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Musica e te cnica: l’esempio di Stockhausen

Nel documento Heidegger e i linguaggi. Eredità e dialoghi (pagine 163-168)

Musica, tecnica e metafisica Alcune questioni heideggeriane ‘dentro’ la filosofia del limite di Eugenio Trías

4) Musica e te cnica: l’esempio di Stockhausen

A Karlheinz Stockhausen (1928-2007) Trías ha dedicato alcune delle pagine più belle del suo impegnativo viaggio filosofico-musicale ne Il canto delle sirene, in cui oltre a descrivere l’intera parabola creativa del compositore, fornisce numerosi spunti musicologici, storici e filosofici, alcuni dei quali si rivelano utili per gli obiettivi di questo saggio. Attraverso alcune delle sue composizioni è possibile, infatti, evidenziare degli aspetti che, pur non esaurendo i molteplici spunti di riflessione contenuti in questo penultimo saggio de Il canto delle sirene, richiamano due elementi fondamentali del discorso affrontato nelle pagine precedenti di questo saggio: il carattere ‘simbolico’ della musica e il discorso sulla tecnica. In tal modo, è come se avvenisse la chiusura di un percorso che, partito dall’evidenziare l’importanza della musica nella filosofia di Trías ed esponendo, in estrema sintesi, i capisaldi di quest’ultima utilizzando la riflessione heideggeriana sul termine τέχνη come punto d’avvio, ricongiunge, attraverso la musica di Stockhausen, tutti i temi finora esposti.

Il compositore tedesco, assieme a Boulez, fu uno dei personaggi di spicco della scuola di Darmstadt (luogo d’incontro, confronto e scambio tra i maggiori musicisti, musicologi, teorici e compositori del secondo dopoguerra tra i quali ricordiamo anche Theodor W. Adorno), nonché massimo esponente della ‘serialità integrale’. Questo processo compositivo iper-strutturalista porta alle estreme conseguenze il dodecafonismo schoenberghiano. Difatti la metodologia seriale non viene applicata solo alle altezze dei suoni, ma anche ai timbri, alle dinamiche, alle durate, alle forme compositive e agli attacchi, a favore di un processo compositivo iper-calcolato e razionale che risulta indifferente al problema della comunicabilità del messaggio dell’opera35. Il compositore

tedesco è considerato, inoltre, tra i primi esponenti della musica elettronica, come colui che rompe l’ultimo limite rimasto al musicista e al compositore: la creazione del suono stesso, come scrisse Boulez36.

Non c’è modo migliore di introdurre il discorso su Stockhausen utilizzando le esaustive parole scritte dallo stesso Trías:

In Stockhausen c’è un’intelligenza poderosa (soprarazionale), che permette alla musica, in linea con un neopitagorismo rivisitato, di imparentarsi nuovamente con la ‘musica delle sfere celesti’, o delle stelle e delle galassie, e anche delle grandi forme e figure – geometriche, matematiche – attraverso cui possiamo comprendere sia il ‘macrocosmo’ (a partire dalle grandi teorie sull’ ‘universo aperto’, in linea con Karl. R. Popper), sia il ‘microcosmo’ (in linea con il principio di indeterminazione in posizione e velocità di microparticelle, come teorizzato da Werner Heisenberg).

Fisica e metafisica, musica e tecnologia avanzata, esaltano, in questo grande compositore iper- razionalista e mistico, e dalle vigorose inclinazioni gnostiche e spirituali, un’unione straordinaria, talmente potente da compiersi in pieno avvento della secolarizzazione e del nichilismo, della miscredenza generalizzata e della mitizzazione feticista del progresso tecnologico e scientifico. E Stockhausen la compie riallacciandosi alle grandi tendenze della modernità in crisi, o del postmodernismo revisionista, suggerendo però una strada capace di prospettare orizzonti di iniziativa e speranza nel mondo dell’arte, della musica, del pensiero e di una religione rinnovata37.

Trías, dunque, riconosce al compositore il merito di aver recuperato l’essenza simbolica della musica, che lo sperimentalismo delle correnti avanguardiste stava

35 Cfr. E. Surian, Manuale di storia della musica, Il Novecento (IV), Rugginenti Editore, Città di Castello,

2014, pp. 214-15.

36 Cfr. Ivi, p. 238.

161 mettendo in secondo piano. Nella sua opera, il simbolismo risulta evidente dall’intersezione tra le arti del quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia e musica) con la poiésis artistica e la tecnologia avanzata impiegata nelle composizioni musicali38.

Insomma, in Stockhausen, tra gli altri, in maniera particolare, Trías trova la ‘risposta’ a quello che in Heidegger sembra ancora dualistico, ma che nella musica contemporanea diventa unità: la via dell’arte e la via della tecnica.

A testimonianza della natura esemplare (e simbolica) della musica di Stockhausen, Trías propone l’ascolto e l’analisi di Gesang der Jünglinge (Canto degli adolescenti) del 1956.

Questa composizione elettroacustica fu creata da Stockhausen per liberarsi, quasi come in una catarsi, delle vicende che durante gli anni del nazismo segnarono tragicamente la sua vita39. Le drammatiche e fragili voci dei giovani mandati a morire nel

forni crematori, intonanti un inno alla Creazione col quale troveranno salvezza, il cui testo è tratto dal Cantico dei tre giovani nella fornace della Bibbia, vengono contrappuntate dalle onde elettromagnetiche, in un connubio inedito tra canto e tecnologia, tra suoni sinusoidali prodotti da strumenti elettronici e voci, che rendono il brano un vero e proprio concerto per voce solista e musica elettronica, come Trías sottolinea. Il suono viene diffuso attraverso cinque gruppi di altoparlanti disposti attorno agli ascoltatori, avvolgendoli in tal modo in una esperienza nuova dello spazio e del tempo fisico e musicale.

È impossibile non riportare le parole con le quali Trías descrive tale opera e l’impressione che il connubio tra voce e musica suscita negli ascoltatori attraverso effetti di eco e di riverbero, mormorii lontani di altre voci, impulsi elettronici, suoni prodotti artificialmente. L’intervento elettromagnetico, difatti,

cinge la voce, la diversifica, come se venisse filtrata dal cristallo di un prisma acustico, che ne diffrange il suono, scomponendola in vocali e consonanti e suggerendo un peculiare contrappunto che gioca con queste minuscole parti sminuzzate. (…) Le onde elettromagnetiche vagano e cercano – lungo la rampa scivolosa e ghiacciata dell’elettricità ambientale, o in immaginabili riccioli geometrici di una topologia euclidea – l’intonazione rotta di un adolescente in pieno cambio di voce (al punto di infrangersi nella dolente indefinitezza fra l’infanzia e l’adolescenza).

Quella voce rivela una straordinaria precarietà, come se fosse stata contagiata dalla terribile drammaticità del testo biblico, in modo tale che non si sa per che cosa rimanere più stupiti: se per l’idea geniale della composizione, quella di coniugare una voce simile, fragile fino alle lacrime, quasi spenta, con l’inno alla Creazione (…), o per il modo stupendo in cui questa si concretizza e prende forma attraverso i mezzi elettroacustici dell’epoca. In pieno paleolitico dell’era elettroacustica, Stockhausen ottiene una vera opera d’arte40.

È proprio nella voce dell’adolescente risparmiato alla morte che Trías riconosce il carattere simbolico di Gesang der Jünglinge. Questa, infatti, si riferirebbe non tanto ad una voce ‘verbale’ quanto ad una voce ‘matriciale’ che intona la melodia di un canto primigenio, ascoltato ancor prima della nascita nel ventre materno, il cui corpo diventa esso stesso strumento musicale. È, allora, ‘il canto delle sirene’, che, come Trías spiegherà

38 Ivi, p. 640.

39 Su questo punto risulta interessante leggere La mia infanzia. Da una conversazione informale con un

intervistatore anonimo. Londra 1971 in Sulla musica, a cura di R. Maconie, Postmedia books, Milano, 2014, pp. 41-46. Ulteriore utile strumento per conoscere da un punto di vista ‘umano’ e non solo musicale- intellettuale una figura così rilevante nel panorama culturale contemporaneo come quella di Stockhausen, risulta essere K. Stockhausen, Lettere a Ralph, a cura di O. Bossini, Archinto, Milano 2013. In questo libro, che raccoglie quasi quattro decenni di corrispondenza, emergono chiaramente «il rigore, la preoccupazione per il dettaglio, l’indefessa ricerca per la parola giusta, quella tensione verso la perfezione, quella costante energia attraverso la sua Opera, l’importanza essenziale attribuita al lavoro del momento, come se il suo hinc et nunc lasciasse tutto il resto in un secondo piano». Introduzione di R. Fassey a K. Stockhausen, Lettere a Ralph, cit. p. 8.

162 in La imaginación sonora41 conduce i naviganti a perdersi, li porta sull’orlo della follia,

perché quella che odono è una melodia originaria che rimanda, appunto, alla musica ‘matriciale’ ascoltata nel ventre materno. Il loro canto rappresenta il potere iniziatico della musica che avvicina alla conoscenza suprema della totalità dell’esistente: una conoscenza che gli uomini, però, non riescono a sopportaresenza giungere alla follia, alla perdita di sé, sedotti dal potere magnetico della musica.

Per il filosofo spagnolo, Gesang der Jünglinge, assieme a opere come Mikrophonie I, rappresenta la viva testimonianza della possibilità di coniugare tecnologia e poesia, considerando, così, i due cammini della τέχνη non più scissi in due distinte vie (come suggerisce la speculazione heideggeriana), ma in una unità essenziale e originaria che, presente nell’antica Grecia, è poi andata perduta.

Torna, quindi, in questo contesto, la critica di Trías nei confronti del filosofo tedesco. Quest’ultimo ne La questione della tecnica si fa portavoce, secondo Trías, di una incompatibilità fra l’essenza della tecnica concepita come Gestell e la ‘poesia’ intesa, in senso lato, come póesis, come pro-durre42. L’opera di Stockhausen dimostrerebbe, invece,

l’esatto contrario, ovvero la possibilità della coniugazione tra arte, poesia e tecnica, attraverso una perfetta fusione tra estetica e tecnologia. Tra l’altro questo accade proprio negli stessi anni nei quali Heidegger redige il suo discorso sulla tecnica. Una tecnica, quella elettroacustica, che Trías riconosce come sicuramente più sofisticata ed elaborata rispetto a quella ‘tradizionale’ citata dal filosofo tedesco nel suo saggio, a dimostrazione delle sue teorie speculative.

Consideriamo, appunto, Mikrophonie I (Microfonicità I, 1964) l’altra composizione, poco sopra citata, che si è scelta per la sua incisività nel mostrare in forma musicale alcuni argomenti teorici e filosofici di questo scritto. Su quest’opera musicale, il compositore tedesco ha anche scritto un saggio pubblicato nel 1971, ove si legge: «l’aver incluso la parola ‘microfono’ nel titolo sta a significare che qui il microfono viene suonato come uno strumento musicale, mentre ‘phonie’ è come in ‘sinfonia’: una ‘microfonia’»43.

È vero quanto scritto da Fubini circa l’esperienza delle avanguardie, dove la musica e le opere teoriche sull’arte dei suoni si relazionano l’un l’altra come in un gioco di specchi dagli infiniti, reciproci e necessari rimandi, testimoniando quasi l’avvento della ‘profezia’ hegeliana sull’arte che si tramuta in filosofia. È vero anche che spesso sono più numerosi i saggi, gli articoli, le conferenze, i libri, i programmi e le dichiarazioni di intenti scritti dai compositori sulle loro musiche che le musiche stesse, il che rende necessariamente inscindibile l’opera musicale da quella teorico-filosofica che la accompagna, la spiega e la introduce44.

In Mikrophonie I ognuno dei tre musicisti che compongono ciascuno dei due gruppi previsti ricopre un ruolo ben preciso: uno eccita il tam-tam (millenario strumento simile al gong ma avente, contrariamente a questo, intonazione indeterminata) attraverso i più svariati oggetti; il secondo ‘suona il microfono’ trasformando istantaneamente il suono prodotto dal primo strumentista; il terzo modifica ancora il suono attraverso un filtro o potenziometro di volume, in un gioco di continue interferenze trasmesso da quattro altoparlanti disposti in sala. Ciò che ne risulta è qualcosa di inedito (fino ad allora) in musica, come lo stesso Stockhausen ha scritto45: tre musicisti lavorano

contemporaneamente sugli stessi suoni, creando una ‘polifonia’ per ciascuno di essi, attraverso la sovrapposizione di ritmi e dinamiche.

41 E. Trías, La imaginación sonora. Argumentos musicales, Galaxia Gutenberg, Barcelona 2014. 42 Cfr. Id., Il canto delle sirene, cit., pp. 644-645.

43 K. Stockhausen, Microfonia (dalla conferenza ‘MICROPHONIE I’, ripresa da Allied Artists, Londra 1971),

in Sulla musica, cit., p. 84.

44 E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2004, pp. 354-56. 45 Cfr. K. Stockhausen, Microfonia, cit., p. 86.

163 Le azioni dei musicisti sono scritte in una partitura sicuramente poco ordinaria, ed identificate da parole o gruppi di parole onomatopeiche disposte in una scala di trentasei gradi (da quelle aventi sonorità più grave a quelle più acute e brillanti), che indicano il tipo di suono che il musicista dovrebbe tentare di riprodurre. Per produrre dal tam-tam suoni tra loro più diversi possibili, spazzole, scatole, tubi di cartoncino, vetri, sono solo alcuni fra gli oggetti utilizzati, fotografati da Stockhausen per fornire un aiuto all’interpretazione di una partitura sicuramente ‘poco convenzionale’ attraverso uno scatto che, come lo stesso compositore ammette, sembra riprodurre ‘un tavolo coperto di spazzatura’.

Ci troviamo, allora, dinanzi ad un compositore che scardina in maniera totale e dissacrante i canoni musicali tradizionali. Eppure, nella conclusione della parte della conferenza riportata nel testo Sulla musica – quando Stockhausen ammette che non solo il tam-tam, ma qualunque oggetto avrebbe potuto essere utilizzato al suo posto in quell’invito accorato: «suonate qualsiasi cosa. Andate alla scoperta del microcosmo delle vibrazioni acustiche, amplificatelo e trasformatelo elettronicamente»46, in quella visione

‘panteistico-musicale’ che queste parole sembrano suggerire – si può scorgere una grande affermazione di ‘amore’ verso l’arte dei suoni. Un ‘amore’ che Trías ha sicuramente condiviso e che gli ha consentito non solo di scrivere alcune tra le pagine più belle e concettualmente dense della filosofia contemporanea attraverso uno stile unico, che unisce al rigore della genialità filosofica la bellezza e l’eleganza della poesia, ma gli ha permesso anche di dare un nuovo corso al pensiero metafisico, scoprendo la sua matrice musicale e simbolica nell’ambito della filosofia del limite.

5) Conclusioni.

Al termine di questo cammino, non possiamo che sottolineare nuovamente che abbiamo potuto fare solo un’introduzione ad alcuni temi della filosofia di Trías, e che abbiamo provato a farlo a partire da quella che secondo noi è stata una provocazione ‘heideggeriana’, ovvero quella del rapporto tra tecnica, arte e metafisica.

Si è visto come sia possibile, seguendo la via tracciata dal filosofo di Barcellona in

Lógica del límite, partire dal discorso sulla tecnica e, in particolare, dalla filosofia

heideggeriana per esporre le problematiche principali riguardanti la filosofia del limite. Heidegger, infatti, a nostro avviso, è uno dei maggiori interlocutori (spesso nascosti) della filosofia di Trías e suo termine di confronto costante, come abbiamo provato a testimoniare anche a partire dalle riflessioni sull’arte dei suoni e su Stockhausen.

Il discorso sulla tecnica e la riflessione su Heidegger si sono rivelati, allora, come guide privilegiate per un ‘Preludio’ alla filosofia di Trías, nella quale la musica, concepita come ‘arte limitrofe’, diventa forma di pensiero, un pensiero di tipo simbolico che rimanda al cerchio ermetico, ossia all’inesprimibile, all’indicibile, all’incomprensibile. E se, dunque, a ciò che di più vero e di più bello esiste manca di una comprensione assoluta, poiché si situa oltre i limiti della ragione e del linguaggio, non ci resta, anziché tentare di comprenderlo razionalmente, che cogliere l’invito di Trías a ‘viverlo’ attraverso l’infinita bellezza che la musica sprigiona.

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Christoph Jamme

«Ein Gespräch, an dem wir würgen». Heidegger und Celan

Abstract: Der Aufsatz beschäftigt sich anhand neuester Quellen mit dem spannungsreichen Verhältnis des Dichters Paul Celan zu dem Philosophen Martin Heidegger, fokussiert auf Celans Gedicht Todtnauberg.

Schlüsselwörter: Heidegger, Paul Celan, Dichtung, Todtnauberg, Gespräch

*** 1) Der Kontakt – Beginn der Entwicklung

Schon am 4.3.1943 in Czernowitz spielt Celan in seinem Gedicht Ein Krieger auf Heideggers Sein und Zeit oder doch eine Formulierung daraus an (Pöggeler 2000, 32f), doch erst zwischen 1953 und 1959 – eventuell aufgrund von Hinweisen Ingeborg Bachmanns – hat Celan zum ersten Mal gründlich und viele Schriften Heideggers gelesen (Neske 1977, 299), seit 1957 standen beide auch in brieflichem Kontakt. Celan schickte ihm seine Bücher und Gedichte (wollte ihm etwa 1957 das Gedicht Schliere schicken, das den Zusammenhang zwischen der Allegorie und der Verwundung bzw. Vernichtung thematisiert [Pöggeler 1986, 153]). Schon dieser frühe Kontakt ist erstaunlich, kannte Celan doch Heideggers Engagement von 1933 aus der Dokumentation, die seinerzeit von Guido Schneeberger vorgelegt worden war. Celan beschäftigte sich parallel auch mit dem Heidegger-Kritiker Karl Löwith und dessen Buch Heidegger – Denker in dürftiger Zeit.

Sehr genau kannte Celan auch Heideggers Vorlesungen, die dieser während des zweiten Weltkrieges gehalten hatte (mit ihrer Kritik der nationalsozialistischen Nietzsche- Deutung). Celan kannte seit Herbst 1954 auch die Einführung in die Metaphysik — in seinem Handexemplar sind die berüchtigten Sätze über die „innere Wahrheit und Größe der Bewegung“ mit einem Ausrufungszeichen kommentiert. Celan war überhaupt ein sehr aufmerksamer Heidegger-Leser, besonders die späten Werke hat er gründlichst studiert und sie mit Marginalien versehen (vgl. Bibliothek 338-418). Aus der Einführung in die

Metaphysik übernimmt Celan den Begriff der Wahrheit als „Unverborgenheit“ (Celan 2005, 97), aus den Holzwegen die Rede von der Dichtung als „Wagnis“ und „Geschehnis“ (ebd. 97, 100) und den Terminus „Ereignis“ (ebd. 96). Im Marbacher Literaturarchiv befindet sich ein Arbeitsheft, das Celans Lektürenotizen zu Heidegges Was heißt Denken? im Herbst 1954 festhält (André 2001, 151; vgl. a. Celan 2005, 97); hier findet sich auch ein erster Briefentwurf an seinen „Denk-Herrn“ (ebd. 224). Durchaus zustimmend las er die beiden Nietzsche-Bände von 1961 (für die er im gleichen Jahr mit einem Exemplar von

Sprachgitter dankt mit folgender persönlicher Widmung: „Stimmen vom Nesselweg

her:/Komm auf den Händen zu uns./Wer mit der Lampe allein ist,/hat nur die Hand, draus zu lesen./Für/Martin Heidegger/mit herzlichem Dank, für das/Nietzsche-Buch [...]“) sowie die Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung; gewiß kannte er auch Heideggers seit 1950 mehrfach gehaltenen Vortrag Die Sprache. Überdies bezieht sich die Schlußstrophe des am 01.07.1960 geschriebenen Gedichts Zu beiden Händen auf Heideggers Parmenides–Reflexionen. Celan verteidigte auch als einer der wenigen damals die Sprache des späten Heidegger (auch sein Etymologisieren) gegen andere zeitgenössische Urteile (so betonte er in Briefen an Clemens Graf Podewils seine Zustimmung zur „limpidité“ von Heideggers späten Texten: „Ich möchte in den Worten wieder die Namen der Dinge vernehmen“ [zit. nach Pöggeler 1986, 250]). Allerdings war diese Nähe Celan zu Heidegger eine sehr fragile; schon gar nicht wollte er sie öffentlich

165 dokumentiert sehen (so lehnte Celan 1962/63 Otto Pöggelers Wunsch ab, ihm sein Heidegger-Buch zu widmen; er werde nicht – wie Buber das getan habe – Heidegger einfach einen „Persilschein“ ausstellen, noch könne er eine Zusammenstellung der Namen nicht annehmen). Auch als Heidegger, der Celan über René Char (weshalb Heidegger auch ein brennendes Interesse für das diesem Dichter gewidmete Gedicht aus Von Schwelle zu

Schwelle hatte) kannte und sich um eine Stelle für den Dichter an der Hochschule für

Gestaltung in Ulm bemühte, sich 1959 zu seinem 70. Geburtstag für seine Festschrift Gedichte von Celan (und Ingeborg Bachmann) wünschte, verweigerten dies beide, was Heidegger nicht davon abhielt, Celan ab 1959 über seinen Verleger Neske seine Bücher, mit Widmungen versehen, zukommen zu lassen. Im Zusammenhang der Heidegger- Festschrift bei Neske schreibt Celan am 10.08.1959 an Ingeborg Bachmann:

Ich bin (…) der letzte, der über die Freiburger Rektoratsrede und einiges andere hinwegsehen kann; aber ich sage mir auch (…), dass derjenige, der an seinen Verfehlungen würgt, der nicht so tut, als habe er nie gefehlt, der den Makel, der an ihm haftet, nicht kaschiert, besser ist als derjenige, der sich in seiner seinerzeitigen Unbescholtenheit (…) auf das bequemste und einträglichste eingerichtet hat (…). Mit anderen Worten: ich kann mir sagen, dass Heidegger vielleicht einiges eingesehen hat. (Bachmann/Celan 118).

Obwohl Heidegger sich ab dem Band Die Niemandsrose (1964) von Celan etwas entfremdet und zu Huchel schwenkt, bleibt er doch bis zum Schluß rührend um Celan bemüht.

Kulminationspunkt der Beschäftigung Celans mit Heidegger war die Arbeit am Manuskript der Büchner-Preis-Rede Der Meridian im Sommer 1960. Für Vorarbeiten machte er sich – neben Husserl, Scheler und Oskar Becker – umfangreiche Exzerpte aus

Sein und Zeit, benutzte daneben auch Vom Wesen des Grundes, notierte sich etwa die

Heideggersche Übersetzung eines Theaitet-Zitats zum Verhältnis von Denken und Sprache (TCA Der Meridian, 210, 235). Celan beobachtete 1959/60 auch die Vortragsreihe an der Bayerischen Akademie der schönen Künste über „Die Sprache“. Heidegger nahm hier Sprache als Monolog, für Buber gründete die Sprache in einem Dialog, was Celan im

Meridian aufnahm. Im Manuskript sind auch Anspielungen auf Heideggers Der Feldweg

(1949) und Zur Erörterung der Gelassenheit. Aus einem Feldweggespräch über das

Denken (in: Gelassenheit. 1960) erkennbar, wenn es etwa heißt: „Umkehr – dazu scheint es ja nun doch zu viel Einbahnstraßen zu geben. – Gegenverkehr und Umkehr, das ist zweierlei, aber auch auf den Feldwegen scheint es, ach, wenig Gelegenheit dazu zu geben“ (TCA Der Meridian, 131). Celan nimmt auch den Begriff ‚Entsprechung’ für das Wesen der Sprache wörtlich auf, der Heideggers Trakl – Aufsatz entstammt (den er wohl schon 1953 im Merkur gelesen hatte). Heidegger studierte seinerzeit 1961 den Meridian-Sonderdruck gründlich (unter Einfügung von Randbemerkungen, die eine schroffe, doch sehr sachliche

Nel documento Heidegger e i linguaggi. Eredità e dialoghi (pagine 163-168)