• Non ci sono risultati.

CAPITOLO II – La medicina greca come modello di cura.

3.3 Deontologia e umanesimo

Prima di dedicarci all'analisi di alcuni aspetti metodologici della medicina ippocratica, e di alcuni caratteri generali della medicina in quanto techne, bisogna qui soffermarsi sulla deontologia medica: se Socrate è passato alla storia come colui che ha portato la filosofia ad occuparsi delle cose umane, ovvero dei concetti morali, vero è tuttavia che nei testi ippocratici abbiamo l'esempio anche di una certa consapevolezza etica. Il testo che ovviamente più di ogni altro ci testimonia in modo diretto queste preoccupazioni è il famoso Giuramento. Esso è stato formulato in principio come una forma di impegno che l'allievo estraneo alla famiglia contraeva con il maestro che lo aveva istruito nell'arte. Come si è detto infatti tradizionalmente l'insegnamento medico si trasmetteva di generazione in generazione all'interno dei due principali rami della famiglia degli Asclepiadi. Proprio all'epoca di Ippocrate si iniziò tuttavia a trasmettere il sapere tecnico anche ad estranei, dietro pagamento: la prima parte del Giuramento testimonia appunto come l'allievo doveva ritenersi vincolato al suo maestro per la vita, soccorrendolo in caso di bisogno, o insegnando gratuitamente l'arte ai suoi discendenti.

Ma la parte più nota del Giuramento è la seconda:

Mi varrò del regime per aiutare i malati secondo le mie forze e il mio giudizio, ma mi asterrò dal recar danno e ingiustizia. Non darò a nessuno alcun farmaco mortale neppure se richiestone, né mai proporrò un tale consiglio: ugualmente non darò alle donne pesseri per provocare l'aborto. Preserverò pura e santa la mia vita e la mia arte. Non opererò chi soffre di mal della pietra, ma lascerò il posto ad uomini esperti di questa pratica. In quante case entrerò, andrò per aiutare i malati,

astenendomi dal recar volontariamente ingiustizia e danno, e specialmente da ogni atto di libidine sui corpi di donne e uomini, liberi o schiavi. E quanto vedrò e udirò esercitando la mia professione, e anche al di fuori di essa nei miei rapporti con gli uomini, se mai non debba essere divulgato attorno, lo tacerò ritenendolo alla stregua di sacro segreto. Se dunque terrò fede a questo giuramento e non vi verrò meno, mi sia dato godere il meglio della vita e dell'arte tenuto da tutti e per sempre in onore. Se invece sarò trasgressore e spergiuro, mi incolga il contrario di ciò.

Esso è la massima espressione di quello che è stato chiamato l'atteggiamento “umanista” dei medici ippocratici: essi si dedicavano alla cura tanto dei poveri quanto dei ricchi, dei calzolai, dei vasai, degli scalpellini, degli stranieri e degli schiavi, anche se barbari. Anzi Galeno avrebbe poi polemizzato contro l'avidità dei suoi contemporanei, descrivendo Ippocrate quasi come un “medico dei poveri.”243 Il medico in altre parole non fa molta

differenza tra i vari pazienti, e le indicazioni che abbiamo sul loro status sociale hanno per lo più lo scopo di chiarire il quadro clinico (ad es. nei casi di infortuni sul lavoro), o semplicemente di identificare chiaramente il malato. I testi anzi si riferiscono spessissimo al malato semplicemente col termine anthropos (cfr. incidentalmente Mem. I, 2, 60). Solo le donne sono in parte escluse da questo quadro, in quanto le attenzioni che sono loro rivolte dal medico riguardano sopratutto problemi ginecologici (e come accennato sono di rado menzionate in contesti dietetici).

In linea di principio dunque l'attività del medico si rivolge ad ogni essere umano, ed in questa attività egli si ritiene obbligato a portare sempre rispetto a chi si trova di fronte. Il principio che guida la sua attività è quello di fare sempre l'interesse del malato: “nelle malattie aver presenti due cose: essere utile oppure non nuocere” (Epid., 5). E questa attenzione si esprime nel Giuramento in divieti concreti, volti ad impedire al medico di adoperare le sue conoscenze per procurare danni. In primo luogo bisogna evitare di causare scientemente la morte di qualcuno, o di procurare l'aborto; poi evitare di compiere operazioni per le quali evidentemente il medico non era il soggetto più qualificato (“mal della pietra”, ovvero asportazione di calcoli); non approfittare della propria posizione per ottenerne vantaggi sessuali; né infine fare un cattivo uso delle informazioni acquisite nel corso delle sue visite nelle case dei pazienti. Di un'annotazione particolare necessita il secondo precetto: il divieto di praticare l'aborto non pare essere affatto scontato per l'epoca, se è vero che, come ci testimonia Platone (Thaet.149b ss.), le levatrici conoscevano e praticavano l'aborto.244

Ma tornando alla deontologia ippocratica, ci si potrà chiedere quanto della promessa che il

243 Jouanna, Ipp., cit. pp. 117-18. 244 Cfr. supra p. 93, n. 230.

medico era tenuto a pronunciare all'inizio della sua carriera venisse poi effettivamente praticato. Da quel che si legge nel Corpus, si possono trarre tutta una serie di annotazioni che testimoniano il lato umano della pratica medica. Nonostante lo stile asciutto e tecnico della maggior parte dei trattati, infatti, si fa talvolta riferimento a piccole accortezze che il medico deve avere nel praticare una qualche terapia, per evitare di renderla più sgradevole del necessario al paziente: dalla comodità dei cuscini alla pulizia dell'ambiente, all'aspetto gradevolmente composto del medico stesso.245

Ci pare il caso infine di soffermarci brevemente su un altro aspetto che non attiene tanto alla deontologia del medico, quanto a quella del malato. Se infatti ad un orecchio moderno l'idea che il malato possa avere dei doveri particolari nella terapia può apparire strana, molto meno doveva apparire tale per un greco: come si è detto, è il malato il primo soggetto dell'opposizione alla malattia. Il medico non è altro che un aiutante in questa lotta tra il malato e la malattia.246 Un esempio significativo di questa prospettiva si trova nel trattato Sull'Arte

(cap. 7), ove l'autore difende la medicina dall'accusa di essere colpevole della morte dei pazienti. L'autore obietta per l'appunto che non si può ritenere più probabile che sia il medico a fornire prescrizioni inadeguate, e non piuttosto che il malato che, vinto dal dolore o dalla fame, non rispetta le indicazioni dietetiche del medico quando lui è assente. Questo aspetto della pratica medica è qui rilevante per due ragioni. Una prima ragione è la somiglianza che possiamo rilevare tra questa argomentazione e quella condotta da Senofonte nel capitolo I, 2 dei Memorabili, ove si occupa di difendere Socrate dall'accusa di essere complice dei danni arrecati alla città dai suoi più noti frequentatori: Crizia e Alcibiade. Senofonte si trova in una situazione non troppo dissimile da quella dell'autore del trattato Sull'arte. Ed infatti afferma che Socrate non può essere considerato colpevole del male compiuto da Crizia e Alcibiade una volta allontanatisi da lui, poiché è più verosimile che sian stati loro a non applicare l'insegnamento di Socrate, e non che quell'insegnamento fosse dannoso. In un certo senso ciò è confermato dal Simposio (216b) dove Alcibiade descrive il proprio rapporto con Socrate in modo non dissimile da come avrebbe potuto fare un malato negligente: ogni volta che Socrate è presente si trova costretto a dargli ragione su come dovrebbe comportarsi, ma appena se ne allontana è ancora vinto dall'ambizione, come il malato dalla fame.

La seconda, più generale, ragione per la quale la presenza di una deontologia del malato può essere rilevante ai nostri fini è che essa assottiglia la distanza tra l'idea di una medicina dell'anima e una medicina del corpo. In ambito morale evidentemente, se anche esistesse un

245 Jouanna, Ippocrate, cit., p. 132-137. 246 Cfr. supra, p. 90, Epidemie I, 5.

maestro, sarebbe il “malato” a dover fare lo sforzo maggiore nell'esercitarsi a vivere in un certo modo, ed a filosofare.

§ 4. Aspetti di metodo della scienza ippocratica.

Se nel paragrafo precedente ci siamo già soffermati su alcuni fondamentali concetti relativi alla fisiologia, alla patologia ed alla terapia ippocratica, nel presente cercheremo di mettere meglio a fuoco alcuni aspetti che caratterizzano il pensiero ippocratico dal punto di vista metodologico e gnoseologico.

In primo luogo è indispensabile approfondire il concetto di techne. In questa sede evidentemente non può essere approfondito in quanto tale il significato del termine, la sua storia, e gli aspetti che, prima di Aristotele, facevano sì che una qualche conoscenza strutturata potesse essere annoverata come techne. Si è deciso quindi di avvalersi di uno schema degli elementi che caratterizzano la nozione pre-aristotelica di techne, formulato da Bjorn Hofmann in un saggio sull'utilità della nozione di medicina come techne per le sfide etiche ed epistemologiche della medicina contemporanea.247

i. La techne ha un campo specifico, ovvero ha un determinato oggetto e si occupa di studiare la natura di quel dato oggetto

ii. la techne è orientata ad un fine specifico.

iii. La techne produce un risultato utile, ha un prodotto.

iv. La techne richiede la padronanza di generali principi razionali che possono essere spiegati ed insegnati.

Per quanto riguarda la medicina greca in particolare ci limitiamo a riportare alcune delle importanti osservazioni compiute da Hofmann nell'applicare ad essa questo schema.

i. L'oggetto specifico della medicina è il corpo umano malato. La limitazione dell'oggetto ha un ruolo determinante nella definizione della techne in quanto tale. Come afferma l'autore del trattato Sull'arte (cap. 8): “se […] qualcuno pretendesse che l'arte possa fare ciò che l'arte non ha prodotto248 […] manifesterebbe un'insipienza che s'addice alla pazzia

più che all'ignoranza”. Questa limitazione implica che la medicina non si occuperà dei malati

247 Bjorn Hofmann, Medicine as techne, cit., pp. 403-425. Lo studioso introduce questi caratteri osservando come, nonostante l'ampio dibattito accademico sul concetto di techne, essi possono essere considerati in linea di massima oggetto di un generale accordo.

già vinti dal male.249 Ma anche, cosa per noi più interessante, che non includerà forse il

trattamento dell'anima, o una preoccupazione per il benessere in generale (il campo resta quindi libero per un'arte che invece voglia occuparsi proprio della cura dei mali dell'anima).

ii. Il fine della medicina è curare e aiutare il paziente. Lo scopo è in altre parole quello di ristabilire l'ordine (kosmos), la salute e la forza del corpo. E ciò, contrariamente a come è intesa la medicina moderna, è perseguito assistendo (therapeuein) la natura nella sua naturale capacità di guarigione (vis mediatrix naturae, katastasis). Ma tale fine è perseguito non come scopo astratto, ma in riferimento a ciascun paziente in particolare.250

iii. Il “prodotto” della medicina è la salute per il paziente individuale. È il fatto di avere uno specifico ergon, e di essere cioè una attività produttiva, che garantisce alla medicina il suo statuto di techne. È il suo risultato, più che le sue argomentazioni, a far testo: e il risultato sta nella salute del singolo paziente. Si può osservare sin d'ora la centralità di questo punto per il confronto con la filosofia intesa come “arte di vivere”: non è tanto la capacità teoretica a definire il saggio, quanto il fatto che egli sia in grado di comportarsi in un certo modo.251 In

Antica medicina si può osservare in azione questo criterio per la definizione della prima parte

della “medicina”, ovvero quella comunemente nota come 'cucina': è proprio il fatto che essa “è stata scoperta in pro della salute e della salvezza e del nutrimento dell'uomo” (cap. 3) a far sì che essa debba esser denominata medicina.

iv. La medicina investiga i propri principi generali e rende conto razionalmente delle proprie azioni. Rientrano in quest'ultimo punto aspetti che andremo meglio ad analizzare nelle prossime pagine, come l'opposizione ad una visione religiosa della malattia, l'esigenza per la

techne di posarsi su una conoscenza delle cause, e l'opposizione tra arte e caso. Si voglia qui

ancora osservare la singolare vicinanza tra la formulazione offerta da Hoffman di questo carattere essenziale del concetto di techne e la pratica socratica di costringere i propri interlocutori a “rendere ragione” (logon didonai) delle proprie scelte etiche.252

Prendiamo in analisi nei prossimi paragrafi alcuni di questi temi, rifacendoci ad alcuni dei passaggi salienti dei “più avanzati”253 trattati presenti nel Corpus Hippocraticum.

249 Cfr. supra n. 240. 250 Cfr. Antica medicina, 20.

251 Cfr. P. Hadot, Cos'è la filosofia antica, cit., passim. 252 Cfr. Lach.187e-188b, e supra, n. 203.