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CAPITOLO II – La medicina greca come modello di cura.

3.2 Lo sguardo clinico

Affrontiamo adesso un altro concetto fondamentale nella pratica del medico greco: quello di prognosi. Ci soffermiamo qui piuttosto sugli aspetti sociali di questa pratica e sul ruolo fondamentale che essa aveva nel rapporto col paziente ed in generale con il “pubblico”. Come sottolinea Jouanna,234 infatti, la dimensione pubblica e l'opinione della possibile clientela era

decisamente più importante per il medico antico che per quello moderno. Infatti, in assenza di titoli ufficiali il medico doveva dimostrare di essere padrone dell'arte persuadendo di ciò un vasto pubblico di inesperti.235 Ciò si verificava in occasione della scelta del medico pubblico

di una città, ma faceva parte della pratica quotidiana anche del medico privato: alle operazioni e le visite infatti, che si svolgessero nell'“officina”236 del medico o a casa del paziente, erano

sempre presenti un certo numero di parenti o sfaccendati, o talvolta concorrenti pronti a sottrargli clientela mettendolo in difficoltà. È per questo che il medico doveva in generale anche avere una buona preparazione retorica, come ci testimonia tra l'altro il probabile carattere originario di discorsi orali di alcune delle opere tramandateci nel Corpus. Anzi non è improbabile che il medico si venisse a trovare in situazioni in cui era necessario affrontare veri e propri duelli oratori.237 La pratica della prognosi si inseriva in questo contesto, ed era

essa stessa, oltre che premessa fondamentale per stabilire quale cura consigliare e come agire rispetto al malato, anche uno strumento essenziale per conquistarsi la fiducia tanto di quest'ultimo quanto del “pubblico”.238

il regime, il secco e l'umido, il freddo e il caldo, costui può anche curare questo male, se riesce a comprendere il momento opportuno [kairous] per un buon trattamento [...]” (cap. 21). Esso infatti può essere messo in relazione col Fedro (272a) ove, come vedremo, si distingue attraverso la nozione di kairos colui che sa solo come procurare certi effetti nel corpo del malato e il vero medico, che sa anche quando e in quali casi. Cfr. infra, cap. III, §1.2.

234 Op. cit., pp. 75-111. 235 Cfr. Gorgia...

236 Jouanna, Ippocrate, cit., p. 86-7.

237 Ad esempio in occasione dell'arrivo in una nuova città: circostanza che attraeva probabilmente una folla turbolenta di curiosi e sfaccendati, non meno che l'arrivo di un sofista: e insieme a questi anche i medici già residenti in città, pronti anche a mettere alla prova e delegittimare il nuovo arrivato Cfr. ivi, pp. 83-5.

238 Non pochi medici e ciarlatani avendo intuito il potere che una prognosi spettacolare per la sua esattezza provocava sul pubblico, si lanciavano spesso in previsioni ardite. Il medico ippocratico biasima invece questo tipo di atteggiamento osservando come prognosi di questo tipo, benché procurino in caso di successo grande ammirazione, in caso di fallimento mettono gravemente a repentaglio la carriera di chi l'ha compiuta. Cfr.

Ma veniamo al concetto di prognosi in quanto tale: al contrario del senso moderno della parola, essa non si riduceva per i medici greci alla predizione del futuro evolversi della malattia, ma includeva in sé anche diagnosi e anamnesi. In altre parole tutte e tre le dimensioni temporali erano coperte dalla prognosi, in modo tale che il paziente potesse subito riconoscere la qualità del medico dal fatto che era in grado di sapere ciò che il malato aveva sofferto prima che questi glielo comunicasse. Ciò è collegabile probabilmente alle radici mantiche della pratica prognostica.239

Ma vale la pena di citare l'incipit del trattato ippocratico più rilevante sul tema, il cui titolo è per l'appunto Prognostico (cap. 1):

Per il medico – mi sembra – è cosa ottima praticare la previsione: prevedendo infatti e predicendo, al fianco del malato, la sua condizione presente e passata e futura, e descrivendo analiticamente quanto i sofferenti stessi hanno tralasciato, egli conquisterà maggior fiducia di poter conoscere la situazione dei malati, sicché essi oseranno affidarglisi. E potrà progettare un'eccellente terapia se avrà previsto i futuri sviluppi a partire dai mali presenti.

Emergono qui chiaramente i tratti cui si è accennato: innanzitutto la prognosi riguarda le tre dimensioni temporali. In secondo luogo è sottolineato il ruolo retorico, persuasivo, della prognosi: ascoltando le parole del medico il malato potrà riconoscere sintomi che ha omesso di descrivere, e altre informazioni. Sarà così meglio disposto ad affidarsi al medico. L'esigenza di un'opera di persuasione, oltre ad esserci testimoniata dal Gorgia (356b), è evidente alla luce di quel che si è già detto riguardo alle pratiche terapeutiche tradizionali: per giungere alla guarigione era spesso necessario sopportare molto dolore. È notevole che lo scopo retorico della prognosi sia posto quale ragione primaria dell'importanza della prognosi stessa, e solo in secondo luogo ne sia invece citato lo scopo terapeutico.

Ma procedendo con ordine, la prima cosa che faceva il medico entrando presso il malato era emettere una valutazione prima ancora di averlo toccato: questa prognosi a distanza aveva evidentemente il ruolo principale di impressionare gli astanti. A cosa poteva servire una prognosi basata sui soli dati visivi, se di lì a pochi secondi il medico avrebbe avuto modo di raccogliere altri dati?240 Una volta avvicinatosi infatti il medico esaminava il corpo del malato 239 Cfr. Jouanna, Ippocrate, cit., p. 102, e Sassi, La scienza dell'uomo nella Grecia Classica, Bollati

Boringhieri, Torino, 1988, p. 152.

240 Un'altra ragione importante per emettere questa valutazione preliminare era altresì quella di riconoscere il prima possibile i casi incurabili, per avere opportunità di rifiutare la cura in modo dignitoso. Sulla pratica di rifiutare la cura a coloro giudicati incurabili da parte dei medici ippocratici. Cfr. Jouanna, Ippocrate, pp. 108- 111.

con tutti e cinque i sensi, e con l'intelletto: bisogna osservare “o le cose simili o le cose

dissimili, cominciando dalle più importanti, le più facili, quelle che sono note perfettamente in ogni particolare. […] Le cose che è possibile percepire con la vista, con il tatto, con l'udito, con il naso, con la lingua, con l'intelligenza. Le cose che è possibile conoscere con tutti i mezzi con cui conosciamo” (Off., c.1).

Similmente anche altrove viene riassunto il modo in cui il medico dai segni percepibili deve trarre conclusioni (cfr. Epidemie, IV, 43), ed in modo estremamente dettagliato vengono poi riferiti nei casi clinici particolari esempi di osservazioni condotte con tutti i sensi. Sul ruolo della sensazione (aisthesis) come metron torneremo nel prosieguo, ma ciò che qui più potrebbe risultare degno d'interesse per i nostri scopi è evidentemente l'ultimo elemento: esso è indicato nei testi talvolta con gnome e talaltra con loghismòs, e sta ad indicare probabilmente il calcolo volto alla “determinazione del valore di ciascun segno in funzione dei parametri che possono influire sul grado della loro gravità.”241 Ma per venire a conoscenza

di questi parametri il medico deve condurre un interrogatorio col quale acquisire dal malato informazioni dettagliate che determineranno il valore da attribuire ai segni.242 Il medico

dunque deve saper domandare e sopratutto deve saper ascoltare: è evidente qui, almeno superficialmente, il possibile parallelo con l'attività socratica. Ma ciò che invece può rendere tale parallelo più significativo è il fatto che evidentemente il dialogo col malato potrà trovarsi a riguardare non solo l'attuale malattia ma anche il regime di vita tenuto nel corso della sua vita passata. Sul piano morale Socrate non fa qualcosa di molto differente nel momento in cui pretende che i suoi interlocutori “rendano conto di sé stessi e di come hanno vissuto” (cfr.

Lach. 187e-188b). Ma non potrebbe d'altronde l'attitudine all'analisi accurata sotto tutti gli

aspetti delle opinioni di un interlocutore essere accostata all'attenta osservazione di molti piccoli dettagli da parte del medico? I dettagli che osserva il medico sono muti per il profano, essi vanno saputi interrogare. Analogamente, solo una ferrea abitudine alla dialettica rende Socrate abile a trovare con un rapido colpo d'occhio quali siano le pecche delle risposte

241 Ibidem, p. 306.

242 Esemplare è il caso di quel che ancora oggi viene indicato come facies hippocratica, ovvero l'aspetto di un paziente prossimo alla morte. Le risposte del malato determinano il responso: “Se dunque all'inizio della malattia il viso si presenta in tal modo e non è ancora possibile formulare congetture sulla base degli altri sintomi, occorre chiedere al malato se ha trascorso notti insonni, se ha avuto evacuazioni molto liquide, o se avverte i morsi della fame. E se risponde affermativamente a taluno di questi quesiti, meno grave si considererà il male [...]”(Progn. 2). Si veda anche Jouanna, Ipp., cit., pp. 135-7, ed in particolare per quanto segue il passo ivi citato di Epidemie VI, 24: “L'interrogatorio che riguarda la malattia: quello che il malato spiega, la natura delle sue spiegazioni, il modo in cui bisogna accoglierle; i discorsi da tenere.”

fornitegli (per poi poter passo passo portare anche l'interlocutore a vederle). In altre parole l'attitudine del maieuta che valuta se i nascituri siano reali o fantasmi (Thaet. 150b-c) cos'altro è se non un vaglio attento operato non sul corpo, ma sull'anima dell'interlocutore, e non con i sensi ma col solo intelletto? Ma la possibilità del parallelo non è sufficientemente chiara se non si cita sin d'ora un passo ippocratico sul quale bisognerà tra poco ritornare: “[...] quando […] la natura stessa non si disvela spontaneamente, la medicina ha scoperto mezzi di costrizione, con i quali la natura è forzata, pur senza danno, a rivelarsi” (Arte, 13). Ovvero, come il medico interroga la natura nel corpo del malato, così Socrate, potremmo dire, interroga la natura dell'anima dell'interlocutore. Nell'ipotesi che la filosofia sia una forma di medicina, si può d'altronde sin d'ora identificare, in un'ottica socratica, quale sia la malattia propria dell'anima: l'ignoranza (sopratutto nella forma più acuta della presunzione di sapere).