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Il principale punto di riferimento in questo senso erano le elaborazioni del Gruppo

di lavoro di Darmstadt, che partendo dagli spunti offerti da Marx sviluppava, in

contrasto con le teorie ecologiste allora dominanti, il concetto di “natura socialmente costituita”, cioè di natura come prodotto sociale e non santuario incontaminato da preservare, affermando la coevoluzione di natura e società. Per il gruppo di Darmstadt l’errore nel rapporto di scambio uomo-natura consisteva nel considerare la natura solo in quanto merce e di conseguenza privare totalmente di valore la “natura non appropriata”: era necessario invece «restituire al rapporto di scambio uomo-natura, in quanto “processo naturale socialmente organizzato”, una dimensione materiale, storica e normativa e quindi un livello compatibile con i bisogni umani e le prescrizioni dell’ecologia»71. Da questa formulazione deriva la critica al concetto di ecosistema che

produrrebbe «una riduzione naturalistica dell’aspetto sociale, per cui l’uomo appare un semplice fattore, anziché il principale elemento di organizzazione del “sistema”, quale in effetti è»72. Il gruppo introduce anche il concetto di “riproduzione sociale della

natura”, quale momento necessario del lavoro umano, concetto che in ambito storiografico offre una importante chiave di lettura della questione ambientale, non

69 Ivi, pp. 896-897. 70 Ivi, p. 900. 71 Ivi, pp. 907-908. 72 Ivi, p. 908.

paralizzandola in una valutazione di carattere esclusivamente biologico ma inserendola in un reale contesto storico e sociale, spostando l’attenzione dalla dicotomia conservazione/trasformazione all’indirizzo della trasformazione stessa.

Questa interpretazione si oppone fortemente alle letture che si basano sulla irriducibilità del dualismo uomo/natura e su una supposta contraddizione tra ecosistema naturale e sistema socio-culturale umano. Secondo Rolf-Peter Sieferle, che ha analizzato lo sviluppo nella storia di diversi sistemi energetici, le trasformazioni dell’ecosistema avverrebbero secondo principi organizzativi non conoscibili dall’uomo, e ci sarebbe una discrepanza tra evoluzione dell’ecosistema e evoluzione della Kultur umana, intesa come «insieme di tecnica-economica, organizzazione sociale e ideologia e sapere in senso proprio». Il “progresso” sarebbe un anonimo aumento di complessità del sistema che non si sarebbe potuto realizzare in un’altra forma possibile e semplicemente la

Kultur umana non si è altrettanto sviluppata. In ultima istanza «la crisi ecologica della

società industriale nascerebbe […] dall’impasse di una tecnologia ormai sufficientemente sviluppata per distruggere, ma non ancora capace di evitare le conseguenze distruttive del proprio sviluppo»73. Sieferle, essendo l’interdisciplinarietà il

presupposto di una reale ricerca storica ambientalista, ritiene gli studi storici in materia ambientale impregnati di riduzionismo sociale e incapaci di spiegare le dinamiche del sistema uomo-ambiente.

Nella disputa tra questi due approcci diametralmente opposti sembra vittorioso quello che meno intacca gli strumenti tradizionali della ricerca storica, quello cioè che vede nell’agire dell’uomo socialmente e storicamente determinato il suo campo di studio privilegiato. Ricorrere all’aiuto e al supporto che altre discipline possono fornire allo storico non può che arricchire la ricerca, ma fondere diverse metodologie di studio porterebbe ad una sorta di disciplina ibrida dai contorni incerti e dalla dubbia scientificità.

Compiuta questa preliminare scelta di campo, resta da stabilire se la storia dell’ambiente costituisca esclusivamente un filone della ricerca storica (come potrebbe essere considerata la storia della tecnologia o la storia del cinema) o se invece non rappresenti piuttosto un modo nuovo di leggere la storia. James O’Connor, direttore della rivista Capitalism Nature Socialism, prendendo spunto da un saggio di Donald Worster del 198874, ricostruisce una genealogia delle storiografie scaturita dai diversi

livelli di sviluppo capitalistico:

73 Ivi, p. 915.

«Il modo occidentale moderno di scrivere la storia incomincia con la storia politica, legale e costituzionale; continua con la storia economica nella seconda metà dell’Ottocento; diventa storia sociale e culturale a metà del Novecento, e approda alla storia delle lotte e dei movimenti ambientali alla fine di questo secolo. Questo albero genealogico della storiografia è una ricaduta logica dello sviluppo del capitalismo per ragioni che si possono così riassumere: primo, le riforme politiche, giuridiche e costituzionali hanno creato le condizioni per l’affermarsi della proprietà privata, dei diritti di proprietà, delle libertà civili e dell’uguaglianza formale di fronte alla legge; secondo, le rivoluzioni industriali e tecnologiche di fine Ottocento e inizio Novecento hanno dato origine ad una storia economica capitalista (sul conflitto economico, la crescita dei mercati, della finanza e della concorrenza); terzo, la crescita di una società e di una cultura capitaliste, nate con la mercificazione di terra e lavoro - le merci “fittizie” - hanno dato vita alla cultura di massa, al consumismo, alle lotte sociali, e alla società multietnica; quarto, la capitalizzazione della Natura, o creazione di una Natura specificatamente capitalistica, e le lotte intorno alla Natura, hanno dato origine alla storia ecologica, che è il più recente (forse l’ultimo) tipo di storiografia»75.

Secondo O’Connor ogni tipo di storia incorpora quello precedente e permette di fornire nuove interpretazioni ad avvenimenti già analizzati con vecchi paradigmi. Nonostante l’eccessivo schematismo di questa formulazione traspare una concezione della storia dell’ambiente come storia “globale”, comprendente gli aspetti politici, economici e culturali, e non una semplice specializzazione della storiografia contemporanea.

La storia dell’ambiente, come “nuova storia” procede, secondo Donald Worster, lungo tre livelli, affronta tre insiemi di problemi, ognuno con metodi di indagine peculiari. Il primo livello riguarda «la natura di per se stessa, il modo in cui essa si è organizzata in passato» includendovi anche il fattore umano come anello della catena alimentare; il secondo livello si concentra «sugli strumenti e l’organizzazione del lavoro, le relazioni sociali, i diversi metodi che gli uomini hanno sviluppato per sfruttare le risorse della natura»; il terzo livello è rappresentato dall’analisi «della sfera mentale o intellettuale nella quale le percezioni, l’etica, le leggi, i miti e altre strutture significanti diventano parte del dialogo di ogni individuo e di ogni gruppo con la natura». Questi tre

75 James O’Connor, Cos’è la storia ecologica? Perché la storia ecologica?, in «Ecologia Politica CNS»

livelli, disgregati per ragioni di chiarezza, non sono separati tra loro, «essi di fatto costituiscono una sola dinamica di apprendimento nella quale la natura, l’organizzazione sociale ed economica, il pensiero e il desiderio sono trattati come un’entità unica»76.

Resta da analizzare come sono stati recepiti questi stimoli dalla storiografia italiana. Sulla scia del «Seminario internazionale europeo di storia dell’ambiente» tenutosi a Bad Homburg nel 1988, e della conseguente fondazione dell’«Associazione europea per la storia dell’ambiente», a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta si sono moltiplicati gli studi inscrivibili nell’ambito di questa disciplina. Gli animatori principali di questo nuovo scenario sono Alberto Caracciolo e Piero Bevilacqua che, anche attraverso le riviste «Quaderni Storici» e «Meridiana», hanno contribuito a delineare una sorta di “scuola italiana” nell’approccio e nei metodi d’indagine.

Caracciolo afferma che «esiste un approccio, in qualche misura originale, di riflessione e di ricerca che deve entrare più esplicitamente nel lavoro proprio degli storici. Un approccio che investa […] la visione scandita delle società umane nel corso del tempo, calate nel rapporto con l’ambiente77. […] La storiografia dell’ambiente, se ha

da esistere, nasce non solo fuori, ma in polemica, rispetto alla storia generale, economica, ecc., sulla sua premessa antropocentrica78». Ma il rifiuto

dell’antropocentrismo e l’attenzione su tematiche ambientali non bastano in sé, è necessario evidenziare

«l’importanza del grado di previsione che l’attore storicamente e culturalmente determinato ha di esiti futuri - anche relativamente remoti - del suo agire. Dove la previsione fortunata potrà dunque convertirsi in miglior controllo, così come la scadente previsione in elevato pericolo. Inseguire e riconoscere questo nucleo previsionale richiede un lavoro generalmente non da tecnici, non da statistici, non da quantitativisti, ma precisamente da storici. Da quanti cioè siano, per definizione, più usi ad analizzare un insieme di comportamenti ora politici, ora istituzionali, ora addirittura mentali, di popolazioni o protagonisti che si trovano a valutare profitti e perdite che deriveranno da un certo loro intervento ambientale»79.

Solo in questo modo, aggiunge Caracciolo, si apre «il grande spazio per una autentica storiografia dell’ambiente. Che intenderei come storiografia della previsione -

76 Donald Worster, Studiare la storia dell’ambiente…cit., p. 241. 77 Alberto Caracciolo, L’ambiente come storia…cit., p. 12. 78 Ivi, pp. 24-25 [corsivo nel testo].

esistente o mancante o distorta, generalizzata o iniziatica, scientificamente fondata oppure intuitiva - e dunque di una coscienza più o meno compiuta del proprio intervento sull’ambiente al termine di generazioni che si susseguono»80.

Ma si tratta di una “nuova” storia? Solo parzialmente secondo Caracciolo che afferma:

«La storia dell’ambiente nella sua presunta “fondazione” attuale è la diretta continuatrice, lungo una direzione specifica e inedita opportunamente periodizzata e articolata, delle lotte di società umane di sempre per rispondere propri bisogni. E in entrambe vediamo proporsi alla nostra attenzione fatti, azioni, riduzioni a mito di tali fatti e azioni, che appunto nella ricerca sono poi da sottoporre all'analisi, alla disaggregazione, alla ricomposizione e lettura come per qualsiasi altro capitolo di storia. Si rientra per la finestra, insomma, in quella “storia sociale” dalla quale si voleva allontanarsi per la porta, ma eludendone la genericità dal momento che si porta attenzione al continuo interscambio fra un ambiente esterno a uomini, che in realtà ne dipendono, vi trovano la loro nicchia, ed anzi vi collocano anche l'incarnazione di tante parti del proprio immaginario»81.

Rispetto alla questione continuità/discontinuità del danno ambientale Caracciolo assume la posizione netta del nihil novi sub sole, secondo cui «la vicenda ecologica ripercorre fenomeni di dimensione inedita ma qualitativamente uguali a se stessi»82,

posizione che lo pone su un fronte opposto a quello di Piero Bevilacqua, che ritiene «banale e semplicistico» generalizzare in tal modo lo svolgersi sicuramente non lineare delle vicende storiche legate al rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, offrendo «una indistinta assoluzione [che] rischia così di liberare da ogni responsabilità soprattutto le economie del mondo industrializzato e quelle dei paesi che oggi intendono imitarlo»83.

Al contrario Bevilacqua, sulla falsariga di O’Connor, sottolinea che

«è anzi il caso di ricordare che la storia dell'ambiente, quale forma di elaborazione degli intellettuali dell'Occidente, nasce esattamente dalla consapevolezza del carattere annientatore della forma di economia dominante del nostro tempo. Nella storia dell'umanità è il primo sistema di

80 Ivi, p. 30. 81 Ivi, pp. 68-69.

82 Alberto Caracciolo, Il «luogo» di una storia ambientale, in Alberto Caracciolo, Gabriella Bonacchi (a

cura di), Il declino degli elementi. Ambiente naturale e rigenerazione delle risorse nell’Europa

moderna, Il Mulino, Bologna 1990, p.18.

sfruttamento delle risorse naturali che tende, per sua intima logica, alla distruzione finale della terra. E tale acquisizione, per così dire fondativa, fa della storia dell'ambiente un fenomeno culturale del tutto inedito. Essa non è nuovo genere storiografico, un originale tema di ricerca che si aggiunge ai tanti che la storia sociale e la fertilizzazione operata dalla scuola delle “Annales” hanno prodotto nella seconda metà del Novecento. È un nuovo sguardo sul mondo. Nasce dal trasformarsi in minaccia della modernizzazione capitalistica, di cui pure, sino a ora, tutti i saperi dell'Occidente hanno cantato l'epopea. Essa è ormai del tutto fuori del grande involucro dell'ideologia progressista in cui si è sviluppata la storiografia occidentale a partire dal XIX secolo»84.

Bevilacqua inoltre, pur riconoscendo la potenziale fecondità dell’approccio ecosistemico auspicato da Sieferle, propende per una storia dell’ambiente ispirata da un «antropocentrismo sostenibile»:

«Un criterio che assume la centralità della natura del processo di trasformazione della vita reale, ma che non dimentica l’ineliminabilità dello sguardo umano in ogni operazione scientifica e, a maggior ragione, nella ricostruzione storica. La vigile consapevolezza che siamo pur sempre noi a indagare la natura e le manipolazioni che essa subisce non toglie per questo radicalità d'approccio all'analisi e al giudizio. E tuttavia conserva tutta la sua intenzionalità di critica sociale: perché, in fondo, parla degli uomini e ad essi si rivolge con finalità di informazione, ammonimento, esortazione civile. Impegnata a scorgere sempre l'opera degli uomini dietro le cose, la storia ne mostra al tempo stesso la possibile, umana modificabilità»85.

La storiografia dell’ambiente si presenta in questo modo come storiografia “militante”, che colloca gli storici al di fuori dell’iperuranio degli eruditi per costringerli ad essere uomini del proprio tempo, consapevoli del ruolo che possono svolgere.

Bevilacqua inoltre ricompone la dicotomia uomo/natura definendo la “natura degli storici” come «l’ambito territoriale e spaziale, regionalmente delimitato, entro cui uomini e gruppi, formazioni sociali determinate, vengono svolgendo le proprie economie, in intensa correlazione e scambio con esso»86. La natura è “partner

cooperante”, soggetto attivo insieme al lavoro umano nella produzione della ricchezza, ruolo spesso dimenticato dagli storici, quasi che le società umane fossero svincolate

84 Ivi, p. IX [corsivo nel testo] 85 Ivi, p. VIII [corsivo nel testo]

86 Piero Bevilacqua, Tra natura e storia. Ambiente, economie e risorse in Italia, Donzelli, Roma 1996, p.

dalle condizioni materiali che invece ne garantiscono la perpetuazione. Questa “dimenticanza” ha secondo Bevilacqua una causa ben precisa:

«Com'è accaduto nel passato, e come continua ad accadere a tutt'oggi, esistono gruppi sociali classi capaci di creare e godere prosperità comandando pagando il lavoro altrui, lo scambio materiale con le risorse realizzato da ceti sottoposti, o sfruttando risorse che appartengono a paesi lontani, semplicemente facendo viaggiare beni, uomini e merci. […] Che cosa è la ricchezza se non il possesso, l'accumulazione e l'uso di beni prodotti da altri, quei beni che i ceti operai e contadini sono obbligati, essi sì, a produrre tramite il loro duro e diuturno scambio con la natura? E quanta

storia autonoma è stata prodotta dall'alto di quel dominio sociale! La storia,

per l’appunto, che gli storici si sono incaricati di raccontare, disincarnata da ogni legame con le oscure origini materiali del possesso e del potere»87.

Svelare le origini materiali della ricchezza, riportare alla luce il sapere tecnico, le conoscenze applicate, la sapienza empirica accumulata, scoprire come l’uso delle risorse abbia condizionato il corso complessivo della società: questi alcuni dei compiti che la storia dell’ambiente si prefigge fin dalle sue origini.

Anche secondo Bevilacqua è indispensabile indagare la percezione che gli attori sociali avevano dell’influenza che le loro azioni esercitavano sull’ambiente, evitando però con cura di cadere in valutazioni anacronistiche, attribuendo alle società del passato sensibilità e consapevolezze proprie esclusivamente del nostro tempo. È necessario distinguere una generica propensione alla conservazione e alla difesa dell’ambiente da «una consapevolezza ecologica di tipo moderno: la presenza, il porsi di una qualche domanda sul futuro, la preoccupazione per le sorti delle generazioni che devono venire»88:

«Ciò che infatti si dovrebbe tener costantemente presente è che gli uomini e le istituzioni del passato non guardavano alla natura e ai suoi equilibri con la sensibilità e in parte anche il “disinteresse” conservativo che oggi circola nella cultura contemporanea: quando atteggiamenti di interesse nei confronti del mondo naturale venivano espressi e anche concretamente perseguiti, essi facevano sempre parte di più generali vedute e strategie, di carattere sostanzialmente economico o politico che finivano con l’incorporare anche valutazioni sull'uso delle risorse naturali. Ma quell’“economico” e quel

87 Ivi, p. 13 [corsivi nel testo]

“politico” entro cui la natura e i suoi equilibri venivano concepiti e valutati non appaiono, per questo, meno degni di essere conosciuti e considerati»89.

Un tratto comune agli storici dell’ambiente è la consapevolezza della necessità dell’utilizzo della “lunga durata” nelle loro indagini, «poiché l’ambiente richiede tempo per essere piegato alla volontà degli uomini e poiché le sue modificazioni impongono la modificazione degli uomini stessi, della loro cultura, delle loro mentalità» come afferma chiaramente Marzio Romani90, restando aperti a periodizzazioni inconsuete, determinate

dai diversi temi oggetto di studio.

Anche la metodologia da seguire sarà plasmata a seconda dei caratteri che si intende evidenziare, considerato l’ampio raggio di problematiche inscrivibili nel campo della storia dell’ambiente91. Gli orientamenti di ricerca finora intrapresi hanno

privilegiato la storia dei fenomeni di inquinamento ambientale prodotto dalle attività produttive e la storia dell’uso sociale delle risorse naturali, intesa quest’ultima come «storia delle modalità sociali di appropriazione, controllo, distribuzione e, anzitutto, trasformazione delle risorse naturali»92. In questo mare magnum risulta indispensabile

delimitare il campo di ricerca ad un tema circoscritto, ad esempio, come suggerisce Neri Serneri nell’ambito degli studi industriali,

«individuando alcune risorse centrali nei processi di industrializzazione e di urbanizzazione (l’acqua, ma anche l'aria, il suolo, i combustibili, ecc.) e, quindi, indagando i modi del loro utilizzo da parte di utenti individuali e collettivi a fini economici e sociali, la competizione e i conflitti tra questi utenti, la regolamentazione giuridico-amministrativa di quella competizione e, da ultimo, ma non per importanza, gli effetti di quell’utilizzo sulla disponibilità e riproducibilità di quelle risorse e sull'assetto dell'ecosistema del quale sono partecipi»93.

89 Ivi, pp. 27-28.

90 Marzio A. Romani, Uomo e ambiente: due storie in parallelo?, in Angelo Varni (a cura di), Storia

dell’ambiente in Italia tra Ottocento e Novecento, Il Mulino, Bologna 1999, p. 23.

91 Cfr. Giorgio Nebbia, Per una definizione di storia dell’ambiente, in «Ecologia Politica CNS» (rivista

telematica) settembre-dicembre 1999, anno IX, fasc. 27.

92 Simone Neri Serneri, Industria e ambiente. Per uno studio del caso italiano, 1880-1940, in Angelo

Varni (a cura di), Storia dell’ambiente…cit., p. 30.

La scelta di una determinata porzione di realtà da descrivere non dovrà tuttavia far dimenticare che tale porzione è parte di un sistema complesso le cui componenti sono strettamente connesse tra loro, e di questi legami sarà indispensabile tener conto.

- II -

DISBOSCAMENTI E BONIFICHE