina di anni fa, produce rese di 1500 kg per ettaro, contro i 600 kg delle varietà tradizionali.

La maggior parte delle piante di caffè che si trovano nel paese, sono state piantate 50 anni or sono ed hanno, pertanto, superato di gran lunga il loro potenziale biologico ottimale. Risultano, così, non più economicamente produttive, considerando che la vita economica di un albero di caffè è di circa 40 anni.

I vecchi alberi, insieme al terreno scarsamente permeabile e assai trascurato, hanno portato ad un ren-dimento per unità d’area molto basso e, di conseguenza, ad un deterioramento qualitativo: ad un livello gestionale medio, tale rendimento produttivo è di 500 kg/ha e di 750 kg/ha, rispettivamente, di caffè pro-cessato (ing., clean) e in pergamino (ing., parchment). Molti contadini hanno, infatti, proseguito la colti-vazione di caffè attraverso un sistema a basso utilizzo di input produttivi. In un’epoca come quella attua-le di scarsità e, quindi, di grande frammentazione della terra disponibiattua-le per l’agricoltura, dovuta alla pres-sione demografica, a ciò è conseguito proprio lo scarso rendimento produttivo e bassi profitti per i

con-tadini stessi. Il risultato finale di tutto questo è stata, quindi, la riduzione del volume totale delle esporta-zioni di caffè, che oggi oscillano tra i 2 e i 2.6 milioni di sacchi ogni anno.

La politica sulla produzione di caffè robusta è rivolta ad incoraggiare la crescita di piante clona-te, delle quali se ne raccomanda ai produttori la coltivazione nei distretti intorno al bacino del Lago Vittoria (Rakai, Masaka, Mpigi, Mubende, Luwero, Mukono, Kiboga, Kalangala, Jinja, Kamuli e Iganga) e in quelli occidentali di Kasese, Bundibugyo, Kabarole, Kibaale, Hoima, Masindi, Bushenyi, Mbarara, Ntungamo e Rukungiri. Scopo principale di tale politica è quello di sostituire velocemente le vecchie piante di caffè a bassa produttività, con quelle clonate più altamente produttive, a rapida maturazione e maggiormente resistenti alle malattie. È necessario, altresì, impiegare pratiche agrono-miche precise al fine di ottenere benefici dalla coltivazione di piante ad alto rendimento e di migliore qualità, come ad esempio, l’utilizzo di materiale organico prodotto da organismi vegetali quali cloni o semi selezionati, l’impiego di appropriate tecniche di cura per il mantenimento della piantagione, l’as-sunzione di validi metodi di controllo delle pesti e delle malattie e, soprattutto, considerare la produ-zione del caffè come un vero e proprio business. Incentivare la produttività del settore, al livello delle aziende agricole, rappresenta l’opportunità per garantire ai piccoli coltivatori un miglioramento dei propri redditi da caffè.

La recente campagna governativa sulla produzione caffeicola, relativa al periodo 2006-2015, lan-ciata dall’UCDA e da Café Africa, è stata realizzata anche e soprattutto con lo scopo di rimpiazzare quei terreni non più adatti alla coltivazione del caffè, a causa della contaminazione di diverse pesti e malat-tie tra cui, in primo luogo, la Coffee Wilt Disease, che sono state causa principale del continuo declino dei volumi di caffè prodotti annualmente. A tal fine vengono intrapresi e sostenuti programmi di produzio-ne caffeicola in aree del tutto nuove, come quelle a nord e nord-est dell’Uganda e produzio-nei distretti di Kisoro e Kabale.

Nell’ambito di questa nuova campagna, sono state identificate 4 aree tematiche: – Ricerca

– Estensione delle aree produttive

– Sviluppo del sistema degli input e dei crediti al settore – Organizzazioni dei coltivatori.