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Brama e potere: la rappresentazione del denaro nella letteratura realista dell'ottocento

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Sommario

Introduzione ... 3

Capitolo 1: Denaro e letteratura: le teorie filosofiche, socioeconomiche e letterarie ... 7

1.1 Il ruolo del denaro nel realismo letterario del XIX secolo nell’analisi critica di John Vernon ... 8

1.2 Il «pensare monetario»: l’ermeneutica di Marc Shell applicata alla natura linguistica del denaro ... 12

1.3 Il denaro come “valore” e simbolo dell’epoca moderna: la Filosofia del denaro di George Simmel ... 15

1.4 Il realismo nel pensiero di Peter Brooks: nascita e sviluppo della letteratura realista nel periodo della Rivoluzione industriale ... 18

Capitolo 2: Borghesia e romanzo: una nuova società, un nuovo pensiero, una nuova letteratura... 22

2.1 Brevi cenni sulla società capitalista e sull’avvento della borghesia ... 22

2.2 Il romanzo moderno: forme, autori ed interpretazioni del principale movimento letterario del XIX secolo ... 25

2.3 La tematica del denaro nella letteratura del XIX secolo ... 38

Capitolo 3: L’Eugénie Grandet di Honoré de Balzac ... 42

3.1 Il denaro nell’ideologia e nella produzione letteraria di Balzac ... 42

3.2 L’Eugénie Grandet: osservazioni generali sull’opera ... 49

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Capitolo 4: Il nostro comune amico di Charles Dickens ... 61

4.1 Il denaro nell’ideologia e nella produzione letteraria di Dickens ... 61

4.2 Il nostro comune amico: osservazioni generali sull’opera... 64

4.3 Il tema del denaro ne Il nostro comune amico ... 69

Capitolo 5: Il giocatore di Fëdor Dostoevskij ... 77

5.1 Il denaro nella vita, nell’ideologia e nella produzione letteraria di Dostoevskij ... 77

5.2 Il giocatore: osservazioni generali sull’opera ... 81

5.3 Il tema del denaro ne Il giocatore ... 89

Capitolo 6: La roba di Giovanni Verga ... 98

6.1 Il denaro nell’ideologia e nella produzione letteraria di Verga... 98

6.2 La roba: osservazioni generali sull’opera ... 103

6.3 Il tema del denaro ne La roba ... 106

Capitolo 7: L’Argent di Émile Zola ... 113

7.1 Il denaro nell’ideologia e nella produzione letteraria di Zola ... 113

7.2 L’Argent: osservazioni generali sull’opera ... 121

7.3 Il tema del denaro ne L’Argent ... 127

Conclusione ... 138

Bibliografia... 142

Testi ... 142

Saggi critici generali ... 143

Saggi critici specifici ... 146

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Introduzione

Franco Romanò sostiene che «del denaro, della sua penuria o abbondanza, si parla e si scrive da sempre [e] soltanto la guerra e l’amore occupano uno spazio più ampio in letteratura»1. Più specificatamente, si può asserire che, nella produzione letteraria realista del XIX secolo, il tema del denaro, in quanto legato indissolubilmente alla società e alla cultura borghesi, costituisce uno dei fulcri narrativi principali.

Il fine dell’elaborato è quello di indagare ed analizzare la letteratura ottocentesca, ed in particolar modo la corrente del realismo, evidenziando la correlazione con la borghesia e con la società industriale, rintracciando nella tematica relativa alla sfera economica il nucleo fondante dell’azione romanzesca.

Per fornire un quadro simultaneamente ampio e dettagliato dell’argomento proposto e sottolineare lo stretto rapporto che intercorre tra denaro e letteratura, ho scelto, pertanto, di inserire un primo livello interdisciplinare, partendo, dunque, dalle analisi critico-sociologiche condotte da John Vernon nel volume Money and

Fiction. Literary Realism in the Nineteenth and Early Twentieth Centuries2 e da

Marc Shell nel saggio Money, Language and Tought3; in secondo luogo, ho condotto una riflessione sul concetto di denaro basandomi su di un interessante contributo proposto da Giovanna Sarti4, che apre a nuove prospettive analitiche sul saggio La filosofia del denaro di George Simmel5; infine, ho deciso di fornire una panoramica sul movimento culturale del realismo ottocentesco utilizzando il saggio

1 F. Romanò, Il cesello arrugginito. Il denaro nelle rappresentazioni letterarie, in A. Voltolin a cura di, L’ideologia del denaro. Tra psicoanalisi, letteratura, antropologia, Milano-Torino, Bruno Mondadori, 2011, p. 133

2 J. Vernon, Money and Fiction. Literary Realism in the Nineteenth and Early Twentieth Centuries, Londra, Cornell University, 1984

3 M. Shell, Money, Language and Thought. Literary and Philosophical Economies from the

Medieval to the Modern Era, University of California Press, Berkeley, 1982

4 G. Sarti, La Filosofia del denaro di Georg Simmel, in “Inchiesta letteratura” (114), Bari, Edizioni Dedalo, ottobre-dicembre 1996

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Realist vision6, in cui Peter Brooks analizza il concetto di realismo rapportato alla letteratura e alla società del XIX secolo.

Da queste analisi critiche è possibile desumere importanti premesse dello studio proposto, poiché forniscono un chiarimento iniziale che si pone come necessario al fine della comprensione dell’intero elaborato, in quanto testi riguardanti il valore che il denaro assume nella società ottocentesca: poiché tutti i valori tradizionali vengono sostituiti dalla fredda logica borghese, le manifestazioni culturali di questa società si muovono in maniera sempre maggiore in direzione della prospettiva economica, che giunge, in ultima istanza, a permeare il sostrato narrativo delle maggiori opere letterarie. Ma l’elemento distintivo e caratterizzante, che riesce ad esprimere le esigenze della società borghese, è rappresentato da una forma narrativa in particolare, ovvero il romanzo, che nell’Ottocento si tramuta in «fatto culturale»7,

configurandosi come la forma letteraria principale e preferenziale che, grazie alla dinamicità e al polimorfismo che presenta, ingloba tutte le altre, andando a ridefinire, in nuce, «il senso della realtà, il fluire del tempo e dell’esistenza individuale, il linguaggio e le emozioni e i comportamenti»8.

Per queste ragioni, ho scelto di dare ampio spazio alla questione del romanzo, fornendo una panoramica completa - storica, sociale e culturale - di questo proteiforme macro-genere: in primo luogo ho scelto di offrire una dettagliata analisi del romanzo, con brevi ma incisivi accenni riguardanti la sua nascita e con una trattazione più ampia sulla sua diffusione, mantenendo come punto cardine della trattazione la commistione con la società borghese, vera fautrice del mutamento culturale e letterario ottocentesco; in secondo luogo mi sono avvalsa di un apparato critico contenente testi fortemente rappresentativi ed esaustivi, proponendo, in primis, importanti teorie riguardanti il romanzo, spaziando da quelle più illustri e

6 P. Brooks, Realist vision, 2005

7 F. Moretti, Il romanzo, in F, Moretti a cura di, Il romanzo, La cultura del romanzo (vol. 5), Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, p. XVII

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tradizionali, suggerite da György Lukács9 e da Erich Auerbach10, a quella più recente, ma fortemente sintetica, sostenuta da Guido Mazzoni11.

Tali premesse mi hanno indotto ad un percorso di indagine lungo la linea di cinque narrazioni emblematiche del secolo: Eugenia Grandet di Honoré de Balzac, Il

nostro comune amico di Charles Dickens, Il giocatore di Fëdor Dostoevskij, La roba di Giovanni Verga e Il denaro di Émile Zola.

Invero, non tutte le opere scelte sono romanzi in quanto il testo verghiano proposto è una novella: l’inserimento di quest’opera è giustificato da due fattori di spicco, in quanto da un lato la novella si configura come retaggio della forma romanzesca, dall’altro rappresenta una particolare forma narrativa che, poiché inserita in una raccolta di novelle più ampia basata su di un tema prevalente, può essere considerata come facente parte di una narrazione unica e dunque, non come racconto isolato. Ho scelto di strutturare ognuno dei cinque capitoli su cui si snoda il fulcro della trattazione in maniera simmetrica, utilizzando il criterio cronologico per ordinare le opere al fine di mostrare l’evoluzione e la diversificazione della prosa letteraria ottocentesca: in primo luogo, ho deciso di fornire una panoramica generale del percorso tematico del denaro così come tracciato dagli autori delle opere prese in esame, con il fine di illustrare gli snodi narrativi principali, mettendo in luce le ragioni che hanno spinto gli autori alla composizione delle proprie opere (politiche, sociali, personali); in secondo luogo, propongo una contestualizzazione storico-critica dell’opera, completa di sinossi; infine, con l’analisi narrativa di passi scelti, che costituisce il centro della proposta di studio, intendo fornire un contributo di approfondimento ed uno spunto di riflessione riguardanti il ruolo che la prospettiva economica ed il denaro investono all’interno della narrazione.

Di fatto, ciò che voglio maggiormente evidenziare e che rappresenta il fulcro dello studio ivi proposto, è la modalità con cui, in ognuna di queste opere ed in maniera fortemente diversificata, il denaro, nella letteratura realista ottocentesca, si rapporta

9 G. Lukács, Die Theorie des Romans, 1916

10 E. Auerbach, Mimesis: Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, 1946 11 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, Bologna, Il Mulino, 2011

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con l’uomo: particolare attenzione pongo alle manifestazioni più estreme e tragiche, nelle quali la forza del denaro spinge l’uomo in direzioni devastanti, acuendo in lui la già spasmodica brama di potere e portandolo, in ultima istanza, all’autodistruzione.

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Capitolo 1: Denaro e letteratura: le teorie filosofiche,

socioeconomiche e letterarie

Se fino al Settecento, in letteratura, il denaro era stato demonizzato in quanto simbolo dell’avarizia e dell’avidità, fattori partecipi al decadimento della morale e della corruttela dei costumi intesi come «spreco rituale dei beni»12, dall’Ottocento in poi, in un clima morale meno rigido, diviene protagonista di un processo di riqualificazione e, successivamente, persino di deificazione, fino ad essere eletto, dunque, metro di giudizio sugli uomini e per gli uomini: il denaro si caratterizza per essere strumento di identità in quanto manifestazione di potere economico e , conseguentemente, di prestigio sociale. Il denaro si collega anche a tematiche quali inganno, fortuna, gioco e, soprattutto nella variante romanzesca francese, ai temi dell’eredità, della scalata sociale e delle strategie matrimoniali.

Alla luce di queste considerazioni riguardanti la stretta connessione che intercorre tra romanzo moderno ottocentesco e denaro, si è scelto di affrontare, in primis, un percorso intertestuale volto all’analisi del contesto societario ed economico entro cui si articola la produzione romanzesca moderna in cui la tematica del denaro è preponderante.

Al fine di offrire una premessa metodologica della tematica su cui l’elaborato è incentrato, di seguito si propongono quattro analisi critiche che ripercorrono, in ambiti di studio differenti, il rapporto tra denaro e letteratura: la prima, a cura di John Vernon e contenuta nel volume Money and Fiction. Literary Realism in the

Nineteenth and Early Twentieth Centuries13, riguardante lo studio del realismo letterario alla luce del confronto con la rappresentazione economica, sociale e letteraria del denaro; la seconda, di carattere filosofico ed economico, condotta da

12 A. Barbieri A. e E. Gregori a cura di, Letteratura e denaro. Ideologie metafore e rappresentazioni, Padova, Esedra, 2014, p. X

13 J. Vernon, Money and Fiction. Literary Realism in the Nineteenth and Early Twentieth Centuries, Londra, Cornell University, 1984

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Marc Shell nel saggio Money, Language and Tought14, che verte sull’analisi semantica del denaro; la terza, che completa le premesse dell’analisi precedente, condotta da Giovanna Sarti, esposta in un articolo redatto sulle teorie presenti nel sistema filosofico di George Simmel e contenute ne la Philosophie des Geldes15, sul concetto di valore del denaro; la quarta ed ultima, presenta una breve esposizione dei temi apicali presenti nel saggio Realist vision16, a cura di Peter Brooks, professore di letterature comparate presso l’Università di Yale, in cui affronta il concetto di realismo in tutte le rappresentazioni artistiche, prendendo come modelli della sua trattazione i grandi romanzi della letteratura e l’arte visiva inglese e francese del XIX e del XX secolo.

1.1 Il ruolo del denaro nel realismo letterario del XIX secolo nell’analisi critica di John Vernon

Il saggio di John Vernon, Money and Fiction. Literary Realism in the Nineteenth

and Early Twentieth Centuries, è basato sulla disamina del ruolo che il denaro

ricopre all’interno del romanzo moderno: l’analisi proposta da Vernon si articola in diversi ambiti di studio – letterario, economico e sociologico – e parte dalla premessa che lo studio sul realismo letterario si rivela fondamentalmente incompleto senza una chiarificazione circa le altre forme di rappresentazione, in particolare quelle economiche, e che non è possibile comprendere pienamente queste forme rappresentative se prima non vi si associa il dato societario, che viene espresso dalla narrazione.

14 M. Shell, Money, Language and Thought. Literary and Philosophical Economies from the

Medieval to the Modern Era, University of California Press, Berkeley, 1982

15 G. Simmel, Philosophie des Geldes, Berlino, Duncker & Humboldt Verlag, 1900 16 P. Brooks, Realist vision, 2005

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In primo luogo Vernon, utilizzando nell’analisi compiuta un metodo la lui stesso definito “eterogeneo” – che, di fatto, mette in stretta relazione teoria e concretezza degli eventi - mostra come il denaro «like the novel, it functions metonymically, tought like the novel it is also a form of rapresentation whose properties demand scrutiny in themselves»17. Il denaro, per Vernon, rappresenta «the most convenient of a number of keys»18, la migliore chiave di lettura, atta alla comprensione non solamente del romanzo e della società del XIX secolo, ma dell’intero processo sociale che ha portato alla costituzione della società attuale.

Il romanzo del XIX secolo è definito “realista” poiché rappresenta la realtà e “l’elemento del reale” si pone, dunque, come connotato effettivo della fiction narrativa. Per Vernon, l’elemento del reale è rappresentato dal denaro, fortemente presente in questa tipologia narrativa: «money is at the very least a sign of reality in the novel, […] a sign of the rupture form by reality»19. Nella sua esposizione,

Vernon precisa come i termini “realism” e “realistic” vengano impiegati in riferimento ad una tipologia specifica e circoscritta di novel, che egli considera «both document and form»20, come se fosse, dunque, un documento storico, in quanto, questa particolare forma letteraria mostra un atteggiamento ed una mentalità volti al denaro e registra, al suo interno, questi stessi atteggiamenti. Con il suo saggio, dunque, Vernon inaugura una nuova «rhetoric of fiction»21 e, dunque, una modalità del tutto innovativa di intendere la narrativa, ed istituisce una metodologia più accurata, che egli definisce “semantica della finzione”, poiché «the meaning of realistic fiction is always social, its strategies are never purely formal, and its signs are political as well as aesthetic»22: il novel non è semplicemente «a

window upon history»23, poiché non consiste in un puro agglomerato di retorica, bensì si basa sulla realtà politica e sociale e ne individua ed esprime pienamente i

17 J. Vernon, Money and fiction, cit. p. 22 18 Ivi 19 Ibidem, p. 23 20 Ibidem, p. 21 21 Ivi 22 Ivi 23 Ivi

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processi e le mutazioni. La dimensione di socialità diviene centrale all’interno della narrativa romanzesca del XIX secolo: i romanzieri generalmente vengono indicati come sovversivi, non solo perchè il romanzo moderno nasce dalla satira e dalla parodia e non solo perché l’elemento del reale è appositamente inserito nell'ottica dell’obbligo negativo di astenersi dall'idealizzare la realtà, ma forse soprattutto perché nel romanzo realistico il carattere sociale del comportamento è ovunque incorporato nella vita degli individui - nella loro morale, nei loro scrupoli, nelle loro fortune, nei loro vestiti, nei loro disorienti, nel loro fallimento e nei loro matrimoni. Questa forma di estrema caratterizzazione di socialità del personaggio, che riflette l’individuo moderno, viene rappresentata pienamente nella finzione semantica realistica e, infatti, «the results are that astonishing collection of novels whose power to undermine their own most cherished assumptions is still undiminished»24. In questa visione, il denaro si colloca come punto di snodo fondamentale e rappresenta sia le più grandi forze economiche - in particolare la Rivoluzione industriale – sia quelle di portata minore, di carattere psicologico, riscontrabili nel desiderio, nel bisogno e nell’ambizione. L’interrogativo che pone Vernon sull’origine del valore psicologico del denaro è amletico - «does desire give rise to money or money to desire?»25 - e la ricerca di una risposta riguardante cause univoche viene indicata, ovviamente, come futile. Il denaro e la sua originale ricchezza etimologica derivano dal suo potere come mediatore, ruolo che ha sempre svolto tra l'individuo e la storia, tra l'estetica e l'economia, tra il sociale e il materiale; quest’ultimo accostamento si lega indissolubilmente al «“world” of realistic fiction»26, ovvero a quella precisa interdimensione letteraria individuata

nel romanzo realista moderno, sebbene nessuno di questi sarebbe concretamente possibile senza una comprensione delle realtà storiche ed economiche pure presenti all’interno del novel.

Inoltre, uno dei punti focali dello studio di Vernon è individuabile nel concetto di natura ambivalente del denaro, presentata sia da un punto di vista societario, sia da

24 Ibidem, p. 25 25 Ibidem, p. 22 26 Ibidem, p. 19

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un punto di vista letterario. In primo luogo, questo carattere di ambivalenza del denaro è rintracciabile a livello societario, in quanto diviene «the major social bond»27: di fatto, «in the nineteenth century money became both social glue and social solvent, a leveler and a key to social power, the thing that made people equal and unqual»28, andando ad affermarsi, dunque, come criterio unico di discernimento sociale e del meccanismo di inclusione ed esclusione dalla società che naturalmente ne consegue. Rifacendosi alle teorie marxiste, benché precisi chiaramente di non essere un seguace della dottrina di Marx - «I am not a Marxist. I don’t believe that social and economic relity always determines thoughts»29 - Vernon illustra come il denaro rappresenti, anche, quel vincolo, individuato come il principale, in grado di soggiogare a sé qualsiasi facoltà umana, benché preservi, nella sua teoria, quel ruolo “salvifico” per l’individuo, da un punto di vista psicologico, poiché « money also spurred will the form of ambition and self-interest by serving as the universal object of desire»30.

In secondo luogo, per ciò che concerne la questione letteraria, il denaro, se da un lato sostiene e accresce i sogni romantici dei lettori di ogni classe sociale, che si rivedono negli eroi e nelle eroine protagonisti dei romanzi, dall’altro ne costituisce il limite, andando a porsi come ostacolo nell’atto pratico della realizzazione del fine eroicamente e romanticamente inseguito.

Il denaro, dunque, “vince” su tutto e perde la funzione meramente rappresentativa - «labor, value, exchange, wealth, commodities, or even (not least) excrement»31 - e, in ultima istanza diviene rappresentazione concreta della realtà: «money is the very least a sign of reality in the novel, that is, a sign of a rupture of form by reality»32. 27 Ibidem, p. 20 28 Ivi 29 Ibidem, p. 22 30 Ibidem, p. 21 31 Ibidem, p. 19 32 Ivi

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1.2 Il «pensare monetario»: l’ermeneutica di Marc Shell applicata alla natura linguistica del denaro

Il nucleo della teoria esposta da Marc Shell si basa sull’analisi della natura linguistica del denaro in quanto sovrapposizione dicotomica di linguaggio e denaro. Di fatto, Shell, già nella sua opera precedente, The economy of literature33, sviluppava le sue premesse teoriche basate sul “pensare monetario”, dimostrando come il pensiero economico, rapportato in qualsiasi periodo storico, servendosi della modalità analitica da lui scelta, venisse analizzato in maniera più approfondita e dettagliata rispetto ad uno studio compiuto attraverso l’utilizzo della tipologia di analisi tradizionalmente diffusa: dimostrando la stretta connessione che intercorre tra teoria e produzione letteraria ed economica, Shell introduce nuovi metodi di analisi dei testi e mostra come opere letterarie e filosofiche possano, di fatto, essere utili al fine della comprensione dei processi sociali.

La tesi mostrata da Shell nel saggio Money, Language and Tought si basa sul fatto che «lo scambio monetario e la simbolizzazione pervadono la letteratura e la filosofia, al pari dei processi di produzione che sono loro associati, fornendo al pensiero una forma e provocandovi una resistenza inquietante ma non priva di stimoli»34 e il concetto cardine di questa tesi, che si realizza nell’interpretazione semiotica del denaro, è espresso da una semplice proposizione: «come mai le parole, o le monete, servono per pagare, dal momento che “non sono niente”?»35. Shell esplora come il denaro ed il linguaggio diano un “valore”, fornendo un mezzo di scambio, come la natura del denaro abbia portato ad una rivoluzione nel pensiero e nel linguaggio filosofico e in quale modo le parole siano in grado di trasformare, in maniera immediata, semplici oggetti e merci in simboli simultaneamente estetici e pratici. Esplorando le iterazioni che intercorrono tra semantica e produzione economica, in quanto processi formativi dell’informazione e, dunque, “produttori

33 M. Shell, The economy of literature, Londra, Johns Hopkins University Press, 1978 34 M. Shell, Moneta, linguaggio e pensiero, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 221

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di discorso”, attraverso l’analisi di una selezione di testi di autori noti nel vasto panorama letterario, Shell mostra come il linguaggio abbia risposto alla dissociazione del simbolo da ciò che è la caratteristica naturale del denaro, ovvero come lo sviluppo dell’oggetto denominato “denaro” abbia coinvolto e modificato profondamente il significato linguistico attribuito ad esso. Di fatto, secondo l’indagine compiuta, riguardante la coppia dicotomica denaro-linguaggio, Shell dimostra come la letteratura e la filosofia siano stati portati a discutere autocriticamente per un “denaro della mente”, giungendo, in ultima istanza, ad evidenziare quei limiti culturali e politici che la letteratura e la filosofia moderne mostrano di possedere.

Ad esempio, nell’excursus proposto nel saggio, che ripercorre le tappe salienti dell’oggetto inteso comunemente come denaro e, dunque, come “oggetto atto allo scambio”, Shell mostra come sia con l’introduzione dell’utilizzo della cartamoneta che «l’esser nulla diviene evidente»36 in un processo socio-economico, oltre che

linguistico, di concretizzazione del nulla ed attribuzione di una valore ben definito al nulla stesso. Di fatto, fin quando la moneta era un bene reale, ovvero «fin quando la moneta era d’oro ( o d’altro metallo, o fatta di stuoie, di coperte, di noci di cocco, di pecore, di schiave) si poteva credere che servisse a pagare della sua realtà, o della sua materia»37, benché, anche in questo caso, «l’oggetto assume valore monetario nella misura in cui perde valore reale, e viceversa»38 ma, il dato di fatto che mette in crisi il sistema economico è che la cartamoneta non possieda un valore di per sé, ma rappresenta esclusivamente un valore in una dinamica di scambio, assumendo, dunque, un mero valore monetario. Nonostante ciò e nonostante il nulla di cui si sostanzia la moneta, si parla di “insostituibilità pratica” del denaro.

In questa trasformazione valoriale del nulla, vi è una progressiva de-sostanzializzazione del valore delle materie prime - sia valore marxista del lavoro, sia valore utilitario neoclassico - in favore del concetto di caratteristica performativa della lingua: il culmine si riscontra nell’attribuzione di un valore, arbitrariamente

36 Ivi 37 Ivi 38 Ivi

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condiviso, al referente, ovvero l’elemento extralinguistico, utilizzato come mezzo di scambio: il denaro. Il valore dato agli oggetti, non è intrinseco a questi, siano essi materiali o immateriali, ma è frutto di una produzione collettiva, ovvero una convenzione “cognitiva” comune che pone un determinato valore ad un determinato oggetto, senza che questo possegga realmente e concretamente, in alcuna manifestazione che presenta, tale dato valoriale.

Altri due processi che si realizzano simultaneamente sono la “monetizzazione del pensiero” e la “monetizzazione del linguaggio”, ovvero l’influsso, da parte del sistema economico, nei tratti non solo meramente linguistici e, dunque, nel momento di individuazione di un oggetto come tale, che presenta un valore, una caratteristica ed un fine specifici.

Dunque, vi è una natura linguistica del denaro e Shell mostra come una moneta sia «contemporaneamente una proposizione e una cosa»39. L’ingresso del linguaggio monetario si ha in maniera diretta nel processo di produzione e l’azione comunicativa diviene sempre maggiormente presente nell’ambito meramente economico-lavorativo, ovvero nel momento in cui si dà la misura del valore, sia dal punto di vista pratico, sia da quello linguistico: « “valere” significa, infatti, aver efficacia, e né il denaro, né il parlare hanno efficacia altrimenti che facendo agire»40. Da un lato, dunque, l’atto pratico dell’agire, dall’altro il comando dettato dalla necessità dell’agire stesso che, in ottica societaria, si tramuta in quel «segno monetario [che] conserva quella potestà di farsi obbedire»41, lungi dal momento in cui il denaro, diventando generico, cessi di indicare una funzione specifica e, dunque, un’autorità determinata.

Fondamentalmente, denaro e linguaggio hanno la stessa “natura ideale” e la risultante è che denaro, in quanto oggetto economico, e lingua si sovrappongono in misura tale che la moneta diviene convenzione “assoluta” ed inseparabile dalla prassi della strategia linguistica e comunicativa: il valore delle materie prime è, contemporaneamente, monetario e linguistico.

39 Ibidem, p. 197

40 Ibidem, p. 11 41 Ibidem, p. 12

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Il denaro e il linguaggio sono, sostanzialmente «sistemi e produzione di scambio, complementari e in concorrenza»42 e, per questo, il denaro è individuabile come attivamente partecipe del linguaggio intero ed è per questo che «l’influenza della forma monetaria sul pensiero, a differenza del contenuto, non può essere scalzata dal discorso senza trasformazioni per il linguaggio stesso»43.

In ultima istanza, linguaggio e pensiero non a riescono «a liberarsi dalla loro forma economica»44, in quanto, paradossalmente, “condizione esistenziale” degli stessi e il consiglio di Vittorio Mathieu, che cura l’introduzione italiana al saggio di Shell, appare, dunque, come un’esortazione quasi consolatoria: da un lato, utilizzare il linguaggio per definire idealmente il progetto, dall’altro lato, servirsi del denaro per la realizzazione del suddetto.

1.3 Il denaro come “valore” e simbolo dell’epoca moderna: la Filosofia del

denaro di George Simmel

Ne la Filosofia del denaro, Georg Simmel conduce un’analisi simultaneamente filosofica, sociologica ed economica che verte sul concetto di denaro, dove il denaro rappresenta simultaneamente “simbolo ed espressione” della sua concezione relativista e possiede una natura ancipite: da un lato rappresenta «il principio metafisico della relatività delle cose, e cioè “l’espressione adeguata del rapporto dell’uomo con il mondo”, dall’altro esso è “mezzo, materiale o esempio di rappresentazione delle relazioni che sussistono tra i fenomeni esteriori, realistici e casuali»45. In ultima istanza, nella concezione di Simmel, il denaro è la «chiave

42 Ibidem, p. 222

43 Ivi

44 Ibidem, p. 16

45 G. Sarti, La Filosofia del denaro di Georg Simmel, in “Inchiesta letteratura” (114), Bari, Edizioni Dedalo, ottobre-dicembre 1996, p. 93

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d’accesso alla totalità dell’esistenza, in cui, però la “comprensione conclusiva è trasferita all’infinito”»46. Il denaro, però, nell’analisi simmeliana, «assume […]

anche un significato metaforico nel senso che simbolizza le caratteristiche della modernità»47.

Ed infatti, Simmel indica il denaro come il simbolo dell’epoca moderna e tramite l’analisi che compie, «egli mostra […] l’ambivalenza insita nello sviluppo del mondo moderno, e le ripercussioni sulla vita interiore ed esteriore degli individui»48: inteso come punto cardine sul quale poggiano i rapporti sociali, congiuntamente alla concezione e al valore comunemente attribuitigli dalla società, il denaro diviene fautore di quei processi di spersonalizzazione e, in ultima istanza, di alienazione dell’individuo. In questo contesto storico, Simmel mostra come l’individuo venga fagocitato dal sistema societario, in quanto, alla base dei processi sovracitati, si pone la tramutazione della società in direzione della monetizzazione organizzativa della stessa.

Questione interessante, affrontata nella prima parte della dissertazione simmeliana, è quella dell’“essenza del denaro” inteso come valore: «il valore non è mai una caratteristica intrinseca delle cose, ma il correlato del desiderio del soggetto indirizzato verso un oggetto ad esso contrapposto»49. Di fatto, il concetto di valore si configura come inerente al processo di discernimento che intercorre tra il mondo e l’individuo: nel qui ed ora, come in un meccanismo di quête, l’oggetto del desiderio anelato dall’individuo si dimostra ed è, di fatto, irraggiungibile, ed è proprio quel carattere di difficoltà, di distanza, di ostacolo che intercorre tra individuo ed oggetto che dà a quest’ultimo quel connotato puramente ed espressamente valoriale benché, talvolta, vi sia un meccanismo di avvicinamento tra oggetto e individuo che genera «impulsi soggettivi di godimento»50 e che però, si rivela vano, donde quel carattere di “oggettivizzazione del valore”. L’oggetto

46 Ivi

47 A. Cavalli e L. Perucchi in G. Simmel, Filosofia del denaro, p. 13 48 G. Sarti, La Filosofia del denaro di Georg Simmel, p. 93

49 Ivi

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diviene, dunque, un valore. In ambito economico vige un principio di relatività del valore: vi è una moltitudine di oggetti, «il cui valore si determina in base al rapporto di reciprocità che si instaura tra di essi»51 ed in questa dinamica di interazione, il valore non diviene qualità intrinseca all’oggetto stesso, bensì assume un connotato “sovra-soggettivo” oppure “sovra-individuale”. Di fatto, se lo scambio rappresenta la condizione dell’esistenza del valore economico, «esso è anche la forma in cui prevalentemente si manifesta l’interazione tra gli uomini»52. In quest’ottica il

prezzo è quel “sacrificio” che l’individuo è disposto a compiere per possedere l’oggetto ed il valore che questo assume. Il denaro è, simultaneamente «l’espressione del valore delle cose»53, ovvero la misura del valore dell’oggetto, e

il mezzo del processo di scambio. Nonostante, per Simmel, «il valore funzionale della moneta tenda a sostituire quello sostanziale»54, è in virtù del ruolo ambivalente del denaro che viene esso stesso percepito come portatore di valore intrinseco e non puramente come “simbolo rappresentativo” del valore di un oggetto. Secondo Simmel, ciò si trova a fondamento di quel processo di modernizzazione che interessa la società, che si concretizza nella «dissoluzione di tutte le determinazioni qualitative della realtà in determinazioni puramente quantitative»55 cui segue lo spostamento dell’asse percettivo della realtà e l’istituzione, all’interno della società, di un’autorità sociale. Il denaro diviene, inoltre, in ottica universalmente intesa, «principio di livellamento democratico delle differenze qualitative [che] si pongono al servizio di qualsiasi utilizzazione, offrendo, così, sul terreno stesso dell’uguaglianza astratta, una potente arma per l’affermazione di interessi egoistici e disuguaglianze sostanziali»56. 51 Ivi 52 Ivi 53 Ivi 54 Ivi

55 G. Simmel, Filosofia del denaro, p. 221

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1.4 Il realismo nel pensiero di Peter Brooks: nascita e sviluppo della letteratura realista nel periodo della Rivoluzione industriale

Per Brooks, il romanzo realista è la tipologia narrativa che, poiché possiede la specificità di destinazione di rappresentazione del mondo reale, insita nella propria natura finzionale, più di ogni altra è in grado di dispensare «un senso ludico molto simile da quello offerto dal modello in scala»57, ovvero quel modèle réduit, che la stessa letteratura realista si propone di offrire al lettore.

Intercorre, inoltre, uno stretto legame tra letteratura definita realista – ovvero la tipologia narrativa che si pone la “pretesa” del realismo - e senso visivo, in quanto sono accumunati dalla facoltà di guardare le cose, ovvero di «registrare la loro presenza nel mondo attraverso la vista»58: la narrazione si pone simultaneamente sia come rappresentazione del reale sia come finzione, in quanto “deve mentire”. L’iter per giungere alla definizione di letteratura realista e all’accettazione del ruolo dell’elemento del reale all’interno del processo compositivo narrativo è stato lungo e tortuoso poiché, nonostante negli uomini vi siano sempre state l’attenzione e l’esigenza di rappresentazione del reale, questo elemento è stato talvolta dissimulato oppure soppresso del tutto, poiché non confacente agli standard di bellezza in auge in quanto la quotidianità veniva sostanzialmente vista come “brutta e banale”. Dunque, il realismo, «così come ci è noto, come etichetta che applichiamo ad un periodo e a una categoria di opere, appartiene al momento dell’ascesa del romanzo come genere relativamente libero da regole, rivolto alle persone normali, di cui rappresentava la vita privata»59, ponendo, così, le proprie basi nel processo di drammatizzazione dello «straordinario all’interno dell’ordinario»60. Brooks spiega come il romanzo realista nasca e si sviluppi nel

XIX secolo, in concomitanza con la nascita e l’affermazione della borghesia

57 P. Brooks, Lo sguardo realista, Roma, Carrocci, 2017, p. 13 58 Ivi

59 Ibidem, p. 19 60 Ivi

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europea e con fenomeni che da essa derivano: da un lato il nascente concetto di “tempo libero”, soprattutto per le donne, e, dall’altro, lo sviluppo dell’interesse per la sfera privata e per «gli aspetti psicologici e morali che sottendono le scelte individuali»61. Il romanzo moderno realista nasce anche in concomitanza con eventi di grande importanza come la diffusione della stampa – e la conseguente circolazione di numerose copie dei volumi e delle opere, il processo di alfabetizzazione e la conseguente pratica della lettura individuale – che costituisce una novità nel panorama delle attività legate al fruizione del tempo libero da parte della classe media – e la frequentazione delle biblioteche: tutto ciò porta Brooks ad asserire come effettivamente lo sviluppo del romanzo sia legato fortemente e paradossalmente al concetto di interruzione della privacy e della conseguente intromissione nell’intimità del singolo individuo. Inoltre, il proliferare delle arti e delle scienze che in questo periodo assumono le proprie teorizzazioni più moderne ed aggiornate, si affianca ai processi rivoluzionari sociali e politici e alla Rivoluzione industriale che costituiscono, per Brooks, le «caratteristiche che definiscono qualsiasi scrittura di tipo realista»62, in quanto volontà di confronto con queste problematiche ed in questo quadro, poiché la situazione politica interna ad ogni Paese europeo diventa, dunque, terreno fertile per la narrazione, Brooks inserisce due particolari forme narrative realiste europee: il “romanzo industriale” inglese, «che affronta i problemi della miseria sociale e del conflitto di classe»63 e il roman social francese, che invece è volto alla narrazione della prospettiva socialista, in tutte le varianti popolari. Di fatto, mentre la Francia è agitata dai moti rivoluzionari che tendono al sovvertimento delle istituzioni da cui deriva, dunque, in ambito letterario, uno spiccato interesse per la storia della società contemporanea, in Inghilterra, primo Paese in cui avviene la Rivoluzione industriale, si sviluppa un interesse narrativo volto principalmente al panorama urbano e ai luoghi che lo caratterizzano, come le fabbriche. Nonostante queste differenze iniziali, il panorama letterario europeo del XIX si sviluppa in direzione complessivamente

61 Ivi

62 Ibidem, p. 20 63 Ivi

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univoca e, tra le tematiche narrative maggiormente diffuse, figurano soprattutto l’economia e il denaro; quest’ultimo, di fatto, nella società moderna, «emerge come nesso di tutte le relazioni sociali, e rappresentativo di esse»64. Il denaro sostituisce tutto ciò che, nell’Antico regime, veniva considerato un bene, una proprietà, andando a rappresentare il valore di qualsiasi possedimento, secondo un processo che Brooks chiama cash nexus e che fondamentalmente consiste nella «transizione dall’identità ereditata all’identità acquisita dell’uomo»65 che, inscritto in una

prospettiva economica, svolge un determinato ruolo o ricopre una determinata mansione legata allo stesso denaro. Riprendendo le teorie marxiste, Brooks mostra come il denaro, nella società moderna, rappresenti, dunque, «la fluidità e l’impalpabilità delle cose all’interno di un’economia»66 mobile, che affronta

progressivamente situazioni talvolta contrastanti tra loro. Servendosi delle teorie dello strutturalismo linguistico saussuriano, Brooks spiega come nella società borghese il denaro non rappresenti solamente un mero valore, ma lo indichi, lo incarni e lo denomini, giungendo a «rappresentare la rappresentazione stessa»67, in un meccanismo in cui l’oggetto che rappresenta il valore, ovvero il denaro, diviene esso stesso valore e che, trasposto in letteratura, porta i romanzieri realisti a comprendere e narrare come «quelle parole, ovvero gli scellini o i franchi, sono inserite in un sistema di circolazione soggetto all’inflazione e alla deflazione, e che i significati possono essere regolati dalle economie linguistiche e dai mercati dei quali fanno parte»68.

Dunque, l’economia moderna e le nuove tecniche produttive industriali porteranno ad una radicale trasformazione nel panorama letterario moderno e a quella che Brooks, riprendendo la definizione del critico francese Charles-Augustin de Sainte-Beuve, chiama “letteratura industriale”, ovvero una particolare forma narrativa francese ottocentesca che si basa sul procedimento compositivo e redazionale del

64 Ibidem, p. 21 65 Ivi 66 Ivi 67 Ivi 68 Ibidem, p. 22

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roman-fuilleton, ovvero il romanzo “a puntate” e che rappresenta «un esempio di

come la finzione a volte “sovvenzioni” il mondo reale»69.

Questo radicale cambiamento avviene anche nella dimensione economica dei romanzieri stessi, anche grazie allo sviluppo della pressa a vapore e l’utilizzo della carta a basso costo: gli scrittori, grazie anche all’utilizzo di meccanismi come l’episodicità dei propri scritti, alla diffusione delle librerie e al crescente numero di lettori, iniziano a svincolarsi dal sostegno economico legato al mecenatismo, intraprendendo, così, una carriera economicamente autonoma, basata direttamente sulla produzione letteraria e sulla vendita delle proprie opere. Inizia, in questo modo, quel rapporto, che Brooks definisce “difficile”, che intercorre tra «la cultura alta e il mercato di massa»70, in cui il romanzo ne costituisce il punto di tangenza, e che continuerà per tutto il periodo moderno.

69 Ivi

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Capitolo 2: Borghesia e romanzo: una nuova società, un nuovo

pensiero, una nuova letteratura

2.1 Brevi cenni sulla società capitalista e sull’avvento della borghesia

L’origine “eurocentrica” del capitalismo è la tesi sostenuta da gran parte della critica storica e sociologica, avvalorata dalla constatazione che la nascita dei sistemi bancari nell’epoca moderna sia un fenomeno sviluppatosi negli stati dell’Europa centrale, primi fra tutti Italia, Olanda e Gran Bretagna71 – di fatto, il primo istituto di credito moderno viene fondato nel 1400 a Genova- e che la nascita delle banche si configuri, dunque, come il fattore di sviluppo finanziario che coinvolge gli stati europei e la nascente borghesia mercantile «nella creazione di credito monetario per il finanziamento della produzione e degli scambi»72.

Il termine “capitalismo” appare per la prima volta nel 1860 e la consacrazione di questo vocabolo si ha qualche anno dopo, nel 1867, con la pubblicazione dell’opera

Das Kapital di Karl Marx, benché una prima attestazione del vocabolo sia

riscontrabile già nel 184873, anno in cui avviene la “primavera dei popoli”, ovvero l’ultimo moto rivoluzionario europeo che con il fine di abbattere i governi della Restaurazione in favore di una politica spiccatamente liberale, sancisce l’abolizione dell’Ancien Régime.

Secondo lo storico Eric Hobsbawm, è proprio questa la data che segna sull’asse cronologico il principio del trionfo del capitalismo: tale termine indica una concezione economica, basata sul fondamento della legge di mercato, elaborata “naturalmente” da una società che, evolvendosi in direzione marcatamente economica, tende a coincidere con «una società convinta che lo sviluppo economico

71 G. Ingham, Capitalismo, Torino, Einaudi, 201071 72 Ivi, p. XI

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poggiasse sull’intrapresa privata concorrenziale, sul successo nel comprare ogni cosa (compresa la forza-lavoro)»74.

Come illustra Hobsbawm, la società borghese appare sulla scena europea sia in ambito economico sia in ambito ideologico e politico già nel sessantennio precedente al 1848: di fatti, nel lasso di tempo che intercorre tra il 1789 e il 1848, due movimenti rivoluzionari, ovvero quello di matrice sociale e politica francese e quello che viene definito “la prima Rivoluzione industriale”, avvenuto in Inghilterra, implicano la costituzione di una nuova società che si configura come «la società del capitalismo liberale trionfante»75. Tale duplice rivoluzione viene considerata come un continuum storico in grado di conferire simultaneamente «unità e simmetria»76 all’intero periodo ma, successivamente ai moti del 1848, questa unitarietà rivoluzionaria giunge al punto di frattura poiché la rivoluzione industriale, fagocitando ed inglobando gli ideali politici, si pone in maniera preminente, in un clima in cui l’espansione dell’economia mondiale capitalistica apre a nuove prospettive politiche. Inizia, dunque, quel momento storico che viene rinominato «l’era del borghese trionfante»77 - benché, come precisa Hobsbawm,

non vi fosse un vero e proprio impegno nell’esercizio politico da parte della borghesia a causa della concezione che «la “democrazia” fosse un rapido e sicuro preludio al “socialismo”78 – caratterizzato «dalla massiccia avanzata dell’economia

mondiale del capitalismo industriale [e] dell’ordine sociale da esso rappresentato»79.

La classe borghese è composta da individui che auspicavano che «non solo la ricchezza materiale fosse equamente ripartita, ma la ragione trionfasse»80 in nome

del progresso simultaneamente «materiale e morale»81 e, di fatto, l’ideologia borghese, di stampo liberale, si fonda sulla fiducia nel progresso.

74 Ivi, p. 3 75 Ivi 76 Ibidem, p. 4 77 Ibidem, p. 5 78 Ivi 79 Ivi 80 Ibidem, p. 3 81 Ivi

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Il termine “borghesia” ha «un’eccezione così onnicomprensiva da oscurare le differenziazioni e contraddizioni interne presentate da quello che una volta era “il terzo stato”»82 e si configura come una forza simultaneamente rivoluzionaria e

conservatrice: di fatto, nonostante vi sia una forte componente ideologica basata sul progresso, in particolar modo culturale e scientifico – che raccoglie e rielabora l’eredità illuminista -, i valori di questa classe sociale, in particolar modo la moderazione, l’austerità e il “puritanesimo” conservatore, si riscontrano soprattutto nella concezione di famiglia, nucleo fondante della struttura sociale, che si configura, dunque, come un sistema “chiuso” e moralista, che subordina la figura femminile.

Nonostante il ruolo politico della borghesia sia differenziato in base alla collocazione geografica, ovunque questa classe sociale si rende portatrice di elementi innovatori non solamente in ambito strettamente economico, ma anche in quello ideologico e culturale. Ciò che analizzeremo in questa sede è, dunque, la connessione che intercorre tra borghesia e cultura, in quanto la società si apre ad un nuovo orizzonte culturale che rifiuta l’elitarismo proprio della produzione artistica dell’antico regime: la letteratura moderna, in particolare, attraverso la forma romanzesca, si adatta alle esigenze della nuova società acquistando maggior fruibilità e diffusione, grazie anche all’inserimento degli elementi costitutivi della società stessa all’interno della narrazione (gli uomini borghesi e la vita quotidiana divengono oggetto delle storie). Di fatto, il romanzo è un genere letterario dinamico e stratificato e tende a porsi come alterno al sistema culturale precedente, codificandosi ed esemplandosi sulla nuova società e sviluppandosi, infatti, con l’esigenza di raccontare la nascita, la formazione e la costituzione della borghesia, che, a sua volta, diviene punto cardine di questa nuova tipologia di letteratura. Dunque, il romanzo realista si mostra, primo su tutti, il genere letterario più adatto ad esprimere le condizioni sociali ed economiche e le innovazioni industriali ed ideologiche nonché tutti i processi evolutivi della borghesia ottocentesca.

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2.2 Il romanzo moderno: forme, autori ed interpretazioni del principale movimento letterario del XIX secolo

Poiché, come scrive Vittorio Spinazzola, «l’espressione “popolo borghese” è la più adatta a indicare il referente primario delle attività di scrittura e lettura nella civiltà contemporanea»83, la forma narrativa che meglio rappresenta ed incarna i mutamenti del periodo e le peculiarità della borghesia è il romanzo, tanto da essere definito dal filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel «moderna epopea borghese»84.

Il romanzo si configura, dunque, sotto la totale pluralità degli aspetti, come categoria narrativa prosastica volta alla modernità: tale periodo è individuabile storicamente in quanto contraddistinto da mutamenti che comunemente coincidono con la fine della società dell’Ancien Régime, con la rottura delle vecchie corporazioni, con la nascita della società divisa in classi e, infine, con l’egemonia della borghesia – economica, industriale, culturale e intellettuale. Con l’avvento ed il trionfo della classe borghese avvengono due fenomeni correlati, fondamentali nel panorama storico-culturale, ovvero la diffusione del genere del romanzo e la comparsa di un pubblico di massa.

Di fatto, benché tradizionalmente si collochi la nascita di un genere proto-romanzesco nel Seicento, in Inghilterra – invero tale momento costituisce una breve fase caratterizzata da testi letterari che possiedono un tessuto romanzesco pulsante ma irrisolto -, la critica fatica a stabilire con certezza il momento esatto della nascita del genere letterario del romanzo. Jack Goody85 illustra alcune teorie riguardanti la comparsa del genere romanzesco, tra cui spiccano il pensiero di Walter Benjamin86, che verte sulla premessa che l’avvento del romanzo coincide temporalmente con il

83 Ivi

84 G. W. F. Hegel, Lezioni di estetica. Corso del 1823, trascrizione di H. G. Hoto, Bari, Editori Laterza, 2007

85 J. Goody, Dall’oralità alla scrittura. Riflessioni antropologiche sul narrare, in F. Moretti a cura di, Il romanzo. La cultura del romanzo (vol. I), Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, p. 20

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momento di scomparsa del racconto in forma orale e con il diffondersi, nel XV secolo, della stampa, e quello di Michail Bachtin87 che teorizza tre “cronotopi” originari differenti, risalenti a forme letterarie del II secolo d. C.

Secondo Guido Mazzoni88, invece, la nascita e lo sviluppo della forma romanzesca, analizzati in ottica diacronica, sono scanditi da tre soglie storiche: la prima soglia si colloca intorno al 1550, in un periodo in cui vi è un unico genere letterario in cui sono presenti testi narrativi di carattere eterogeneo e irregolare: all’interno di questo macro genere, si forma una primordiale distinzione tra novel e romance89, che indicano, dunque, due tipologie di racconti differenziate dalla diversa modalità di narrazione della realtà90 - di fatto, «la definizione di novel include la verosimiglianza»91; la seconda soglia è scandita a partire dal 1670 circa, momento in cui si origina un mutamento che si protrae per oltre un secolo, in cui il novel diventa la forma letteraria predominante ed inizia ad acquisire i caratteri del romanzo moderno, mentre il romance, pur sopravvivendo come forma letteraria contrastante, inizia un processo di marginalizzazione; l’ultima, che segna il

discrimen decisivo, coincide con la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo,

periodo di transito, in cui i cambiamenti sovvertono totalmente le strutture vigenti generando, in tal modo, una “terza frontiera”92. Tale periodo è preso in esame anche

da Franco Moretti, che di fatto sostiene che, nel periodo che intercorre tra Settecento e Ottocento, «la cultura si “romanizza”»93, in quanto avvengono degli eventi che

87 Un esempio della teoria bachtiana riguardante il romanzo è presente in M. Bachtin, Estetica e

romanzo, Torino, Einaudi, 2001

88 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, Bologna, Il Mulino, 2011

89 «All’interno della nuova regione si formano due territori distinti, ai quali è retrospettivamente lecito attribuire i nomi che assunsero nel corso del XVIII secolo in Inghilterra: novel e romance».

Ivi, p. 195

90 Come suggerisce Jack Goody, il termine novel «nel XVII secolo si cominciò a utilizzare […], come nell’inglese contemporaneo, per indicare lunghe prose d’invenzione distinte dai romance per lo stretto rapporto con la vita reale» in J. Goody, Dall’oralità alla scrittura. Riflessioni

antropologiche sul narrare, in F. Moretti a cura di, Il romanzo. La cultura del romanzo (vol. I),

Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, p. 32

91 C. Gallagher, «Fiction», in F. Moretti a cura di, Il romanzo. La cultura del romanzo (vol. I), Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, p. 515

92 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 195

93 F. Moretti, Il romanzo, in F. Moretti a cura di, Il romanzo. La cultura del romanzo (vol. I), Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, p. XVIII

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partecipano a questo mutamento: ad esempio, «l’idea di fiction afferma i propri diritti […]; si impongono figure nuove […]; decolla l’industria culturale»94 che

giungerà ad influenzare la società.

Se, dunque, come mostrato, vi sono divergenze teoriche sull’origine della forma romanzesca e sugli snodi concettuali e storici del genere, vi è, invece, concordanza sul periodo di massima affermazione: di fatto, la soglia critica, seppur simbolica, è il 1800 e Mazzoni mostra le ragioni della scelta di questa data:

«Volendo indicare una soglia in questa metamorfosi lenta, stratificata ed estesa lungo quasi un secolo, dovremmo scegliere il 1800. La data funziona da frontiera sia perché scandisce il punto medio fra il momento in cui alcuni scrittori d’avanguardia, come Rousseau e Goethe, cominciano a dedicarsi al romanzo e il momento in cui l’ascesa del genere diventa un fatto compiuto, sia perché indica il confine simbolico a partire dal quale la nuova forma esibisce il proprio carattere rivoluzionario»95.

Dunque, il 1800 rappresenta simbolicamente sia il punto mediano che si intercorre tra l’approccio con il genere romanzesco da parte dell’avanguardismo filosofico e teorico e il momento trionfale ed apicale del romanzo sia la genesi del carattere rivoluzionario insito nell’accezione di modernità propria della narrazione romanzesca; inoltre durante tutto il XIX secolo si delinea un’evoluzione della forma narrativa che giungerà, infine, sia a ricevere valore e prestigio da parte dalla critica e grande riscontro e consenso positivo nel pubblico di lettori sia, con l’affermazione e il trionfo della borghesia, ad acquistare i caratteri tipici che, in seguito, diverranno quelli canonici del genere96.

La radicale metamorfosi letteraria del romanzo, in seguito alla borghesizzazione della cultura, mostra diversi effetti che culminano nella “legittimazione” del genere e che sono legati a fenomeni paralleli come la comparsa della lettura “silenziosa” –

94 Ivi

95 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 229

96 Secondo Lukács, il romanzo «acquista i suoi caratteri tipici solo quando diventa la forma d’espressione della società borghese», in G. Lukács, Teoria del romanzo

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modalità intima, privata e personale – e riscontrabili in novità nell’ approccio e nella composizione del testo narrativo, tra cui Mazzoni annovera la “giustizia poetica”97,

il senso di immedesimazione e l’osservazione distaccata.

Dal punto di vista letterario, i mutamenti avvengono in più strutture: nello stile, nell’atteggiamento rispetto alle storie narrate ed infine nella collocazione della stessa forma romanzesca all’interno del sistema letterario.

Dal punto di vista stilistico, il mutamento principale che la forma romanzesca presenta, e che diviene caratteristica peculiare del genere, si riscontra nella

linearità, che la differenzia totalmente dalle forme letterarie antecedenti: per questa

ragione, Giorgio Manganelli fa coincidere l’ascesa del romanzo moderno con la subissazione della retorica classica, che dominava lo stile della prosa letteraria europea:

«Il romanzo appare nella letteratura europea proprio nel momento in cui decadono il gusto e l'intelligenza della retorica classica; quando, cioè, entra in crisi l'idea dell'opera letteraria come artificio; in particolare, l'esplosione ottocentesca del romanzo coincide con la liquidazione della retorica classica»98.

Il secondo cambiamento radicale è riscontrabile, secondo Mazzoni, nella progressiva sparizione dai testi narrativi dell’allegorismo di matrice platonica e dal moralismo: di fatto, se fino al Settecento l’opera letteraria continua a legittimarsi come exemplum portatore di verità morale, dall’Ottocento il paradigma moraleggiante viene relegato a forme artistiche marginali. Con la borghesia, il concetto di “morale” muta, assumendo un’accezione differente che si pone alla base della struttura societaria e del nucleo fondamentale della comunità, ovvero la famiglia, e permeando aspetti appartenenti anche all’ambito culturale: di fatto, la “morale borghese” diviene un aspetto fondamentale della forma romanzesca, influenzandone fortemente le tematiche. Nancy Armstrong illustra questo diffuso –

97 Ibidem, p. 205

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e talvolta inflazionato – concetto della “morale borghese”, spiegando come non sia «un valore di per sé quanto piuttosto un modo di leggere, valutare e rivedere categorie d’identità già esistenti e gli apparati culturali che le autorizzano - tra cui il romanzo»99: la morale borghese, di fatto, «sembra scaturire dal nocciolo stesso dell’individuo, nel momento in cui si confronta e si oppone al sistema dei valori sociali»100, legittima l’individualità e l’individualismo, rifiutando tutto ciò che concerne il piacere e che si distanzia, in quanto tale, dall’aspetto puramente economico. Tale individualità si mostra, però, paradossale, in quanto ciò che la morale borghese attribuisce all’individuo altro non è se non «la possibilità di conquistarsi una posizione sociale gratificante per ragioni che vanno al di là della sfera puramente economica»101. Si viene a creare, quindi, una dicotomia tra gli interessi collettivi e gli interessi privati, che genera una conflittualità che il romanzo si propone di risolvere ricercando un punto di medietà tra individualità e comunità, ponendo un freno all’individualismo sfrenato, che in caso contrario avrebbe potuto intaccare la dimensione sociale anteponendo i propri interessi a quella della comunità di appartenenza.

La terza, ed ultima, mutazione, che avviene nel sistema letterario benché il romanzo, inizialmente, presenti delle difficoltà e degli attriti sia per quanto riguarda l’inserimento nel panorama letterario sia per quanto riguarda la legittimazione del genere stesso: come spiega Mazzoni

«la quantità e la disomogeneità delle opere che si dicono romanzi, nonché il doppio regime del campo letterario moderno, diviso fra un pubblico d’élite e un pubblico borghese o popolare, fanno sì che il genere rimanga circondato da una diffidenza atmosferica anche dopo il 1800. Il processo che porta alla legittimazione è lungo, tortuoso e stratificato»102.

99 N. Armstrong, La morale borghese e il paradosso dell’individualismo, in F. Moretti a cura di, Il

romanzo. La cultura del romanzo (vol. I), Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, p. 271

100 N. Armstrong, La morale borghese e il paradosso dell’individualismo, p. 271 101 Ivi

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Durante il corso del XIX secolo, «l’istituzione letteraria riplasma la sua identità»103, il romanzo acquista prestigio anche grazie all’ascesa del novel e al declino del

romance ed in questo contesto si mostra adatto ad un pubblico di lettori molto vasto,

connotato in cui risiede la dimensione democratica del genere: non solo muta il ruolo del romanzo nel sistema letterario, ma un significativo cambiamento si registra nei lettori del genere, grazie alla fruibilità e alla capillarità connaturati alla prosa romanzesca benché la letteratura popolare diventi un dato di fatto solamente dalla seconda metà dell’Ottocento, quando si consolidano le strutture narrative. Il romanzo, dunque, è connaturato alla borghesia e non solo si adatta alle esigenze del nuovo ceto ma, permeandone il sostrato sociale e traendone gli aspetti più caratterizzanti, viene investito di un valore spiccatamente mimetico: centrale è, dunque, la rappresentazione del reale, nell’accezione più vasta ed estensiva del termine. Di fatti, con il romanzo viene rimosso il pregresso concetto di mimesis e si approda al più libero concetto di “estensione del mondo narrabile”104, che prevede delle direttrici narrative differenti, ripartibili in fantasia individuale, autobiografismo, introspezione ed una ultima mimesi “oggettiva” del mondo esterno, coincidente con il realismo. Dunque, in primo luogo, dalla tradizione del

gothic novel inglese si sviluppa il filone narrativo fantastico, basato sulla

rappresentazione di universi immaginari e sulla fantasia soggettiva; in secondo luogo, nasce un nuovo tipo di narrazione autobiografica, il roman personnel, che consta della narrazione della sfera privata, che assume i tratti di una “confessione”; in terzo luogo, il tòpos del romanzo come forma letteraria atta a narrare il tema dell’amore si estende a tutte le passioni dell’animo umano. L’ultima tipologia narrativa, quella del realismo, si pone sicuramente come la più complessa e controversa in quanto sotto l’etichetta “romanzo realistico ottocentesco” confluiscono, in realtà, opere estremamente differenti tra di loro.

103 V. Spinazzola, Letteratura e popolo borghese, p. 14 104 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 230

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Secondo Auerbach105, i due modelli mimetici canonici della storia106, con l’avvento del romanzo realistico ottocentesco, vengono sostituiti da un paradigma differente, denominato “il terzo paradigma mimetico”107, ovvero il racconto serio della vita

ordinaria delle persone comuni: tale forma mimetica, dunque, «distrugge le gerarchie fra le classi, i tipi di azione, gli stili, e rende possibile raccontare in modo serio la vita ordinaria delle persone comuni»108 e sviluppa un “moderno realismo tragico su base storica”, detto anche “realismo atmosferico”, che comprende simultaneamente sia il das Alltägliche109, ovvero l’elemento del “quotidiano” che si riferisce «a una condizione sociale (le classi medie e popolari) e a una sfera di esperienza»110 privata - che consta nelle attività pratiche ed istituzionali della vita comune, benché lontane dal concetto di vita piatta ed ordinaria – e che si concretizza nella raffigurazione problematico-esistenziale dei ceti più “bassi”, sia un particolare contesto romanzesco che prevede l’immersione di persone e fatti ordinari all’interno delle dinamiche storiche e sociali, in «uno sfondo fatto di nozioni “storico-dinamiche”»111.

Goody riscontra in Daniel Defoe un primo approccio al realismo, in quanto in questi romanzi – principalmente nelle Avventure di Robinson Crusoe e nel Diario

105 E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 2000

106 Auerbach formula una tripartizione che consta di tre paradigmi mimetici che si susseguono nel corso della storia della narrazione, di cui il primo è rappresentato da quello “moralistico antico” ed il secondo da quello “egualitario-teologico”.

107 Secondo Mazzoni, (in G. Mazzoni, Teoria del romanzo, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 237), la definizione più chiara presente in Auerbach della terza forma di mimesi propria del romanzo realista ottocentesco è: «Da un lato, la rappresentazione seria della realtà quotidiana e il fatto che i ceti sociali più estesi e socialmente inferiori siano assurti a oggetti di una raffigurazione problematico-esistenziale (problematicsch-existentiëller Darstellung): dall’altro, l’inserimento di persone e di avvenimenti qualsiasi e d’ogni giorno nel filone della storia contemporanea, del movimentato sfondo (Hintergrund) storico – sono questi, secondo noi, i fondamenti del realismo moderno», in E. Auerbach, Mimesis (vol. II), p. 267

108 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 237

109 Mazzoni considera il passo di Auerbach più esplicativo riguardo il concetto di “quotidiano” il seguente: «nella letteratura non furono considerati seriamente le professioni e le condizioni quotidiane – commercianti, artigiani, contadini, schiavi -, la scena quotidiana – casa, laboratorio, bottega, campo -, le abitudini di vita quotidiane – matrimonio, figli, lavoro, alimentazione» in E. Auerbach, Mimesis (vol. I), p. 38

110 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 238 111 Ivi

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dell’anno della peste – si riscontra «una differente strategia di legittimazione»112 e

di fedeltà alla realtà, comprovata, ad esempio, dalle precisazioni spazio-temporali, riguardanti gli eventi narrati, che Defoe fornisce – caratteristiche che si ritrovano anche nelle narrazioni di Fielding e di Smollett. Ma il concetto vero e proprio di “realismo” si inizia a configurare negli anni Trenta dell’Ottocento, con il teorico Champfleury, per il quale la narrazione del reale può essere messa in atto secondo una duplice modalità: da un lato, con la narrazione dell’io, dunque l’analisi interna di se stessi; dall’altro lato, con l’osservazione oggettiva degli altri, coadiuvata dall’uso della voce narrativa in terza persona (modalità che si mostra adatta anche per rappresentare l’interiorità). Nel secondo Ottocento, con Hippolyte Taine, avviene la trasmutazione113 del realismo in naturalismo: con la creazione, e il conseguente inserimento nel sistema dei generi, della «categoria critica letteraria del “naturalisme littéraire”»114, pone le basi di una nuova modalità di osservazione,

descrizione e narrazione della realtà che vede in Emile Zola il massimo esponente e ne Le roman expérimental la teorizzazione più pregnante – nonché manifesto dello stesso naturalismo. Zola apre uno squarcio nel panorama letterario compiendo un “ritorno” in direzione della natura115, al fine di conferire «dignità di esperimento

scientifico alla scrittura letteraria, delegando, ad un genere, il romanzo, la rappresentatività quasi esclusiva della letteratura»116 e tramutando il realismo, conferendogli un’accezione significativamente differente in direzione di una spiccata connotazione scientifica. Il naturalismo, infatti, nell’ottica zoliana, non si configura come un «”ismo” letterario, una scuola»117, bensì rappresenta «l’essenza

stessa della modernità, l’unica via aperta al progresso dell’umanità»118 e, caricando

112 J. Goody, Dall’oralità alla scrittura, p. 35

113 E. Ghidetti, L’ipotesi del realismo. Storia e geografia del naturalismo italiano, Milano, Sansoni, 2000, p. 5

114 Ivi

115 «Il naturalismo è il ritorno alla natura […]. Anche in letteratura il naturalismo è il ritorno alla natura e all’uomo, l’osservazione diretta l’esatta anatomia, l’accettare ed il raffigurare ciò che è». E. Zola, Il romanzo sperimentale, trad. di I. Zaffagnini, Parma, Pratiche, 1980, pp. 76-77

116 E. Ghidetti, L’ipotesi del realismo, p. 6 117 Ibidem, p. 7

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