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CAPITOLO II – La medicina greca come modello di cura.

4.2 Empirismo della medicina Tyche e techne.

Il rifiuto di ogni spiegazione religiosa del male implica la necessità di un metodo razionale di indagine per comprenderne le cause. Non a caso il termine hodòs è ricorrente nelle opere ippocratiche, insieme ad una serie di altri termini e concetti chiave che rivelano l'attenzione rivolta dai medici ippocratici al problema della determinazione di un metodo adeguato:

orthón (correttezza); loghismòs (ragionamento logico); loghismòs prosékon (logica adeguata,

applicabile); l'idea dell'indipendenza della medicina e di un progresso continuo delle sue conoscenze; l'attenzione ai tekmeria o semeia (indizi, segni) dai quali dedurre attraverso il ragionamento ciò che non è visibile; l'approccio totalizzante, volto cioè a tenere in considerazione il corpo nella sua interezza ed il contesto ambientale; e non ultima la contrapposizione tra techne e tyche (il caso, la sorte), e la persuasione quindi della possibilità di trovare delle cause per ogni fenomeno.

Benché il razionalismo scientifico della medicina greca del V sec. sia riconducibile, come si è già detto,256 a determinate condizioni storiche e mutamenti socio-politici, d'altro canto è

riconoscibile proprio nel Corpus Hippocraticum la traccia di “prime considerazioni epistemologiche,”257 a dispetto della tradizionale attribuzione a Platone dell'inizio della

riflessione epistemologica. È il caso infatti di precisare qui come non si debba cadere nella tentazione di applicare anacronisticamente schemi gerarchici tra saperi la cui definizione antica sfugge senz'altro a categorizzazioni moderne o comunque più tarde. Un noto giudizio di Celso258 attribuiva proprio ad Ippocrate il merito di aver reso la medicina indipendente dalla 256 Cfr. la su citata posizione di Pellegrin, op. cit.

257 J. Jouanna, La nascita dell'arte medica ..., p. 35. Cfr. anche dello stesso Jouanna, Ippocrate, cit. pp. 247- 262.

258 Nella prefazione al De medicina. Galeno diversamente da Celso si serve di Ippocrate come esempio per mostrare come il medico debba essere anche filosofo, nel suo opuscoletto intitolato per l'appunto Il medico

filosofia. Ma d'altronde nel V sec. il quadro della riflessione sulla natura non vede una chiara distinzione tra “discipline” differenti. Gli stessi sophoi che si occuparono di physis solo anacronisticamente possono essere denominati “filosofi,” e anzi in molti sensi lo statuto epistemologico “forte” della medicina la rendeva a tutti gli effetti una rivale, piuttosto che una disciplina subordinata. È la filosofia a tentare di conquistare progressivamente un dominio sulla medicina, in una rivalità che si estende sino al periodo ellenistico e oltre. In un certo senso infatti, afferma Pellegrin, filosofia e medicina competono sullo stesso campo, in quanto entrambe intendono regolare ogni aspetto della vita umana.259

I trattati dove è più approfondita la riflessione epistemologica sono Antica medicina e sopratutto Sull'arte: entrambi, tra loro contenutisticamente molto vicini, testimoniano una prassi medica che vuole fondarsi solo sull'esperienza e su una interpretazione razionale dei dati empirici. Antica medicina ha innanzitutto una motivazione polemica. Di esso abbiamo già riassunto la visione progressista, e la teoria umorale.260 L'obiettivo polemico dello scritto

risulta essere una certa tendenza della medicina del tempo, forse di origine italica, che, rifiutando la tradizione di esperienze raccolte nell'arco di generazioni, era stata attratta dal fascino della sistematicità di cui un esempio gli era fornito nelle contemporanee teorie naturalistiche. Costoro avevano sviluppato delle teorie mediche di stampo “filosofico,” nella quale la comprensione delle malattie era ricondotta interamente alle quattro qualità fondamentali (caldo/freddo, umido/secco). Vari sono gli esempi anche all'interno del Corpus di teorie che potrebbero essere indirettamente toccate da questa critica in quanto collegabili in qualche modo all'uno o all'altro di quei sophoi che oggi noi chiamiamo convenzionalmente “filosofi” presocratici.261 Per l'autore di Antica medicina invece la medicina è una scienza già

esistente e frutto di un lungo accumulo di esperienza attraverso le generazioni: il sapere pratico che ne deriva non può essere ricondotto a pochi semplici princìpi. Essa non ha in altre parole bisogno “di un nuovo postulato (hypothésios) alla stregua delle cose inesperibili e inesplicabili, per le quali è necessario, se qualcuno s'accinga a parlarne, servirsi di un postulato, ad esempio le cose celesti o sotterranee” (cap. 1). Poiché la ricerca condotta dai cosiddetti presocratici era rivolta ad oggetti al di là dell'esperibile, essi dovevano fare

eccellente è anche filosofo. Cfr. Jouanna, Ippocrate, cit., p. 289 e n. 92.

259 Pellegrin, op. cit., pp. 664, 667. 260 Supra, p. 89 e ss.

261 L'autore dei Venti ad esempio si ricollega al monismo, riconducendo a quello che ritiene essere l'elemento primo dell'universo e dell'uomo, l'aria, ogni malattia; l'autore del Regime invece riconduce tutto a fuoco ed acqua; il trattato sulle Carni si riferisce a tre elementi (caldo terra e aria); l'autore delle Settimane invece tenta una riduzione di ogni cosa ad un numero di sette elementi. Cfr. Jouanna, Ippocrate, pp. 285-6.

inevitabilmente riferimento ad assunzioni inverificabili. Diversamente stanno le cose per la medicina, che si è accresciuta attraverso una attenta osservazione della realtà. I progressi dell'arte sono infatti scanditi appunto da nuove osservazioni. Si noti a questo proposito che il rifiuto qui presente nei confronti del “sapere” dei filosofi naturalisti combacia con quello socratico, e con ragioni forse non del tutto dissimili: se l'autore ippocratico rifiuta questi saperi, fino ad affermare che una vera conoscenza della natura potrà essere raggiunta solo a partire dal metodo della medicina stessa (cap. 20), Socrate denomina questi saperi una “sapienza più che umana” (Apol. 20e), sottintendendo ironicamente la loro inattingibilità.262

La scoperta della medicina è esplicitamente considerata come il “frutto di molte indagini ed esperienza” (cap. 4). E proprio a partire dall'osservazione dei “molti e terribili mali” che i primi uomini subivano a causa del regime “ferino” si incominciò a cercare un'alimentazione più adeguata alla nostra specie (cap. 3). Allo stesso modo è osservando che i malati non si giovavano dello stesso regime dei sani, e poi via via che non tutti i malati si giovavano della semplice riduzione dei cibi, o dell'assumere cibi più liquidi, che si è passo passo giunti alla scoperta dei fondamenti della medicina.

Non meno notevole è in Antica medicina la chiarezza dell'identificazione, ben prima di Aristotele, tra scienza e conoscenza delle cause.

Questo almeno mi sembra necessario che il medico sappia sulla natura e faccia ogni sforzo per sapere, se vuole adempiere in qualche modo ai suoi doveri, e cioè che cos'è l'uomo in rapporto a ciò che mangia e a ciò che beve e a tutto il suo regime di vita, e quali conseguenze a ciascuno da ciascuna cosa derivino. (cap. 20)

Egli non deve solo affermare, ad esempio, che il formaggio è un alimento dannoso, ma deve sapere “quali dolori e perché e a quali parti del corpo il formaggio è controindicato.” Ed inoltre a quali tipi di persone provoca tali danni, infatti esso “non disturba tutti alla stessa maniera” (ibidem).263 Questa ricerca, come già detto, è considerata come lontana dall'esser

portata a termine. Infatti “è difficile, tale essendo la penetrazione richiesta, raggiungere sempre nell'arte la certezza assoluta.” E tuttavia l'antica medicina non deve per questo essere rifiutata “perché da una profonda ignoranza essa è giunta vicinissima alla certezza per forza logica”: si devono quindi “ammirare le sue scoperte, che sono state conquistate in modo giusto e corretto, e non secondo l'accidentalità del caso ( ς καλ ς κα ρθ ς ξε ρηται καώ ῶ ὶ ὀ ῶ ἐ ύ ὶ

262 Cfr. supra, I, §3.1.

263 Cfr. Fedro 271b. La dialettica socratica come la pratica medica è ad hominem, ovvero adattata a ciascun individuo, cfr. infra cap. II, passim.

ο κ π τ χηςὐ ἀ ὸ ύ )”(cap. 12).

Emerge nel passo appena citato un altro dei nodi concettuali sopra elencati: la contrapposizione tra ciò che opera la tecnica e ciò che è frutto del caso (tyche). L'opposizione è presente già nel cap. 1 del trattato, ove per respingere la tesi che l'arte medica non esista se ne deduce la conseguenza, ritenuta assurda, che in tale circostanza “dal caso sarebbe governato tutto quanto riguarda i malati.” Al contrario “i primi scopritori che avevano condotto l'indagine sulla natura dell'uomo in modo giusto e con ragionamento adeguato (λογισμ προσ κοντιῷ ή )”(cap. 14) procedettero osservando le reazioni dei corpi degli uomini ai diversi cibi e preparati in modo diverso.

Per la contrapposizione tra arte e caso faremo tra poco riferimento sopratutto a Sull'arte. Di

Antica medicina è invece ancora doveroso citare il cap. 9. Trattando della giusta misura da

ricercare tra l'eccessiva pienezza e l'eccessiva vuotezza, entrambe causa di malessere, l'autore afferma: “Ma non troverai misura alcuna, né numero né peso, la quale valga come punto di riferimento per un'esatta conoscenza, se non la sensazione del corpo (tou somatos tèn

aisthesin).” Il criterio per la conoscenza è dunque la sensazione. A cosa esattamente ci si

voglia riferire in questo passo è oggetto di discussione. Se parlando di numero e peso si vuole forse fare riferimento ad ambienti pitagorici,264 parlando di aisthesis ci si vuole riferire tanto

alla conoscenza che il medico stesso raccoglie a fini prognostici attraverso l'uso di tutti e cinque i sensi, e dall'altro alla sensazione del paziente stesso, che il medico viene a conoscere interrogandolo opportunamente.265

Ma arriviamo a trattare del perì technes. La contrapposizione tra techne e tyche regge qui l'intera argomentazione. La polemica del trattato è diretta contro coloro che “si son fatti un'arte del vilipendiare le arti.”266 L'autore di questo trattato manifesta una profonda 264 Ad esempio Filolao, DK B4. La posizione sarebbe stata ripresa da Platone, secondo la nota di Vegetti al passo nella citata edizione Utet, p. 170, n. 19. Il tema riemerge, in polemica con la medicina cnidia, ne Il

regime nelle malattie acute, cfr. la Nota introduttiva di Vegetti, ivi, p. 261.

265 Cfr. supra pp. 97-8.

266 L'attribuzione di questo trattato non è stata sempre univoca: si sono fatti in passato i nomi di alcuni grandi sofisti (Ippia e Protagora), e si è parlato anche di un seguace della scuola eleatica. I due studiosi ai cui commenti stiamo qui per lo più facendo riferimento l'attribuiscono, entrambi senza molti dubbi, l'uno ad “una corrente filosofica speculativa d'avanguardia contemporanea al periodo di massima fioritura del pensiero ippocratico” (Vegetti) e l'altro ad un medico ippocratico (Jouanna, i cui citati studi tuttavia sono molto più recenti dell'edizione del Corpus curata da Vegetti). Anche Vegetti, nonostante non ritenesse attribuirlo ad un medico, afferma che “il trattato segue da vicino la tematica e il contenuto concettuale di Antica medicina, fino ad apparirne la trascrizione su di un registro filosofico.” op. cit., p. 454. Tuttavia per quanto sopra detto (p. ) la questione dell'autore non inficia le ragioni della nostra scelta di prendere in alta considerazione questo

consapevolezza delle questioni “filosofiche” della sua epoca. La difesa delle arti è condotta infatti innanzitutto su di un piano ontologico: ciò che si vede e si coglie con l'intelletto è esistente, e questo è il caso per le arti, giacché esse sono applicate e insegnate sotto gli occhi di tutti. In secondo luogo viene condotta dall'autore un'argomentazione che costituisce una presa di posizione rispetto al dibattito, condotto sopratutto in ambiente sofistico, sulla natura del linguaggio.267

Riguardo all'antitesi tra arte e caso, essa costituiva nel V sec. “l'impalcatura delle discussioni sulle diverse attività che ambivano ad avere lo statuto di arte e di scienza.”268 Essa

trova espressione già nel teatro di Euripide: nell'Alcesti si dice infatti che “quello che viene dal caso non è preso dall'arte.” Nel trattato Dell'arte dunque le argomentazioni portanti si richiamano appunto a questa opposizione per confutare chi afferma invece che coloro che guariscono lo devono al caso e non alla medicina.

Neppur io del resto sottrarrò al caso nessuno dei suoi effetti, però ritengo che alle malattie mal curate di solito s'accompagna una malevola sorte, a quelle ben curate una sorte benigna. D'altronde come sarebbe possibile ai risanati ringraziar qualcos'altro se non l'arte, dal momento che di essa valendosi e sottoponendosi ad essa furono risanati? (Dell'arte, cap. 4)

Ma i denigratori dell'arte affermavano anche che, come ci sono malati che si sono rivolti ai medici senza essere guariti, così molti malati guariscono senza rivolgersi alla medicina. A ciò l'autore risponde che in realtà costoro attribuiscono comunque l'essere guariti all'aver fatto o non fatto qualcosa, ovvero a qualche mutamento del regime, col quale essi hanno casualmente operato proprio nel modo in cui gli avrebbe consigliato il buon medico. Viene qui introdotta un'altra importante nozione che abbiamo già visto all'opera in Antica medicina: quello di

orthón. Infatti se i malati guariti senza medici sono guariti adottando una certa dieta,

d'altronde i casi in cui i medici hanno sbagliato rivelano appunto che esiste nell'arte qualcosa di corretto e non corretto, giacché solo in questo caso possono esistere buoni e cattivi praticanti. In altre parole, come diceva l'autore di Antica medicina, esistono medici mediocri ed altri molto superiori: cosa che non sarebbe possibile se l'arte medica non esistesse, in quanto tutti “sarebbero parimenti sprovveduti di esperienza e di scienza” (cap. 1).

Pertanto laddove il corretto e il non corretto hanno ciascuno una esatta definizione, come trattato.

267 Jouanna, Ippocrate, cit., p. 247 e ss.

potrebbe non esservi un'arte? Perché proprio questo io definisco l'assenza di un'arte, il non esserci né corretto né il non corretto: ma un agire nel quale entrambi siano presenti, non esce più dall'ambito dell'arte. (L'arte, 5)

Si può sin d'ora annotare l'ipotesi che ci sia una parentela stretta tra questo schema logico e quello frequentemente adoperato da Socrate nel concordare prima di tutto col suo interlocutore il fatto che “ci sia qualcosa che chiamiamo giusto e ingiusto,” allo scopo di affermare che sia necessario che esista una conoscenza specifica sulla moralità, così come per l'appunto nelle technai.269 In altre parole c'è da aspettarsi che questo sia una delle colonne

portanti del paragone medico: proprio in quanto anche in ambito morale si può parlare di corretto e non corretto, e si ritiene di poter distinguere tra i due, allora dovrà esistere un'arte che si occupi razionalmente di operare tale distinzione ed insegnarla.

Ma prima di passare al paragrafo successivo, è il caso di anticipare brevemente alcuni dei casi in cui l'opposizione tra tyche e techne risulta centrale nelle testimonianze socratiche. In primo luogo, un esempio ci è offerto tra le righe del discorso ironicamente immaginato da Socrate come presentazione di Eutidemo alla cittadinanza (IV, 2). Non ci sembra casuale che Socrate nell'introdurre il suo discorso faccia affermare ad Eutidemo ciò che segue: “dirò quello che casualmente ( π τα τομ τουἀ ὸ ὐ ά ) mi sovviene” (IV, 2, 4; cfr. De arte, 6). Ma l'opposizione al caso è espressa più chiaramente in un passo in cui si può forse leggere addirittura una definizione socratica di virtù: è appunto come frutto di apprendimento ed impegno, in opposizione alle circostanze casualmente opportune, che l'attività migliore dell'uomo è definita.

Poiché uno gli chiese quale attività considerasse migliore per l'uomo (τ δοκο η α τ κρ τιστονί ί ὐ ῷ ά

νδρ πιτ δευμα

ἀ ὶ ἐ ή ) rispose: «L'agire con successo (ε πραξ ανὐ ί )». Ancora gli fu chiesto se pensava che anche il successo (ε τυχ ανὐ ί ) fosse un'attività. «Considero del tutto in opposizione» rispose «la fortuna (τ χηνύ ) e l'azione (πρ ξινᾶ ); penso appunto che l'imbattersi in qualcosa di vantaggioso ( πιτυχε ν τινι τ ν δε ντωνἐ ῖ ῶ ό ), senza averlo cercato, sia una buona fortuna (ε τυχ ανὐ ί ), mentre considero 'buon comportamento' (ε πραξ ανί ) fare bene qualcosa dopo aver studiato ed essersi esercitati (τ δὸ ὲ

μαθ ντα τε κα μελετ σαντ τι ε ποιε νό ὶ ή ά ὖ ῖ ), e quelli che si impegnano in questo (ο το το πιτηδε οντεςἱ ῦ ἐ ύ ) mi sembra che abbiano successo (ε πρ ττεινὖ ά ) (III, 9, 14-15)

269 Nell'Alcibiade I (ad es. in 108b6) compare con un ruolo centrale nell'argomentazione la stessa nozione di

orthón: la conoscenza di tò dìkaion risulta essere per l'appunto “ciò che è corretto”, ovvero il meglio, di cui

va in cerca la scienza morale, così come ciascuna arte è il “meglio” rispetto alla propria attività specifica. Cfr.

Come osserva Vegetti270 il tema è presente anche in Platone. In particolar modo

nell'Eutidemo, ove tuttavia la buona sorte (eutychia) è additata proprio come conseguenza del sapere, e non in opposizione ad esso: “Il sapere, dunque, in ogni campo, fa la buona fortuna (ε τυχε νὐ ῖ ) degli uomini, ché il sapere, mai, in nulla, può sbagliare, ma necessariamente opera e riesce rettamente ( ρθ ς πρ ττεινὀ ῶ ά ): se no, non sarebbe più sapere” (280a). Ciò potrebbe apparire in contraddizione con il passo senofonteo, e tuttavia il passo platonico non esclude la possibilità che capiti per puro caso proprio ciò di cui si ha bisogno, ciò di cui si necessita (ta

déonta), ma afferma piuttosto che il puro sapere conduce gli uomini inevitabilmente al

successo: esso merita dunque il nome di buona sorte (eutychia) più di ciò che è meramente casuale. Il passo platonico, in altri termini, lasciando da parte le circostanze in cui chi non sa eventualmente si imbatta in ciò di cui abbisogna, ridefinisce in senso socratico il contenuto del concetto di eutychia. Il passo senofonteo oppone invece più linearmente il caso al sapere, e adopera eutychia in un senso più immediato, lasciando inalterata cioè la connessione tra questo termine e la casualità. In entrambi i casi ci pare sia chiara la stretta connessione con i passi ippocratici già considerati, e con altri come il seguente:

Chi conosca in tal modo la medicina, non si appoggia affatto su tyche, bensì raggiunge il successo con o senza tyche. La medicina è tutta quanta ben solida e le eccellenti dottrine che la costituiscono non sembrano avere alcun bisogno di tyche: tyche infatti è sovrana e incontrollabile, e non è certo facile procacciarsela, mentre la scienza è controllabile e conduce al successo, quando voglia valersene chi la conosce. E in che mai la medicina potrebbe aver bisogno di tyche?[...] Chi ritenga infatti di separare tyche dalla medicina o da checchessia altro, dichiarando che non è chi ben conosce una cosa a godere di tyche, mi sembra si sbagli completamente; giacché mi pare che abbiano successo o insuccesso proprio coloro che sanno compier bene o male qualcosa.[...] (Loc.

Hom. 46).271

4.3 Ricerca delle cause e “metodo semeiotico”

Troviamo infine nel trattato Sull'arte la più esplicita formulazione dell'identificazione della scienza con la ricerca delle cause, e che più da vicino quindi preannuncia la definizione

270 Op. cit., pp. 33-35. Sul passo dei Memorabili appena citato cfr. anche V.Nicolaïdou-Kyrianidou, Autorité et

obéissance: le maître idéal de Xénophon face à son idéal de prince, in Xénophon et Socrate, cit., pp. 205-

234, in particolare pp. 205-9.

271 Citazione tratta da Vegetti, ivi, p. 33-4, che lascia non tradotto tyche. Cfr. Progn. 25, e VM, 1, ove come osserva Vegetti c'è più cautela rispetto alla posizione di principio espressa nel passo citato, in quanto “il controllo razionale di tyche appare piuttosto una direzione, un limite verso il quale la techne si dirige” (Vegetti, ivi, p. 34).

aristotelica.272 Come abbiamo visto il tema era già chiaramente sviluppato in Antica medicina.

Quelle presenti nei testi ippocratici non sono certo le prime formulazioni antiche di quello che più tardi verrà chiamato “principio di determinismo”. Già Leucippo affermava infatti che “nulla si produce senza motivo, ma tutto con una ragione e necessariamente” (D-K 67 B2, trad. it. Alfieri). Tuttavia la formulazione del testo ippocratico è la più significativa, poiché la sentenza di Leucippo ci è giunta isolata dal suo contesto (che solo ci avrebbe permesso di valutarne la portata effettiva). Nel capitolo sesto de L'arte si afferma:

La spontaneità del caso (autòmaton) difatti sparisce se viene analizzata rigorosamente: si scoprirebbe infatti che tutto ciò che accade accade a causa di qualche cosa (dià ti), e questo 'a causa di qualcosa' (dià ti) rivela che la spontaneità del caso (autòmaton) non ha sostanza alcuna, ma solo un nome. La medicina invece si inserisce nell'ordine di 'a causa di qualcosa' (dià ti) sia in quello delle previsioni razionali, e quindi si rivela e sempre si rivelerà possedere una sostanza. (De arte, 6)

Certo nonostante le belle formulazioni presenti nei trattati ippocratici, i medici dell'epoca non procedono ad una coerente e sistematica sperimentazione volta ad una conoscenza dettagliata e sicura delle cause. Tuttavia la rilevanza di queste riflessioni è grande, e lo è per il tema oggetto di questo lavoro, in quanto evidentemente davanti ai suoi occhi Socrate dovette avere una scienza che, se non nei fatti almeno nelle formulazioni, aveva già inaugurato un “paradigma cognitivo [...] che sarà il fondamento della concezione determinista della scienza fino alla sua messa in discussione nell'epistemologia moderna.”273

Tocchiamo qui la questione ampiamente discussa della presenza o meno di un metodo sperimentale, e quindi di una scienza in senso moderno, nella Grecia antica: ci pare opportuno accennare rapidamente alla questione. Come ricorda Lloyd in un suo saggio sull'argomento,274