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L’«udire pensante»

Nel documento Heidegger e i linguaggi. Eredità e dialoghi (pagine 151-153)

vom Grund

4) L’«udire pensante»

Il pensiero del non rappresentabile è il pensiero dell’ascolto della tonalità dell’irrapresentabile, è l’ascolto di un «suono senza suono», di un suono vuoto. Heidegger invita a prestare ascolto al suono della rosa che «fiorisce mentre (weil12) fiorisce», ci

esorta ad andare oltre il suono per ritrovarci ‘nel’ fondamento vuoto. Il pensiero udente non si presta a descrizione o a spiegazione, può essere soltanto percorso. Spiegarlo significherebbe oggettivarlo così da farlo rientrare nella logica del pensiero rappresentante. Nel contesto del «principio di ragione», Heidegger osserva che si può ‘vedere’ (sehen) chiaramente una situazione e non cogliere (er-blickhen) ciò che è in gioco: «Noi vediamo molto ma scorgiamo poco»13. Ma perché vediamo senza cogliere? Egli afferma che tra il

vedere con gli occhi (Sicht) e il cogliere (Einblick) c’è una differenza di penetrazione. L’Einblick comporta un ascoltare (hören), un conservare nell’ascolto, una certa ‘accentuazione’ (Betonung). Il guardare è un ascoltare e il pensiero deve cogliere dello sguardo quel che si ascolta: «Pensare è ascoltare e vedere», non è questione di sensibilità ma di pensiero. Se intendiamo questa espressione in senso metafisico allora, afferma Heidegger, si realizza una trasposizione metaforica dal sensibile al non sensibile, dal

10 M. Heidegger, La cosa, cit., p. 115.

11 M. Eckhart, sermone In hoc apparuit caritas dei in Trattati e prediche,, (tr. it. di G. Faggin), Rusconi,

Milano, 1988, p. 211.

12 Weil «Nel tedesco del XVII e del XVIII secolo ha non di raro lo stesso valore di dieweil (‘finché’, ‘mentre’), il

che è da tenere presente anche nell’interpretazione del distico di Angelo Silesio Senza perché» (Glossario di Franco Volpi, in M. Heidegger, Il principio di ragione, cit., p. 257). Sul significato di weil Heidegger, nella Conferenza Il principio di ragione, osserva: «Ma che cosa significa propriamente ‘poiché’, weil? Weil è la parola abbreviata che sta per diewilen, ‘finché’, ‘mentre’. In questo caso weil non significa affatto: per questa ragione, ‘poiché’, bensì dieweilen, cioè ‘fintanto che’, ‘finché’, ‘mentre’, ‘per tutto il tempo che’ il ferro è caldo» (M. Heidegger,Conferenza, in Il principio di ragione, cit., p. 214).

149 proprio al figurato e, quindi, si pone l’equivalenza tra transfert metafisico del sensibile al non sensibile e transfert metaforico dal proprio al figurato. Secondo questa prospettiva «il metaforico c’è soltanto all’interno della metafisica»14. Il pensiero che si fa uditore non deve

essere inteso in senso metaforico, ma come il pensiero che si dispone nell’accoglimento del dis-velamento dell’essere lasciando essere l’essere. Il pensiero metafisico, invece, antepone all’essere la sua logica del calcolo e del dominio che pone l’ente innanzi, a portata di mano (Vorhandenheit).

La prospettiva metafisica e scientifica occidentale intende la tesi del fondamento esclusivamente nel senso che «ogni ente (in quanto ente) ha un fondamento». Ma occorre spingersi oltre questa prospettiva di senso poiché essa si arresta all’interpretazione della tesi in vista dell’attribuire ad ogni ente un fondamento. Heidegger invita all’ascolto di ciò che la tesi del fondamento non dice di se stessa; vi è in essa «un suono che non trapela». Per udire il «senza suono» della tesi del fondamento occorre uscire dalla sfera del pensiero rappresentante ed ‘entrare’ nella situazione di coappartenenza – non rappresentabile – al fondamento. Per Heidegger si tratta di spingersi oltre il suono, ossia oltre ogni forma di oggettivazione. È per questo che egli afferma che il pensiero udente può udire la voce del fondamento che «suona tanto più pura, quanto più senza suono essa risuona»15. Questa

espressione heideggeriana costituisce una sorta di indicazione ad uscire dalla logica formale e dall’impostazione teoretica della metafisica occidentale che ci tiene legati al pensiero oggettivante della rappresentazione. L’udire (del pensiero), allora, non si rivolge come il vedere ad un qualcosa, poiché ci consente di cogliere ciò che non ha forma, ciò che non può essere oggettivato e, quindi, rappresentato e posto innanzi.

Al fine di farci cogliere il «suono senza suono» del fondamento, Heidegger ci invita a udire la tesi in una tonalità diversa. Nella tonalità della metafisica essa suona «niente è

senza fondamento», nella nuova tonalità essa suona: «niente è senza fondamento».

Heidegger sposta l’accento dal ‘niente’ all’ ‘è’ e dal ‘senza’ al ‘fondamento’ per farci udire una consonanza fra essere e fondamento. In questa seconda tonalità la tesi dice che all’«essere appartiene il fondamento». «La nuova tonalità svela la tesi del fondamento come una tesi dell’essere» 16 : essere e fondamento si coappartengono, «suonano

all’unisono». Fondamento ed essere «sono lo Stesso», ma non l’identico, non sono identici (principio d’identità A = A). L’essere nella sua essenza ‘è’ fondamento privo di ulteriore fondamento e, come tale, ‘è’ «fondo abissale» (Ab-Grund), ‘è’ «fondo senza fondo», ‘è’ ‘vuoto’ irrappresentabile. L’ente è e, come tale, appare nella rappresentazione come un ‘posto innanzi’, come un oggetto. È su questo piano che inizia il dominio della tesi del fondamento che dice (prima tonalità): ogni ente ha una ragione, un fondamento.

Possiamo uscire dal rappresentabile – e dal dominio del rendere un perché, una spiegazione, un fondamento agli enti – ascoltando la seconda tonalità del fondamento. Per giungere a questo ascolto occorre che il pensiero faccia un salto (Satz). Nel salto il pensiero diviene pensiero ‘rammemorante’: il salto conduce il pensiero fuori dall’ambito della tesi del fondamento quale principio supremo riferito all’ente ponendolo nella direzione dell’ascolto del dire originario che parla «dell’essere in quanto essere».

14 M. Heidegger, Il principio di ragione, cit., p. 90. A tale riguardo Jean Greisch in La métaphore chez

Martin Heidegger, sostiene che la rinuncia di Heidegger alla metafora in quanto legata alla metafisica non equivale ad una sua definitiva liquidazione tanto che la metafora è in pieno funzionamento nel suo discorso. Greisch continua dicendo che secondo Heidegger il pensiero occidentale non è ancora pronto per il riconoscimento della vera metafora (Cfr. J. Greisch, Les mots et les roses. La métaphore chez Martin

Heidegger, in “Revue des Sciences Théologiques et Philosophiques”, n. 57, Librairie Philosophique J. Vrin,

Paris, 1973, pp. 433-455).

15 M. Heidegger, Il principio di ragione, cit., p. 92. 16 Ivi, p. 93.

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5) Il salto e l’ascolto del «suono senza suono» dell’Ab-Grund

Al fine di condurci sul sentiero della comprensione della tesi del fondamento, Heidegger ricorre ad espressioni legate all’udito, al suono, al tempo musicale. Con questo linguaggio egli ci invita a distaccarci dal dominio dell’occhio, della visione, della teoria e della rappresentazione che ci allontanano dalla comprensione dell’essere e ci pre-dispongono nella sola direzione degli enti.

L’ascolto della seconda tonalità della tesi del fondamento è all’insegna di un salto del pensiero. A questo punto Satz vom Grund non è più il principio di ragione, non è più la proposizione del fondamento, poiché la parola Satz assume il significato di ‘balzo’, di ‘salto’. Si tratta di un salto che ci conduce fuori dalla metafisica occidentale e dal regno della tecnica; è un salto dal pensiero rappresentativo che considera come unico orizzonte quello degli enti in vista del dominio e della potenza. «Il salto porta il pensiero, senza ponti (…), in un altro ambito e in un altro modo di dire»17, lo mette nella direzione

dell’accoglimento del dis-velamento dell’Essere. Finché rimaniamo nel regno della ‘logica dello stare’ e dell’ ‘ontologia della posizione’ abbiamo bisogno di ponti, di fondamenti, di principi, come quello di ragion sufficiente. Il pensiero senza ponti è quello che spicca il salto da questi presupposti, è il pensiero che entra nel «senza perché» dell’Essere. Per esprimere questa qualità del salto, Heidegger si richiama al linguaggio della musica. La parola plurivoca Satz, oltre a significare ‘principio’, ‘proposizione’, ‘salto’, ‘balzo’, per Heidegger può significare anche ‘tempo’ musicale. Per entrare nell’armonia del «suono senza suono» dell’Essere-Ab-Grund («fondo abissale») occorre lasciarsi guidare, attrarre, dal ‘tempo’ del fondamento. È il tempo musicale a dirigere il musicista, così è il Satz, come ‘tempo’ musicale, ad aprirci al fondamento senza fondamento. Qui Heidegger sottolinea la necessità di lasciarci coinvolgere ed attirare dalla tonalità del fondamento: il balzo diventa allora il tempo musicale del fondamento che corrisponde al tempo del balzo del pensiero. Secondo questa prospettiva, pensiero e fondamento senza fondamento (Ab-Grund) si ritrovano, ‘risuonano’, all’unisono, nel «senza suono» della realtà autentica ‘vuota’.

Parlare di realtà autentica ‘vuota’ non significa riferirsi al ‘nulla’ della metafisica occidentale. È solo rimanendo nell’ ‘ontologia della posizione’ del pensiero metafisico che il vuoto di cui parla Heridegger può essere inteso come un puro nulla. Ma l’Essere-Vuoto non può nemmeno essere confuso con il nulla dell’essere astrattissimo ed indeterminatissimo della logica hegeliana poiché, secondo l’ottica heideggeriana, si tratta di oltrepassare l’opposizione, anche dialettica, tra essere e nulla della cultura occidentale.

Occorre fare attenzione a non cadere nell’equivoco di credere che con il salto ci si sposti in un altro luogo o che ci si lasci alle spalle qualcosa. Con il salto non si va da nessuna parte, non abbandoniamo un luogo per raggiungerne un altro, poiché, semplicemente, con esso ci ritroviamo ‘lì dove’ da sempre siamo: nel ‘vuoto’ irrappresentabile che non ci ha mai abbandonato. Il salto è allora come la rosa «senza perché» di Silesio: saltiamo ‘mentre’ (weil) saltiamo. Entrare nel ‘mentre’ del salto significa accedere all’Essere-Ab-Grund, dell’Essere-vuoto che da sempre «è» in noi. A tale dimensione si può accedere solamente saltando. In tal senso Heidegger ci impegna in un coinvolgimento: è solo saltando che possiamo comprendere che il salto lo abbiamo già fatto da sempre.

Nel documento Heidegger e i linguaggi. Eredità e dialoghi (pagine 151-153)