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Il denaro nella vita, nell’ideologia e nella produzione letteraria di Dostoevskij

Capitolo 5: Il giocatore di Fëdor Dostoevskij

5.1 Il denaro nella vita, nell’ideologia e nella produzione letteraria di Dostoevskij

Nella letteratura dell’Ottocento si sviluppa particolarmente il binomio denaro e gioco d’azzardo, si chè quest’ultimo può essere definito il particolare morbo endemico della società capitalistico-borghese: originali, seppur numerosi, sono, dunque, i romanzi che sviluppano questo tema.

Il gioco d’azzardo «come raffinatissima sofferenza»293, diviene un vero e proprio

filone letterario che vede l’inizio in Balzac che, nel 1831, con La peau de chagrin, offre uno spaccato del parigino Palais Royal, entro la cui sala da gioco, si consuma il dramma del vizio per la roulette, e che prosegue estendendosi in Europa, ad esempio con il personaggio di Barry Lyndon, un gentiluomo irlandese abile nel gioco d’azzardo, protagonista dell’omonimo romanzo del 1844 dello scrittore inglese William Makepeace Thackeray, ed in Russia, con gli scritti di Puškin, di Lermontov e di Dostoevskij . Il fil rouge che lega tutti questi romanzi è, dunque, il connubio di denaro e gioco d’azzardo, reputato devastante per l’uomo, poiché sfocia nella corruzione morale dell’uomo stesso.

La particolarità degli scritti dostoevskiani si riscontra nel fatto che Dostoevskij scrive del gioco d’azzardo poiché egli stesso esperisce in maniera diretta e «con irresistibile entusiasmo»294, per circa un decennio, tra gli anni sessanta e settanta dell’Ottocento, la devastante ossessione e la dipendenza per la roulette: il problema viene trattato in diverse opere, tra cui Delitto e castigo e, principalmente, Il

giocatore – espressamente dedicato al tema -, romanzi entrambi editi nel 1866.

293 F. M. Dostoevskij, Il giocatore, traduzione di A. Polledro, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2004, p. VII

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La grandezza artistica di Dostoevskij risiede nella sua dote di “pneumologo”, ovvero nella capacità di scandagliare l’animo umano, attualizzando le problematiche che insorgono e che affliggono l’uomo: e, di fatto, i grandi romanzi dostoevskiani sono tutti «drammatici nella costruzione, tragici nella concezione e filosofici nel significato»295; Dostoevskij si mostra capace di narrare il dramma dell’uomo poiché egli stesso vive la torturante scissione dell’anima, patisce e conosce la crisi interiore, e l’inferno del gioco si iscrive in questo ambito.

Numerosi sono gli eventi che si pongono alla radice della passione schiavizzante e della frenesia nei confronti del gioco: le disagiate condizioni economiche a causa dei debiti; il delirante ed instancabile lavoro, osteggiato da fatiche ed ostacoli di varia natura, come soppressioni e censure operate dal governo; i numerosi lutti, in particolare quelli del 1864, che lo sconvolgono profondamente, ovvero la morte per tisi della prima moglie, Mar’ja Dmitrievna, in aprile, dopo una lunga e penosa agonia, e quella del fratello Michail, a luglio, e che portano a conseguenze disastrose.

Come racconta Pietro Citati, Michail, il fratello «più amato»296, lascia la gravosa eredità di un ingente debito che Dostoevskij si impegna a risanare e del mantenimento di tutti i parenti del fratello. Lo scrittore viene stretto nella morsa della famiglia che, disperatamente ed insolentemente, pretende denaro, e si lascia lentamente divorare dai mali dell’infelicità e dell’epilessia, che fortemente lo attanagliano. Nonostante egli provi a mantenere in attività “Epoca”, la rivista fondata con il fratello, dopo quindici mesi è costretto a chiuderla. Il romanziere contrae altri debiti e, nel luglio del 1865, decide di partire da Pietroburgo per la Germania, stabilendosi nella cittadina di Wiesbaden, dove tenta la fortuna al tavolo da gioco: Dostoevskij si pone l’intento di «giocare con la mente “come di marmo, inumanamente fredda e attenta, senza la minima esitazione”; e guadagnare nella frenesia della sera un capitale immenso»297, tale da potergli garantire una vita

295 D. P. Mirskij, Storia della letteratura russa, Milano, Garzanti, 1995, p. 241

296 P. Citati, Il male assoluto. Nel cuore del romanzo dell’Ottocento, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2000, p. 281

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serena. Ma, dopo soli cinque giorni, perde tutto ed è costretto ad impegnare il proprio orologio, rimanendo senza denaro per poter pagare l’albergo presso il quale alloggia e per potersi cibare. Nell’ottobre del 1865 Dostoevskij torna a Pietroburgo dove lavora instancabilmente al romanzo che, configurandosi in nuce come la rielaborazione della devastante esperienza del gioco d’azzardo unita ad una notizia di cronaca su un delitto, sarà poi intitolato Delitto e castigo.

Per far fronte ai debiti, Dostoevskij, nell’ottobre del 1866, si vede costretto a sottoscrivere un contratto stipulato con l’editore Stellòvskij, che prevede la vendita del copyright di tutte le sue opere «per la somma ridicola di tremila rubli»298 e la consegna di un romanzo inedito entro il 31 del mese, dovendo, in tal modo, redigere lo scritto in soli 28 giorni ed essendo obbligato ad interrompere momentaneamente la stesura di Delitto e castigo. Per riuscire a rispettare i termini ed i tempi di consegna, Dostoevskij assume al suo servizio Anna Grigor’evna Snitkina, una giovane stenografa incontrata pochi giorni prima. Il giocatore viene consegnato all’editore nel giorno stabilito, «anche per merito della ragazza e della sua entusiastica collaborazione»299: il rapporto tra Anna e Dostoevskij, durante la collaborazione lavorativa si era intensificato notevolmente, tanto che, nel febbraio del 1867, si sposano e nell’aprile dello stesso anno sono costretti a fuggire da Pietroburgo a causa dei creditori che minacciano Dostoevskij di gettarlo in carcere, e a rifugiarsi «nell’odiosissima e amata»300 Europa, pensando di permanervi per

qualche mese e invece restandoci per quattro anni. A Dresda l’idillio famigliare dura ben poco poiché Dostoevskij fu ripreso dal desiderio irrefrenabile del gioco. A maggio, dopo un lungo viaggio, Dostoevskij, da solo, giunge ad Homburg, e subito raggiunge il Casinò e torna a provare quella commistione tra oblio e sfida che risiede nel meccanismo del gioco. Qui Dostoevskij chiede alla moglie denaro per giocare, perdendo nuovamente tutto.

298 D. P. Mirskij, Storia della letteratura russa, p. 234 299 Ivi

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Dostoevskij impiega una decina di giorni per tornare da Anna ma, una volta a Dresda, decide di non accontentarsi più delle furtive e celeri incursioni nei Casinò: egli vuole ancora giocare, vuole vincere.

Come scrive Citati, lo scrittore vuole abitare nel gioco, «dentro una vera e propria città del gioco, dove costruire per sempre, calcolando sulla forza disumana della mente, la sua fortuna»301 e per questa ragione, durante il mese di luglio, Dostoevskij ed Anna vanno a Baden e qui permangono per cinquanta giorni duranti i quali egli gioca ininterrottamente, perdendo continuamente, fin quando inizia inaspettatamente a vincere. Presto, però, perde di nuovo tutto.

Eppure l’ossessione imperante e primordiale, benché sembrasse svanita, in realtà non è mai cessata definitivamente e, nell’aprile del 1871, a causa della povertà in cui versa disastrosamente, esasperato dalla cupa atmosfera di Ginevra – città in cui risiede in quegli anni con Anna e la figlia Ljuba – e fortemente incupito nell’animo dalla prematura morte della prima figlia Sonja, Dostoevskij parte per Wiesbaden, «assalito ancora una volta dalla furia del gioco»302 ed il meccanismo riprende esattamente dove si era interrotto: nel Casinò della città gioca i talleri «rubati alla loro miseria»303, perdendoli; tormenta la moglie con sempre più frequenti richieste di denaro; prova a desistere invano alla tentazione del gioco, che pure e fortemente lo terrorizza; gioca, guadagna, poi perde tutto. In seguito ad una notte di deliri onirici, lo scrittore deciderà di porre fine alla sua ossessione.

La produzione dostoevskiana riflette, seppur solamente in parte, questa malattia della roulette e le febbrili e laceranti lettere di autoaccusa scambiate con la moglie Anna, ne sono una prova tangibile.

Ma la tormentosa e devastante passione per il gioco e, in misura maggiore, la problematica legata al denaro si riflettono, in primo luogo, nel romanzo Delitto e

castigo, in cui Dostoevskij mette in scena un denso e crudo dramma ambientato a

Pietroburgo ed incentrato sulla ribellione.

301 Ibidem, p. 314

302 Ibidem, p. 319 303 Ivi

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La ribellione presente nel romanzo prevede un atto estremo, intriso di forte valenza simbolica, che il giovane Raskol’nikov compie nei confronti di quella che reputa una gestione inopportuna del denaro da parte della società; egli crede che da questa modalità scaturiscano, nella società e nell’individuo, i dannosi meccanismi dell’usura e della speculazione. Il gesto di ribellione di Raskol’nikov si compie con il fine di annientare, distruggere, “uccidere il denaro”, per liberare la società dalla tirannia che lo stesso denaro esercita sugli uomini. Ma, in ultima istanza, l’oscura e controversa nobiltà di questo gesto apocalittico e redentivo, si rivela fallace poiché, come illustra Giuseppe D’Ambrosio Angelillo304, il denaro è impossibile da

ammazzare per il semplice motivo che il denaro è solo un nulla senza nessun valore. Ma è ne Il giocatore che Dostoevskij si racconta e racconta, con meticolosità, il dramma legato all’inferno della roulette, mettendo in scena la tragedia del guadagno della borghesia.