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In un suo saggio del 198259 Piero Bevilacqua, analizzando il ruolo che i fenomeni

tellurici avevano svolto nelle vicende storiche del Mezzogiorno e le motivazioni della loro esclusione dalla “Grande Storia”, sottolinea come la dimensione territoriale in generale fosse stata rimossa dalla storiografia italiana. Ad esemplificare questo approccio cita le battute conclusive della Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce, che in aperta polemica con il determinismo geografico afferma:

«Clima, ubertosità o avarizia di terreno, salubrità o insalubrità, posizione geografica, disposizioni etniche, strade e mancanza di strade, spostamenti di linee commerciali, e simili, sono tutte cose importanti, se considerate come condizioni o materia o strumenti tra cui e su cui e con cui si travaglia lo sforzo spirituale, che deve formare sempre il punto centrale della considerazione; ma tutte prive d'importanza prese per sé, fuori dal centro, inerti e incapaci di condurre ad alcuna conclusione. Ciascuna di esse, infatti, può (e questa è cosa nota) diventare, secondo i casi, forza o debolezza; la povertà ingenerare vigore e ardimento o per contrario sfiducia e abbattimento, la ricchezza corruttela o migliore sanità; il medesimo clima

57 Mario Bonaiuti (a cura di), Obiettivo decrescita, EMI, Bologna 2004, pp. 5-6.

58 Cfr. anche Kenneth E. Boulding, L’etica ambientale e i sistemi economici della terra, in Corrado Poli,

Peter Timmerman (a cura di), L’etica nelle politiche ambientali…cit., pp. 249-263.

59 Piero Bevilacqua, Catastrofi, continuità, rotture nella storia del Mezzogiorno, in «Laboratorio

Politico» n° 5-6, Einaudi, Roma 1981, pp. 177-219. Il saggio, riveduto, è stato inserito successivamente in Piero Bevilacqua, Tra natura e storia. Ambiente, economie, risorse in Italia, Donzelli, Roma 1996.

(come diceva è Hegel) accogliere indifferentemente le opere degli Elleni e l'ozio dei Turchi»60.

Commenta Bevilacqua:

«L’ovvia modernità di tale visione contiene una omissione concettuale, e dunque culturale e teorica, di straordinarie dimensioni: l’esclusione dalla storia non solo e non tanto delle forze cieche della natura, quanto anche del ruolo diretto che la struttura del territorio, le condizioni d’ambiente, l’organizzazione dello spazio hanno giocato nella vita dei grandi aggregati umani. […] L’esemplarità del discorso crociano consente di vedere, direi in forma paradigmatica, la singolare protervia di una cultura storiografica non del tutto morta, che ha preteso di dominare il reale, il corso storico del passato, con gli strumenti, le ristrette categorie del sapere umanistico»61.

Il netto rifiuto del determinismo ha portato a negare ogni condizionamento della natura sull’agire sociale e l’influenza che la cultura idealistica ha esercitato nella storiografia italiana durante il Novecento ha permesso il protrarsi di questa omissione.

È infatti dalla Francia che provengono le prime suggestioni prodotte dalla rivalutazione dei fattori ambientali nella ricostruzione delle vicende umane, in particolare da Marc Bloch e Lucien Febvre prima e Fernand Braudel successivamente, che ruotavano intorno alla rivista Annales, fondata nel 1929.

Il possibilismo geografico e in generale il legame tra i dati ambientali e le istituzioni sociali viene sottolineato da Kans A. Wittfogel, nel suo celebre saggio sul “dispotismo idraulico”, che si apre con la seguente valutazione:

«La natura si modifica profondamente tutte le volte che l'uomo, in risposta a cause storiche semplici o complesse, modifica profondamente la sua attrezzatura tecnica, la sua organizzazione sociale e la sua visione del mondo. L'uomo non cessa mai di influenzare il suo ambiente naturale. Egli continuamente lo trasforma, ed attualizza nuove forze, tutte le volte che i suoi sforzi lo portano a nuovo livello di operatività. La possibilità di giungere a nuovo livello o, una volta raggiunto tale livello, le prospettive che esso apre, dipendono in primo luogo dall'ordinamento istituzionale e, in secondo luogo, dal fine ultimo dell’attività dell'uomo: il mondo fisico, chimico e biologico a lui accessibile. A parità di condizioni istituzionali, è la

60 Benedetto Croce, Storia del regno di Napoli, Laterza, Bari 1966, p. 253 (prima ed. 1925). 61 Piero Bevilacqua, Catastrofi, continuità, rotture…cit., pp. 182-183.

differenza dell'ambiente naturale che favorisce e permette - o impedisce - lo sviluppo di nuove forme di tecnologia, di esistenza e di controllo sociale»62.

Fu però solo negli anni Settanta che si incominciò a parlare di “storia dell’ambiente” come disciplina a sé stante. Nel 1974, nella prefazione di un numero delle Annales dedicato a «Storia e Ambiente», Emmanuel Le Roy Ladurie afferma che

«la storia dell’ambiente unisce i temi più antichi e i temi più nuovi della storia contemporanea: l’evoluzione delle epidemie e del clima, parti integranti dell’ecosistema umano; le calamità naturali aggravate dalla incapacità di previsione, o dall’assurda “volontà” dei più ingenui pionieri della colonizzazione; la distruzione della natura provocata dalla crescita della popolazione e/o della sovrapproduzione industriale, i fattori di disturbo di origine urbana o industriale, che hanno portato all’inquinamento dell’acqua e dell’aria; la congestione o il livello di inquinamento acustico in un periodo di galoppante urbanizzazione»63.

Le Roy Ladurie parla in realtà di histoire écologique, e spesso i due termini “ecologia” e “ambiente” sono stati usati dagli studiosi di questa disciplina in modo intercambiabile, pur presentando delle differenze concettuali notevoli. Come sottolinea Alberto Caracciolo, infatti, il primo termine

«presenta […] una valenza troppo restrittiva, con riferimento a una disciplina scientifica (l’ecologia, appunto, più o meno “pura” e non storica) piuttosto che anche al luogo di applicazione di tale disciplina. E dunque lo si userà con parsimonia, mentre un termine come ambiente, come i suoi corrispondenti anglo-germanici, appare non solo meglio accessibile al linguaggio comune, ma anche appropriato a rappresentare una fenomenologia meno politica e nello stesso tempo più ampia: tende ad accostarsi, in italiano, a “territorio”, preso in un’accezione animata, dinamica, articolata»64.

62 Karl A. Wittfogel, Il dispotismo orientale, SugarCo, Milano 1980 (tit. orig. Oriental Despotism. A

comparative study of total power, prima ed. 1957), pp. 87-88. In nota l’autore afferma di avere in

qualche modo accentuato la primaria importanza dei fattori istituzionali e culturali rispetto alla sua primitiva concezione del rapporto tra uomo e natura, che evidentemente risentiva di maggiore determinismo, e sottolinea in diversi passaggi che il nesso ambiente - sistemi economici - ordinamenti istituzionali rappresenta una possibilità, non una necessità.

63 Citato in Donald Worster, Studiare la storia dell’ambiente, in Donald Worster (a cura di), I confini

della terra. Problemi e prospettive di storia dell’ambiente, Franco Angeli, Milano 1991 (tit. orig. The ends ot the earth. Perspectives on modern environmental history, prima ed. 1988), pp. 239-240.

64 Alberto Caracciolo, L’ambiente come storia. Sondaggi e proposte di storiografia dell’ambiente, Il

L’opzione terminologica storia dell’ambiente (environmental history in inglese,

Umweltgeschichte in tedesco, histoire de l’environment in francese) ha comunque

prevalso a partire dall’istituzione, nel 1976, dell’American Society for Environmental

History (ASEH), nata dall’incontro di numerosi studiosi, tra storici, geografi e filosofi,

alla Conferenza dell’Organization of American Historians, svoltasi a Denver nel 1974, diretta inizialmente da John Opie e successivamente da J. Donald Hugues e operante anche attraverso la rivista ad essa collegata, Environmental Review (ER)65. La storia

dell’ambiente nell’America settentrionale si concentra, come afferma anche Donald Worster66, non solo sulle trasformazioni della natura ma anche su come la natura stessa

abbia contribuito a «plasmare la società americana», ed è scaturita dalla Conservation

History, riguardante principalmente lo studio delle politiche governative di salvaguardia

del suolo e delle risorse naturali, derivata a sua volta dagli studi sulla wilderness e dalla storiografia della frontiera dell’ovest. Con il trascorrere degli anni i saggi veicolati dalla rivista ER sono passati da una iniziale prevalente dimensione locale (gli studi su Stati Uniti e Canada) a un’ampia dimensione internazionale e multidisciplinare influenzando in parte gli sviluppi di questa disciplina in ambito europeo.

La storiografia tedesca occidentale ha recepito durante gli anni Ottanta le nuove metodologie di ricerca riconducibili alla storia dell’ambiente, concentrandosi particolarmente sulle problematiche dell’ambiente urbano industriale67. I primi impulsi

vennero da studiosi di storia della tecnica, nel convegno tenutosi a Duesseldorf nel 1981 avente per tema “Tecnica e ambiente nella storia”, durante il quale Ulrich Troitzsch «indicò nella prospettiva storica la premessa essenziale di una analisi del rapporto tra mutamento tecnico-scientifico e modificazioni dell’ambiente finalmente svincolata dal mito della crescita economica e del progresso tecnico»68. Nello stesso periodo anche gli

storici dell’economia iniziarono a concentrare le loro attenzioni sul rapporto tra modi di produzione e modifiche ambientali, riferendosi però essenzialmente all’epoca pre- industriale e individuando nella questione ambientale un carattere di continuità, approccio che permetteva di liberare lo sviluppo industriale da eccessive responsabilità rispetto alla crisi ecologica. Il salto qualitativo e quantitativo negli squilibri ambientali prodotti dall’industrializzazione era però già stato rilevato da Gunter Bayerl in una rassegna di fonti edite ottocentesche nelle quali evidenziava il carattere di “novità” del

65 Cfr. J. Donald Hugues, Storici e storia ambientale. L’«American Society for Environmental History»,

in «Quaderni Storici», n° 62/1986.

66 Donald Worster, Studiare la storia dell’ambiente…cit.

67 Cfr. Simone Neri Serneri, Storia, ambiente e società industriale. Rassegna di studi tedeschi, in

«Società e Storia», n° 50/1990, pp. 891-937.

problema ambientale «derivante a suo parere dal carattere tecnico-artificiale, e non più naturale, del danno ambientale prevalente in una società non più subordinata o adattata alla natura, ma divenuta capace, con la tecnologia industriale, di dominare la natura»69.

Il nodo concettuale continuità/discontinuità del danno ambientale sarà costantemente al centro degli studi di storia dell’ambiente, impossibile da sciogliere, a nostro avviso, in una rigida interpretazione dicotomica.

I primi studi pionieristici in Germania si concentrano su specifici settori produttivi, analizzando «i nessi tra scelte produttive, soluzioni tecnologiche e uso pubblico e privato delle risorse, da un lato, le scelte, le ideologie e gli interessi espressi dai diversi gruppi sociali e delle pubbliche autorità affrontando la questione ambientale, dall’altro»70. Alcuni ambiti erano stati studiati con attenzione (la gestione delle acque,

l’inquinamento industriale…) altri completamente trascurati (l’agricoltura industriale, le fonti energetiche…), ma lentamente si andavano delineando i primi orientamenti metodologici.