Tra il 1868 e il 1871 viene condotta da Agostino Depretis la prima inchiesta parlamentare sulla Sardegna, con l’ausilio di Quintino Sella, Paolo Mantegazza, Giovanni Battista Tenani, Mauro Macchi e Nicolò Ferracciu. Pur non arrivando mai alla stesura di una relazione finale, la Commissione d’inchiesta aveva raccolto una documentazione consistente sullo stato dell’isola, comprendente memoriali redatti dai comitati popolari locali, delibere di consigli comunali, relazioni di prefetti e Comizi Agrari, nonché processi verbali effettuati durante la permanenza in Sardegna nel 1869.
Il Comitato popolare di Cagliari dimostratosi particolarmente attivo, elaborò dei quesiti da sottoporre ai comuni dell’isola, alcuni di questi incentrati sulla situazione dei boschi e sulla presenza di aree paludose:
- «Esistono boschi e selve nel territorio del Comune e per quale estensione?
- Si eseguirono e si eseguiscono tagli ed in quali proporzioni?
- Ha in seguito ai medesimi sofferto il regime delle acque, a modo che siasi notata una variazione nel loro corso, ed una diminuzione nella loro quantità?
- Quali disposizioni legislative si credono più acconce ad impedire le devastazioni avvenire e rimediare a quelle del passato?
- Se [al lento progredire della popolazione] contribuisca la malsania del clima.
- Se vi sieno acque stagnanti, paludi e se i fiumi sieno arginati.
- Quali mezzi atti a scongiurare i funesti danni derivanti dalle suddette cause?»279.
Lo stesso Comitato in una sua memoria si esprime in questo modo sullo stato di boschi e selve:
«Ad alterare il corso delle acque e le condizioni igieniche si aggiunsero le continue e vandaliche devastazioni, per cui si diradarono bel bello le secolari foreste dell’isola, e caddero sotto la scure di avidi speculatori. La parola della legge fu insufficiente a frenare tanto vandalismo, sia perché lasci essa essa
279 Francesco Manconi (a cura di), Le inchieste parlamentari sulla Sardegna dell’Ottocento. 1 -
troppo largo campo all’arbitrio, sia perché i preposti all’esecuzione della medesima la rendano illusoria per incuria e peggio»280.
Non dissimile la posizione della Deputazione provinciale di Sassari, che accusa apertamente il governo:
«La devastazione dei boschi avvenuta parte per opera del pastore, che abbatte nei rigori dell’inverno le fronde degli alberi d’alto fusto per pascolarne il suo bestiame, od incendia nell’estate il bosco ceduo per avere nell’autunno frasche tenere per uso delle capre; parte per opera dell’agricoltore in quale non vuole di ostacoli al suo passaggio od ha in uggia le piante poiché all’ombra di esse la semente non frutta e nella massima parte per opera di avidi speculatori, molti dei quali autorizzativi dallo stesso Governo. Questa devastazione ha influito non poco nella malsania di alcune parti dell’Isola e contribuito potentemente ai danni derivati dalla siccità negli anni decorsi»281.
La Deputazione chiede inoltre un aumento del personale forestale e un aumento dei loro stipendi in modo che fossero più difficilmente corrompibili, e l’obbligo anche per i privati di sostituire gli alberi di alto fusto abbattuti.
Il Consiglio Provinciale di Cagliari affronta in modo strettamente connesso il problema delle bonifiche e quello del disboscamento. Si denuncia che la Commissione tecnica istituita nel 1861 per lo studio dei lavori di bonifica in Toscana e in Sardegna, occupandosi solo della Toscana per cui erano stai stanziati oltre 21 milioni di lire in cinque anni, aveva totalmente trascurato la Sardegna, che non era nemmeno stata sottoposta a ispezione. Viene evidenziata la necessità delle bonifiche, sia per ottenere terreni da destinare alla coltivazione, sia per combattere la malaria, e per attuarle non si ritiene adatta la politica di laissez faire sino ad allora seguita:
«La rimozione di sì malefica causa non può lasciarsi alla iniziativa privata o collettiva fra gli enti morali e amministrativi; imperocché se un tale principio può essere adottato per opere che in importanza e dispendio non uguagliano quelle delle bonifiche da operarsi, ed in provincie dove la coltura intellettuale è generale, e antichi e molti sono i miglioramenti d’ogni maniera: non può ammettersi per la nostra provincia, né per l’isola, dove tutto è da farsi, perché nulla o poco nel passato si fece»282.
280 Ivi, p. 61. 281 Ivi, pp. 77-78. 282 Ivi, p. 89.
A questo si aggiunge il fatto che per la maggior parte gli stagni e le paludi presenti in Sardegna sono di proprietà demaniale, e quindi lo Stato bonificandole non farebbe altro che svolgere «il dovere di onesto e oculato proprietario cui non torna il tenere una proprietà inutile e meno è consentito di tenerla pestifera e malefica»283.
Rispetto alla correzione delle acque viene ricordato il ruolo importantissimo svolto dalle foreste, compromesse da «antichi e nuovi devastatori», per cui viene con forza richiesto un nuovo Codice forestale, oltre ad una severissima vigilanza:
«Inquirendo pur anco sopra l’esistenza di contratti fittizi redatti per eludere con questioni di proprietà l’azione della legge, e giungere a scoprire quei tanti sopprusi che finora s’indovinarono ma non si poterono impedire, quasiché le nostre foreste meglio che garantite da un regolamento forestale fossero manomesse da una devastazione legalizzata»284.
Il fatto che la strenua difesa della proprietà privata potesse confliggere con la salvaguardia dei boschi è sottolineato anche dal Comitato di Tempio, che regala anche un quadro esaustivo dello sfruttamento delle foreste nel suo circondario:
«Secolari e folte selve di sughero e leccio arricchivano i siti montuosi di questa plaga settentrionale dell’Isola ed offrivano un considerevole prodotto annuo ingrassandovi porci di altre regioni. Su di esse però si fissarono le vedute di avidi speculatori, i quali spopolarono prima la maggior parte dei sughereti per estrarne l’alburno, indi ridussero in carbone e potassa i boschi cedui, finalmente più di tre quarti degli alberi di leccio. I proprietarii di sì ricco patrimonio, nella maggior parte pastori, allucinati da un pugno di monete, e dicasi pure, pressati dal pagamento delle imposte, permisero che la scure di quelli strozzini distruggesse nel giro di qualche lustro il secolare lavorio della natura. Basti dire che dal 1853 fino al presente, ora tre, ora cinque, ed anche sette società impiegano ogni anno per molti mesi cento e più uomini per ciascuna in quell’opera di vandalica distruzione. Gli alberati monti di Gallura sono oggi calve e sterili lande disadatte a qualunque altro genere di produzione.
Per salvare i pochi residui, e render meno funesti gli effetti nelle condizioni atmosferiche, e nel corso delle acque, in cui si sperimenta già notevole diminuzione, è necessaria la tutela del Governo, il quale dee affrettarsi a sanzionare in proposito provvide leggi, che coartando anche i diritti di privata proprietà nell’interesse complessivo di tutta l’Isola, pongano termine
283 Ivi, p. 90. 284 Ivi, p. 91.
a cotanto rovinosa devastazione, e freno all’egoismo dei compratori e venditori di quelle piante»285.
Anche la rappresentanza municipale di Ozieri lamenta la devastazione dei boschi, imputabile alla eccessiva tolleranza di chi era incaricato dalla legge a sorvegliarli e alle concessioni di taglio riguardanti le piante più sane, mentre il comitato locale del mandamento di Ghilarza testimonia l’irregolarità nel deflusso delle acque derivante dai tagli degli anni precedenti.
Il Comitato popolare di Cagliari, raccogliendo le impressioni dei comuni dell’isola, redige il memoriale Sulle condizioni della Sardegna. Osservazioni e proposte
del Comitato popolare di Cagliari alla Commissione parlamentare d’inchiesta, una
parte del quale è dedicata al regime delle acque e alla conservazione delle foreste:
«Le terre lasciate alle sole forze della natura furono in molte parti invase dalle acque, e specialmente quelle meno lontane dalle spiaggie ove si formarono stagni e paludi.
Il dominio delle acque sulle nostre terre, funesto egualmente, sia che giacciano stagnanti, sia che dai fiumi non arginati facciano impeto sulle circostanti campagne, è sorgente di malaria e rende difficile se non affatto impossibile la coltura anche di quelle che non pervennero a occupare […]. A creare questo stato di cose contribuirono assai varie cause naturali, ma molto più l’abbandono e l’incuria totale in cui fu finora tenuto l’intiero regime delle acque.
Infino a che non si facciano cessare queste cagioni di malaria, che acquistarono a tutta l’Isola una trista sebbene esagerata celebrità di clima pestifero, non si riuscirà mai ad attirarvi il capitale per speculazioni ed industrie produttive egualmente al paese ed a chi le intraprenda.
È necessario quindi provvedasi senza indugio a rimuovere con ben diretti lavori di bonifico queste cause che operano constantemente a rendere insalubre l’aria, incoltivabile la terra. In altre regioni si diè mano a quest’opera, ed ivi era molto più difficile e dispendiosa di quello che possa riuscire in Sardegna. Grandi e colossali lavori si iniziarono e si compirono ed i benefici risultati ottenuti fecero parer lievi le gravi spese incontrate.
Il solo governo, non è uopo il dirlo, è in grado di intraprendere lavori siffatti, imposti del resto dai doveri di una buona amministrazione, e da un senso elevato di giustizia e di umanità.
Il valore delle terre sottratte alla malsania, non lieve aumento di prodotti e di popolazione dovrebbero parere agli occhi d’un governo oculato compendi
abbastanza grandi per determinarlo ad incontrarne i dispendj con coraggio e perseveranza.
E qui si presenta l’opportunità a discorrere di altra cagione, che ha potentemente influito a vieppiù sconvolgere il corso naturale delle acque, e ad alterare le condizioni del clima. Avvegnacché non solo si tralasciava di porre argine alla scompigliata distribuzione di esse, ma s’accresceva col menomare l’azione moderatrice delle foreste.
Insufficienza di leggi, che lasciarono in balia di impiegati mal retribuiti l’esecuzione delle norme stabilite per la loro conservazione, agenti poco fedeli al proprio dovere che non seppero resistere alle arti di ingordi speculatori, fecero sì che boschi secolari sparissero in breve tempo sotto i colpi di una scure inesorabile. Onde, non a torto fu detto, che la legge presente stabilì un sistema legale di distruzione. Né i sardi possono aver dimenticato come il tristo esempio venisse dallo stesso Demanio, che vendette agli speculatori vaste estensioni boschive permutarle in deserto arido ed improduttivo. Nonostante la sconsigliata devastazione, molte foreste restano ancora, alla cui conservazione è necessario vegliare, tanto più solleciti quanto più grande fu l’imprevidenza passata. […] La conservazione delle foreste è affare di sommo interesse pubblico, perché sia lasciato sopra di esse l’uso di una libertà non limitata dal dritto di tutto un paese per quanto riguarda la bontà del suo clima ed il corso delle acque»286.
Non solo comitati e consigli comunali condivisero le loro impressioni in merito alle condizioni della Sardegna con la Commissione d’inchiesta, ma anche illustri personalità, come nel caso del memoriale Stato della Sardegna e suoi bisogni, compilato da Ignazio Aymerich, membro del Comitato popolare di Cagliari. Tra i mali dell’isola anch’egli cita la malaria che però afferma non determinare scarsità di popolazione, essendo le aree malsane anche le più popolose «bensì influisce ed allontana i continentali e di cittadini più istrutti e intelligenti, per cui è produttrice d’ignoranza e di poco progresso industriale»287; per ottenerne una diminuzione egli
indica diversi provvedimenti: «con la coltivazione continua di una buona rotazione agraria, con l’alberatura, con il prosciugamento delle paludi e dei terreni umidi, per mezzo di drenaggio, e canali, o riducendo a stagni pescosi a riva secca quelli o per mancanza di scolo o per essere di acqua salata perciò sterili, non si potranno o non converrà prosciugare, e finalmente con buone case d’abitazione provvedute d’acqua potabile»288.
286 Ivi, pp. 232-233. 287 Ivi, p. 268. 288 Ibidem.
Rispetto alle foreste Aymerich è dell’opinione che il miglior mezzo per conservarle sia la proprietà privata, ma solo la proprietà vera e propria, non quella cioè dello Stato o dei comuni, né quella dell’usufruttuario o del fidecommissario, e nemmeno quella di una riunione di individui in società «perché manca a questi l’amore dell’individuale proprietà, e il godimento esclusivo di essa che la base economica del buon governo accennato»289. Da escludere ugualmente quella classe di proprietari
individuali che hanno acquistato dallo Stato, con la possibilità di pagarle a rate, le foreste demaniali come se fossero dei grandi depositi di merci:
«Se il governo dunque male amministrò e conservò le sue foreste quando le possedeva se le vendette poi senza alcuna clausola restrittiva e a credito per 30 anni a compagnie o individui speculatori che tutti, compreso lo stesso governo, sapevano che le compravano per abbatterle e pagarle con gli stessi tagli, giacché il più delle volte non avevano altri mezzi per pagarle, egli non deve stupirsi se il risultato fu quale si prevedeva , né da ciò deve dedursene che i veri proprietari di foreste gli amministrino male»290.
Tutta la documentazione raccolta durante l’inchiesta non fa insomma altro che ribadire concetti che sembrano ormai patrimonio comune nell’isola, ma di cui il governo centrale pare non tenere conto, e registrare la totale mancanza di opere di bonifica, come ammette lo stesso Depretis in una seduta della Camera nel 1870:
«Nella relazione della Commissione d’inchiesta, non avremo molte nozioni da dare sulle bonifiche della Sardegna, perché in quell’isola, se si eccettua qualche prosciugamento incompleto, pel regime dei fiumi in generale, per le bonifiche si è fatto poco più che niente, dal diluvio in poi (si ride)»291.
289 Ivi, p. 311. 290 Ibidem.