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Con l’avvento della Sinistra al governo nell’ordinamento giuridico italiano mancava ancora una legislazione unitaria sulle bonifiche, regolate dalla vecchia normativa degli stati preunitari. Il dibattito in merito prese però una nuova direzione, si rinunciò infatti a porre come scopo fondamentale della futura legge quello economico- agricolo, che fino ad allora aveva prevalso, con una netta preferenza accordata alle iniziative private. Tra i principi ispiratori veniva infatti ora ad assumere una posizione di primo piano lo scopo igienico e antimalarico, che portò a formulare il progetto di legge Baccarini350, presentato alla Camera nel 1878, ma approvato solo nel 1882. In

base ad esso le bonifiche venivano distinte in due categorie: nella prima erano comprese le opere a cui veniva riconosciuto un grande interesse igienico oppure quelle a cui a un grande miglioramento agricolo si associava un rilevante interesse igienico, che sarebbero state finalmente assunte tra i compiti dello Stato; della seconda categoria facevano parte le bonifiche che avevano un interesse eminentemente agricolo, lasciate all’iniziativa privata.

Se sul piano dei principi la legge Baccarini sembrava pensata appositamente per le esigenze del Sud, la disciplina legislativa era formulata sull’esperienza della pianura padana, nella quale il problema della bonifica si riduceva al prosciugamento di aree delimitate, circondate da terreni già stabilmente coltivati, con una spesa proporzionale all’estensione della bonifica. Come abbiamo già visto nel Meridione la presenza di terreni paludosi era solo una parte di un complessivo disordine di interi bacini idrografici, per cui anche la bonifica di una piccola porzione di terra implicava spese esorbitanti.

Nel caso in cui le bonifiche fossero di prima categoria i privati partecipavano solo a un quarto della spesa, che ricadeva per metà sullo Stato e per il restante quarto sugli enti locali, con l’unico obbligo di rimborsare alla Stato la plusvalenza351.

Fu la grande proprietà terriera settentrionale, soprattutto emiliana, a beneficiare in misura maggiore delle sovvenzioni statali, al Sud infatti, a fronte dei costi che sarebbe stato necessario sostenere per bonificare le valli e sistemare i bacini montani, i proprietari non erano motivati ad affrontare neanche una piccola porzione di una spesa

350 Alfredo Baccarini, nei governi Cairoli e Depretis ricopre la carica di Ministro dei Lavori Pubblici. Era

già stato Direttore Generale delle Opere Pubbliche del Ministero tra il 1873 e il 1876 e si era precedentemente occupato delle bonifiche nella Maremma Toscana in qualità di ingegnere idraulico.

che non sarebbe comunque stata ricompensata dai ricavi precari che la coltivazione avrebbe loro procurato.

Inoltre il prosciugamento non collegato allo sviluppo di sistemi di irrigazione si presentava economicamente poco razionale, in regioni che subivano prolungate siccità estive e approfittavano della fertilità regalata dagli allagamenti periodici, che permettevano quanto meno il mantenimento dei pascolo, laddove intorno vi era il deserto352.

Contemporaneamente si svolgeva in parlamento proprio il dibattito riguardante il progetto di modifica della legge 29 maggio 1873 n° 1387 sulla costituzione obbligatoria dei consorzi di irrigazione, presentato dai tre Ministri dell’Agricoltura, dei Lavori Pubblici e delle Finanze. Nel progetto si proponeva che se almeno i due terzi dei proprietari di un comprensorio fossero stati interessati a eseguire opere di irrigazione, l’autorità giudiziaria avrebbe potuto imporre la costituzione coatta di un consorzio. Cambiava nettamente le prospettiva rispetto alla legge in vigore, formulata durante il governo della Destra:

«Concetto cardine, a cui si informava la legge del 1873, si era che l’attrattiva dei vantaggi economici fosse la più forte delle coazioni per formare i consorzi di irrigazione […]. Ora tutte queste provvide disposizioni si conservano anche nel nuovo disegno di legge; ma radicale fra le differenze, che esso presenta di fronte alla vigente legge, quella si è che la nuova affermerebbe nettamente, recisamente, il principio che dinanzi a grandi interessi pubblici la maggioranza ha diritto d’imporre alla minoranza i propri valori»353.

La Commissione esaminatrice alla Camera non condivise però l’impostazione eccessivamente interventista, considerando le opere di irrigazione di esclusiva competenza privata:

«Dall’alto dei monti scendono, in date epoche, copiose le acque che invano si desiderano nella calda stagione: scendono precipitose trascinando seco deboli pellicole terrose, con grave danno delle sottoposte campagne, mentre che, ben dirette, potrebbero arrecare, grandi beneficii. Provvedere quindi a trattenerle, a conservarle, a distribuirle in epoche ed in località determinate è opera saggia […]. Ma l’intendere a lavori di tale natura in tanta varietà di casi ed in così ampia molteplicità di luoghi, e con tanta differenza di bisogni

352 Cfr. Giuseppe Barone, Mezzogiorno e modernizzazione…cit.

e di desideri non è cosa che riguardi lo Stato. È opera questa che deve venire spontanea e diretta da coloro che dalle innovazioni compiute risentiranno i primi beneficii. Lo Stato ha solo il dovere di cooperare all’unione degli sforzi individuali, di regolarli, di tutelare i diritti di quelli che tosto non ravvisassero l’utilità, o realmente avessero danno dalle opere intraprese, o di facilitare negli studi, nella ricerca del capitale, e di concorrere nel rimborso»354.

Ciò di cui aveva bisogno il Meridione quindi, e cioè il procedere parallelo di opere irrigue e bonifiche, veniva invece trattato non solo distintamente ma con approcci diametralmente opposti; se le bonifiche potevano essere intese come iniziative di interesse collettivo, le opere irrigue erano invece affare privato. Questi i principi che ispirarono la legge sui Consorzi di irrigazione 25 giugno 1883 n° 1790.

Il progetto di legge Grimaldi sull’autorizzazione di spesa per lo studio di progetti di irrigazione, presentato alla Camera il 21 marzo 1885, sembra ravvisare la necessità di un sostegno maggiore per le aree meridionali. Nella relazione che lo accompagna vengono delineate tre classi di opere di irrigazione: le opere che finanziariamente possono essere eseguite con utilità da privati costruttori o da proprietari, uniti in consorzio senza alcun concorso governativo; le opere che non sarebbero rimuneratrici per chi le intraprende, se lo Stato non le sostenesse finanziariamente per un certo numero di anni; ma,

«vi ha una terza classe di opere, la quale richiede lunga e costosa preparazione di studi pratici, che spesso abbracciano largo tratto di territorio e non sempre offrono a chi vi si sobbarca, la speranza di utili risultati. Di fronte a tante difficoltà, dispendi e dubbiezze, codeste opere rimarrebbero intentate e per sempre neglette, ove lo Stato non le sottoponesse a studio a propria spesa e iniziativa. E di questa classe di opere non ha certamente difetto il nostro paese»355.

L’importanza del supporto statale viene ribadita anche dalla Commissione esaminatrice, che evidenzia la necessità di incrementare le colture intensive per resistere alla concorrenza estera:

«Ma, per opporre questa resistenza occorrono capitali pazienti, studi, esperienze, iniziative intelligenti ed ardite, coraggio contro i pregiudizi, i

354 Atti Parlamentari, Camera, XIV Legislatura, sessione 1880-1881, Documenti, n° 307-A, pp. 1-2. 355 Atti Parlamentari, Camera, XV Legislatura, sessione 1882-1886, Documenti, n° 306, p. 2.

costumi e contro le abitudini inveterate; occorre la clemenza del cielo, il favore dei mercati, una civiltà perfezionata; occorre diminuire il costo di produzione. Impresa immane, contro la quale si spuntano le volontà più vigorose, se non soccorra l’azione del Governo, specialmente in un paese, in cui da troppo tempo durano le illusioni sulla ricchezza naturale del suolo, attraversato da catene di monti ormai denudati di boschi, e coperto di paludi per oltre 664.000 ettari, dei quali 223.527 in corso di bonificazione, 440.964 da bonificare»356.

Gli esiti legislativi non seguirono che parzialmente queste indicazioni. La nuova legge sui consorzi d’irrigazione, n° 3732 del 28 febbraio 1886, autorizzava il Ministero dell’Agricoltura a concedere sussidi per opere di irrigazione, compresi i serbatoi, a consorzi, province, comuni e privati, ma ebbe qualche applicazione di una certa importanza solo nel Settentrione, perché continuava a seguire la logica del supporto alle iniziative private.

Contemporaneamente la legge Baccarini subì delle modifiche sostanziali apportate dal nuovo Ministro dei Lavori Pubblici Francesco Genala, con la promulgazione della legge 4 luglio 1886, rafforzata successivamente dalla legge 6 agosto 1893. La prima formulazione aveva dimostrato una sopravvalutazione delle capacità finanziarie e tecniche dello Stato, cui spettava l’iniziativa e l’esecuzione delle bonifiche di prima categoria, ma l’esperienza fallimentare dei primi quattro anni di applicazione in cui alle enunciazioni programmatiche non era seguita nessuna autorizzazione di spesa, suggerì che bisognava cambiare indirizzo. La legge del 1886 dava invece allo Stato la facoltà di concedere ai Consorzi, ma anche a società private e ad imprenditori, l’esecuzione delle bonifiche di prima categoria, con il pagamento in annualità della quota ad esso spettante, eliminando anche l’obbligo di rimborsare la plusvalenza. La legge del 1893 prevedeva invece non più la facoltà ma l’obbligo per lo Stato di concedere le bonifiche a Consorzi dichiarati obbligatori, agevolati da alcune disposizioni finanziarie e creditizie.

Queste modifiche significarono la rinuncia all’intervento diretto dello Stato e quindi l’abbandono di qualunque iniziativa nel Mezzogiorno, laddove cioè i Consorzi non avevano una tradizione e l’iniziativa privata andava incontro a numerosi ostacoli. Se infatti dal 1886 al 1898 si costituirono numerosi enti di bonifica nell’Italia

settentrionale, una sola domanda di concessione provenne dalle province meridionali (dal comune di Vittoria in provincia di Siracusa)357.

L’accentramento decisionale che caratterizzava il nuovo Stato fece dimenticare i preziosi contributi apportati, come abbiamo visto, in epoca preunitaria da tecnici e governanti che conoscevano bene i caratteri ambientali del Meridione e che già avevano formulato progetti di intervento globale, sicuramente complessi da eseguire, ma che si proponevano di essere risolutivi.

Scriverà diversi decenni dopo Angelo Omodeo in un intervento in cui illustra le ragioni del fallimento delle bonifiche nel Meridione:

«La conformazione topografica dell’Italia Meridionale e Insulare, è tale che, salvo eccezioni, ogni bacino fluviale, compreso fra il crinale montano ed il mare, è così ristretto e raccolto da costituire un organismo idrologico non scindibile, i cui problemi, anche più disparati, si sovrappongono, e non possono ignorarsi a vicenda. Quindi, un’unica direttiva organica, deve presiedere alla sistemazione montana, al rimboschimento, ai laghi artificiali, alla produzione di energia, alle arginature, all’irrigazione, alla bonifica, compiti e funzioni di enti diversi, ma coordinati in un solo sistema. Ogni fiume di Italia Meridionale e Insulare deve avere in suo piano regolatore. La bonifica ne è soltanto una parte»358.

Il secolo si chiude con la legge Pavoncelli del 1899, che prevede sia l’intervento statale che quello privato, che sarà alla base del Testo Unico sulle bonifiche del 1900, importante perché segnerà una svolta fondamentale del concetto di bonifica: non più solo opere di prosciugamento ma anche opere stradali, opere idrauliche in piano e in montagna, rimboschimenti e rinsodamenti. Anche la sua applicazione non offrirà peraltro i risultati sperati.