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Capitolo 6: La roba di Giovanni Verga

6.3 Il tema del denaro ne La roba

Nella novella sono centrali i temi dell’avidità, dell’accumulo e del possesso ossessivo di cui Mazzarò rappresenta l’emblema, la personificazione e la massima espressione, rivestendo la figura del «tragico eroe dell’accumulazione capitalistica»409.

La roba, nell’accezione verghiana, rappresenta tutti i beni immobili e, di fatto, per far comprendere al lettore ciò che tale termine concretamente indica, il narratore elenca sovente tutti i possedimenti di Mazzarò: sia i possedimenti terrieri come i campi, le vigne e gli ulivi, sia altri possedimenti, sempre materiali, come il bestiame o gli attrezzi per lavorare la terra.

Franco Moretti paragona il termine dialettale ed omnicomprensivo “roba” con la naturale – ed obbligata - traduzione in lingua inglese, “property”, spiegando come quest’ultima non possiederà mai la particolare e corroborante «connotazione emotiva»410 della parola originaria. Questo perché «roba non è un termine astratto: significa terra, edifici, animali, campi, alberi; tra i poveri rappresenta gli oggetti della quotidianità. La roba si può vedere, toccare, annusare; è fisica, spesso viva»411.

407 G. Forni, in G. Verga, Novelle rusticane, p. XVII 408 Ivi

409 P. Pellini, Verga, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 111 410 F. Moretti, Il borghese, p. 115

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La roba è concreta, personale ed intima, a differenza del denaro che indica puramente il valore di scambio delle cose ma che sostanzialmente non è. Quella della roba, spiega Moretti, è «una nozione antica»412 tanto che lo stesso termine «è persino più antico dei latifondi siciliani; il suo etimo è la parola tedesca Raub: bottino, preda, saccheggio (da cui deriva anche l’italiano rubare)»413.

Il fulcro della novella e dell’ideologia borghese può essere riassunto in una frase, pronunciata da Mazzarò, che si mostra quanto mai emblematica: «La roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare»414. Mazzarò fa la roba ed accumula una quantità tale di beni immobili e ricchezza liquidache, nella prima parte del brano, vi è la ridondante iterazione secondo la quale ogni cosa vista dal viandante è “di Mazzarò”:

«Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini […] e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passanato e di Pansanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, […]: - Qui di chi è? - sentiva rispondersi: – Di Mazzarò. - E passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava: - E qui? – Di Mazzarò. E cammina e cammina […], passando per una vigna che non finiva più e si allargava sul colle e sul piano […] – Di Mazzarò. – Poi veniva un uliveto folto come un bosco […]. Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera […] si incontravano le lunghe file degli aratri di Mazzarò […]; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria, sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre di Mazzarò. – Tutta roba di Mazzarò.»415

Tutto sembra appartenere a Mazzarò, tanto che, enfaticamente, il narratore asserisce come «pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava»416. Ma,

412 Ibidem, p. 116

413 Ivi

414 G. Verga, La roba, contenuto in Novelle rusticane, G. Forni a cura di, Novara, Interlinea srl edizioni, 2016, p. 76

415 Ibidem, pp. 71-72 416 Ibidem, p. 72

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nonostante la sua ricchezza si estenda «fin dove arriva la vista»417, Mazzarò è un uomo estremamente umile, per nulla «montato in superbia»418: ad esempio, egli si ciba frugalmente con «soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e furia, all’impiedi, in un cantuccio del magazzino grande come una chiesa […] o a ridosso di un pagliaio […] o colla testa dentro un corbello»419 oppure indossa un

berretto di feltro anziché quello di seta, perché costa meno.

Nonostante Mazzarò abbia tutti questi possedimenti, gode sicuramente di invidia e ammirazione tra i propri concittadini, ma non di un sincero riconoscimento, né di prestigio o rispetto sociale, e neppure sembra interessarsi di ciò:

«Che tutti si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’eccellenza, e gli parlavano con il berretto in mano. Né per questo egli era montato in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore»420.

Mazzarò obbedisce unicamente all’imperativo della roba, che prevede un accumulo spasmodico di beni e proprietà: durante la sua vita, si è dedicato esclusivamente al lavoro, rimuovendo qualsiasi altro bisogno o naturale pulsione, sacrificando tutti gli affetti, con l’intento e l’ambizione di poter acquistare quanta roba possibile. Il protagonista della novella è un uomo che si è isolato nel proprio lavoro, rendendolo totalizzante al punto da eclissare ogni altro aspetto della vita, che ha scelto di crescere lontano da famiglia ed amici, decidendo di vivere da solo, rifiutando l’idea di avere una compagna, una moglie; inoltre Mazzarò non è affetto da vizi di alcun genere – neppure dal tabacco, che pure produce - né da alcun divertimento o svago che possa distrarlo dalla fatica del lavoro, unica e sola occupazione delle sue giornate e della sua intera vita:

417 Ibidem, p. 73

418 Ivi

419 Ibidem, pp. 73-74 420 Ibidem, p. 73

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«Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non ne aveva mai avuto sulle spalle che sua madre»421.

Quando muore sua madre, Mazzarò sembra essere rattristato solo dalle spese funerarie, reputate eccessive, poiché «gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto»422.

L’insensibilità a qualsiasi piacere della vita, da parte di Mazzarò, è frutto della sua infinita brama di possesso e della conseguente dedizione al proprio mestiere: «non aveva lasciato passare un minuto che non fosse stato impegnato a fare della roba»423. Egli ha lavorato duramente per poter comprare tutti i possedimenti del precedente proprietario, «quel barone che prima era stato il padrone di Mazzarò […], ed era stato il padrone di tutti quei prati, di tutti quei boschi, e di tutte quelle vigne e di tutti quegli armenti»424: lavorando, dunque, con costanza, impegno e sacrificio, sopportando tacitamente i duri maltrattamenti fisici subiti, e grazie anche alle sue doti e al suo ingegno - «colla testa come un brillante»425 - Mazzarò guadagna somme di denaro sufficienti per permettergli di acquistare tutti i possedimenti desiderati, compresi quelli del barone che, avendolo «raccolto […] nudo e crudo ne’ suoi campi»426, gli aveva dato lavoro in gioventù e che ormai era

stretto nella morsa dei debiti, trasformando, così, il proprio patrimonio monetario in fondiario e territoriale.

«In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del barone; e costui uscì prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo

421 Ibidem, p. 74 422 Ivi 423 Ivi 424 Ibidem, p. 76 425 Ibidem, p. 73 426 Ibidem, p. 76

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istesso, che non passava giorno che non firmasse delle carte bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce»427.

La monomania nei confronti della roba, che affligge patologicamente Mazzarò, viene spiegata e, pare, in parte anche languidamente giustificata, come una forma di marcamento e di riscatto da una vita di miseria e sofferenza:

«Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare la terra che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a nerbate se fate di rizzarvi un momento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba»428.

Nella novella viene sovente ripetuto quanto Mazzarò abbia lavorato per ottenere ciò che ha e il possedimento della roba si dimostra essere da subito la sua unica ragion d’essere. Di fatto, come illustra Roberto Bigazzi, «la roba tocca a chi se ne fa il solo scopo della vita, a chi la cerca per se stessa, senza mai fermarsi perché appunto l’esercizio di questa “passione” sta nell’accumulare, non nello spendere»429:

«Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba alla sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba»430. 427 Ibidem, p. 77 428 Ibidem, p. 74 429 Ivi 430 G. Verga, La roba, pp. 75-76

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«Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire tutto; e ogni volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di 12 tarì d’argento, chè lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba, e andava a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare il re, o gli altri; e alle fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla banda, alle volte dovevano mutar strada, e cedere il passo».431

Nella psicologia elementare di Mazzarò, dunque, si comprende come il denaro sia un puro mezzo, un mero strumento atto all’acquisto dei beni immobili: per lui il denaro non ha valore né importanza, è pura “carta sudicia” per la quale non prova alcun interesse.

«Il denaro entrava e usciva come un fiume dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed essere meglio del re, chè il re non può né venderla, né dire ch’è sua»432.

Per Mazzarò, il denaro non conta e ciò che realmente conta è solo la roba: egli dedica all’accumulo e alla conservazione del suo guadagno tutte le sue giornate, poiché la sua intera esistenza è per la roba.

Per Mazzarò, «la roba è sangue […], la roba è vita»433 ed egli ha lavorato duramente

per poter acquistare tutti i suoi possedimenti:

«Aveva accumulato tutta quella roba, dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll’acqua, col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto»434.

431 Ibidem, p. 75

432 Ibidem, p. 79

433 F. Moretti, Il borghese, p. 116 434 G. Verga, La roba, p. 73

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L’esistenza di Mazzarò è pervasa dal vuoto, poiché nulla, tranne la roba, ha valore: «perde valore la famiglia, la religione, la giustizia, l’ordine sociale, la vecchiaia»435. La conclusione della novella ricorda che l’ossessione dell’accumulo è fine a se stessa: la necessaria, seppur amara, constatazione finale di Mazzarò, ovvero che, una volta morto, non potrà portare con sé il frutto del suo faticoso lavoro, si tramuta in un grido grottesco quanto disperato:

«Sicché, quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vienitene con me!»436.

Come nota Pellini, Mazzarò è un vinto e ciò che effettivamente lo sconvolge e che gli provoca la violenta reazione «non è tanto il prossimo trapasso (cioè la trasformazione, o l’annullamento, del suo essere); ciò che lo colpisce è soprattutto la necessaria separazione dai suoi averi»437.

Questa prospettiva si riflette in una visione allegorica della società moderna, secondo la quale, come illustra Luperini, «la grandiosità dell’accumulo capitalistico potrà essere contraddetta, alla fine, solo da un’istanza metafisica, dalla prospettiva del nulla che attende Mazzarò giunto alle soglie della morte»438: dunque Mazzarò morirà da solo, e senza poter portare con sé l’unica cosa che realmente ama e possiede, la sua roba.

435 G. Forni, in G. Verga, Novelle rusticane, p. XVII 436 Ibidem, p. 79

437 P. Pellini, Verga, p. 112

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