Detto e non detto del dialogo tra Heidegger e Krämer-Badon
4) Il ‘destino’ e la verità di arte e conoscenza
Krämer-Badoni spedisce il suo testo a Heidegger subito dopo la pubblicazione, ricevendo una lunga lettera di ringraziamento. In essa il pensatore inizia col rilevare che la nota scritta in sua difesa dice «l’essenziale in modo così fermo e chiaro che forse indurrà qualcuno a riflettere»53. Sottolinea inoltre che le parole di Krämer-Badoni sono tanto più
apprezzabili in quanto esprimono la convinzione di uno studioso che difende una posizione teorica diversa dalla sua. Il resto della lettera è dedicato a un’analisi delle differenze tra la concezione dell’arte da lui esposta nell’Origine dell’opera d’arte e quella di Krämer- Badoni54.
Heidegger considera Krämer-Badoni un ‘Widersacher’, cioè un contendente chiamato al dialogo dalla ‘cosa stessa’ del pensiero, non quindi un avversario che si limita a contraddire né un seguace pedante55. Mette subito in chiaro che la distanza maggiore tra la sua
concezione dell’arte e quella espressa in Über Grund und Wesen der Kunst non dipende dal fatto che lui, come ritiene Krämer-Badoni, «si attiene all’antichissima speranza di rinvenire» la verità «nell’opera»56. Il diverso modo di intendere il rapporto tra l’opera
d’arte e il vero affonda infatti le sue radici in due differenti concezioni della verità. Secondo Heidegger, Krämer-Badoni ha frainteso il concetto di ‘verità’ che sta alla base dell’Origine
dell’opera d’arte, accostandolo a quello hegeliano. Über Grund und Wesen der Kunst
riprende la definizione tradizionale della verità in quanto attributo fondamentale della conoscenza, che si realizza nello spirito. Krämer-Badoni chiama lo spirito ‘intelletto conoscente’ e lo distingue dall’anima57, che considera come la facoltà dell’arte. Tale
impostazione ‘tradizionale’ è ciò che gli impedisce di comprendere il senso più profondo della concezione heideggeriana dell’arte e della verità.
51 Ivi, p. 73. 52 Cfr. ivi, p. 184.
53 R.A. Bast, Ein Brief Martin Heideggers an Rudolf Krämer-Badoni über die Kunst, in Studien zur neueren
französischen Phänomenologie. Ricoeur, Foucault, Derrida, hrsg. von E. W. Orth im Auftrag der Deutschen Gesellschaft für phänomenologische Forschung, Bd. 18, Alber, Freiburg i. B., München, 1986, p. 175 (tr. it. di R.M. Marafioti, Una lettera di Martin Heidegger a Rudolf Krämer-Badoni sull’arte, in M. Heidegger, Oltre l’estetica, cit., p. 83).
54 Nella sua lettera Heidegger rinvia a L’origine dell’opera d’arte (1936), Essere e tempo (1927), Scienza e
meditazione (1953), La questione dell’essere (1955), Identità e differenza (1957). Egli spedisce a Krämer- Badoni anche la terza edizione del saggio Dell’essenza del fondamento (1929) e della conferenza Dell’essenza della verità (1930); L’abbandono (1955); Hegel e i Greci (1958).
55 Cfr. R.A. Bast, Ein Brief Martin Heideggers an Rudolf Krämer-Badoni, cit., p. 176 (tr. it. p. 85). Heidegger
rinvia a Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik (in Identität und Differenz, hrsg. von F.-W. von Herrmann, GA 11, 2006, p. 53; tr. it. a cura di U.M. Ugazio, La costituzione onto-teo-logica della metafisica, in Identità e differenza, “aut-aut”, 187-188 gennaio-aprile 1982, p. 17).
56 R. Krämer-Badoni, Über Grund und Wesen der Kunst, cit., p. 185.
105 Nella sua lettera il pensatore rinvia al paragrafo 44 di Essere e tempo, dove aveva affermato che la sua interpretazione dell’essenza della verità «risale […] dietro a ogni tradizione»58. Nell’opera del 1927, prendendo le mosse dall’interpretazione tradizionale
della verità come ο οίω ς, adaequatio intellectus et rei, Heidegger era risalito ai suoi fondamenti ontologici, sostenendo che l’intelletto (il contenuto del giudizio in cui si realizza la conoscenza vera) non può adeguarsi alla cosa (l’ente da conoscere), se essa non è stata prima ‘scoperta’ (entdeckt), cioè resa manifesta in quanto tale, sottratta alla dimensione del nascondimento. La scoperta (Entdecktheit) dell’ente può però avvenire soltanto nell’apertura (Erschlossenheit) dell’esserci che, in quanto essere-nel-mondo, prima ancora di realizzarsi nella conoscenza teoretica, si ‘prende cura’ dell’ente intramondano, rapportandosi a esso in modo pratico. «Primariamente ‘vero’, ossia scoprente» attraverso una comprensione emotivamente situata e discorsivamente articolata, è dunque «l’esserci»59. Il giudizio è vero solo «secondariamente», e comunque
non nel senso dell’adeguazione ma in quello del lasciar-vedere la cosa su cui verte, preliminarmente ‘scoperta’ dall’atteggiamento pratico dell’esserci60.
Nel passaggio della lettera a Krämer-Badoni in cui dice che «ogni ‘intenzionalità’ si
fonda già nel rischiaramento diradante dell’esserci umano […], il che è qualcosa di molto distante da un comportamento esclusivamente teoretico»61, Heidegger riprende la tesi di
Essere e tempo secondo cui il «luogo originario» della verità è l’«apertura dell’esserci»62.
Egli rinvia a una nota dell’opera del 1927 in cui aveva puntualizzato che ogni tipo di comportamento intenzionale nei confronti dell’ente – dunque non solo ogni «disposizione dell’animo» come organo della conoscenza, ma anche il «sognare [atemporale] dell’anima» quale facoltà specificamente artistica – «si fonda nella temporalità estatica dell’esserci»63.
Ogni tipo di rapporto dell’esserci con l’ente è dunque reso possibile dalla comprensione preliminare dell’essere, che l’esserci ottiene trascendendo non solo ciò con cui ha a che fare di volta in volta, ma anche l’ente nel suo insieme. Questa trascendenza è intesa da Heidegger, dopo la ‘svolta’ degli anni Trenta, come uno ‘stare estatico’ (ekstatisches
Innestehen) dell’esserci nella radura dell’essere. Essa è l’aperto (das Offene) ancor ‘più originario’ dell’apertura dell’esserci, che si dischiude in quanto verità dell’essere.
Nella lettera Heidegger accenna implicitamente a ciò quando scrive che «solo la verità come ‘radura’ concede ogni tipo possibile di rapporto dell’esserci umano all’ente» – l’intenzionalità –, «ossia innanzitutto al suo essere»64 – la trascendenza. Riferendosi a un
passaggio di Über Grund und Wesen der Kunst in cui Krämer-Badoni dice che «l’opera
58 Ivi, p. 177 (tr. it., p. 87).
59 M. Heidegger, Sein und Zeit, hrsg. von F.-W. von Herrmann, GA 2, 1977, p. 292 (tr. it. a cura di F. Volpi
sulla versione di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2005, p. 266). Cfr. anche pp. 190, 213-214 (tr. it. pp. 176, 198), dove Heidegger sottolinea la cooriginarietà degli esistenziali della comprensione, della situazione emotiva e del discorso, che costituiscono l’apertura dell’esserci.
60 Cfr. ivi, p. 289 (tr. it. p. 264).
61 R.A. Bast, Ein Brief Martin Heideggers an Rudolf Krämer-Badoni, cit., p. 177 (tr. it. p. 87). 62 M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 299 (tr. it., p. 273).
63 Ivi, p. 480, nota 10 (tr. it. p. 429, nota 23). Il rapporto tra l’intenzionalità e la trascendenza è approfondito
da Heidegger nel saggio Vom Wesen des Grundes (Dell’essenza del fondamento), in GA 9, pp. 130-132, 135- 136 (tr. it., pp. 86-88, 91-93), a cui egli rinvia nella lettera a Krämer-Badoni. Cfr. al riguardo anche i corsi di lezione Die Grundprobleme der Phänomenologie, hrsg. von F.-W. von Herrmann, GA 24, 1975, pp. 91, 98- 102 (tr. it. di A. Fabris, I problemi fondamentali della fenomenologia, il melangolo, Genova, 1989, pp. 60, 65-67); Metaphysische Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz, hrsg. von K. Held, GA 26, 1978, pp. 160-171, 280-281 (tr. it. a cura di G. Moretto, Principi metafisici della logica, il melangolo, Genova, 1990, pp. 152-161, 256-257).
64 R.A. Bast, Ein Brief Martin Heideggers an Rudolf Krämer-Badoni, cit., p. 177 (tr. it., p. 87). Heidegger
introduce la parola ‘Lichtung’ (radura) per indicare la verità originaria già in Sein und Zeit, cit., p. 177 (tr. it. p. 165), dove però la riferisce ancora all’esserci, che è «aperto nella radura in quanto essere-nel-mondo». Sul significato che la parola ‘Lichtung’ assume nel pensiero heideggeriano cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino, 1993, pp. 52-65.
106 d’arte», sottraendo l’essere umano all’inevitabile fallimento delle sue intenzioni pragmaticamente orientate, «desta la coscienza che l’uomo è più dell’uomo»65, egli ribatte
che «l’uomo può essere ‘più che uomo’» – cioè divenire esser-ci – «solo perché, conformemente alla sua essenza, in-siste già sempre nella radura dell’essere», la quale è tuttavia «radura del nascondersi in quanto tale»66.
Riguardo alla cooriginarietà di svelamento e nascondimento Heidegger rinvia al paragrafo 6 dello scritto che costituisce la rielaborazione della conferenza Dell’essenza della verità (1930), nella quale aveva comunicato per la prima volta la comprensione ‘più originaria’ della verità che sta alla base della sua concezione dell’arte67. Nel saggio
Dell’essenza della verità Heidegger sosteneva che lo svelamento dell’ente a cui l’esserci di
volta in volta si rapporta accade cooriginariamente al velamento dell’ente nel suo insieme. Questa velatezza è parte costitutiva della svelatezza della verità definita come α ε α, e custodisce ciò che le è più proprio. Nei confronti della svelatezza la velatezza appare come la non-svelatezza, «la non-verità autentica e più appropriata all’essenza della verità […]: il mistero»68, che l’esserci salvaguarda svelando l’ente.
Negli scritti degli anni Trenta e Quaranta Heidegger riconduce il velamento dell’ente nel suo insieme al nascondimento dell’essere, che si sottrae proprio mentre si destina all’uomo. Egli scrive pertanto a Krämer-Badoni che «il rapporto dell’uomo ex-sistente alla verità è in sé il rapporto al destino», e «il destino è presumibilmente il mistero dell’essere stesso – […] la radura del nascondersi»69. L’esserci ex-siste in questa radura, che si schiude
grazie al suo salvaguardare il nascondimento dell’essere accogliendo quanto esso gli invia – il destino – e lasciando accadere la verità nell’opera d’arte.
Egli dà alla parola ‘destino’ un significato fondamentalmente diverso da quello attribuito a essa da Krämer-Badoni, secondo il quale il destino è un elemento incontrollabile, che definisce esteriormente la finitudine dell’uomo, condannando allo scacco le sue aspirazioni: l’uomo lotta contro il destino e per questo ha bisogno dell’opera d’arte, che mette in forma le tensioni scatenate dal conflitto, sublimandone l’intenzionalità. Heidegger considera invece il destino come l’invio dell’essere, corrispondendo al quale l’uomo ex-siste e realizza la sua più propria natura. A suo avviso, Krämer-Badoni «determina ciò che deve essere posto in opera come l’esserci umano, a cui lascia che si ‘aggiunga’ poi il destino», e intende perciò «l’essenza dell’arte come facoltà dell’uomo»; egli cerca invece di comprendere l’essenza dell’arte «a partire dall’essenza della verità [dell’essere], che è già in sé l’accordo (Verfügung) di ex-sistenza (e ex-stasi) e destino»70.
65 R. Krämer-Badoni, Über Grund und Wesen der Kunst, cit., p. 52.
66 R.A. Bast, Ein Brief Martin Heideggers an Rudolf Krämer-Badoni über die Kunst, cit., p. 177 (tr. it., p. 86-
87). In Fußnote für einen verbitterten Denker, cit., e in Zwischen allen Stühlen, cit., p. 183, Krämer-Badoni sottolinea che Heidegger, facendo dell’artista il medium dell’accadere della verità dell’essere, sopravvaluta le capacità umane. Egli sostiene che l’arte, proprio mentre rende l’uomo ‘più che uomo’, lo reintroduce entro i propri confini, dato che gli lascia superare la finitudine in modo soltanto simbolico.
67 Cfr. M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit (Dell’essenza della verità), in GA 9, p. 193, nota ‘a’ (tr. it., p.
148), dove si legge: «Tra i paragrafi 5 e 6 il salto nella svolta (che si essenzia nell’evento)». Quattro delle otto versioni della conferenza Dell’essenza della verità sono pubblicate in Vorträge. Teil 1: 1915 bis 1932, hrsg. von G. Neumann, GA 80.1, 2016, pp. 329-427. Per le varie stesure di Dell’essenza della verità cfr. ivi, pp. 544-549. Sull’ipotesi che in ciascuna rielaborazione Heidegger realizzi una ‘svolta’ diversa cfr. E. Fräntzki,
Die Kehre. Heideggers Schrift ‚Vom Wesen der Wahrheit‘. Urfassung und Druckfassungen, Centaurus-
Verlagsgesellschaft, Pfaffenweiler, 1987.
68 M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit, cit., pp. 193-194 (tr. it., pp. 149). Cfr. F.-W. von Herrmann,
Wahrheit–Freiheit–Geschichte. Eine systhematische Untersuchung zu Heideggers Schrift „Vom Wesen der Wahrheit“, Klostermann, Frankfurt am Main, 2002, pp. 141-171.
69 R.A. Bast, Ein Brief Martin Heideggers an Rudolf Krämer-Badoni, cit., pp. 177, 180 (tr. it., pp. 87, 91, 93). 70 Ivi, pp. 180-181 (tr. it. p. 93). Per chiarire questo rapporto Heidegger rinvia al saggio La questione
dell’essere (cfr. p. 177; tr. it., p. 87). Sul riconoscimento della differenza tra Heidegger e Krämer-Badoni da parte dello scrittore cfr. R. Krämer-Badoni, Fußnote für einen verbitterten Denker, cit.; Zwischen allen
107 Questo diverso punto di partenza fa sì che alcune tesi, apparentemente analoghe, abbiano in realtà significati diversi. Nella sua lettera Heidegger ricorda per esempio che nell’Origine dell’opera d’arte è espressa una delle convinzioni fondamentali di Krämer- Badoni, cioè «che nell’opera d’arte ‘non si fa conoscere assolutamente nulla’»71. Ma
quest’esclusione dell’arte dall’ambito della conoscenza teoretica appare in Über Grund und
Wesen der Kunst come motivo di ‘inferiorità’ dell’attività artistica rispetto alla riflessione
teorica. Nell’Origine dell’opera d’arte essa è invece addotta come prova della tesi contraria: l’opera d’arte concerne ciò che sta alla base della stessa conoscenza perché non si limita a rappresentare il singolo ente, bensì riguarda l’ente nel suo insieme, disvelandolo in modo ogni volta storicamente diverso.
5) La ‘teoria’ in quanto estetica e meditazione sull’essenza di arte e tecnica