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L’umidità atmosferica e le precipitazioni

4. I fattori e le grandezze determinanti la dinamica dell’atmosfera

4.5. L’umidità atmosferica e le precipitazioni

L’aria è una soluzione di gas e vapori dove si trovano in sospensione particelle di polvere, di sali mari-ni, d’acqua, di pollini ecc. L’umidità è la grandezza che definisce il contenuto di vapor acqueo in un dato volume d’aria.

Pur essendo presente in quantità molto variabile nello spazio e nel tempo, il vapore acqueo è per molti aspetti uno dei componenti più importanti dell’atmosfera. Esso proviene principalmente dalla continua evaporazione del mare, di gran lunga predominante su quella dei laghi, dei corsi d’acqua e del suolo umido e, in misura subordinata, dalla traspirazione delle piante: il vapore così prodotto finisce per trasformarsi in nubi e nebbie, precipita in forme varie e torna sulla superficie terrestre, da dove il ciclo riprende.

L’intensità dell’evaporazione varia soprattutto con la temperatura, aumentando al crescere di questa, ma è anche agevolata dalla velocità del vento e dalla secchezza dell’aria sulla superficie evaporante. La

tra-spirazione è influenzata principalmente dall’insolazione e varia nelle diverse essenze vegetali; essa si ha

sol-tanto durante i periodi vegetativi e nelle ore diurne. La misura diretta di questi due processi è però molto difficile: la loro intensità e distribuzione sulla superficie terrestre si osserva soprattutto negli effetti che si producono, cioè nell’umidità atmosferica.

L’umidità assoluta è la quantità di vapore acqueo (espressa in grammi) contenuta nell’unità di volume di aria (1 m3) in un dato momento e in un determinato punto dell’atmosfera. Essa varia innanzitutto con la tem-peratura, per cui diminuisce dalle regioni equatoriali (media 20-25 g/m3) a quelle polari (media 1-2 g/m3), ma tende anche a diminuire con il procedere verso l’interno dei continenti, specialmente quando in essi regna un regime di alte pressioni. Inoltre, l’umidità assoluta decresce rapidamente con l’altitudine. Nell’aria, ad una certa temperatura e pressione, c’è un solo valore di umidità massima possibile: il livello di saturazione. L’aria non può infatti contenere una quantità illimitata di vapore acqueo: arrivata ad un certo punto, essa ne diviene satu-ra. Il punto di saturazione varia però con la temperatura e con la pressione, ossia più la temperatura è elevata e/o la pressione è bassa, maggiore è la quantità di vapore che può essere contenuto in un dato volume d’aria. Nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, infatti, volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di particelle. Perciò, a parità di condizioni, se il numero di molecole resta costante, là dove c’è più vapore acqueo ci devono essere meno molecole di altri gas: poiché la molecola d’acqua ha una massa inferio-re (è “più leggera”) rispetto alle molecole dei principali gas atmosferici (azoto e ossigeno), lo stesso volume d’aria avrà una massa inferiore (“pesa meno”) se contiene un’elevata quantità di vapore. Nei casi di “alta pres-sione” ci sarà una bassa umidità, in quelli invece di “bassa prespres-sione”, l’umidità sarà alta.

Se, poi, una massa d’aria umida si raffredda, la quantità di vapore acqueo presente può diventare superiore al livello di saturazione e una parte si condensa. Poiché sia la quantità di vapore presente che il livello di saturazione variano continuamente, di solito l’umidità è misurata come umidità relativa, para-metro essenziale in meteorologia e climatologia poiché determina la quantità di precipitazioni.

L’umidità relativa è definita come il rapporto tra la quantità di vapore acqueo effettivamente presente in un dato volume di aria e la massima quantità che potrebbe esservi contenuta alla medesima temperatu-ra (ossia, il temperatu-rapporto ttemperatu-ra l’umidità dell’aria ed il suo punto di satutemperatu-razione a quella tempetemperatu-ratutemperatu-ra). Essa si

esprime in percentuale, così quella dell’aria satura è del 100% mentre, ad esempio, un’umidità relativa del 50% indica che il vapore acqueo contenuto nell’aria è solo la metà di quello necessario per saturarla. Essendo strettamente legato al punto di saturazione, che compare al denominatore di questo rapporto, l’umidità relativa varia in senso inverso alla temperatura, diminuendo nelle zone e nei periodi più caldi, aumentando nelle zone e nei periodi più freddi.

Quando l’aria è satura di vapore acqueo, ogni eventuale eccesso di vapore, senza che siano variati il volume o la temperatura, deve essere eliminato: ciò avviene mediante la condensazione, ossia attraverso il passaggio dell’acqua dallo stato aeriforme a quello liquido; oppure mediante la sublimazione, cioè con diretto passaggio allo stato solido, quando la temperatura è molto bassa. Ora, ad un eccesso di vapore si può giungere per due vie: per aggiunta di vapore o per raffreddamento dell’aria già satura. Nell’atmosfera si verificano entrambe queste possibilità: l’aumento del contenuto in vapore si può avere come effetto del-l’evaporazione da una superficie liquida o umida sottostante; il raffreddamento si può avere per contatto dell’aria con una superficie fredda, per mescolanza con una massa d’aria più fredda, in seguito a movi-mento di ascesa con relativa espansione dell’aria. La manifestazione più immediata di questi processi con-siste nella formazione di goccioline liquide, che si formano preferibilmente intorno a “nuclei di condensa-zione” (molecole di origine marina, molecole solforose di origine vulcanica o derivate dalla combustione di idrocarburi, pollini e polveri ultrafini sollevati dal vento) e rimangono sospese nell’aria. Assieme a cri-stallini esagonali od aghetti di ghiaccio, che si formano a temperature inferiori a 0 °C, esse costituiscono le nebbie o le nubi (o nuvole). Le prime hanno origine in prossimità del suolo, quando l’aria umida si trova a contatto con superfici fredde, come le nebbie mattutine, le nebbie polari, etc.; le seconde si formano ad altezze più elevate, da qualche centinaio di metri fino ai limiti della troposfera. In realtà, la nube si forma prima che l’atmosfera raggiunga il punto di saturazione e, in condizioni di non saturazione, il vapore densa solo se nell’aria ci sono delle molecole che, raffreddandosi, offrono appunto una superficie di con-densazione dando origine alla goccia.

La presenza e l’estensione delle nubi ha una notevole importanza per l’agricoltura, perché riduce il periodo dell’insolazione che si può avere in una data zona della superficie terrestre. In generale, i valori massimi (oltre il 70% di cielo coperto durante l’anno) si hanno nelle regioni dove dominano regimi di bassa pressione, i minimi (20-30%) nelle zone di alta pressione.

Le nubi non sono masse di aria e di acqua inerti, ma si trovano anzi in uno stato di continuo disfaci-mento e riformazione, in quanto una parte del prodotto della condensazione (o della sublimazione) si porta normalmente verso il basso, ma evapora nuovamente nell’incontro di strati d’aria più caldi. Quando le goc-cioline d’acqua, o le particelle di ghiaccio, raggiungono dimensioni tali da non poter più essere sostenute dall’aria, allora hanno luogo le precipitazioni. Queste, però, non sono originate da tutti i tipi di nubi, ma sol-tanto da quelle a notevole spessore verticale, che hanno la base a quote non molto elevate, in particolare da certe “nubi miste”, composte di particelle di acqua e di ghiaccio (nembostrati, cumulonembi, nembi). Caratteristica dei temporali nelle regioni temperate è l’occasionale formazione e caduta di grandine, molto temuta dagli agricoltori, perché reca gravi danni alle colture. Stesso può dirsi per la brina, che si forma con

la sublimazione diretta del vapore acqueo a contatto con superfici raffreddatesi più rapidamente dell’aria umida sovrastante, ad una temperatura al di sotto di 0 °C. La brina primaverile è molto dannosa per la vege-tazione e può compromettere interi raccolti.

Le precipitazioni atmosferiche sono tutte le forme in cui l’acqua atmosferica raggiunge il suolo. Raccolte, misu-rate in millimetri che rappresentano l’altezza dello strato d’acqua che si depositerebbe al suolo supposto piano, uniforme e impermeabile, in condizioni di evaporazione nulla, permettono di valutare diversi parametri:

la piovosità, ossia la quantità globale di precipitazioni d’ogni tipo che cade in un arco di tempo su un ter-ritorio. La piovosità media annua (in mm/anno) varia da 1 mm/anno sulla costa pacifica del Cile a oltre 12.000 mm/anno sul versante sud dell’Himalaya. Questo parametro serve a distinguere e classificare i tipi di clima;

la frequenza, cioè il numero di giorni dell’anno con precipitazioni (gg/anno). È determinante per l’agricol-tura che prospera a valori elevati, perché il terreno non si prosciuga periodicamente. Se la frequenza è bassa, le precipitazioni sono torrenziali e concentrate in pochi giorni: l’acqua scorre (ruscella) erodendo il terreno e solo una piccola parte s’infiltra;

la distribuzione stagionale, ovvero la quantità di precipitazioni nell’arco di una stagione (mm/stagione). È il parametro meteorologico più importante per l’agricoltura: le precipitazioni utili sono quelle di prima-vera-estate.

Le precipitazioni più comuni e frequenti avvengono in forma liquida, cioè come pioggia, la più impor-tante fonte di acqua dolce per tutte le regioni eccetto quelle molto fredde e i deserti. Le gocce delle nubi si aggregano fino ad avere una massa tale da cadere. Per la pioggia si misura piovosità, frequenza, distribuzio-ne stagionale e intensità (mm/h), ossia la quantità caduta distribuzio-nell’unità di tempo. Per valutare se pioverà o meno, ci si basa sull’umidità assoluta (mm/m3) e sull’umidità relativa (%). Non esiste un valore massimo di umidità assoluta oltre il quale piove, dipende dalla temperatura. Perché piova, l’umidità relativa deve esse-re superioesse-re al 100%, e ciò accade se varia l’umidità o la temperatura.

La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre è estremamente disuguale: vi sono regio-ni dove le precipitazioregio-ni non si verificano affatto per interi anregio-ni o sono comunque molto scarse (zone aride) ed altre dove cadono per diverse centinaia di millimetri o addirittura per alcuni metri all’anno (zone umide). Inoltre, la loro quantità è molto variabile anche nella stessa località, da un anno all’altro. Perciò, nello studio delle precipitazioni, al fine di ottenere valide indicazioni, si prendono in considerazione i valo-ri medi relativi ad un pevalo-riodo di osservazione sufficientemente lungo (30-50 anni).

Nello studio delle precipitazioni occorre tenere in debito conto la loro ripartizione stagionale e men-sile, cioè il regime pluviometrico, anch’esso variabile da luogo a luogo e molto importante per i suoi rifles-si sul ciclo vitale delle piante, sullo scorrimento delle acque continentali, sulle stesse attività umane.

Nella zona intertropicale il regime pluviometrico è in stretta relazione con l’apparente cammino del Sole: le piogge più abbondanti si verificano subito dopo il passaggio del Sole allo zenit, perché in questo periodo si verifica un maggiore riscaldamento e sono più attivi i moti ascendenti dell’aria. Pertanto nelle regioni equatoriali l’intensa evaporazione assicura la caduta di piogge durante tutto l’anno (regime

equa-toriale); invece spostandosi verso i tropici, in entrambi gli emisferi si individuano dapprima regioni con due stagioni umide alternate a due secche (regime subequatoriale), quindi regioni con un solo periodo piovo-so piovo-solstiziale ed un periodo asciutto (regime tropicale).

Nelle regioni dove soffiano i monsoni si ha pure l’alternanza di una stagione piovosa, che corrisponde al semestre estivo con venti di mare, e di una stagione asciutta invernale con venti di terra (regime monsonico). Le regioni temperate sottoposte all’influsso dei venti occidentali ricevono piogge in tutte le stagioni, ma con frequenti concentrazioni invernali (regime marittimo); quelle continentali più interne hanno invece prevalenti precipitazioni estive (regime continentale). Infine, nelle regioni polari le precipitazioni si verificano soprattutto d’estate e d’autunno, ma sono scarse e prevalentemente nevose (regime polare).

Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle precipitazioni, va osservato che un intenso livel-lo di precipitazione si riscontra sopra ampie zone dei continenti tropicali e sul lato sopravento dei pendii delle catene montuose alle più alte altitudini.

Le regioni desertiche maggiori del globo corrispondono alle latitudini subtropicali, in particolare lungo le coste occidentali dei continenti e le regioni settentrionali dell’estremo oriente – le catene montuo-se occidentali in Asia. Le precipitazioni sono anche molto scarmontuo-se su gran parte delle regioni polari.

La distribuzione della precipitazione sopra gli oceani è soggetta ad un considerevole livello di incertez-za, a causa della difficoltà di ottenere sondaggi rappresentativi tramite l’istituzione di reti di osservazioni su isole di ampia estensione. Dati definitivi sono disponibili solo per alcune zone della regione tropicale del Pacifico, dove esistono numerosi piccoli atolli con osservazioni delle precipitazioni di lungo periodo. La distribuzione sopra la regione tropicale del Pacifico mostra una grande variabilità spaziale relativamente omogenea. Il prevalente livello di precipitazione massimo, intorno ai 7°N, è associata con la ITCZ. Le isole tropicali situate vicino al centro della posizione media dell’ITCZ, presentano una vegetazione rigogliosa e un clima da foresta tropicale, mentre quelle situate solo a poche centinaia di chilometri nord o sud pos-sono essere isole deserte. A latitudini superiori, esiste una fascia secca lungo l’equatore e un secondo livel-lo massimo nell’emisfero sud, in prossimità di un’altra linea di convergenza nel campo del moto dell’aria.

Su gran parte del globo, la maggior parte della media annuale di precipitazioni cade durante una ben definita “stagione umida” (wet season). La periodicità e l’importanza relativa della stagione umida può esse-re rappesse-resentata in termini di fase e ampiezza del ciclo annuale della pesse-recipitazione media mensile. La mar-cata prevalenza di piovosità estiva su gran parte dell’Asia è associata con la circolazione del monsone esti-vo, portatrice d’umidità verso nord dall’Oceano Indiano.

Vale la pena di considerare, al fine della presenza di precipitazione sulle diverse aree del globo, anche la distribuzione della luce solare riflessa dalla terra e dalla sua atmosfera per i mesi di Gennaio (Figura 4a) e di luglio (Figura 4b), rispettivamente. Le regioni che dalle immagini provenienti dai satelliti risultano esse-re luminose sono indicative di una fesse-requente nuvolosità e di un’elevata pesse-recipitazione media mensile.

La ITCZ compare abbastanza chiaramente su entrambi gli Oceani Atlantico e Pacifico, in entrambi i mesi. Le caratteristiche principali del terreno delle zone tropicali mostrano ampie differenze stagionali nella luminosità, che sono coerenti con il concetto di un monsone estivo umido e un monsone invernale secco.

Durante il monsone estivo umido il terreno, che riceve più umidità, presenta una capacità di assorbimen-to di luce/calore più intensa, dovuta alla elevata presenza di vapore acqueo (clima equaassorbimen-toriale), appunassorbimen-to, che come ben si sa trattiene calore. Da notare che, il vapore acqueo ricevuto dal terreno è un reservoir di acqua sotto forma liquida, dal momento che con il riscaldamento del terreno stagionale (estate) viene immessa nuovamente in atmosfera, dando luogo in tal modo ad ulteriori precipitazioni.

Le differenze stagionali sono particolarmente pronunciate sulla maggior parte dell’Asia tropicale, del Sud America (a sud dell’Equatore), dell’Africa (a sud di 15°N), dell’estremo nord dell’Australia, della Florida, e delle altitudini messicane.

È interessante notare che nel Pacifico equatoriale, la variabilità di anno in anno nella precipitazione è molto più grande rispetto alla normale variabilità stagionale. Alcune isole comprese in questa zona hanno climi umidi definiti dalla loro piovosità media annuale, ma sono anche soggette ad intervalli lunghi tanto quanto due o tre anni con poche o addirittura assenza di precipitazione.

Figura 4a. La distribuzione geografica della riflessione durante il mese di Gennaio, come risulta dalle osservazioni da satellite. La maggior parte delle zone chiare evidenziate in figura sono caratterizzate da una persistente nuvolosità e da una preci-pitazione relativamente intensa. Tuttavia, sono da notare le seguenti peculiarità: le aree segnate con la X indicano le regioni desertiche dove la superficie terrestre è altamente riflettente, mentre le aree indicate dalla Y denotano quelle regioni dove le precipitazioni sono pressoché scarse o assenti (Elaborazione da: Wallace J. M. e P.V. Hobbs, 1977).

CAPITOLO II.