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Capitolo 5: Il giocatore di Fëdor Dostoevskij

5.3 Il tema del denaro ne Il giocatore

Il giocatore, tocca «i grandi problemi moderni sul ruolo dannoso del denaro nella

società borghese»338, un denaro “facile”, perché ottenuto a seguito di un arricchimento immediato, grazie alle case da gioco.

Nel romanzo il denaro rappresenta il motore delle azioni dei personaggi in relazione al loro status quo, alle loro possibilità, ai loro desideri, ai loro sogni, e la prospettiva del guadagno veloce, grazie al gioco, concretizza e talvolta distrugge tali aspirazioni ed ambizioni.

336 Ibidem, p. 178

337 J. Stahl, Il ruolo del denaro nella filosofia di Dostoevskij: Il Giocatore e I Fratelli Karamazov, traduzione di G. Mele

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«Il racconto svolge un’intera serie di brillanti schizzi satirici dell’uomo capitalistico occidentale, contrapponendo a queste tipiche figure di “accumulatori” europei le profonde e libere nature degli uomini russi, gettate dal caso in un paese straniero, ma fedeli alle distese della loro patria»339

L’autobiografismo presente nel romanzo, evidenziato da Grossman e definito «parallelo artistico all’indignata pubblicistica del Saggio sul borghese e di Vaal» è riscontrabile in particolar modo nel dibattito tra Aleksej, il marchese De Grieux e il generale, in cui il protagonista del romanzo compara il sistema di guadagno russo con quello tedesco, asserendo:

«-Sul fatto che nel catechismo delle virtù e delle qualità dell’uomo civile dell’Occidente è entrata storicamente, e quasi come elemento principale, l’attitudine a procurarsi dei capitali. Invece il russo non solo non è capace di procurarsi dei capitali, ma al contrario li dissipa irragionevolmente e scandalosamente. Eppure anche noi russi abbiamo bisogno di denaro […] e per conseguenza ci piacciono molto e siamo molto inclini a sistemi del tipo, per esempio, la roulette, dove ci si può arricchire all’improvviso in due ore senza fatica. Questo ci attira molto; e siccome siamo irragionevoli e non vogliamo faticare, perdiamo!

-Questo è in parte giusto, - osservò con soddisfazione il francese.

-No, è ingiusto, e dovreste vergognarvi di esprimervi così sul conto della vostra patria – osservò severamente e con autorità il generale.

-Ma scusate, - gli risposi – non si sa mica ancora che cosa sia più spregevole, se la scandalosità dei russi o il sistema tedesco di accumulare con l’onesto lavoro»340.

Dostoevskij compie, dunque, un accurato studio sul borghese occidentale europeo, mettendo in correlazione gli affaristi di matrice franco-tedesca con le libere personalità russe, devote al gioco ed instaurando una feroce critica, esprimendo «il suo disprezzo per i francesi, per i tedeschi, per i polacchi, e la sua condanna dell’inattività dell’aristocrazia russa»341.

339 Ivi

340 F. M. Dostoevskij, Il giocatore, p. 30

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Fin da subito il denaro si pone come unico mezzo, unico strumento, unico vincolo, unico impedimento relativo al gioco e, di fatti, senza il denaro non è possibile giocare: Aleksej, in un dialogo con il generale, ammette placidamente: « “Ma io non ho denaro” […] “per perdere al giuoco, è necessario averne»342.

Attraverso le parole di Aleksej, lo scrittore si prefigge il compito di smascherare «la leggenda del lusso»343 che aleggiava al di sopra dei club internazionali e si scaglia contro la tradizionale visione riguardante i partecipanti alla roulette, demistificando il monopolio finanziario aristocratico e fornendo una dettagliata descrizione di ciò che realmente accade ai tavoli da gioco di un casinò:

«Non c’è alcuna magnificenza in queste miserabili sale, e d’oro sui tavoli non soltanto non ce n’è a mucchi, ma appena lo si vede, Certo, di quando in quando, nel corso della stagione, compare improvvisamente qualche originale, o un inglese, o qualche asiatico, un turco, come nella presente estate, e di colpo perde o vince moltissimo; ma tutti gli altri giocano a fiorini spiccioli e, in media, sul tavolo si trova sempre pochissimo denaro»344.

Nulla è lussuoso, bensì tutto sembra essere “vergognoso”: l’ambiente descritto è lontano dallo sfarzo, in quanto è intriso di sudiciume e bruttezza, non solamente estetici ma anche morali, provocando in Aleksej disgusto e repulsione: «Tutto mi parve così sporco, moralmente sgradevole e sporco!»345.

I giocatori vengono definiti «canaglie da roulette»346, pronte a rubare la puntata altrui; «altrettanto abominevoli sono i croupiers, che mantengono l’ordine e proteggono gli interessi al banco, avallando […] trappole e spoliazioni»347.

Come illustra Grossman

342 F. M. Dostoevskij, Il giocatore, p. 4 343 L. P. Grossman, Dostoevskij, p. 346 344 Ibidem, p. 16 345 F. M. Dostoevskij, Il giocatore, p. 15 346 Ivi 347 L. P. Grossman, Dostoevskij, p. 346

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«Dostoevskij rifiuta qualsiasi estetica di questa gozzoviglia di predatori, che con cinismo denudano gli istinti ferini del mondo capitalista nella sua irrefrenabile caccia ai facili guadagni, ai grandi patrimoni, accaparrati velocemente, ai mucchi di denaro, trovato senza fatica. L’amoralità di questa spoliazione in massa, abilmente organizzata dalla società, fondata sul culto del denaro e guidata dalla febbre dell’oro, priva anche i famosi palazzi dei casinò vicino al Reno di qualsiasi bellezza e grandiosità»348.

Dando voce al suo protagonista, il narratore traccia una linea di demarcazione tra «il gioco che è detto di mauvais genre e quello permesso all’uomo come si deve»349, ovvero due tipologie di gioco totalmente antitetiche, di cui una finalizzata al puro svago, l’altra al guadagno “sporco”:

«Vi sono due giochi, uno da gentiluomo, l’altro plebeo, interessato, il gioco che fa qualunque canaglia. Qui le cose vengono distinte molto severamente, ma come è vile, in sostanza, questa distinzione! Il gentiluomo, per esempio, può giocare cinque o dieci luigi, raramente di più; del resto può giocare anche mille franchi, se è molto ricco, ma sostanzialmente per il gioco in se stesso, solo per svago, e sostanzialmente per seguire il processo della vincita o della perdita; ma non deve interessarsi affatto del gioco in sé […]. In una parola egli deve considerare tutti quei tavoli da gioco le roulettes e il trente et quarante solamente come uno svago, organizzato unicamente per il suo diletto […]. La canaglia davvero gioca in una maniera molto sporca. Non sono neppure lontano dal pensare che a quel tavolo avvengano molte ruberie delle più comuni»350.

Nonostante ciò, il ruolo del denaro si rivela essere marginale all’interno del complesso meccanismo del gioco d’azzardo, che, di fatto, non sembra essere affatto un gioco “per ricchi”: come mostrato, il guadagno si rivela, nella maggior parte dei casi, misero o nullo e ciò che in realtà rappresenta la vera ed unica molla del gioco, non è il denaro, ma è il gioco stesso - come scriveva Dostoevskij alla moglie Anna

348 Ivi

349 F. M. Dostoevskij, Il giocatore, p. 16 350 Ibidem, pp. 17-18

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Grigor’evna, «L’essenziale è il giuoco in sé stesso […] giuro che non si trattava di avidità»351.

Nel romanzo viene narrato il complesso rapporto di amore-odio tra Aleksej e Polina che si sviluppa in relazione al denaro e al concetto di manipolazione: per conquistarla, Aleksej deve giocare e vincere, e la sua ossessione per il gioco si intensifica notevolmente quando inizia a giocare per la sua amata.

«Nondimeno avevo un suo incarico: vincere alla roulette, a qualunque costo. Non avevo tempo di meditare a che scopo e con quanta prontezza bisognasse vincere e quali nuove considerazioni fossero sorte in quella testa eternamente calcolatrice»352.

Dalle considerazioni e dai pensieri di Aleksej scaturisce anche una caratteristica peculiare del gioco, ovvero una sorta di dimensione di intimità necessaria alla riuscita ottimale ed auspicata e, dunque, alla vincita: di fatto, benché Aleksej accetti di giocare per Polina – per una donna era, di fatto, disdicevole la partecipazione al gioco ed è per questo che è impossibilitata a giocare lei stessa - , non è affatto abituato a giocare «per altri»353 e manifesta espressamente questo suo disagio, scaturito anche dalla scaramantica convinzione che non giocare esclusivamente per sé possa portare sfortuna:

«Lo confesso, la cosa mi era sgradita; avevo bensì deciso di giocare, ma non intendevo affatto cominciare giocando per altri. Questo mi disorientava perfino un poco, ed io entrai nella sala da gioco con un senso di vivissima contrarietà»354.

«Polina Aleksàndrovna insistette perché dividessi ad ogni modo con lei la vincita di quel giorno a metà e voleva darmi ottanta federici, proponendomi di continuare anche in avvenire il giuoco a

351 F. M. Dostoevskij, Lettere ad Anja, Roma, Il melograno, 1979 352 F. M. Dostoevskij, Il giocatore, p. 15

353 Ibidem, p. 16 354 Ivi

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questa condizione. Io rifiutai risolutamente e definitivamente la metà del denaro e dichiarai che per altri non potevo giocare, non perché non lo desiderassi, ma perché di sicuro avrei perduto»355.

Dopo un misurato scontro verbale, nonostante non accantoni le proprie convinzioni, Aleksej cerca un punto di mediazione con la rigidità di Polina, accettando di giocare per lei solo se saranno rispettate due condizioni:

«Prima, che non volevo giocare a metà, cioè, se avessi vinto, non avrei preso nulla per me; seconda, che stasera Polina mi avrebbe spiegato per che cosa precisamente abbia tanto bisogno di vincere, e quanto precisamente»356.

Il tema della fortuna legato al gioco è altresì mostrato nel romanzo: infatti, Aleksej, così come Dostoevskij, affida il proprio destino, la propria fortuna e il proprio futuro economico e, talvolta, anche amoroso, al tavolo da gioco:

«Per quanto fosse ridicolo che io mi aspettassi tanto dalla roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, ammessa da tutti, che sia sciocco e assurdo aspettarsi qualcosa dal gioco»357.

Grazie alle riflessioni di Aleksej, si può constatare come la roulette rappresenti anche una particolare metafora della società e della lotta per la sopravvivenza:

«E quanto al guadagno e alla vincita, non solo alla roulette, ma dappertutto gli uomini non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa a vicenda»358.

Nel romanzo vengono indagate e scandagliate profondamente le tecniche del gioco: interessanti sono, a tal proposito, le considerazioni di Aleksej riguardo il calcolo

355 Ibidem, p. 23

356 Ibidem, p. 31 357 Ibidem p. 17 358 Ibidem pp. 17-18

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delle probabilità, che reputa un dispendio inutile e futile di ingegno applicativo, poiché spesso si rivela essere un metodo fallace:

«Mi parve che propriamente il calcolo significhi abbastanza poco e non abbia affatto quell’importanza che gli attribuiscono molti giocatori. Essi stanno a sedere davanti a foglietti scompartiti in colonnine, segnano i colpi, contano, deducono le probabilità, fanno calcoli, infine puntano… e perdono esattamente come noi, semplicemente mortali, che giochiamo senza calcoli»359.

Scientificamente si può asserire che il gioco d’azzardo è una patologia riconosciuta che prevede, tra i maggiori effetti collaterali, una smodata impulsività e una totale incapacità di resistenza al gioco stesso, che rappresenta un atto potenzialmente auto-distruttivo, ma chi vive questa condizione non ricerca alla radice il motivo del proprio comportamento, ne è ignaro e non solo non la conosce, ma non la comprenderebbe neppure. Aleksej, invece, nonostante sia affetto da questa patologia, si interroga sul proprio atteggiamento durante il gioco, senza però capirne il motivo:

«E poi avrei dovuto allontanarmi, ma in me era sorta una certa strana sensazione, come una sfida alla sorte, come un desiderio di darle un buffetto, di mostrarle la lingua. Puntai la cifra più alta consentita, quattromila fiorini, e perdetti. Poi, infervoratomi, tirai fuori tutto ciò che mi restava, puntai la stessa somma e perdetti ancora; dopo di che mi allontanai dal tavolo come inebetito. Io non capivo nemmeno cosa avessi»360.

Il lato grottesco e comico del romanzo, caratteristica capace di donare particolare ironia alla narrazione, si ritrova nella paradossale figura della nonna della famiglia, Antonida Vasil'evna, che rimane affascinata dalle sale da gioco.

359 Ibidem p. 31

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Inizialmente l’anziana donna viene sapientemente indottrinata da Aleksej riguardo le regole e la tecnica del gioco:

«Spiegai alla nonna, come potevo, che cosa significassero quelle numerose combinazioni di puntate,

rouge et noir, pair et impair, manque et passe, e infine le varie sfumature del sistema dei numeri»361.

Successivamente la donna sperimenta in prima persona la moltitudine di emozioni come l’ansia e la tensione, che il giocatore prova nel momento in cui scommette alla roulette e ne assume naturalmente gli atteggiamenti tipici:

«La nonna stava ferma a stento, i suoi occhi accesi erano addirittura confitti nella pallina saltellante sui dentelli della ruota che girava. Perdemmo anche il terzo. La nonna andava fuori di sé, non le riusciva di star ferma, e batté perfino il pugno sul tavolo, quando il croupier proclamò trente-six, in luogo dell’atteso zéro»362.

La conclusione del romanzo sembra non portare ad alcuna prospettiva definita: dopo una appassionata elucubrazione, in cui combattono le forze e gli istinti, in cui dialogano le due personalità di Aleksej ed in cui si scontrano i due grandi ed unici suoi amori, quello per Polina e quello per il gioco, egli sembra non giungere a nulla. Di fatto, a differenza degli altri personaggi dostoevskiani, Aleksej non compie un cammino di catarsi redentiva o una pericolosa discesa nell’abisso del male poiché, scegliendo di rimandare, di non scegliere, sembra rimanere sospeso tra un possibile futuro salvifico e le bolge, per utilizzare un’espressione di Citati, dell’inferno del gioco:

«Qui la cosa principale è la Svizzera! Domani stesso, oh, se domani stesso fosse possibile mettersi in viaggio! Rigenerarsi daccapo, risorgere. Bisogna mostrar loro… Sappia Polina che posso ancora essere un uomo. Basta soltanto… Ormai, del resto è tardi. Ma domani… Oh, io ho un presentimento, e non può essere altrimenti! Ora ho quindici luigi, e io cominciai con quindici fiorini! Se si comincia

361 Ibidem, p. 104

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con prudenza… possibile, possibile che io sia un tal bambinello? Possibile che non capisca di essere un uomo perduto? Ma perché poi non posso risorgere? Si! Basta soltanto essere calcolatore e paziente, non fosse che una volta nella vita, ed ecco tutto! Basta soltanto aver del carattere, che non fosse una volta, e in un’ora posso mutare tutto un destino! L’essenziale è il carattere. Basta ricordare quel che mi accadde in questo senso sette mesi fa a Ruletenburg, prima della mia perdita definitiva! Oh, fu quello un notevole caso di risolutezza: avevo allora perduto tutto, tutto… Esco dal casino, guardo, nella tasca del panciotto mi balla ancora un fiorino: “Ah, dunque, ci sarà di che desinare!” pensai; ma, fatti un centinaio di passi, cambiai idea e tornai indietro. Puntai quel giorno sul manque (quella volta fu sul manque) e, davvero, c’è qualcosa di speciale nella tua sensazione, quando, solo, in terra straniera, lontano dalla patria, dagli amici e senza sapere quel che oggi mangerai, punti l’ultimo fiorino, proprio, proprio l’ultimo! Io vinsi e dopo venti minuti uscii dal casino con centosettanta fiorini in tasca. Questo è un fatto! Ecco cosa può a volte significare l’ultimo fiorino! E se io allora mi fossi perduto d’animo, se non avessi osato risolvermi?...

Domani, domani tutto finirà!»363

Nelle ultime righe del romanzo, è possibile notare come vi sia un vero e proprio messaggio di speranza concreta da parte di Dostoevskij, fulcro della sua concezione volta ad una prospettiva che, in ultima istanza, possa rivelarsi salvifica: la conclusione del romanzo è, invero, «la conclusione di una tensione spinta […] all’inverosimile»364.

363 Ibidem, pp. 203-204

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