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Il tema del denaro ne Il nostro comune amico

Capitolo 4: Il nostro comune amico di Charles Dickens

4.3 Il tema del denaro ne Il nostro comune amico

Il tema dell’eredità viene utilizzato da Dickens come base del proprio racconto: benché questo sia un presentato ed affrontato anche in altre opere dello scrittore, come nota Anny Sadrin viene poco dibattuto dalla critica dickensiana – da Humphry House a Ghrahame Smith: di fatto, l’omissione si presenta troppo ricorrentemente, poiché la tematica dell’eredità viene reputata erroneamente sia retaggio letterario sia attributo futile ai fini delle vicende narrate, mero espediente narrativo utilizzato unicamente “per raggiungere un climax”, benché, invero rappresenti l’«espediente che fa scattare l’intreccio del racconto»279. La Sadrin,

riprendendo gli argomenti utilizzati dalla critica e ponendo alla base della propria argomentazione la teoria secondo la quale intreccio e significato della storia coincidono, spiega che «se, sfidando le leggi della verosimiglianza, Dickens fa sempre in modo che i suoi protagonisti ritornino in possesso delle loro eredità, se costruisce segnali chiaramente in contrasto con il significato delle storie, c’è, di sicuro, qualche forte motivazione interna»280 che esula dalla mera costruzione narrativa.

Per avvalorare la tesi della Sadrin, si può asserire che nelle opere dickensiane il “significato interno” dell’inserimento dell’argomento dell’eredità sia «inerente alla natura del protagonista, alla sua condizione di figlio, destinato a sostituire il padre

278 C. Pagetti, Vivere e morire a Londra, in C. Dickens, Il nostro comune amico, p. XIII 279 A. Sadrin, Eredità e genealogia nei romanzi di Dickens, “Inchiesta letteratura”, p. 65 280 Ibidem, p. 62

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quando quest’ultimo morirà»281, un gesto rituale e strettamente privato, in cui

«donatore e fruitore»282 sono uniti da un legame unico, e che nella dimensione dell’intimità e nell’esclusività del rapporto si differenzia dalle transizioni finanziarie comuni e quotidiane. Nel meccanismo dell’eredità, dunque, seppur sia di matrice spiccatamente finanziaria, «il denaro come il nome del padre – il patrimonio come il patronimico –»283 viene tramandato, e non scambiato oppure acquistato.

Il tema dell’eredità, che nelle opere dickensiane in cui è trattato si configura secondo diverse modalità a seconda della funzione narrativa che esercita, ne Il

nostro comune amico presenta una polivalenza già a livello strutturale: non è con

l’esecuzione delle ultime volontà paterne che vi è il punto di svolta della storia, bensì già con l’intenzionalità di base di soddisfarle. Infatti, l’azione del ritorno di John, a causa della morte paterna, è emblematica, in quanto in sé assume puro valore intenzionale, eppure si costituisce come il fattore unico e scatenante dell’intero intreccio romanzesco. L’eredità, in quest’ottica, assume un valore proprio, che prescinde dal valore finanziario ed economico, poiché non sarà il denaro a far entrare in scena il protagonista, bensì la nostalgica ed imperiosa volontà paterna.

Il nostro comune amico ha anche un intento satirico – particolarmente presente nei subplot, in cui Dickens illustra e critica la diastratia sociale - che investe tutte le

classi sociali in quanto tutte sono in stretto rapporto con la dimensione economica: nel romanzo, il ruolo rivestito dal denaro è proteiforme, venendo presentato in primo luogo come grande forza corruttrice, ma anche, nel meccanismo di rinnegazione del denaro stesso, come dimostrazione e simbolo della volontà di abbracciare i veri valori.

Per far comprendere questa disparità antitetica, nella narrazione è inclusa una panoramica incisiva su tutte le classi sociali della Londra vittoriana - ed ogni classe sociale nel romanzo ha un proprio referente: in primo luogo, vi è la categoria dei

281 Ivi

282 Ibidem, p. 63 283 Ivi

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ricchi superficiali, i Veneerings, che vengono descritti da Dickens come attraverso una presentazione nello specchio, rendendo implicito il fatto che essi sono incompleti e poco profondi, ed infatti sono soliti discorrere di argomenti frivoli, come i beni che posseggono, in maniera pigra e superficiale, tipica dei privilegiati cui interessa solo l’apparenza; si può dunque pensare che lo scrittore rappresenti un poco attraente gruppo di ricchi individui forse suggerendo che il denaro tende a corrompere (una visione analoga è presente anche nel già citato romanzo Grandi

Speranze). In secondo luogo, viene naturalmente offerto uno spaccato del mondo

borghese e la rappresentazione della borghesia è affidata, con tono sardonico, a Posdap, una personalità arrogante, la «reincarnazione ancora più spietata del ragliante pseudo-autodidatta Bounderby di Tempi difficili, il vessillifero dei valori della Englishness vittoriana»284.

Attraverso la vicenda dei Boffin, Dickens mostra i devastanti effetti che l’ambizione sociale e finanziaria produce sugli individui e, di fatto, il fulcro narrativo principale è quello che ruota attorno all’acquisizione del denaro dell’eredità e al possesso della ricchezza e dei beni, con la vicenda di Boffin che si tramuta in “The Golden Dustman” una volta ottenuto il denaro, poiché, come scrive Kegan, «la vera questione non è di denaro, ma di valori»285.

Il denaro è l’unico ed indiscusso mezzo attraverso il quale i Boffin, descritti come

unpolished people (in contrasto con i Veenerings, che invece è gente raffinata),

possono attuare la tanto agognata scalata societaria, l’unico indicatore che può “consacrarli” al rango di “eletti”, poiché il prestigio sociale non si acquisisce con il lavoro fine a se stesso, bensì con la quantità di denaro e di beni posseduta ed accumulata. Di fatto, la «forza corruttrice nel Nostro comune amico non sono i soldi, ma l’atteggiamento borghese nei confronti del denaro»286.

Per Dickens, questa visione costituisce il sintomo inequivocabile di una società in cui il denaro presenta una spiccata forza corruttrice: gli individui, accecati dalla brama del possesso e dal desiderio di entrare nell’ “elegante società”, utilizzano

284 C. Pagetti, Vivere e morire a Londra, in C. Dickens, Il nostro comune amico, p. VI 285 P. Kegan, “Introduzione” in C. Dickens, Il nostro comune amico, p. VIII

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tutti i mezzi - anche i più illegali ed infimi, come la speculazione finanziaria, poiché « “Per il denaro si può fare qualsiasi cosa, ma se non c’è il denaro…Puah!”»287– e

perdono i valori di riferimento che maggiormente si iscrivono in una visione volta alla conservazione e all’integrità della morale. La disparità tra classi sociali altro non è che il frutto dell’avidità dell’uomo, che dimentica gli altri uomini in nome dei propri egoistici e deliranti desideri.

Ciò che, dunque, caratterizza gli appartenenti all’alta società non è più esclusivamente il titolo nobiliare, bensì si fa riferimento ad un concetto della mentalità borghese, secondo il quale sono i beni, le ricchezze, le abitazioni possedute a denotare il valore dell’individuo all’interno della società.

Emblematico a tal proposito è il dialogo in cui i Boffin discutono sul cambiare abitazione e lasciare la Pergola, poiché l’abbandono della vecchia casa è, di fatto, il simbolo della rivalsa e della scalata sociale:

«Il signor Boffin andò direttamente a casa, senza altri incidenti. Arrivato alla Pergola, fece alla signora Boffin (in vestaglia di velluto nero e piume, come un cavallo impennacchiato a lutto) un resoconto di tutto ciò che aveva detto e fatto dopo colazione.

“E questo ci conduce, mia cara,” così concluse, “alla questione che abbiamo lascito in sospeso: e cioè se dobbiamo fare qualche altro passo sulla strada dell’eleganza.”

“Oh, te lo dico io di cosa ho bisogno, Muccio” disse la signora Boffin, lisciandosi la vestaglia con aria di immenso piacere, “ho bisogno della società.”

“Società elegante, mia cara?”

“Si!” gridò la signora Boffin, ridendo con l’allegria di un bambino. “Si! A che serve tenermi qui come una statua di cera? Non serve a niente, no?”

“Per vedere le statue di cera si paga, mia cara,” replicò suo marito, “mentre i vicini possono vederti gratis. Del resto anche se pagassero quello che si paga per vedere le statue di cera, sarebbe sempre a buon mercato.”

“Ma che c’entra,” disse allegramente la signora Boffin. “Quando lavoravamo come i nostri vicini, andavamo bene per loro. Ora che non lavoriamo più, non andiamo più bene”.

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“Come, pensi di tornare a lavorare?” domandò allarmato il signor Boffin.

“Nemmeno per sogno. Abbiamo ereditato una grande somma, e dobbiamo fare quello che fanno i ricchi; dobbiamo essere alla loro altezza.”

Il signor Boffin, che aveva un gran rispetto per la saggezza delle intuizioni di sua moglie, rispose, benché piuttosto sopra pensiero: “Credo che tu abbia ragione.”

“Finora non siamo stati all’altezza mai e, perciò non ne è venuto niente di buono.” Disse la signora Boffin.

“È vero per ora,” assentì il signor Boffin […] “E a questo proposito, cosa pensi di fare, vecchia mia?”

[…] “Penso che ci voglia una bella casa in un bel quartiere, belle cose intorno a noi, bella vita e bella società.”»288

Invero, come si scopre nel romanzo, i Boffin non sono mutati, sono sempre stati motivati da una buona volontà e da una genuina generosità, rimanendo gente onesta che, pur acquisendo la ricchezza materiale, sceglie di non deturpare la ricchezza interiore che possiede; le azioni compiute si rivelano, di fatti, motivate da altruismo e genuina gentilezza: i Boffin non si lasciano corrompere dal denaro e rimangono fedeli al loro sistema valoriale.

Anche il personaggio del signor Twemlow, seppur venga presentato nel romanzo come un uomo spineless, può essere letto come un altro esempio di un ricco che non è stato corrotto dal denaro: di fatti, alla fine del romanzo, Twemlow resiste alla “Voice of Society” e si scaglia duramente contro la crudeltà di Lady Tippins nei confronti di Lizzie, non solo sostenendo che ricchezza e classe sociale di appartenenza non debbano essere assolutizzati, ma dando importanza al valore dei sentimenti. Mr. Twemlow è portavoce dell’ideologia appoggiata dal proprio creatore ed esprime un concetto tipicamente dickensiano, ovvero che non è tanto il denaro a portare alla corruzione, quanto la mancanza di “gentlemanly values” e l’ossessione e il desiderio sia verso la ricchezza sia verso la classe sociale.

288 Ibidem, pp. 115-116

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Dickens mostra, dunque, la pericolosità del denaro, ricercando, però, quale sia la vera forza corruttrice della società che, in ultima istanza, risulta essere l’avidità, il desiderio di ricchezza che porta alla gelosia e alla crudeltà.

Ad esempio, nel romanzo i Lammles di sposano per soldi solo per poi scoprire che entrambi avevano ingannato e raggirato l’altro, e nella loro povertà essi pianificano piani insidiosi per poter aumentare la loro ricchezza – ad esempio sono disposti a sacrificare la loro stessa figlia, organizzando un matrimonio combinato, solo per denaro: “partnership affair, a money speculation”.

Date queste considerazioni, si può asserire che ciò che realmente provoca corruzione e decadenza non è il denaro, bensì l’atteggiamento “borghese” nei confronti di esso poiché la forza primaria della corruttela societaria è l’avidità: tale desiderio spasmodico e irrefrenabile di ricchezza viene dunque individuato dallo stesso Dickens nel corso della narrazione come il motore delle azioni maligne e degli atti crudeli e criminali dei personaggi.

Rappresentativo, a tal proposito, è il personaggio di Bella Wilfer, che rappresenta un ulteriore caso emblematico di brama della ricchezza in quanto è caratterizzato dalla predisposizione immorale dell’animo all’avidità del denaro. Infatti, ad apertura del romanzo, la presuntuosa ed avida Bella dichiara apertamente: «Il denaro lo amo, e ne ho bisogno, un bisogno terribile. Odio la povertà»289. Inoltre, il suo desiderio di denaro e le sue aspirazioni sociali la portano al rifiuto crudele e altezzoso di Harmon/Rokesmith per ragioni unicamente economiche, monetarie e di classe sociale.

Nel suo personaggio avviene, però, una crescita simultaneamente morale e spirituale – che si contrappone alla degenerazione umana che apparentemente si manifesta in Boffin.

Primi segnali di questo mutamento, dovuto ad una presa di coscienza da parte di Bella, sono visibili nell’episodio in cui la fanciulla torna dalla propria famiglia d’origine per una ricorrenza ed in questo contesto, si confida con il padre:

289 Ibidem, p. 45

75 «“Ma che novità da parte tua, Bella?”

“Non sono migliorata affatto, papà.” “Ma davvero?”

“No, papà. Al contrario, sono peggiorata.” […] “Sono peggiorata papà- Faccio tanti di quei calcoli su quanto devo avere all’anno quando mi sposerò, e quanto è il minimo di cui mi posso accontentare, che cominciano a formarsi delle rughe sul mio naso.”»290.

Oltre ad aggiornare il padre sulla propria condizione e sugli avvenimenti che la riguardano, Bella rivela al padre di notare un evidente cambiamento nella personalità e negli atteggiamenti di Boffin, che la spaventano e la inquietano e che le mostrano la concretezza fattuale di un possibile scenario futuro scritto in nome del denaro:

«“Oh papà, il numero quattro non promette niente di buono. Mi dispiace tanto, vorrei tanto non crederci, ho cercato con tanta cura di non vederlo, che mi è molto difficile raccontarlo, perfino a te. Ma il signor Boffin non è più lui, la ricchezza lo gusta, lo peggiora di giorno in giorno”.

“Mia cara Bella, spero e confido di no.”

“Anch’io ho sperato e confidavo di no, papà: ma ogni giorno lo fa diventare peggiore. Non con me, con me è press’a poco lo stesso di sempre, con gli altri che lo circondano. Sotto i miei occhi egli diventa sospettoso, capriccioso, duro, tirannico, ingiusto. Se c’è mai stato qualcuno che le ricchezze hanno cambiato in male, è il mio benefattore. Eppure, papà, pensa com’è terribile il fascino del denaro! Io vedo questa brutta cosa, la odio, la temo, e son sicura che il denaro farebbe fare anche a me un brutto cambiamento. Eppure il denaro è in tutti i miei pensieri e i miei desideri; e tutta la vita che mi propongo di vivere è imperniata sul denaro, sul denaro, sul denaro, e su ciò che il denaro può comprare!”»291

L’indole di Bella, dunque, in un momento di tensione narrativa “eroico-epifanico”, muta notevolmente e la catarsi si mostra evidente a tal punto che viene definita

290 Ibidem, p. 533

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“Pura come l’oro”: avendo visto, con l’esempio di Boffin – che ella stessa aveva reputato “dal cuore duro” - come l’ossessione per il denaro possa corrompere e distruggere, sceglie di abbandonare le sue ambizioni monetarie, scegliendo l'amore di Rokesmith.

Secondo Patricia McDaniel292, il fatto che Bella, una volta cambiata, scopra che John è, in realtà, ricco, costituisca una “ricompensa finale” che Dickens vuole donare al suo personaggio.

Thomas Bailey sostiene, inoltre, che l’episodio della catarsi di Bella rappresenti il vero nucleo del romanzo, poiché attraverso questo cambiamento diviene evidente il valore che Dickens sostiene, ovvero “love over pecuniary gain”.

Dunque, è esattamente in questo che risiede il messaggio di speranza e la morale che Dickens vuole trasmettere: nonostante la società moderna sia devastata dalla corruzione, l’immoralità e la depravazione possono essere sconfitte combattendo l'avidità – temprando le proprie brame -, perseguendo i valori della bontà e della gentilezza e ricercando l’amore.

292 P. E. McDaniel, “Money Breeds Greed. Dickens’s Our Mutual Friend”, Lake Forest College, 1986

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