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Il tema del denaro nell’Eugènie Grandet

Capitolo 3: L’Eugénie Grandet di Honoré de Balzac

3.3 Il tema del denaro nell’Eugènie Grandet

Benché l’opera sia stata definita dal Pellini «neanche tanto balzachiana»224 al

confronto di altri romanzi, l’Eugénie Grandet si mostra, in ogni caso, chiarificatrice della poetica e del pensiero balzachiani riguardanti la tematica del denaro, partendo già dalla collocazione dello stesso romanzo all’interno de la Comédie, in quanto lo stesso Balzac indica la sezione delle “Scene di vita di provincia” come quella atta a rappresentare il concetto di interesse, che diviene il filtro attraverso il quale l’uomo vede se stesso e la società che lo circonda. Inoltre nel romanzo viene descritto minuziosamente quel “flusso”225 proprio simultaneamente del denaro e dei

personaggi che caratterizza la produzione balzachiana.

Nell’ Eugénie Grandet la ricchezza, intesa come “segno di valore”226 e la brama di

possederla si pongono centrali nella narrazione e tra le numerose tematiche legate al denaro, quella principale è rappresentata dall’avarizia, «intesa come passione legata ad un’epoca precisa»227.

Di fatto, la figura dell’avaro, incarnata pienamente da Felix Grandet, viene sviscerata nel profondo, al fine di far comprendere quali siano le cause sociali ed individuali e i fattori storici che spingono l’avaro in direzione della propria

223 H. de Balzac, Poetica del romanzo, p. 274 224 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 10 225 E. Gregori, «Une pluie d’or», p. 392 226 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 10

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imperante ossessione: benché il personaggio di M. Grandet possa apparire esemplato sull’Arpagone di Molière (poiché Balzac trae spesso ispirazione dalle opere del commediografo francese), egli rappresenta un uomo profondamente immerso nel suo tempo poiché si mostra «un uomo d’affari lucido ed intraprendente, pronto ad approfittare di tutti i regimi politici, dalla Rivoluzione alla Restaurazione»228 ed è per questa ragione che «è attraverso di lui che l’incipiente capitalismo moderno parla il suo linguaggio più puro».229

Il personaggio di M. Grandet ricalca, in ogni caso, il prototipo dell’avaro dell’intera tradizione letteraria (a partire dall’Euclione di Tito Maccio Plauto, protagonista dell’Aulularia, palliata del II sec. a. C.), seppur arricchito con caratteristiche innovative e tratti particolarmente forti e marcati che si distaccano dagli espedienti letterari del ridicolo e del comico, volti all’alleggerimento della narrazione ed utilizzati fino ad allora: di fatto, la particolarità di M. Grandet, rispetto alle altre figure degli avari presenti nella letteratura, risiede nel fatto che egli viene dipinto come un «avaro che sembra l’avarizia intera»230, un uomo avido, falso, senza

scrupoli, «dominato […] dal significante primordiale dell’ “oro”»231.

«Ogni potere umano è fatto di pazienza e di tempo. Le persone potenti vogliono e vegliano. La vita dell’avaro è un continuo esercizio della potenza umana messa al servizio della personalità. L’avaro si basa su due soli sentimenti: l’amor proprio e l’interesse; ma essendo l’interesse in un certo qual modo un amor proprio concreto e bene inteso, la continua dimostrazione di una superiorità reale, l’amor proprio e l’interesse finiscono per essere due parti di un tutto unico, l’egoismo»232.

Balzac spiega come dalla caratterizzazione di natura egoistica, propria del personaggio dell’avaro, qualora questo «sia portato sulla scena con abilità»233,

scaturisca, nel lettore, una forte curiosità poiché personaggi come questi

228 Ivi 229 Ivi

230 H. de Balzac, Poetica del romanzo, p. 249

231 S. Agosti, Il romanzo francese dell’Ottocento, p. 127 232 H. de Balzac, Eugénie Grandet, p. 80

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riassumono in se stessi «tutti i sentimenti umani»234. L’avaro, che in ultima istanza si rivela essere semplicemente un egoista, è così fortemente attaccato al diritto di proprietà che viene soggiogato dalla forte passione per il «puro e semplice piacere dell’accumulo»235.

Felix Grandet si configura, dunque, all’interno dell’universo dei personaggi balzachiani che non sono in grado di gestire e dominare le proprie passioni, tra cui spiccano gli “accumulatori”236, ovvero coloro i quali sono ossessionati dal possesso della fortune, sia essa costituita da beni materiali o da denaro, che può essere accumulata, dissipata oppure moderata: gli avari scelgono di accumulare poiché «gold for the miser actually becomes a kind of manna, in the language of anthropologists, a primitive thriving substance with a magical life of its own»237. Con l’avvicinarsi della sua morte, M. Grandet si trasformerà in un “avaro paranoico”, afflitto da un «timor panico»238, il cui unico pensiero è la presenza reale

e concreta del denaro all’interno della sua abitazione: poiché è impossibilitato a muoversi, egli ordina alla figlia di sorvegliare costantemente il patrimonio e sovente le chiede di portargli il denaro per controllarlo, guardarlo ed ammirarlo. Ma la dinamica dell’accumulo degenera e si rivela paradossale, in quanto schiavizza l’uomo che possiede, possedendolo a sua volta e, di fatto, l’ossessione di M. Grandet gli sarà fatale:

«Quando il parroco venne a somministrargli i sacramenti, i suoi occhi, in apparenza spenti da qualche ora, si rianimarono alla vista della croce, dei candelieri, dell’acquasantiera d’argento che guardò a lungo, e mosse per l’ultima volta la sua verruca. Quando il prete gli avvicinò alle labbra il crocifisso dorato per fargli baciare l’immagine di Cristo, egli fece un gesto spaventoso per afferrarlo e quest’ultimo sforzo gli costò la vita»239.

234 Ivi

235 S. Agosti, Il romanzo francese dell’Ottocento, p. 117 236 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 10

237 J. Vernon, Money and Fiction, p. 79 238 H. de Balzac, Eugénie Grandet, p. 150 239 Ivi

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L’attaccamento morboso di M. Grandet al proprio patrimonio è una mania, una forte brama, un desiderio irrefrenabile ma, benché egli rappresenti, «la quintessenza dell’individuo desiderante», il suo grande desiderio si rivela, di fronte alla morte, incompiuto, disatteso ed irrealizzabile.

«Dov’è l’uomo senza desideri, e quale desiderio sociale si può soddisfare senza denaro? Grandet aveva davvero qualcosa, secondo l’espressione della moglie. In lui c’era, come in tutti gli avari, il bisogno costante di misurarsi con gli altri uomini, di vincere legalmente il loro denaro. Imporsi con gli altri, non è forse una manifestazione di potere, un attribuirsi sempre il diritto di disprezzare quelli che, essendo troppo deboli, sono destinati quaggiù a essere divorati? »240.

In questa prospettiva è chiaro come il denaro non sia solamente «l’inferno della vita moderna»241, ma rivesta anche un ruolo metafisico, configurandosi, in ultima istanza, come «metafora del desiderio umano»242: l’uomo, per natura, è portato a desiderare il potere e non esiste uomo che non abbia desideri “sociali”.

La fortune si rivela il motore dell’azione dell’intera opera: quel denaro accumulato con estrema dovizia e parsimonia diviene motivo di vanto da parte della comunità di Saumur: la ricchezza di M. Grandet è «oggetto di ammirazione nella […] città»243 al punto tale da essere definita “orgoglio patriottico”244, poiché possedere un bene, in quest’ottica, equivale a possedere un valore e, dunque, a ricoprire un certo prestigio sociale, poiché «the face an object presents to the world is wearing away, and the object has begun to assert itself as sheer matter»245.

«Erano pochi i giorni in cui non venisse fatto il nome di M. Grandet, vuoi al mercato vuoi durante le conversazioni serali in città. Per qualcuno, la fortuna del vecchio vignaiolo era motivo di orgoglio campanilistico. Così più di un negoziante , più di un locandiere diceva ai forestieri, con una certa

240 Ibidem, p. 80

241 F. Fiorentino, Insegnamento e rivelazione, p. 55 242 Ivi

243 H. de Balzac, Eugénie Grandet, p. 81

244 H. de Balzac, Eugénie Grandet, traduzione di G. Deledda, Milano, Mondadori, 1936, p. 10 245 J. Vernon, Money and Fiction., p. 77

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soddisfazione “Signore, noi abbiamo qui due o tre famiglie milionarie; ma quanto a M. Grandet, nemmeno lui conosce le sue ricchezze!”»246.

Il denaro, nella mentalità della società della restaurazione francese, in cui vigono la lotta per il successo e per il possedimento, rappresenta, dunque, un valore identitario e non solo meramente materiale: nella società «ognuno vale solo se riesce a imporsi»247 economicamente. A tal proposito, Felix Grandet, pur di non perdere l’ammirazione cittadina, il potere che egli esercita sull’intera popolazione di Saumur e il patrimonio che detiene e custodisce gelosamente, nel momento in cui è costretto a salvare l’onore del fratello morto suicida, volendo preservare ad ogni costo sia il denaro sia il prestigio sociale, escogita un meccanismo sadico, e, poiché egli, essendo avaro, si nutre di ingiustizie e il suo «pascolo […] è fatto di denaro e di disprezzo»248, concepisce «una trama per beffarsi dei parigini, per strizzarli, prenderli in giro, tormentarli, farli andare e venire, sudare, sperare, impallidire»249. Come narrato in Gobseck, «la rivelazione del potere dell’oro è […] terrorizzante proprio in quanto annulla tutte le altre regole e leggi che reggono la vita civile»250 e, dunque, anche il concetto di idolatria del denaro è preponderante nell’opera e si lega alla diffusione dilagante nel XIX secolo della concezione secondo la quale, «la società è più reale di Dio e della natura»251 divenendo essa stessa unica realtà e ponendo il denaro come unico idolo, unica via percorribile dall’uomo nonché la sua unica essenza e ragion d’essere.

«Non era forse quello il solo dio moderno del quale si abbia fede, il Denaro in tutta la sua potenza, espresso da una sola fisonomia?»252.

246 H. de Balzac, Eugénie Grandet, p. 10 247 E. R. Curtius, Balzac, p. 163

248 H. de Balzac, Eugénie Grandet, p. 81 249 Ivi

250 F. Fiorentino, Insegnamento e rivelazione, p. 53 251 L. Stein in E. R. Curtius, Balzac, p. 165

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Il personaggio di Eugénie «è uno di quei “cuori puri” che ignorano il potere del dio Denaro»253, ponendosi, così in netto contrasto con le ideologie presenti e dilaganti nella società che, talvolta, assumono un valore assoluto, un’accezione “divina”, divenendo dei veri e propri credi pagani.

Da queste considerazioni si può trarre che ciò che Balzac, in ultima analisi, mette in luce nel romanzo ed offre al lettore è «la visione pessimistica di un mondo soffocante e senza umanità […] privato di ogni romanticismo»254 e di una società

che tende alla reificazione dell’uomo e dei suoi valori, alla perdita di identità e alla deificazione dei principi distruttivi del capitalismo.

253 F. Fiorentino, Insegnamento e rivelazione, p. 54 254 Ivi

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