Risalgono alla seconda metà del Settecento i primi provvedimenti legislativi adottati dal governo sabaudo in funzione della possibile utilizzazione commerciale del legname sardo. Il Pregone del 2 aprile 1771, emanato dal viceré Des Hayes, Contenente
diverse provvidenze date in seguito alla visita del Regno, lamenta «l’attuale stato, in cui
abbiamo trovato le selve, e boschi minacciante una non lontana decrescenza per la poca cura nel conservargli, e per la mancanza di vivai» e prescrive, rinnovando quanto disposto dalle Reali Prammatiche che i boschi, siano essi cedui o d’alto fusto, non possano essere sradicati senza l’autorizzazione del governo e che i concessionari di cussorge debbano provvedere a riseminare i terreni da loro sfruttati in modo che possano conservare il loro stato di selva. Non solo, con una precoce attenzione per l’equilibrio idrogeologico, vieta il taglio delle «boscaglie, cespugli, ed alberi di qualsiasi sorta, che servono ad impedire le cadute de’ terreni».
Tra le altre prescrizioni anche il divieto di accendere fuochi in vicinanza degli alberi, per arginare un altro fenomeno che minacciava le foreste, quello degli incendi. Questo provvedimento non fu evidentemente sufficiente, come testimonia il Regio
Editto sovra gli incendi che accadono nelle montagne e nelle pianure dell’isola184,
emanato il 22 luglio 1806, in cui si rileva che «le leggi emanate a riparo degli abusi invalsi negli incendi, che si destano nelle montagne, e nelle pianure per aprire al lavoro nuove terre, e per procurare al bestiame un anticipato pascolo non sono state sufficienti a prevenire, e scansare i danni gravissimi, che ne ridondano al Pubblico, ed ai particolari col devastamento delle selve, ed abbruciamento degli alberi fruttiferi, e delle chiusure».
Nell’editto vengono rinnovate le disposizioni delle Reali Prammatiche cap. 6, tit. 25 (divieto di metter fuoco alle terre prima dell’8 settembre) e cap. 11, tit. 42:
«Non sarà in verun tempo permesso ad alcuno di metter fuoco sia per aprire, e coltivare nuove terre, sia per procurare un più abbondante, e miglior pascolo al bestiame, o per qualunque altro fine, nei terreni, che non sono destinati al coltivo, e seminerio, e nelle selve, e montagne, sotto le pene sovra prescritte, e cederà parimenti come sovra a vantaggio esclusivamente del Monte Granitico, non solo il coltivo, e prodotto, ma eziandio il pascolo per quell’anno di quei terreni, nei quali si fosse messo a tale oggetto il fuoco […]. Non potranno quindi i pastori nei luoghi, e siti, che saranno stati bruciati contro il disposto da quella legge introdurvi al pascolo il loro
bestiame di qualunque sorta, sotto la penale di scudi 6 per ciascun segno, e per caduna volta, che contravverranno».
L’editto riserva inoltre una considerazione particolare per gli uliveti: è infatti vietato, senza licenza del giudice ordinario, mettere fuoco a meno di 5 miglia dagli uliveti, sotto pena di 7 anni di galera e 10 scudi per ogni albero danneggiato.
Il Codice Feliciano del 1827 ripropone, negli articoli dal 1958 al 1978, la normativa degli editti precedenti in materia di incendi boschivi e di danneggiamenti forestali, senza innovazioni sostanziali.
A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento la produzione legislativa a difesa dei boschi diventa più frequente, testimoniando un’attenzione crescente verso questa risorsa, soprattutto in vista di un suo sfruttamento commerciale più proficuo.
Nel 1837 il viceré Montiglio
«ravvisato avendo l’attività, che di giorno in giorno va acquistando il commercio dei sugheri greggi […] essendosi allo stesso tempo degnata Sua Maestà di manifestarci la sovrana sua propensione ad usare dei proporzionati riguardi a quelli Speculatori, si Regnicoli, che Stranieri, i quali daranno opera con felice successo alla fabbricazione di turaccioli in sughero, mentre riesce a noi graditissimo l’incarico di annunziare la speciale protezione, che la stessa Maestà Sua è disposta ad accordare a questo novello ramo d’industria nazionale»
emana il Pregone con cui si danno varie disposizioni per la conservazione dei
querceti, taglio e smercio dei sugheri185. Il regolamento impone l’obbligo per
proprietari, feudatari e signori utili, appaltatori e coltivatori di querceti da sughero di dichiarare entro 15 giorni all’Intendenza provinciale l’estensione e i limiti dei querceti già coltivati o che si vorranno coltivare per il sughero, in modo che possano essere inclusi in un apposito registro (art. 1). Tra le proibizioni invece quella di scortecciare gli alberi dal 20 settembre al 1° giugno(art. 7), di introdurre di capre nei querceti in ogni periodo dell’anno (art. 8) e per gli acquirenti di sughero di comprarne da pastori o agricoltori se privi di un permesso scritto del proprietario del querceto (art. 14).
Rimane particolarmente sentito il problema degli incendi, scaturenti sia dalla creazione di narboni all’interno dei boschi, sia dall’attività pastorale. Nel 1840 il viceré Asarta, con la pubblicazione del Pregone Disposizioni viceregie relativamente agli
incendi richiama gli articoli del Codice Feliciano 185 ASC, Atti governativi e amministrativi, vol. XVIII, n° 1304.
«Essendo stati informati dei gravissimi danni che vengono ogni anno cagionati nel Regno per la trascuranza per parte degli agricoltori delle prescritte cautele, e pel riprovevole uso invalso nella classe dei pastori, contro l’espresso divieto delle leggi, di appicciare il fuoco nell’estiva stagione tanto nei terreni che si vogliono aprire, e coltivare, quanto in quelli non destinati alla coltura, ed al seminerio, non che nelle selve, e montagne, ad oggetto di ottenere un più abbondante e miglior pascolo al bestiame, e volendo Noi porre un argine alle funeste conseguenze, che dalla negligenza di essi agricoltori, e dal mal’inteso, e pernicioso sistema dei pastori sono per lo passato, e massime nell’anno scorso, derivate, distruggendosi con frequenti incendii a danno del Pubblico, e dei privati, non solo gli attuali, ed innumerevoli vantaggi che ritrar si possono dai legnami sia per l’economia domestica, che per l’industria, e pel commercio, ma ben anco le fondate speranze delle future generazioni, di cui l’attuale è depositaria e custode»186.
I provvedimenti in merito furono rinnovati due anni dopo dalla Circolare
viceregia ai giudici di mandamento con cui si raccomanda loro di raddoppiare le loro cure per impedire gli incendi emanata dal viceré De Launay187.
Abbiamo accennato all’utilizzo delle cortecce degli alberi (la rusca) da parte dell’industria conciaria, ed evidentemente questo avveniva con una certa spregiudicatezza se nel 1841 si rese necessario emanare il Pregone del conte di Asarta
con cui si danno provvedimenti sovra lo scorzamento degli alberi producente il tannino ad uso delle conce188, la cui pratica «se ha da una parte nel Regno arrecato un bene col
miglioramento di questa manifattura, fu però causa allo stesso tempo di danni gravissimi, ed incalcolabili, attesoché alcuni colla speranza d’un misero lucro sonosi fatti leciti d’introdursi nelle selve, ed ivi scorzare i migliori, e più vigorosi alberi, quale operazione non poté far a meno di farli deperire».
Con il Pregone veniva proibito, pena il carcere, lo scortecciamento di piante vive (escluse quelle di sughera il cui uso in tal senso era regolamentato a sé) (art. 1), a meno che queste non fossero destinate all’abbattimento in breve tempo (art. 2). La corteccia, di cui era vietata l’esportazione (art. 4), poteva essere messa in commercio solo se accompagnata una dichiarazione del Giudice di Mandamento, o del Consiglio Comunitativo, che ne accertasse la legittima provenienza (art. 3).
186 ASC, Atti governativi e amministrativi, vol. XIX, n° 1390. 187 ASC, Atti governativi e amministrativi, vol. XX, n° 1524. 188 ASC, Atti governativi e amministrativi, vol. XIX, n° 1459 bis.