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Capitolo 7: L’Argent di Émile Zola

7.3 Il tema del denaro ne L’Argent

Come illustra il Pellini, L’Argent è «un romanzo interamente dedicato all’analisi dell’ambiente borsistico [e] programmaticamente, il capitalismo avrà un ruolo al

515 P. Pellini, L’oro e la carta, p. 11 516 Ibidem, p. 12

517 S. Agosti, Il romanzo francese dell’Ottocento, p. 221 518 Ivi

519 Ivi

520 R. Reim, La Parigi di Zola, pp. 93-94 521 Ivi

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tempo stesso positivo e negativo»522: di fatto, Zola, in primo luogo rileva nell’ambiente finanziario e, più specificatamente borsistico, gli «elementi autodistruttivi e irrazionali, di morbosità»523, cercando di comprenderli «a partire dall’analogia tra il mondo dell’economia e la dimensione storico-sociale dell’uomo»524.

«A Parigi il denaro pioveva, faceva marcire tutte, nella rabbia del gioco. Il denaro, avvelenatore e distruttore, diventava il lievito di ogni vitalità sociale, il terreno necessario ai grandi lavori il cui compimento avrebbe avvicinato i popoli e avrebbe pacificato la terra».525

Dunque, nella Parigi de L’Argent, la Borsa si configura come il centro propulsore dell’azione che, nella piazza centrale situata «in quel quartiere di tutte le febbri»526,

«dall’una alle tre, batte come un cuore enorme»527.

«Era l'ora attiva in cui la vita di Parigi sembra affluire in quella piazza centrale, tra la rue Montmartre e la rue Richelieu, le due arterie intasate che convogliano la folla. […] Gremiti, i gradini e il peristilio erano neri di un formicolio di redingote; e dalla coulisse, già installata e funzionante sotto l’orologio, saliva il clamore della domanda e dell’offerta, quel rumore di marea dell’aggiotaggio, che sovrasta il rombo della città. Alcuni passanti si voltavano, con il desiderio e la paura di quel che accadeva lì dentro, il mistero delle transazioni finanziarie, di cui pochi cervelli francesi penetrano le rovine, le improvvise fortune, che non riuscivano a spiegarsi, in mezzo a quelle gesticolazioni e a quelle grida selvagge».528

La Borsa attrae Saccard: egli «sognava ancora una volta la regalità dell’oro»529, benché dopo ciò che gli era successo, «non aveva osato minimamente tornare in

522 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 12

523 A. Weber, Calcolo e follia in L’Argent di Zola, in Letteratura e denaro, p. 420 524 Ivi

525 E. Zola, Il denaro, a cura di F. Grassi, Palermo, Sellerio, 2017, pp. 344-345 526 Ibidem, p. 41

527 Ibidem, p. 42 528 Ibidem, p. 41 529 Ivi

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Borsa»530; per questa sua fortissima brama, viene riconquistato dagli affari e decide di mettersi nuovamente in gioco:

«Era la passione ad elevare in quel modo Saccard, e la passione doveva perderlo. Nell’appagamento dei suoi appetiti, avrebbe voluto scoprirsi un sesto senso, per soddisfarlo».531

Ne L’Argent, il Saccard de La Curée, la “bestia umana”, il «campione di un’umanità avida e famelica, simile a un segugio eccitato dall’odore della selvaggina, “sbrana” qualsiasi cosa gli capiti a tiro»532, «resta uno speculatore senza scrupoli, ma “l’oro” non è più il bersaglio di ogni terribile anatema»533:

«Vedeva Saccard a nudo, quell’anima devastata di un uomo di denaro, contorta e torbida nella sua corruzione. Era effettivamente senza legami e senza barriere, diretto ai suoi appetiti con l’istinto scatenato dell’uomo che non conosce altro limite se non l’impotenza. Aveva condiviso la moglie con il figlio, aveva venduto il figlio, aveva venduto la moglie, venduto tutti coloro che gli erano caduti sotto le mani; aveva venduto se stesso, e avrebbe venduto anche lei [cfr. Caroline], avrebbe venduto suo fratello, avrebbe battuto moneta con i loro cuori e i loro cervelli. Era solo un fabbricatore di denaro, che fondeva cose e creature per estrarne denaro. […] Ah! Il denaro, l’orrendo denaro, che insozza e che divora!»534

Saccard è un uomo avido di «godimento e di soddisfazioni»535: l’istinto e l’ambizione famelici, «la sua brama del denaro per “il potere che esso dà”, è capace di sublimarsi, di trasformare i suoi affari […]»536 in parole che riescono ad incantare

chiunque lo ascolti parlare. Ciò, di fatto, è quello che accade nel pieno del suo “delirio megalomane” di onnipotenza: per Saccard, « “la speculazione è il richiamo stesso della vita, è l’eterno desiderio che costringe a lottare, a vivere”; il gioco

530 Ibidem, p. 42

531 Ibidem, p. 391

532 R. Reim, La Parigi di Zola, p. 82 533 Ibidem, p. 94

534 E. Zola, Il denaro., pp. 339-340

535 F. Grassi, “Introduzione” in E. Zola, Op. cit., p. 12 536 Ivi

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speculativo è “nel piano della natura”»537. Saccard è avido, ma non è affetto dalla

stessa avidità presente, ad esempio, nel Grandet balzachiano: infatti, come ricorda il Pellini, nelle note preparatorie alla composizione del romanzo, Zola scrive che ciò che distingue Saccard da Grandet - e, dunque, dalla tradizionale concezione dell’avaro letterario - è che il primo non guadagna ed accumula per nascondere il proprio patrimonio - «Voler guadagnare dei soldi, perché? Non come Grandet, per nasconderli»538. Di fatto, Zola, anche in questo ambito, compie l’operazione di distaccamento dal modello fornito da Balzac: al fine di caratterizzare i propri personaggi in maniera differente e più moderna, egli delinea gli uomini immersi nella società del suo tempo e per nulla svincolati dal contesto di riferimento. L’introduzione del tema e dell’ambientazione borsistica si rivela particolarmente importante e producente in questa direzione e, poiché in Borsa «il denaro subisce un primo processo di smaterializzazione [dato che] l’equivalente universale si trasforma in puro segno (azioni, cedole varie, moneta cartacea…)»539, possono

essere soddisfatti i nuovi propositi narrativi zoliani riguardanti la caratterizzazione del personaggio di Saccard che, di fatto, si configura come un «prodigo e scialacquatore [e] il denaro per lui non è oro da ammassare, ma contante liquido da ostentare, spendere, disperdere»540 e, talvolta, anche da investire nuovamente per far fruttare ulteriormente i propri guadagni in quanto «la sua passione non è l’accumulazione (veterocapitalistica) ma la speculazione»541.

Questa tipologia di avidità presente in Saccard – e che, dunque, in ultima istanza, non si rivela dannosa ma naturale e capitalista - viene contrapposta ad un’altra tipologia di avarizia incarnata dal «banchiere re»542 ebreo Gundermann, la

«controfigura romanzesca»543 del sovracitato banchiere James de Rothschild. Gundermann viene descritto da Zola come il «padrone della Borsa e del mondo»544,

537 Ivi

538 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 12 539 Ivi

540 Ivi 541 Ivi

542 E. Zola, Il denaro, p. 39

543 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 12 544 E. Zola, Il denaro, p. 39

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un uomo «di sessant’anni, la cui enorme testa calva, dal naso grosso e dagli occhi rotondi e sporgenti, esprimeva una caparbietà ed una stanchezza immense»545, al cui cospetto tutti si mostrano rispettosi ed «ossequiosi»546:

«Molti uomini di Borsa […] rimasero in piedi attorniando il dio, facendogli una corte di rispettose riverenze […]; e lo guardavano con venerazione mentre prendeva il bicchiere d’acqua, con mano tremante, e lo portava alle labbra scolorite».547

Di fatto, benché il suo nome (Saccard) sia ancora usato in Francia come sinonimo di personaggi corporativi o plutocratici guidati dalla lussuria e dalla brama per il denaro, in ultima istanza, la disonestà di Saccard viene dissimulata – demistificando, in tal modo, ne L’Argent quella particolare visione di Saccard che il lettore percepisce nei romanzi del ciclo dei Rougon-Macquart in cui il personaggio figura - , facendolo apparire «al tempo stesso uno spregiudicato avventuriero privo di scrupoli e un “poeta del milione”, capace di sollecitare l’immaginario esotico-coloniale dei lettori»548. L’ “eroe” Saccard, che pare essere

diventato il personaggio “buono” del romanzo, viene contrapposto dicotomicamente ad un altro personaggio, il malvagio e spietato Gundermann. La particolarità che, però, il Pellini nota, riguardante questa necessaria classificazione e stereotipizzazione dei personaggi, si basa sul fatto che, in realtà, Gundermann altro non incarna che la figura dell’«“operaio impeccabile” (e perfettamente onesto) della moderna finanza, che tutto sottomette al senso del dovere […]»549: per questa

ragione, l’avarizia di Gundermann non può essere reputata “tradizionale” poiché in lui, come precisa lo stesso Zola, «non c’è traccia […] di amore per l’oro»550.

L’opposizione di questi due caratteri, antitetici eppure speculari, «riassume i motivi principali del romanzo di Zola: l’uno è disonesto, ma attivo e pieno di

545 Ivi 546 Ivi

547 Ibidem, p. 40

548 P. Pellini, I soldi e la trama, p. 13 549 Ibidem, p. 12

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immaginazione, l’altro onesto ma volto alla conservazione dello status quo, l’uno è volitivo, l’altro abulico»551, l’uno rialzista, l’altro ribassista552.

Differenze inconciliabili e insormontabili caratterizzano Saccard e Gundermann e la loro atavica rivalità, l’«antico rancore»553 - come viene definito da Zola - affonda

le radici in un particolare avvenimento che li vede scontrarsi proprio sul piano ideologico e caratteriale:

«Tempo addietro, nelle speculazioni sui terreni della piana Monceau, Saccard aveva avuto delle discussioni, addirittura un bisticcio con Gundermann. Non potevano andare d’accordo, uno passionale e gaudente, l’altro sobrio e freddamente logico».554

Inoltre Saccard , benché ammiri Gundermann per l’estrema dedizione che mostra per il proprio lavoro, prova nei suoi confronti un odio profondo ed «inestinguibile»555, un «desiderio irrealizzabile e furioso di distruggerlo»556:

«Così il primo, nel suo accesso d’ira, ancor più esasperato da quell’ingresso trionfale, stava andando via, quando l’altro lo chiamò.

«Dite un po’, dunque, mio buon amico, è vero? Lasciate gli affari… Ma certo, fate bene, è meglio». Fu, per Saccard, una staffilata in piena faccia. Si erse in tutta la sua breve statura, rispose con voce netta, tagliente come una spada:

«Sto fondando un istituto di credito, con un capitale di venticinque milioni, e conto di venirvi a trovare presto».

E uscì, lasciando dietro di sé l’infiammato vocio della sala, dove tutti spingevano, per non perdere l’apertura della Borsa. Ah! Avere finalmente successo, schiacciare sotto i piedi quella gente che gli voltava le spalle, e rivaleggiare in potere con quel re d’oro, e magari un giorno abbatterlo!»557

551 Ibidem, p. 13 552 Ivi 553 E. Zola, Il denaro, p. 282 554 Ibidem, p. 40 555 Ibidem, p. 327 556 Ibidem, p. 282 557 E. Zola, Il denaro, p. 40

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Numerose sono, dunque, le differenze che intercorrono tra i due personaggi, principalmente dal punto di vista della caratterizzazione, ma la differenza maggiore che viene a crearsi e che si pone come una frattura ideologica insormontabile sembra essere quella religiosa, in quanto Gundermann è ebreo mentre Saccard è cristiano. Benché il cristianesimo di Saccard sia più che altro un pretesto giustificativo al suo comportamento, in quanto divinizza il suo «robusto appetito di guadagno»558, la differenza religiosa diviene la ragione principale dell’astio che Saccard prova nei confronti del banchiere: la questione della differenza religiosa viene, di fatti, trattata in maniera esplicita da Zola, che fa esprimere Saccard in maniera estremamente dura nei confronti di Gundermann e di tutto il popolo ebraico.

Infatti Saccard si dichiara affetto da un profondissimo odio «ereditario»559 per il popolo ebraico, definito una «stirpe d’intriganti e d’usurai, in marcia da secoli attraverso i popoli di cui succhiano il sangue, come i parassiti della tigna e della scabbia»560 ed egli non nasconde affatto la propria repulsione, bensì la manifesta più volte con parole brutali, “di fuoco”:

«“L’impero è venduto agli ebrei, agli sporchi ebrei. Tutto il nostro denaro è destinato a finire nelle loro grinfie. All’Universale non rimane che crollare davanti alla loro onnipotenza”».561

«Ah! l’ebreo! Aveva, contro l’ebreo, l’antico rancore di stirpe, che si trova specialmente nel mezzogiorno francese; era come una rivolta della sua stessa carne, una repulsione di pelle che, all’idea del minimo contatto, lo riempiva di disgusto e violenza, fuori da ogni ragionamento, senza che riuscisse a controllarsi. Ma la cosa strana era che proprio lui, Saccard, quel terribile affarista quel boia di denaro dalle mani oscure, perdeva coscienza di se stesso, quando si trattava di un ebreo, parlandone con un’asprezza, con un’indignazione vendicativa da uomo onesto, che viva del lavoro

558 F. Grassi, in E. Zola, Il denaro, p. 13 559 E. Zola, Il denaro, p. 282

560 Ivi 561 Ivi

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delle sue braccia, puro di ogni traffico usuraio. Rivolgeva la requisitoria contro la stirpe, quella stirpe maledetta che non ha più una patria, e neanche un principe, che vive da parassita nelle nazioni, fingendo di riconoscere le leggi, ma in realtà obbedendo unicamente al suo Dio di ladrocinio, di sangue e d’ira; e mostrava come adempisse dappertutto la sua missione di feroce conquista che quel Dio le ha assegnato; impiantandosi dentro ogni popolo, come il ragno al centro della tela, per spiare la preda, succhiare il sangue di tutti, ingrassarsi delle vite degli altri. Qualcuno ha mai visto un ebreo lavorare davvero, con le sue mani? Ci sono ebrei contadini, ebrei operai? No, il lavoro disonora, la loro religione quasi lo vieta, esalta solo lo sfruttamento del lavoro altrui. Ah, pezzenti! Saccard sembrava tanto più preso dalla rabbia quanto più li ammirava, li invidiava per le loro capacità finanziarie prodigiose e per la loro innata scienza dei numeri, quella facilità naturale delle operazioni più complicate, quel fiuto e quella fortuna, che assicurano il trionfo di tutto quel che intraprendono. In quel gioco da ladri, diceva, i cristiani non ci sanno fare, finiscono sempre per annegarsi; al contrario prendete un ebreo che non conosca nemmeno la tenuta dei libri, buttatelo nelle acque torbide di qualche affare sporco, e si salverà e si caricherà tutto il guadagno in spalla. È il dono della stirpe, la sua ragion d’essere attraverso le nazionalità che si fanno e si disfanno. E profetizzava con rabbia la conquista finale di tutte le nazioni a opera degli ebrei, quando questi si saranno accaparrati tutta la ricchezza del mondo, il che non avrebbe tardato, giacché si lasciava liberamente estendere ogni giorno la loro regalità, e si poteva già vedere un Gundermann regnare, a Parigi, su un trono più stabile e più rispettato di quello dell’imperatore».562

«“Ah! Questo Gundermann, quello sporco ebreo che trionfa perché è senza desideri!... Ci sono in lui tutti gli ebrei insieme, in questo conquistatore ostinato e freddo, in marcia verso la sovrana regalità sul mondo, tra i popoli comprati a uno a uno con l’onnipotenza dell’oro. Sono secoli che questa stirpe ci invade e trionfa su di noi, nonostante i calci sul sedere e gli sputi. Ha già un miliardo, un giorno ne avrà due, dieci, ne avrà cento, e sarà il padrone della terra… Io insisto da anni a gridarlo sui tetti, nessuno sembra darmi ascolto, credono tutti che si tratti solo del dispetto di un uomo in Borsa, mentre è il grido stesso del mio sangue. Si, l’odio per l’ebreo, io ce l’ho nella pelle, oh! E viene da molto lontano, dalle radici stesse della mia esistenza!” […] “E quel che mi esaspera, è che

562 E. Zola, Il denaro, pp.

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vedo i governi complici, ai piedi di quei pezzenti. Anche l’impero è venduto a Gundermann, e non poco!”»563

Le dure invettive pronunciate a più riprese da Saccard, hanno portato lo stesso Zola ad essere accusato di antisemitismo: come illustra Fabio Grassi nell’ “Introduzione” a L’Argent, «non si può nascondere che Zola indulga al luogo comune, in sintonia con il pregiudizio diffuso tra buona parte dei suoi lettori»564.

Non solamente Saccard e Gundermann sono attratti ossessivamente e compulsivamente dal denaro: nessuno dei personaggi del romanzo si dimostra essere in grado di sottrarsi al fascinoso potere che il denaro esercita («pochi, infatti, […] ne sono immuni: Madame Caroline col fratello, la nobildonna Orviedo, Jordan e Marcelle»565, seppur solo parzialmente) e tutti, senza distinzione di classe sociale, ne diventano vittime. Ciò che, inoltre, rende l’oro particolarmente irresistibile, pare essere la commistione che si attua con il potere esercitato da Saccard:

«Hamelin, pur disapprovando quella tattica illegale, aveva finito per affidarsi completamente a Saccard per le operazioni finanziarie».566

«La signora Caroline trovò Saccard molto energico e molto prudente, durante il faticoso esordio della Banca Universale. Il suo sospetto di traffici loschi, il timore che avrebbe potuto comprometterli, lei e suo fratello, scomparvero del tutto, nel vederlo lottare senza tregua contro le difficoltà».567

Di fatto, anche Madame Caroline «amica-amante, complice di Saccard, restia al lusso e alla ricchezza, si lascia incantare dal rumore dei cantieri, dall’attività frenetica di Parigi alla vigilia dell’Exposition Universelle»568: il personaggio della

563 Ibidem, p.

564 F. Grassi, in E. Zola, Il denaro, p. 14

565 S. Agosti, Il romanzo francese dell’Ottocento, p. 221 566 E. Zola, Il denaro, p. 262

567 Ibidem, p. 254

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signora Caroline compirà un percorso psicologico molto tortuoso e sarà protagonista di una metamorfosi che, però, in ultima istanza, terminerà, capovolgendosi, in una catarsi redentiva.

Infatti, come illustra il Pellini, nell’ultima parte del romanzo, Madame Caroline, personaggio positivo e “portavoce” di Zola, «conclude su una nota di ottimismo: allo speculatore fallito è consentita una rivincita […] e alla speculazione è tolto, almeno parzialmente, l’interdetto moralistico imperante nella minore produzione romanzesca […] del tempo»569:

«Aveva ragione lui: il denaro, fino a oggi, era il letame da cui nasceva l’umanità di domani; il denaro, avvelenatore e distruttore, era il fermento di ogni vegetazione sociale, il terreno necessario per i grandi progetti che avrebbero facilitato l’esistenza. […] Oltre il tanto fango smosso, oltre le tante vittime schiacciate, oltre tutta quella sofferenza terribile che ogni passo in avanti costa all’umanità, non c’è forse uno scopo oscuro e lontano, qualcosa di superiore, di buono e di giusto, di definitivo, cui ci avviamo senza conoscerlo e che ci gonfia il cuore con il bisogno ostinato di vivere e di sperare?»570

Come nota Reim, «il denaro, che avvelena e distrugge»571 può, in ultima istanza, trasformarsi in qualcosa di estremamente positivo, diventando «il fenomeno di tutta la società, “il concime con cui crescere l’umanità del futuro”, qualcosa davanti a cui prostrarsi in terrorizzata ammirazione”, la forza che può “spianare una montagna, prosciugare un braccio di mare, rendere la terra finalmente abitabile per gli uomini, liberandoli dal giogo del lavoro che li abbruttisce, facendoli diventare conduttori di macchine”. Tutto il bene, dunque, nasce dal denaro, causa di tutto il male»572.

Ma nonostante questo messaggio di speranza che Zola pone, come in un circolo, al termine del romanzo, l’ambivalenza propria degli scrittori moderni permane e

569 P. Pellini, I soldi e la trama, pp. 12-13 570 E. Zola, Il denaro, pp. 603-604 571 R. Reim, La Parigi di Zola, p. 95 572 Ivi

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sovrasta le strutture ideologiche e narrative: di fatto, come in una concatenazione di cause che scaturiscono il crollo della società e dei regimi politici ed economici, il romanzo successivo del ciclo è La débâcle, sulla disfatta di Sedan, poiché «il disastro finanziario prefigura quello militare»573.

573 Ibidem, p. 94

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Conclusione

Dal percorso tematico e narrativo proposto è possibile trarre riflessioni e spunti critici conclusivi di varia natura: numerose sono le interconnessioni tra le opere analizzate, poiché tutte si instaurano su capisaldi narrativi marcatamente ottocenteschi, tra cui la ricchezza materiale è il tema principale.

In primo luogo, evidenziando come il romanzo realista permetta di «raccontare gli esseri e le circostanze contingenti che li attorniano con una ricchezza, una plasticità e un'importanza nuove»574, si riscontra la diversa modalità con cui le vicende narrate si intrecciano con la componente economica, vero “tema chiave” di tutta la letteratura ottocentesca: questa difformità narrativa mostra come ogni opera, nonostante sia inserita all’interno di un contesto letterario, compositivo e geografico più ampio, sia, invero, portatrice di un’identità narrativa fortemente autonoma e caratterizzante.

A tal proposito, è necessario evidenziare come la prospettiva sociale influenzi fortemente il genere del romanzo: la critica e la satira – particolarmente presenti in Dickens, ma utilizzata anche dagli altri narratori analizzati, seppur in maniera meno esplicita -, ma anche la viva immedesimazione verghiana, lontana dalle strategie letterarie e dalla mera indignazione, si pongono come la modalità privilegiata per poter affrontare la prospettiva economica in relazione alle forti conseguenze scaturite sull’ambito sociale.

In secondo luogo, si nota come la costante narrativa fondamentale, inserita in ogni opera analizzata, sia riscontrabile nella presenza del personaggio prototipico dell’avaro, ovvero l’accumulatore compulsivo, ossessionato dalla propria brama ed accecato dai propri desideri viscerali: tale figura rappresenta quello che Pellini chiama homo oeconomicus, ovvero la forma più aberrante ed estrema dell’homo

fictus della narrativa classica poiché incarna appieno i valori, le aspirazioni e le

574 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, p. 32

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caratteristiche della società borghese. Questa dinamica, secondo Pellini, è inserita nel dicotomico processo che intercorre tra il mito del self-made man - che consta in una evoluzione storica del concetto di origine medievale dell’homo faber, colui che è in grado di poter provvedere in maniera autonoma alla propria fortuna e al proprio destino, che si lega all’innovativa nozione di responsabilità –, che si ascrive